CELIO (Καίλιος, Caelius)
Uno dei colli sui quali sorse Roma. La tradizione antica fa derivare il nome da Caelius Vibenna, condottiero etrusco che qui avrebbe preso stanza all'epoca dei Tarquinî, mentre originariamente il colle si sarebbe chiamato Querquetulanus.
Storia. - È una dorsale quasi interamente tufacea, lunga km. 2, larga 400-500 metri, che, distaccandosi dall'altipiano Esquilino ad O. di Porta Maggiore, s'avanza, tra la valle della Marrana e quella in cui corre la via Labicana, fino alla valle di S. Gregorio. Oltre il Laterano il colle si divide in parecchie propaggini, separate da insenature più o meno profonde; una di esse era denominata in antico Caeliolus, Caeliculus ed anche Caelius minor. Dalle pendici O e S. sgorgano parecchie sorgenti, le più famose delle quali erano in antico l'Aqua Mercurii e il Fons Camenarum. Ma alle acque di queste fonti s'aggiunsero assai presto quelle degli acquedotti: nel 312 a. C., il ramo principale dell'Appia, più tardi le diramazioni della Marcia (Rivus Herculaneus) e della Giulia, infine l'acquedotto di Nerone (arcus Neroniani o Caelimontani) derivato da quello della Claudia presso Porta Maggiore. Restaurato e prolungato dai Flavî, rifatto da Settimio Severo, esso sussiste tuttora in buona parte.
Le vie principali del Celio erano: la via che dal Colosseo andava al Laterano (via Maggiore del M. E.); quella che dalla Navicella, fiancheggiata dall'acquedotto Celimontano, andava a Porta Maggiore (via Caelimontana ?); il Vicus Capitis Africae, che tra le alture dei Ss. Giovanni e Paolo e dei Ss. Quattro saliva alla Navicella per discendere poi alla Porta Metronia; la strada, che lungo la valle di S. Sisto, dall'Appia saliva verso il Laterano; e, infine, quella (Clivus Scauri) che giungeva alla Navicella da S. Gregorio sottopassando l'arco di Dolabella e Silano (12 d. C.).
Il Celio aveva già appartenuto al Settimonzio; assai presto fu annesso alla città romulea; nella divisione Serviana è compreso nella regione I Suburana. Dovette essere circondato dal primitivo recinto murario della città: ma né di questo, né del recinto più tardo si è trovata traccia. Vi si aprivano due porte: la Caelimtontana e la Querquetulana, che forse sono da collocarsi rispettivamente presso l'ospedale Lateranense e la Chiesa della Navicella.
Nella Repubblica il Celio fu una regione di abitazioni; alcuni tempietti erano dedicati alla Dea Carna a Minerva Capta, a Diana, ma non v'era alcun edificio pubblico non religioso.
Augusto ne formò la 2ª regione urbana (Caelimontium). Distrutto. quasi completamente da un incendio nel 27 d. C., Tiberio si adoperò in tal modo per la ricostruzione, da meritare che in suo onore il colle fosse per qualche tempo chiamato Mons Augustus. Da allora sull'area di molte vecchie case s'elevarono palazzi e s'estesero parchi. Agrippina cominciò inoltre sull'altura dei Ss. Giovanni e Paolo un grandioso tempio dedicato alla memoria di Claudio.
L'incendio neroniano devastò nuovamente il versante verso l'Oppio; la creazione che ne seguì della Domus Aurea, stese su gran parte di questa zona dei parchi e spinse un'ala di fabbriche fin nei limiti dell'incominciato tempio di Claudio, le cui costruzioni vennero trasformate in ninfei. In seguito alla congiura dei Pimni, Nerone si impadronì anche della loro proprietà e di quelle dei Laterani; ma quasi a compensare la regione di quello che le aveva tolto, vi eresse nel 59 un grande mercato di commestibili (Macellum Magnum).
In seguito Vespasiano restituì a pubblica utilità gran parte di quelle aree, costruendovi edifizî per il servizio dell'Anfiteatro; ed in primo luogo riprese e completò il tempio di Claudio.
Nei secoli dal II al IV le proprietà patrizie s'abbellirono e s'accrebbero: qui abitavano gli Anici, gli Annî, i Simmachi, i Nicomachi, i Valerî; mentre dal Laterano a Porta Maggiore si formava quasi un'unica proprietà imperiale (v. laterano). Le orde dei barbari e soprattutto i Goti di Alarico danneggiarono assai la regione.
