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BRUNI, Celestino

di Giuseppe Pignatelli - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 14 (1972)
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BRUNI, Celestino

Giuseppe Pignatelli

Nato a Venosa nel 1585 da Vincenzo, entrò giovanissimo nell'Ordine degli eremitani di S. Agostino, compiendo i primi studi a Napoli e a Roma: seguì invece i corsi di filosofia e teologia in Spagna sotto la guida di valenti maestri, tra i quali egli ricordò Francesco Cornexo di Salamanca. Già prima del 1610 divenne lettore di studio nel convento agostiniano di Pulcino, ove rimase per circa un decennio. Quindi fu nominato professore di belle lettere e teologia e reggente dello studio di S. Agostino a Palermo, ove pubblicò un corso propedeutico allo studio della filosofia (Parva logica sive proludium necessarium ad arduam logicae disciplinam..., Panormi 1618), improntato al metodo scolastico-aristotelico, pur nelle sue punte polemiche nei confronti della filosofia tomistica; a quest'opera seguì la Logicalium disputationum pars prior... secunda pars cursus..., Panormi 1619, dedicata ad Antonio de Aragona y Moncada (una ristampa dello stesso volume fu fatta a Napoli nel 1620 e dedicata al card. Benedetto Giustiniani).

Dal 1620 fu reggente del convento di S. Marco a Milano, ove il 25 giugno 1621 fu creato maestro di teologia, e quindi trasferito con lo stesso titolo a Siena: si distingueva intanto per la sua notevole valentia di predicatore sui pulpiti quaresimali di Palermo, Venezia, Torino, Roma.

Durante la permanenza nello Studio di Siena, ove ebbe fra gli alunni Fabio Chigi, il futuro Alessandro VII, il B. scrisse il Trattato a difesa della realità del cambio della ricorsa,secondo che comunemente si osserva in ogni città d'Italia,e fuor d'Italia: e particolarmente nel modo che si pratica in Siena, Firenze 1623, dedicato al card. Ludovico Ludovisi e al principe Niccolò Ludovisi, nipoti di Gregorio XV.

L'opera, composta frettolosamente dal B. in lingua latina tra l'aprile ed il maggio 1622, fu poi pubblicata in italiano per poter essere più agevolmente diffusa anche nel ceto mercantile senese: essa, infatti, vedeva la luce subito dopo che le prediche di un cappuccino avevano accusato di usura la pratica dei cambi di Siena. Da ciò era derivata l'insolvenza di molti debitori e la convocazione da parte dell'arcivescovo di una congregazione di teologi, di cui fece parte anche il B., che sostenne contro i rigoristi la tesi più benevola. La congregazione - come era naturale, data l'estrema complessità della materia e la cavillosità dei contendenti - aveva concluso i suoi lavori senza che si giungesse a una decisione netta e definitiva circa la liceità di alcuni tipi di cambio: da ciò la necessità dello scritto del B. - sollecitato da alcuni cambisti - che pur nella sottigliezza delle argomentazioni ha il pregio di una singolare chiarezza. Condannato come usuraio il cambio secco, in quanto "vendimento di tempo", il B. analizza la bolla di Pio V (1º febbr. 1571) sui cambi, per accertare quali siano vietati come fittizie coperture di un mutuo: la tesi che si propone di dimostrare è che tra questi non vi è il cambio con la "ricorsa" solitamente usato a Siena. In questo ultimo tipo, il campsario (o debitore) che si era obbligato a restituire la somma, ricevuta a Siena, alla fiera di Piacenza secondo la quotazione cambiaria che si aveva sulla piazza, invece di soddisfare il creditore contraeva un nuovo cambio con una terza persona (che era l'agente del campsore senese) con l'ordine di pagare in Siena al campsore stesso la nuova somma secondo la quotazione della fiera successiva. Come si vede, in effetti il pagamento non avveniva in fiera ma nella stessa città di Siena gravato di una somma che generalmente era proporzionale ai ricambi contratti.

