GALIANI, Celestino
Nacque l'8 ott. 1681 a San Giovanni Rotondo presso Foggia da Domenico, commerciante di lana, e da Gaetana Tortorelli. Venne chiamato Nicola Simone Agostino, nome che muterà con quello di Celestino dopo avere abbracciato la carriera ecclesiastica.
Terminati i suoi primi studi a Foggia, il G. entrò a sedici anni nell'Ordine dei celestini (24 dic. 1697) e fu inviato a compiere il suo noviziato presso il monastero della Trinità di San Severo e poi, dopo la professione solenne (25 dic. 1689), in quello di S. Croce di Lecce. La sua fama di promettente studioso convinse il capitolo generale del suo Ordine, riunito nel maggio 1701 nella badia di S. Spirito del Morrone, a concedergli la nomina di "studente" presso il monastero di S. Eusebio di Roma, dove si recò il 20 giugno di quell'anno. Terminato il primo triennio di studentato, il capitolo generale dei celestini lo confermò, nel maggio 1704, per un nuovo triennio, come studente, con la dispensa però di frequentare i corsi regolari del monastero. Una disposizione, questa, che permise al giovane G. di impadronirsi degli elementi cardinali del pensiero scientifico moderno - da Galileo Galilei a René Descartes, a Pierre Gassendi, a Bernard Lamy, fino alla scoperta della nuova epistemologia newtoniana e dell'empirismo di John Locke - come testimonieranno le annotazioni contenute nel manoscritto giovanile Animadversiones physis.
Nel maggio 1707, il modesto titolo di studente veniva convertito al G. in quello, egualmente triennale, di lettore di teologia morale e Sacra Scrittura presso lo stesso convento di S. Eusebio, a cui si aggiungerà nel 1708 anche l'insegnamento di teologia dogmatica. Il successo del suo magistero nei corsi di Sacra Scrittura, improntati ai nuovi criteri storico-filologici e arricchiti dalla personale conoscenza dell'ebraico che il G. poteva vantare, le polemiche che accompagnarono le "tesi" proposte pubblicamente dai suoi allievi nel 1708 e nel 1710 - che, nel 1711, gli valsero l'accusa di giansenismo e di gravi errori nell'esegesi biblica da parte dell'Inquisizione, da cui verrà scagionato solo nel 1713 per diretto intervento di Clemente XI - non interruppero però i suoi interessi scientifici e la sua opera di divulgatore della moderna cultura europea, che trovava nell'ambiente romano del tempo il suo terreno più congeniale.
Nel biennio 1707-08, il G. sottopose infatti, nella sede dell'Accademia degli Antiquari alessandrini, l'Ottica di I. Newton a un'accuratissima analisi, le cui conclusioni sono sintetizzate in due manoscritti: le Animadversiones nonnullae circa Opticem Isaaci Neutoni e le Differenze tra le scoperte di Newton e l'ipotesi cartesiana. Sempre nel 1708, il G. riuscì a procurarsi, sfruttando gli efficaci canali diplomatici della S. Sede, una copia dei Philosophiae naturalis principia mathematica dello stesso Newton, alla cui analisi dedicò un altro manoscritto: le Osservazioni sopra il libro del Newton, intitolato Principia mathematica.
Nei primi anni del secondo decennio del Settecento il G. iniziò poi la composizione di un ben articolato trattato contro le tesi cartesiane sulla gravità e sul moto dei pianeti: l'Epistola de gravitate et cartesianis vorticibus. L'Epistola, ultimata nel 1714, era indirizzata a Gregorio Caloprese, uno dei più importanti seguaci di Descartes in Italia, e costituiva una confutazione, sia pure indiretta, delle tesi di un altro cartesiano italiano, Giovanni Poleni, autore del De vorticibus coelestibus dialogus, edito a Padova nel 1712.
La notorietà che la disputa col Caloprese fruttò al G. non mancò di produrre i suoi effetti. Tra essi vi fu la nomina ufficiale di insegnante di filosofia nel convento di S. Eusebio nel maggio 1716 e quella di membro della commissione di studi, istituita dalla Commissione delle acque di Roma e presieduta dal camaldolese Guido Grandi, incaricata di studiare la possibile immissione del Reno nel Po.