I monumenti romani. - La prima zona del Celio che s'incontra oltrepassando la strada che conduceva alla Porta Asinaria (presso l'attuale porta di S. Giovanni) è la zona che possiamo chiamare Lateranense, limitata tra la via che fiancheggia l'acquedotto celimontano e le mura Aureliane (v. laterano). Al di là dell'acquedotto, sulla pendice che guarda l'Esquilino si trovavano gli alloggiamenti degli equiti singolari; dove l'acquedotto sorpassava la cosiddetta via Maggiore, presso il supposto luogo della Porta Celimontana, sorgeva un fornice monumentale detto nel Medioevo Arcus Formae o Basilidis. Seguendo l'acquedotto e la via contigua, tra questo punto e la Navicella, si trovavano a sinistra: la casa dei Valerî, nel sito ov'è ora l'ospedale dell'Addolorata, la Chiesa di S. Stefano Rotondo, grandioso e singolare edifizio a pianta centrale, elevato forse sull'area d'un più antico edifizio (Macellum Magnum?) (v. appresso); gli alloggiamenti dei peregrini, i cui resti furono scoperti fondando l'ospedale delle Suore Inglesi; a destra: un gruppo di ricche dimore - tra le quali quella dei Simmachi - scoperte durante la costruzione dell'ospedale militare. Presso la Navicella era la sede del Collegium Dendrophorum Matris Deum M. I. et Attis, eretta dal mercante di perle M. Poblicio Ilaro nell'età degli Antonini. Anche la chiesa ed il convento dei Ss. Quattro Coronati sono fondati su antiche costruzioni, e se l'identificazione di questa altura col Celiolo non è sbagliata, qui doveva sorgere inoltre il veneratissimo sacello di Diana distrutto dal console L. Calpurnio Pisone nel 58 a. C.
Tra questo punto e l'altura dei Ss. Giovanni e Paolo s'estende una valletta, un giorno assai più profonda che oggi, la quaie all'epoca imperiale era detta, dalla via che la percorreva, Caput Africae. L'edifizio più importante era il Paedagogium, istituto di educazione dei paggi imperiali. Accanto ad esso debbono essere localizzati il Ludus Matutinus, il Ludus Gallicus, lo Spoliarium e il Samiarium, edifizî tutti indicati nella II regione e che per il loro carattere non potevano trovarsi lontano dall'Anfiteatro. Gli unici resti visibili in questa zona sono però quelli esistenti sotto la chiesa di S. Clemente, che appartengono a due edifizî distinti: una grande costruzione probabilmente di carattere pubblico, ed una casa contenente un mitreo (v. appresso). L'altura sovrastante, che tuttora, cinta per tre lati da alte costruzioni, si spinge dalla Navicella al Colosseo, era occupata dal tempio di Claudio, oggi interamente scomparso. La chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo è costruita sopra un gruppo di case fondate nel sec. II d. C. e successivamente modificate, i resti delle quali possono vedersi anche lungo la via adiacente (Clivus Scauri) ove si conserva una completa facciata a più ordini di finestre.
Nel vicino convento di S. Gregorio, che secondo la tradizione sarebbe stato fondato nel palazzo avito del pontefice, restano due ambienti del sec. II d. C. sotto l'oratorio di S. Andrea, e un criptoportico sotto la casetta del portiere del vicino Ospizio. Sul clivo di Scauro, oltre i resti della biblioteca di papa Agapito (v. appresso) sono quelli di un'altra costruzione: botteghe precedute da portico del sec. III d. C., circa all'altezza della piazza dei Ss. Giovanni e Paolo. La valletta che divide questa propaggine da quella di villa Celimontana è con certezza la Valle d'Egeria descritta da Giovenale (Satira III, 11 seg.). Nella villa Celimontana, il cui lato che guarda la valle di S. Sisto è tutto sostenuto da una costruzione del sec. II d. C. circa, pare s'elevasse un edificio assai ricco; tuttavia oggi non si può indicare di preciso che, presso il cancello verso la Navicella, il sito della Statio Cohortis V Vigilum.