Per sfuggire alla condanna emessa da Pio V, il B. osserva che cambio fittizio è quello in cui le lettere rimangono a Siena in possesso del campsore oppure vengono mandate, in fiera ma "referuntur inanes ad locum, unde antea discesserant", mentre nel cambio con "ricorsa" le lettere che vengono inviate da Piacenza a Siena non sono le stesse che sono partite da Siena, ma sono prodotte da un nuovo cambio reale in cui si ha diversità delle lettere, del luogo e delle persone contraenti. Particolare cura del B. è di ribadire sulla scorta dei più accreditati "dottori" che il pagamento in fiera non è necessario si faccia per denaro contante, ma anche per "acceptilationem et accomodationem scripturarum". Nell'ultima parte dell'opera più che l'analisi degli autori che hanno trattato la materia (Fabiano da Genova, Silvestro da Priezio, T. Buoninsegni, M. de Azpilcueta, M. Sa, M. B. Salon, J. de Salas, Antonio di Sansalvatore, L. de Leys) con la cui autorità il B. cerca di accreditare - talora forzandone il pensiero - la sua tesi, è interessante la difesa del cambio senese basata sull'utilità economica che esso aveva per la cittadinanza: il B. si mostra, infatti, consapevole dell'importanza che ha nelle operazioni commerciali il credito, che permette ai mercanti di ricavare utili del 26-30%, pagando nei cambi non più dell'8-10%. Ed è in sostanza a questo concetto di utilità del cambio senese, più che a rispettare i canoni di un'astratta moralità, che è subordinata l'opera del B., il quale, valendosi dei procedimenti tipici del nascente probabilismo, è preoccupato sopratuttto di giustificare la prassi trionfante, rispettando formalmente la dottrina della Chiesa.

Trasferito nel maggio 1623 a Bologna, fu prima reggente dello Studio, quindi provinciale della Romagna. Ricoprì quest'ultima carica, dopo una breve permanenza a Roma tra il 1630 e il 1632, anche per la Puglia e Terra di Lavoro, risiedendo per molti anni a Napoli, ove fu accolto tra i dottori del Collegio dei teologi. La sua carriera nell'Ordine culminò nell'elezione ad assistente d'Italia nel capitolo generale del 1640. Scrisse, quindi, il volume Quodlibeticarum disputationum pars prior theologica..., Neapoli 1641, in cui trattava specialmente la materia de auxiliis e il problema della predestinazione (pp. 271-599), attribuendo, secondo la dottrina agostinana, una particolare importanza alla grazia divina.

Nel 1652 Fabio Chigi, ritornato, alla nunziatura di Colonia, gli fece ottenere la cattedra di Sacra Scrittura alla Sapienza e, il 6 nov. 1652, lo fece entrare tra i qualificatori della congregazione che giudicava l'Augustinus di Giansenio.

La chiamata del B. a far parte della congregazione fu dovuta ad un preciso disegno tattico: il Chigi, infatti, con la scelta di un agostiniano "suo vecchio amico et huomo di molta riputazione" si proponeva di neutralizzare Filippo Visconti, generale degli agostiniani, che sosteneva Giansenio come difensore di s. Agostino. Il B. nelle sedute della congregazione rispose pienamente alle aspettative del Chigi, pur facendosi stimare anche dal Saint-Amour per la scrupolosità che dimostrava nel voler sentire anche le ragioni dei giansenisti.

Dopo l'emanazione della bolla Cum occasione, il B.ottenne come premio il vescovato di Boiano e fu consacrato a Roma il 7 sett. 1653 dal card. G. B. Pallotta. Raggiunta la sua diocesi, compose, ampliando il voto antigiansenista precedentemente espresso, l'opera De gemina D. Augustini Aphri... gratia,contra singularem medicinalem Augustini Iansenii... geminum opusculum,in quorum altero,De sufficienti et de omnimoda arbitrii indifferentia,contra quinque propositiones Iprensis,in altero,De gratia electorum; quocumque nomine noncupetur: eiusque genuina Hipponensis concordia cum libero arbitrio, inviandola manoscritta al neoeletto papa Alessandro VII, che non ritenne opportuno pubblicarla (si trova in Bibl. Apost. Vat., ms. Chigi B. V. 89).

Il B. vi sostiene che per salvare la dottrina di s. Agostino è necessario condannare Giansenio, che ne ha forzato in modo pericoloso e talvolta eretico il pensiero: a tale scopo il B. non esita a rinnegare alcune proposizioni da lui stesso sostenute nel 1641, come gli fu rinfacciato da alcuni più zelanti seguaci delle dottrine agostiniane della grazia (Roma, Bibl. Angelica, ms. 894, ff. 199-205).

Il B. amministrò la diocesi con zelo esemplare in anni particolarmente difficili. Preziosa fu la sua opera caritatevole durante la peste che infierì nel Regno di Napoli nel 1656, decimando la popolazione di Boiano che passò da 2.800 a 220 anime (cfr. la relazione del B. al papa in Arch. Segr. Vat., Vescovi 40, f. 451).

Nel 1657, per essersi opposto ai soprusi del marchese di Baranello che dominava la zona, fu costretto a rifugiarsi per alcuni mesi a Napoli, per evitare le angherie dei suoi bravi. Dopo aver chiesto invano al papa di cambiar diocesi, rientrò a Boiano nel dicembre 1657.