Nel maggio 1717 il G. venne chiamato a risolvere un'altra questione di carattere idrologico, pendente tra la S. Sede e il Granducato toscano, relativa alla deviazione del fiume Chiana nel corso dell'Arno. Sempre nel 1717, al ritorno dalla sua missione in Toscana, il G. ricevette la "sopravvivenza", a titolo gratuito, nell'insegnamento di matematica della Sapienza, e nel 1718 quella di coadiutore con futura successione del padre Luigi Malle, che, sebbene lettore ordinario di storia della Chiesa e controversie dogmatiche nello Studio pontificio, si era trasferito a Parigi. In quest'ultimo incarico, che si inaugurò, il 2 nov. 1718 e che si protrasse per circa un decennio, il G. cercò di utilizzare i nuovi criteri di indagine storiografica per un ripensamento della storia del cristianesimo su solide basi razionali e sulla falsariga del progetto che aveva già impegnato studiosi come Jean Le Clerc, Samuel Clarke, J. Locke, Nicolas de Malebranche, G.W. Leibniz.
Sempre nel 1718, il G. fu nominato abate del monastero celestino d'Aversa e l'anno successivo di quello di S. Angelo di Celano, con facoltà di reggere le due cariche mediante vicari e continuando a vivere a Roma. Qui entrò a far parte nel 1719 della congregazione incaricata da Clemente XI di deliberare sulla liceità del gioco del lotto.
Continuava, intanto, il suo brillante cursus honorum ecclesiastico, con la nomina nel 1723 a procuratore generale dell'Ordine dei celestini presso la S. Sede e proseguiva, allo stesso tempo, la sua attività di diplomatico militante, in cui diede una prova definitiva delle sue qualità nelle trattative relative alla secolare questione dell'apostolica legazia di Sicilia, che, a partire dal 1725, entrava nella sua fase più delicata e risolutiva, contrapponendo frontalmente l'imperatore Carlo VI - nella sua qualità di re di Sicilia - e il papa Benedetto XIII.
Nei colloqui diplomatici, le due parti erano rappresentate, rispettivamente, per la Curia romana, da Prospero Lambertini (il futuro pontefice Benedetto XIV), e per l'imperatore, dal Galiani. Fu soprattutto grazie all'infaticabile attività di quest'ultimo (legato da rapporti di amicizia personale con il Lambertini) che si poté arrivare, nel 1728, a una soluzione di compromesso. Questa, sancita dall'emissione della bolla pontificia Fideli, scontentò in ogni caso i partigiani estremisti dei due partiti, attirando sul G. dure critiche sia da parte degli ambienti più retrivi della Curia sia da quella dei più accesi fautori dell'anticurialismo imperiale, tra cui Pietro Giannone.
Il dissidio tra il G. e le punte più radicali del pensiero italiano di questo periodo conosceva intanto, in questo stesso decennio 1720-30, un nuovo terreno di controversia, dopo quello politico-diplomatico. La rivendicazione di una autonomia completa della scienza dalla teologia, decisamente ma cautamente propugnata dal G., non poteva mancare di confrontarsi, infatti, con le ben più eterodosse ipotesi dell'abate Antonio Conti, interprete di una diversa concezione del newtonianesimo, che vedeva nella gravitazione universale una delle tante manifestazioni della "forza-materia", intrinseca all'attività della natura e sciolta da ogni disegno di ordine provvidenziale, così come era stato suggerito in Inghilterra da pensatori come John Toland e Anthony Collins.
Alla più generale confutazione delle tesi di Conti, il G. provvide con la composizione, avvenuta a Roma alla fine degli anni Venti, dell'inedito Della scienza morale. Ricerche intorno alle prime origini della scienza morale. Ma in questa opera il G. affrontava soprattutto la fondazione di una nuova etica, a sostegno di quella tradizione di pensiero che con Ugo Grozio, Samuel Pufendorf, Baruch Spinoza e Locke aveva affermato con decisione la separazione tra morale e teologia, diritto e religione.
Si trattava di un convincimento, questo del G., che non rimaneva confinato al mero piano teorico, ma che servirà a orientare il suo stesso atteggiamento pratico-politico, dove attività culturale e concrete istanze di riforma si saldavano strettamente in un'infaticabile azione intellettuale, tesa ad aprire gli spazi politici necessari al rinnovamento civile della penisola.
Il proseguimento della fortunata carriera ecclesiastica del G. non mancò di favorire questo progetto. Eletto per un triennio, nel maggio del 1728, generale dei celestini, egli intraprese una visita dei vari conventi dell'Ordine sparsi nella penisola. Il viaggio pastorale che, con una sosta intermedia di riposo a Roma, durò dal dicembre 1728 all'aprile del 1730, conobbe alcune tappe importanti: Firenze, dove il G. rinnovò la conoscenza con Giovanni Bottari, che diverrà uno dei suoi più attivi corrispondenti; ma soprattutto Napoli dove, nel febbraio del 1729, egli s'intrattenne a lungo con il viceré A.Th.R. Harrach sulla spinosa questione giurisdizionale che inveleniva i rapporti tra Impero e S. Sede, ponendo le basi della sua prossima entrata al servizio della Casa d'Austria. Nel marzo 1731, infatti, lo stesso Harrach inviava al G. la cedola di collazione, sottoscritta dall'imperatore, per l'arcivescovato di Taranto. E il 24 giugno 1731, il G., dopo essere stato sottoposto al consueto esame di teologia alla presenza del pontefice, si affrettò a raggiungere Napoli, per poi di lì proseguire verso la sede arcivescovile di Taranto.