Il Celio cristiano e medievale. - Alle origini cristiane del Caelimontium si deve porre il raduno formatosi in età domizianea entro un'abitazione privata sorta fra il Celiolo e l'Oppio: il nome del fondatore di questo titolo è Clemente. Costui è, con molta probabilità, il console Tito Flavio Clemente mandato a morte da Domiziano (anno 95 o 96). Ma il ricordo di questi si fuse presto con quello di papa Clemente (v.) che visse anche lui nell'età domizianea. A tempo degli Antonini la casa era in potere di liberti imperiali e vi fu impiantato un mitreo, ancor oggi conservato sotto la basilica di S. Clemente. Questa è ricordata sulla fine del sec. IV da S. Girolamo; nei primi anni del sec. V, essa accolse il concilio indetto da Zosimo (417) per formulare la condanna di Celestio. Nel sec. VI si aggiunsero la recinzione del presbiterio e il ciborio dell'altare. In varî periodi dell'alto Medioevo fu adornata di pitture murali, specie nel sec. IX. L'età di Leone IV (847-855) le diede il capolavoro della pittura medievale romana, cioè il quadro dell'Ascensione. Al tempo di Adriano II furono riportate dalla Crimea le reliquie di S. Clemente ad opera degli apostoli degli Slavi, Cirillo e Metodio. Anche Cirillo vi fu sepolto. Nel 1084 il sacco di Roberto Guiscardo diede un grave colpo alla basilica e agli edifici attorno. Ma l'aula vetusta, puntellata alla meglio con nuove riempiture di muri, resistette ancora. Su questi muri si fecero altre pitture votive, fra cui la serie con le storie di S. Clemente e di S. Alessio e con la nota scritta in volgare. Agl'inizî del sec. XII Pasquale II (1099-1118) ricostruì a più alto livello la basilica, sulla cui abside si distese il mosaico della Redenzione.
Un'altra casa cristiana di periodo molto antico è quella sulle balze del Celio verso il Circo Massimo. La tradizione, di cui possiamo seguire le tracce fin dagl'inizî del sec. V, la collega al nome di Giovanni e Paolo che sarebbero stati martiri della persecuzione di Giuliano l'Apostata. Alcuni critici moderni negano la tradizione, ma la questione è ancora molto oscura. Certo nel luogo erano tre case adiacenti, prima indipendenti, poi riunite e adorne di dipinti dei secoli II, III e IV, alcuni con soggetti cristiani (del sec. IV). Della fine del sec. IV è un sacello con rare figurazioni di martirio; in due personaggi si possono riconoscere il senatore Pammachio e sua moglie Paolina. Pammachio è colui che a più alto livello della casa eresse, sugl'inizî del sec. V, una vasta basilica che prese il nome di titulus Pammachii. L'altro appellativo: titulus Byzantis deve probabilmente riferirsi al conditor del titolo più antico. Col tempo i nomi dei fondatori si oscurano e vi si sostituisce quello dei santi Giovanni e Paolo. L'abside della chiesa venne nel sec. XII rifatto e adornato all'esterno dall'ariosa loggetta romanica.
Un altro titulus del Celio è quello di Emiliana. Crede il Duchesne che ad esso abbia seguito la basilica eretta in onore dei Ss. Quattro Martiri Coronati (spinose questioni vi sono per l'identificazione di questo gruppo; forse si tratta dei quattro militi venerati nel cemeterio della Labicana ad duas lauros). Gli ultimi scavi accertarono tracce d'una costruzione molto antica sulle cui mura s'imposta una parte del chiostro romanico ma la basilica fu ricostruita nel sec. IX da Leone IV, e, dopo la sua rovina, nel 1084, venne da Pasquale II ristretta all'area della sola navata principale. A fianco, nei primi decennî del sec. XIII, si aprì un bellissimo chiostro a colonnine binate. Una cappella triabsidata che prima si apriva sulla nave sinistra venne allora a fiancheggiare il chiostro. Con l'atrio comunica la cosiddetta cappella dei Marmorarî, dove si ammira una serie di ben conservate pitture del sec. XIII con scene della leggenda di Costantino. La fonte romanica del chiostro di recente ricostruita può considerarsi il più antico esempio del genere del Medioevo romano.
Accanto alle chiese il Celio vanta xenodochî assai antichi. Oltre quello lateranense (v.), uno se ne formò nella casa dei Valerî ricordato nella biografia di S. Melania e sopravvisse nell'alto Medioevo accanto al monastero di S. Erasmo, dove s'introdussero dei monaci orientali che vi eressero un oratorio a S. Abbaciro. Più tardi passò alle dipendenze dei benedettini sublacensi. Oggi non ne resta che qualche rudero all'ingresso di S. Stefano Rotondo e sotto l'ospedale dell'Addolorata.