Il B. morì il 22 dic. 1663. (cfr. Bibl. Apost. Vat., V. Guerrini, Codicum manuscriptorum qui in bibliotheca chisiana Romae adservantur catalogus., f. 57v; inesatta la data 31 maggio 1664 proposta dal Lopez Bardón e dal Dictionn. d'Hist. et de Géogr. Eccl., in quanto posteriore alla nomina del successore vescovo di Boiano).

Fonti e Bibl.: Arch. Segr. Vaticano, Proc. Dat. 32, ff. 115-120; Ibid., Vescovi 40, ff. 118, 185, 450 s.; 41, ff. 262 s.; 42, ff. 143, 173, 338, 368, 418, 433; 43, ff. 340 s.; Bibl. Apost. Vat., Barb. lat. 7576, f. 56; Ibid., Chigiano B. I. 6, ff. 614 s., 620, 622, 699; Journal de m. de Saint-Amour... de ce qui s'est fait à Rome dans l'affaire des cinq propositions, s.l. 1762, pp. 319, 324 s., 328, 372; L. Ceyssens, La première bulle contre Jansénius. Sources relatives à son histoire (1644-1653), II (1650-1653), Bruxelles-Rome 1962, p. 36; L. Allacci, Apes urbanae sive de viris illustribus qui ab anno MDCXXX per totum MDCXXXII Romae adfuerunt..., Romae 1633, p. 73; J. F. Ossinger, Bibliotheca augustiniana..., Ingolstadii et Augustae Vindelicorum 1768, pp. 165 s.; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, pp. 2185 s.; G. Lanteri, Postrema saecula sex religionis augustinianae..., III, Roma 1860, p. 37; G. Cappelletti, Le Chiese d'Italia, XIX, Venezia 1864, p. 149; C. Minieri Riccio, Notizie biografiche e bibliografiche degli scrittori napoletani fioriti nel sec. XVII, II, Milano-Napoli-Pisa 1877, p. 48; T. Lopez Bardón, Monastici R. P. Fr. Nicolai Crusenii Continuatio..., II, Vallisoleti 1903, p. 88; D. A. Perini, Bibliographia augustiniana..., Firenze [1929], pp. 158 s.; L. von Pastor, Storia dei papi, XIV, 1, Roma 1932, p. 203; B. Van Luijk, Le controversie teologiche nei secoli XVII-XVIII e gli agostiniani, in Miscellanea jansenistica offerts à L. Ceyssens, Heverlee-Louvain 1963, p. 207; P. Gauchat, Hierarchia catholica..., IV, Monasterii 1935, p. 117; Dict. d'Hist. et de Géogr. Eccl., X, col. 943.

Vedi anche
vescovo Nel cristianesimo primitivo e in molte Chiese cristiane non cattoliche, il capo di una comunità di fedeli, in posizione più elevata rispetto agli altri ordini del ministero ecclesiastico. Nella Chiesa cattolica, prelato che, sotto l’autorità del romano pontefice, ha il governo ordinario di una diocesi, ... Ludovico Ludovisi Cardinale (Bologna 1595 - Roma 1632); figlio del senatore Orazio e quindi nipote del papa Gregorio XV, ottenne da questo, il giorno successivo alla sua incoronazione, il cardinalato (1621); ebbe poi l'arcivescovato di Bologna. Fu detto il Cardinal Padrone perché in soli ventinove mesi di pontificato ... Simone Episcòpio Episcòpio, Simone. - Nome italianizzato (lat. Episcopius) di Simon Bishop o Biscop (Amsterdam 1583 - ivi 1643). Figura dominante dell'arminianesimo. Magister artium a Leida (1606), vi studiò anche teologia con F. Gomar e J. Arminius, del quale ultimo divenne presto seguace. Dopo la morte del maestro ... cardinale Titolo di alta dignità ecclesiastica. Storicamente, i cardinale sono i più importanti e stretti collaboratori del pontefice. ● La nomina dei cardinale spetta esclusivamente al pontefice e la sua scelta deve cadere su uomini che siano già stati nominati sacerdoti e che eccellano per dottrina, moralità, ...
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celestino²
celestino2 celestino2 s. m. [dal nome del papa Celestino V (1209 o 1210-1296)]. – 1. Religioso appartenente alla congregazione fondata verso il 1264 nell’eremo della Maiella da Pietro del Morrone (il futuro Celestino V), e definitivamente...
celestino¹
celestino1 celestino1 agg. e s. m. [der. di celeste1; cfr. lat. caelestinus «celeste, divino»]. – 1. agg. Di colore celeste o che tende al celeste: una cravatta c.; vanno per l’aria celestina Due nuvolette sole (Pascoli). 2. s. m. Altro...
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