Ma proprio in questo momento la messa a riposo del cappellano maggiore di Napoli, Diego Vincenzo Vidania, da parte della corte di Vienna, rese vacante questa importantissima carica, che comprendeva anche l'attribuzione di "prefetto dei Regi Studi", con suprema autorità didattica, amministrativa e disciplinare su professori e studenti dell'Università partenopea e su ogni altro istituto di educazione e di cultura del viceregno. Grazie al diretto interessamento dello Harrach la successione nella cappellania maggiore toccò al G., che ricevette il decreto di nomina il 6 dic. 1731. Raggiunta egualmente Taranto, dove dimorò dal 12 dic. 1731 al 22 genn. 1732, egli tornò a Napoli per assumere, il 9 febbraio, la nuova carica a cui era annessa quella di arcivescovo "in partibus" di Tessalonica.
Le prime azioni del G. in questo ufficio riguardarono soprattutto una rigorosa riforma dell'apparato burocratico, che ruotava intorno alla cappellania maggiore e solo in un secondo momento l'attuazione del disegno di una vera e propria rigenerazione dell'Università napoletana, che languiva in quel momento in uno stato di vera e propria decadenza. Tale progetto, che il G. presenterà negli ultimi mesi del 1732 al Consiglio collaterale, si proponeva in primo luogo di restituire allo Studio partenopeo un ruolo di assoluta centralità nell'organizzazione educativa napoletana, che nel passato era stato troppe volte usurpato da scuole private e seminari religiosi, tentando poi di fare penetrare compiutamente, attraverso un profondo riordinamento della tradizionale ratio studiorum, i risultati della nuova scienza e della nuova cultura italiana ed europea nelle mura dell'antico ateneo.
Le opposizioni ben presto insorte in seno al Consiglio collaterale e le sorde resistenze della stessa corte di Vienna bloccarono però l'attuazione della riforma, senza per altro arrestare la più generale attività del G. a favore di un'opera di organica divulgazione della nuova cultura settecentesca. Centrale, per il nuovo cappellano maggiore, in questo ardito progetto di svecchiamento intellettuale era, infatti, la diffusione del pensiero di Locke, che culminò nella fondazione, nel 1732 a Napoli, di un'Accademia delle scienze, voluta oltre che dal G., da Bartolomeo Intieri e Nicola Cirillo, che proprio ai principî lockiani si richiamava nel suo dettato costitutivo.
Dopo la proclamazione del giovane Carlo di Borbone a re di Napoli, il 15 maggio 1734, il G. venne confermato nella carica di cappellano maggiore e vide almeno parzialmente approvato dal nuovo monarca il suo progetto di riforma dello Studio napoletano, col regio decreto del 4 nov. 1735. Continuava intanto l'attività dell'Accademia delle scienze, diretta dal G. fino al 1737, i cui lavori s'interromperanno definitivamente solo nel 1744. Si apriva, in questo modo, per Napoli una ricchissima stagione culturale, nella quale il G. raccolse i frutti della sua passata attività, che sancivano ormai il suo inserimento nel movimento del newtonianesimo moderato europeo, mediante la sua nomina a membro corrispondente della Royal Society di Londra nel 1735. Ma il cammino dell'attività diplomatica si apriva di nuovo dinnanzi al G. con l'apertura delle trattative per il concordato tra Papato e Borboni. Nel 1736, infatti, le corti di Madrid e di Napoli nominavano due plenipotenziari per la trattativa: il cardinale Troiano d'Acquaviva d'Aragona, ambasciatore di Spagna presso la S. Sede, e il G., il quale, affidata provvisoriamente la cappellania maggiore al vescovo di Pozzuoli, Nicola de Rosa di Villarosa, si recò a Roma l'11 maggio 1737.
Le complicate e delicate trattative, nelle quali il G. riuscì ad attuare un'opera di difficile mediazione tra le pretese pontificie e spagnole e la difesa delle prerogative del Regno e tra le rivendicazioni dei partiti curialista e anticurialista italiano, si protrassero ben oltre la data del 10 maggio 1738, giorno in cui il pontefice riconobbe formalmente Carlo di Borbone come re di Napoli. Incagliatisi sulle cruciali questioni del diritto d'asilo, dell'estensione dei poteri dell'Inquisizione, della sottomissione dei beni ecclesiastici ai tributi, della giurisdizione ecclesiastica, i colloqui diplomatici, interrottisi nel 1740 per la morte di Clemente XII, portarono solo il 2 giugno 1741 alla firma del concordato, nelle clausole del quale si poteva leggere in ogni caso un netto rafforzamento della posizione diplomatica del Regno di Napoli all'interno della penisola e sul piano internazionale, in gran parte dovuto all'opera del Galiani.
