DI NEGRO, Celesterio
Nacque a Genova intorno al 1300 da Compagnone.
È erroneamente ricordato per la prima volta nel 1332 quale componente dell'ufficio di Guerra, magistratura temporanea attivata nell'ordinamento genovese quando si presentava la necessità di fàr fronte militarinénte e finanziariamente a specifiche situazioni belliche. Gli annalisti genovesi dell'epoca e la documentazione ufficiale della Repubblica non hanno però, per l'anno 1332, il ricordo dell'istituzione di un ufficio di Guerra, pur occorrendo in quel lomento frequenti scontri navali con la flotta catalana che l'anno precedente si era spinta a razziare le Riviere e gli stessi dintorni di Genova. La notizia di questa carica, riportata dal Pallavicino, viene taciuta dal Federici, mentre il Cigala tende a spostare la data al 1352, quando Genova si trovò realmente a fronteggiare la minaccia di una coalizione fra Veneziani e Catalani, e quest'ultima determinazione cronologica sembra senz'altro più corretta.
La prima apparizione certa del D. alla ribalta della vita politica genovese risale al 1340, quando venne accreditato come dottore ambasciatore per la Repubblica al marchese di Villafranca e al vescovo di Luni.
Si tratta di un anno importante per la Repubblica con il primo assestamento del regime dei dogi a vita che l'anno precedente, il 1339, Simone Boccanegra era riuscito ad imporre ai Genovesi: con la diplomazia e con le armi il nuovo doge cercava di ricomporre il dominio della Repubblica sia nelle Riviere sia nell'0ltremare. La Riviera di Ponente, con i fuorusciti Doria, Spinola e Grimaldi, occupò maggiormente l'attività militare del Boccanegra, mentre i Malaspina, marchesi di Villafranca, non appaiono dálle cronache degli annalisti di quest'anno particolarmente turbolenti. La qualifica di dottore attribuita al D. fa pensare ad un'età non più giovanissima, avendo egli già compiuto il curriculum universitario e, con tutta probabilità, già ottenuta l'iscrizione al Collegio dei dottori. È questo il primo incarico diplomatico, al quale altri seguiranno, di maggiore rilievo ed impegno, mentre non di altrettanto credito sembra godesse la sua attività di giurista.
Nel 1342 il D. risulta componente, a detta del Federici e del Cigala ma non del Pallavicino, di una ambasceria al papa; nel 1345 è tra i diplomatici inviati al re d'Aragona e, nello stesso anno, è citato fra i testimoni della pace firmata tra i Genovesi e i Del Carretto, signori del Finale (erroneamente il Cigala attribuisce questo avvenimento al 1349). Il cursus honorum del D. proseguì con la nomina, nel 1348, alla carica di "dottore in Compera", cioè nell'amministrazione del debito pubblico genovese. L'impegno in questo campo sembra uno dei più qualificanti la sua attività di giurista negli anni successivi, mentre è costante la sua partecipazione alla vita diplomatica della Repubblica.
Compiuta una missione in Sardegna nel 1350, ricordata però senza fornire particolari dal solo Pallavicino, due anni dopo il D. risulta temporaneamente escluso dalla elaborazione di un consiglio richiesto al Collegio dei dottori giuristi per risolvere un contrasto tra il Comune ed i gestori del debito pubblico in tema di gabella del sale: egli infatti, insieme con Riccardo da Pessina, altro componente del Collegio, era tra i "sapientes protectorum et comperarum capituli", impegnato quindi a difendere, nella circostanza, le ragioni di una delle parti. Ancora il Federici lo ricorda "in compera" negli anni 1357 e 1360. Partecipò invece a pieno titolo all'attività consultiva del Collegio dei dottori nel 1355, per definire una controversia che vide la Repubblica soccombente e condannata a pagare 2.000 lire genovesi ad Antonio Squarzafico "pro melioramentis in Taioli castro factis".
