MALESPINI, Celio
Avventuriero veneziano, vissuto dal 1531 oltre il 1609, che, dopo avere militato nelle Fiandre al servizio degli Spagnoli, condusse in diverse città d'Italia un'esistenza molto irregolare, ora falsario e truffatore, ora gentiluomo e organizzatore di spettacoli, quando confidente segreto di governi, quando letterato. Ridottosi verso il 1580 nella sua Venezia, pubblicò senza il consenso dell'autore alcuni canti della Gerusalemme liberata; indi tradusse dal francese e dallo spagnolo il Trésor di Brunetto Latini e il Jardín de flores curiosas di Antonio Torquemada. Opera di qualche pregio sono le sue Ducento novelle, composte a Mantova dal 1595 al 1605 per fuggire l'ozio, e pubblicate a Venezia nel 1609.
Esse racchiudono in una goffa cornice boccaccesca 202 novelle, che si fingono raccontate in una villa del Trevigiano da una numerosa brigata che aveva lasciato Venezia a causa della peste. Solo per metà esse sono originali, giacché l'altra metà è costituita da impudenti plagi non confessati: dalle Cent nouvelles nouvelles; dalla Diana di Giorgio di Montemayor; dal Mambriano del Cieco da Ferrara; e dal Doni. Queste e le altre novelle sono presentate in modo da non offendere le suscettibilità della Chiesa e del clero.
Nelle 90 narrazioni originali il M. in luogo dei soliti temi tradizionali espone episodî della propria vita, oppure fatti storici e orrendi delitti, come gli amori del granduca Francesco de' Medici per Bianca Capello. Egli, però, non ha l'arte di organizzare e di ridurre a sintesi efficace una materia così interessante, e tanto meno di esporre le cose in periotli italianamente ordinati e chiari; sicché domina nel suo periodare, come nelle sue avventure, un pittoresco affastellamento di cose.
Bibl.: G. E. Saltini, in Arch. stor. ital., s. 5ª, XIII (1894), p. 25 segg.; G. B. Marchesi, Per la storia della novella ital. nel sec. XVI, Roma 1897, p. 25 segg.; L. di Francia, Novellistica, II, Milano s. a., pp. 154-68.