Nominato presidente del Tribunale misto di Napoli, carica che detenne dal 1741 fino alla sua morte, il G. partecipò nelle vesti di vescovo castrense alla campagna di Velletri del 1744 contro gli Imperiali: un episodio bellico minore nel quadro della conflagrazione europea, determinata dal problema della successione austriaca. Gli ultimi anni della vita, trascorsi a Napoli nella frequentazione di uomini come Bartolomeo Intieri, Alessandro Rinuccini e il vecchio Giambattista Vico, che al G. dovette la nomina a istoriografo regio nel 1735, non conobbero interruzioni nella sua attività di uomo politico e di studioso, ma furono in gran parte dedicati all'educazione dei due nipoti, Bernardo e il più famoso Ferdinando Galiani: quasi a gettare un ponte ideale tra l'inquieta stagione della "crisi della coscienza europea" di cui il G. fu uno dei più importanti protagonisti italiani e la nuova età dell'Illuminismo.
Morì a Napoli il 26 luglio 1753.
Le opere del G., per precisa scelta del loro autore, non vennero mai pubblicate. Esse rimangono quindi inedite e sono per la più parte conservate presso la Biblioteca della Società napoletana di storia patria. Per quanto riguarda la bibliografia galianea si veda, per quello che concerne i manoscritti di carattere biografico, diplomatico, politico e il ricco epistolario, l'opera di F. Nicolini, 1951, pp. 126-146; per quelli di carattere scientifico e filosofico, il volume di V. Ferrone, 1982, pp. 317-454, che costituisce anche il primo, riuscito, tentativo di ricostruire globalmente la personalità culturale del Galiani. È stato invece pubblicato il Carteggio tra il G. e Guido Grandi, a cura di F. Palladino - L. Simonutti, Firenze 1989. Le lettere del G. a Bernardo Tanucci sono state edite in B. Tanucci, Epistolario (1723-1756), a cura di R.P. Coppini - L. Del Bianco - R. Nieri, I-III, Roma 1979-82.
Fonti e Bibl.: Per gli studi dedicati in tutto o parzialmente al G. si veda: G. Gentile, Studi vichiani, Messina 1915, pp. 173 s., 179-183; F. Nicolini, La famiglia dell'abate G., in Arch. stor. italiano, LXXVI (1918), 2, pp. 152-154; Id., La puerizia e l'adolescenza dell'abate Galiani (1735-1745). Notizie, lettere, versi, documenti, in Arch. stor. per le prov. napoletane, XLIII (1918), pp. 106-112, 126-128; G.M. Monti, Per la storia dell'Università di Napoli. Ricerche e documenti, Napoli 1924, pp. 95-149; F. Nicolini, Monsignor C. G. Saggio biografico, Napoli 1940; Id., Un grande educatore italiano, C. G., Napoli 1951; C. Pighetti, Per la storia del newtonianesimo in Italia, in Riv. critica di storia della filosofia, XVI (1961), 4, pp. 425-434; R. Ruotolo, Una lettera di C. G. circa la soppressione dei "Conventini", in Studi e ricerche francescane, II (1973), 3-4, p. 283; F. Nicolini, Della società nazionale di scienze, lettere e arti e di talune accademie napoletane che la precederono, a cura di F. Tessitore, Napoli 1974, pp. 17-20; P. Zambelli, Prime iniziative di un cappellano maggiore. Una lettera inedita di C. G., in Bollettino del Centro di studi vichiani, VII (1977), pp. 113-121; M. Caffiero, Scienza e politica a Roma in un carteggio di C. G. (1714-1732), in Arch. della Soc. romana di storia patria, CI (1978), pp. 311-344; R. Ajello, Cartesianesimo e cultura oltremontana al tempo dell'"Istoria civile", in Pietro Giannone e il suo tempo. Atti del Convegno… Foggia-Ischitella… 1976, a cura di R. Ajello, Napoli 1980, pp. 163-181; V. Ferrone, C. G.: un inquieto cattolico illuminato nella crisi della coscienza europea, in Arch. stor. per le prov. napoletane, XCVIII (1980), pp. 277-381; Id., Scienza natura religione. Mondo newtoniano e cultura italiana nel primo Settecento, Napoli 1982, pp. 317-454 e passim; S. Fini, Scipione Maffei e C. G., in Capitanata, 1984-1985, pp. 117-171.