Fu intensa, negli stessi anni, la partecipazione del D. all'attività politica e diplomatica della Repubblica. Era scoppiata infatti nel 1350 la guerra con i Veneziani, affiancati dall'Impero di Bisanzio e dagli Aragonesi, che impegnò i Genovesi in Oriente e nel Mediterraneo e si concluse con la pace del 1355 e con l'eliminazione della presenza genovese in Sardegna. Nel 1351 il D. fu fra gli ambasciatori che Genova inviò al pontefice; nel 1352 fu fra i Savi che affiancarono il doge nella firma di un trattato con il Regno d'Ungheria, in funzione antiveneziana; nello stesso anno fu fra i deputati a inviare quattro ambasciatori a papa Clemente VI per definire un'eventuale pace con Veneziani e Catalani; ancora nel 1352, o secondo altri nel 1353, fu fra gli "Officiali deputati per la guerra" (quell'ufficio di Guerra che il Pallavicino anticipò al 1332); nel 1354 fu, secondo il Federici, tra i diplomatici che si recarono a Milano a cercare protezione ed aiuto da Giovanni Visconti, arcivescovo e signore di Milano (a quest'atto di rinuncia alla indipendenza genovese era presente tra gli altri Francesco Petrarca); ancora nel 1354 venne mandato ambasciatore ad Avignone sempre con la richiesta di una mediazione per la pace.
Dopo questa missione la sua attività di diplomatico subì una pausa a favore di quella di giurista. Secondo il Federici, nel 1354 e nel 1355 svolse funzioni di arbitro, mentre nel 1357 e nel 1360 fu "dottore in Compera". Non sono altrimenti documentate le notizie di un manoscritto della raccolta Pallavicino che lo ricorda nel 1360 come uno dei "giudici fra la Repubblica e Eliana Cattanea e li maonesi di Scio e la Repubblica" e nel 1363 come "giudice fra la Repubblica e Nicolò Doria per il loco d'Amelia".
Nel 1363 riprese l'attività diplomatica del D., inserito nell'ambasceria pervenuta ad un accordo con Galeazzo e Bernabò Visconti che minacciavano i confini della Repubblica. I contrasti con i Milanesi ripresero presto e solo nel 1367, sotto gli auspici di papa Urbano V, si arrivò alla pace: agli atti partecipò il D., senza alcuna veste pubblica. L'anno successivo, quando a Pisa venne siglata una convenzione con l'imperatore Carlo IV, con la quale il doge genovese Gabriele Adorno, in cambio del riconoscimento formale della sovranità imperiale su Genova e di un aiuto militare, ottenne per sé il titolo di vicario imperiale, il D. era ancora tra gli "ambaxatores sindici et procuratores". Sempre nel 1368 egli compare in un'altra commissione nominata dal doge "in emendando clausularum generalium, et introituum Communis Ianue", al fine di dare una migliore sistemazione giuridica ai rapporti fiscali fra Genova ed i suoi sottoposti.
Gli anni successivi sembrano segnare un rallentamento della sua attività. Nel 1371 fu tra i testimoni di un atto con il quale Francesco Vivaldi fondò un "moltiplico" per estinguere il debito pubblico; il 21 nov. 1373 fu presente all'atto di redenzione del mutuo della Maona vecchia di Scio; nel 1374, secondo il Federici, possedeva una "villa e palazzo in Bisagno", a dimostrazione di una raggiunta agiatezza e di una autorevole condizione sociale. La riprova del grande prestigio da lui goduto emerge dalla documentazione della controversia tra mercanti fiorentini e genovesi portata davanti all'ufficio di Gazaria tra la fine del 1374 ed il 1375 a cui partecipò, come inviato dell'arte di Calimala, Filippo Villani. Si contendeva a proposito di un risarcimento di danni richiesto da alcuni armatori genovesi ai quali i Fiorentini avevano ricusato, forse per forza maggiore, il carico pattuito. Prima dell'arrivo del Villani a Genova, le ragioni dei mercanti di Firenze vennero sostenute da concittadini presenti in quel momento nell'emporio ligure: furono questi ultimi che scrissero ai consoli dell'arte a Firenze, avvertendo che il D., dopo essersi preso l'incarico di difenderli, si era poi ritirato per le pressioni della parte avversa, che ne avrebbe desiderato il patrocinio, e dello stesso doge. Peraltro il D. doveva già aver compiuto qualche atto processuale per conto dei Fiorentini se il Villani, sopraggiunto nel frattempo da Firenze, scrisse ai consoli dell'arte il 17 febbr. 1375 di aver provveduto a far fare copia dei consilia del Di Negro.