Nel basso Medioevo, a tempo d'Innocenzo III, presso l'arco di Dolabella e Silano, Giovanni de Matha fondò un ospizio, di cui resta il portale cosmatesco all'ingresso di S. Tommaso in Formis. Vicino allo xenodochio dei Valerî s'innalzò nel sec. V una basilica a pianta circolare e duplice navata anulare: S. Stefano (Rotondo) costruita da papa Simplicio. Nel Rinascimento era aperta anche nella seconda navata anulare e vi si vedevano ancora dei resti di tarsie marmoree. In origine l'alto tamburo centrale doveva essere coperto da cupola. La navata più esterna fu interrotta da una cappellina, in cui resta ancora il mosaico del sec. VII con le immagini dei Santi Primo e Feliciano.
Presso S. Tommaso in Formis è la basilica di S. Maria in Domnica, che si mostra ancor oggi nella sua triplice navata e nella bell'abside, ornata di mosaico ai tempi di Pasquale I. Va notato che il nome in Domnica non deve spiegarsi con Dominicum (cioè domus ecclesiae), ma con praedia dominica, cioè terreni di proprietà imperiale o pontificia.
Sul Celio si trova anche la domus dei Petronî Anici, presso cui si aprì la biblioteca istituita dal pontefice Agapito I, i resti son forse quelli sul clivo di Scauro. Nel sec. VI S. Gregorio Magno vi fondò un cenobio benedettino, dedicato a S. Andrea apostolo. Dei tre oratorî di S. Andrea, S. Barbara e S. Silvia, il primo è forse il primitivo.
V. tavv. CXCIII-CXCVI; per il gruppo lateranense, v. Laterano.
Bibl.: Sul Celio romano v. R. Lanciani, The ruins and excavations of ancient Rome, Londra 1897, pp. 337 segg.; E. De Ruggiero, Dizionario epigrafico, s. v. Caelius; H. Jordan e C. Hülsen, Topographie der Stadt Rom I, iii, Berlino 1907, pp. 220 segg.; S. B. Platner, e T. Ashby, A topographical dictionary of ancient Rome, Oxford 1929, p. 88 e alle singole voci; G. Gatti, La casa celimontana dei Valerî, ecc., in Bull. Comm. Arch. 1902, p. 145 segg.; id., Del Caput Africae della seconda regione, in Annali Istit., 1882, p. 191 segg. - Sul Celio cristiano e medievale si indicano le opere meglio informate e più recenti: per S. Clemente: E. Inuyent, La basilica di S. Clemente e le costruzioni antiche circostanti, in Riv. d. Arch. crist., 1928, p. 231 segg.; C. Cecchelli, S. Clemente, Roma 1930; per i Ss. Giovanni e Paolo, la recente guida del padre Stanislao dell'Addolorata (Roma 1930); per i Ss. Quattro Coronati v. la monografia di A. Munoz relativa ai restauri della chiesa e del chiostro (Roma 1914); per S. Tommaso in Formis, v.: A. dell'Assunta e A. Romano, di S. Teresa, S. T. in F., Roma 1927; per i Ss. Andrea e Gregorio al Celio: V. Moschini, I SS. A. e G. al C., Roma s. a. Per lo xenodochio dei Valerî, il monastero di S. Erasmo, S. Stefano Rotondo, gli studî del De Rossi in St. e docum. di storia e di diritto, VII (1886), p. 235; e del Camobreco, in Arch. Soc. rom. st. p., XXVIII (1905), p. 265. Per S. Maria in Domnica non vi sono studî particolari. In genere, per le chiese del Celio v.: O. Marucchi, Basiliques et églises de R., 2ª ed., Roma 1909, p. 201 segg. e Ch. Hülsen, Le chiese di Roma, Firenze 1927, passim. - Per le questioni sulle origini dei titoli v. G. P. Kirsch, Die römischen Titelkirchen im Altertum, Paderborn 1918. Per l'arte v. P. Toesca, St. dell'arte ital., I, Torino 1927, passim e Wilpert, Mosaiken und Malerein etc., 2ª ed., Friburgo in B. 1917.