Dopo questo secondo accenno il nome del D. non compare più negli atti della causa, a testimonianza dell'avvenuta messa in atto della sua intenzione di disimpegnarsi dal patrocinio di una delle due parti. Rimane, di tutto l'episodio, naturalmente conclusosi in maniera negativa per i Fiorentini, la testimonianza di un grande prestigio personale per questo conteso patrocinatore, ma anche un esempio di grave malcostume professionale: le connessioni del D. con l'ambiente locale lo spinsero a rinunciare ad un mandato difensivo già accettato e finirono per concorrere, con la connivenza del doge, a pilotare la causa verso l'esito più gradito ai Genovesi.
L'ultima notizia concernente il D. è la sua nomina nel 1376 a savio del Comune: nel 1391, quando non compare più tra i componenti del Collegio dei dottori, doveva ormai essere deceduto.
Dall'insieme delle testimonianze raccolte il D. emerge più come testimone che come protagonista della vita politica genovese della seconda metà del XIV secolo: ricopri infatti cariche pubbliche minori e svolse collegialmente delicati incarichi diplomatici. Come giurista, non lasciò particolari segni in campo sia dottrinale sia professionale: questa caratteristica la condivise con gli altri giuristi genovesi suoi contemporanei, e la mancanza di uno Studio universitario è certo circostanza che in buona parte spiega tale carenza di notizie. Per quanto riguarda il D. in particolare, però, il giudizio riduttivo sulle sue qualità di giurista deve essere ribadito per un'altra considerazione. Nel periodo della sua maggiore attività furono operate in Genova due importanti riforme: la prima delle leggi politiche, nel 1363, e la seconda degli statuti civili e criminali, nel 1375: in entrambe le commissioni il D. non fu presente, nonostante la considerazione e gli appoggi di cui godeva in città, e la spiegazione deve probabilmente essere cercata nella sua scarsa propensione agli approfondimenti dottrinali. La circostanza che, come si è visto nella causa tra mercanti genovesi e fiorentini, fosse ritenuto l'avvocato più valido dinanzi ad un tribunale come l'ufficio di Gazaria, che aveva giudici non professionali e sfuggiva alle sottigliezze giuridiche a vantaggio dell'equità mercatoria, può essere un sintomo della maggior aderenza del giurista genovese alla pratica del diritto piuttosto che alla dottrina.
Fonti e Bibl.: Genova, Archivio stor. del Comune, ms. 107.C.12: F. Federici, Famiglie nobili genovesi, III, N-R, cc. 15rv; Ibid., ms. 54: Famiglie genovesi, C. 141; Ibid., ms. 237: Famiglie genovesi, cc. 246v-247r; Ibid., ms. 436: Raccolta delle famiglie genovesi poste insieme da Giulio di Agostino Pallavicino, ff. 206v-207r; Ibid., ms. 439: G. B. Cigala, Memorie della città di Genova dalle origini al 1528, 1-2, ff. 237 ss.; Arch. di Stato di Genova, ms. 492: Alberi genealogici, f. 84r.; Ibid., ms. 10: Magistrati dal 1332 in 1528, f. 2r; Dianensium conventiones cum Genuensibus contractae, immunitates, privilegia, ac alia publica monumenta, Genuae 1584, p. 34; Liber iurium Reipublicae Genuensis, II, in Historiae patriae monumenta, IX, a cura di E. Ricotti, Augustae Taurinonum 1857, pp. 550, 629, 745, 759, 765, 767, 772, 782, 790; Leges Genuenses, ibid., XVIII, a cura di V. Poggi, ibid. 1938, p. 241; Documenti della Maona di Chio-secc. XIV-XVI, a cura di A. Rovere, in Atti della Società ligure di storia patria, n. s., XIX (1979), p. 134; C. Desimoni, Cristoforo Colombo ed il Banco di S. Giorgio. Studio di Henry Harrisse esaminato dal socio C. Desimoni, ibid., XIX (1887), 3, p. 161; rec. a G. Bigoni, Per la lega fra Genova e l'Ungheria, nel 1352, Pavia 1907, in Giorn. stor. e letter. della Liguria, IX (1908), p. 229; G. Manacorda, Una causa commerciale davanti all'Ufficio di Gazaria in Genova nella seconda metà del secolo XIV, in Studi storici, XI (1902), I, pp. 443-447, 450; XII (1903), pp. 175 s.; per un quadro della vita giuridico-istituzionale di Genova in questo periodo: V. Piergiovanni, Gli statuti civili e criminali di Genova nel Medioevo. La tradizione manoscritta e le edizioni, Genova 1980.