Staminali, cellule
Generalità, funzioni, definizione e proprietà
Le c. s. sono cellule altamente immature, capaci di autorinnovarsi e differenziarsi dando origine a uno o più tipi di cellule strutturalmente e funzionalmente mature. È necessario distinguere almeno due categorie principali di c. s., quelle embrionali e quelle somatiche. Le prime si trovano esclusivamente negli embrioni a stadi di sviluppo molto precoci - in particolare allo stadio di blastocisti - e si estinguono con il progredire dello sviluppo embrionale. Sono cellule essenzialmente totipotenti o multipotenti, ossia in grado di produrre tutti i tipi di cellule differenziate che si trovano nei vari tessuti di un organismo adulto. Tale caratteristica le distingue nettamente dalle c. s. somatiche, le quali possono avere origine sia fetale sia adulta e sono tessuto-specifiche, ossia risiedono in particolari distretti tissutali per dare origine ai vari tipi di cellule differenziate che costituiscono il tessuto in cui si trovano. Questo tipo di comportamento rende conto della funzione primaria delle staminali somatiche, nel complesso definibile come funzione di omeostasi e riparazione tissutale. Infatti, le cellule mature che compongono i vari tessuti corporei sono soggette a fenomeni fisiologici di invecchiamento e/o danneggiamento che ne alterano la funzione fino a determinarne la morte. Si rende quindi necessaria la loro sostituzione per mantenere intatta la funzionalità del tessuto di residenza. Come esempio emblematico di questo processo si pensi al continuo e vitale ricambio dei cheratinociti cutanei o dei globuli rossi del sangue. Le c. s. somatiche svolgono questo ruolo mediante la produzione continua e regolata di cellule mature nell'arco di tutta la vita. Una complessa serie di meccanismi di regolazione, molti dei quali non ancora chiariti, permette alle c. s. somatiche di generare elementi maturi del tipo e nel numero necessari al mantenimento dell'integrità strutturale e funzionale dei vari organi di residenza. Le c. s. - spesso definite anche cellule precursori - sono elementi cellulari da cui originano altre cellule più mature, e pertanto una delle loro caratteristiche primarie è quella di essere cellule altamente indifferenziate. Con il termine indifferenziate si indica l'assenza di caratteristiche morfologiche, antigeniche e funzionali che sono invece tipiche delle cellule mature o differenziate a cui le c. s. danno origine. La più importante caratteristica di un elemento staminale è la sua capacità di proliferare e nello stesso tempo di automantenersi o autorinnovarsi. Questa capacità di automantenimento si deve alle peculiari modalità di divisione, che sono regolate da almeno due tipi di meccanismi. Il primo, prefissato a livello genetico (deterministico), consiste nella capacità delle c. s. di dividersi asimmetricamente, così da dare origine, dopo ogni divisione, a una cellula identica alla cellula madre e a un'altra cellula più matura; in questo modo viene garantita la perpetuazione della componente staminale di un tessuto a prescindere dal numero di divisioni cellulari effettuate. Nei Vertebrati, in particolare nei Mammiferi, sembrano essere presenti anche altri meccanismi di automantenimento staminale, oltre alle divisioni di tipo asimmetrico. Uno di questi sembra coinvolgere non le singole cellule, ma l'intera popolazione di un dato organo o tessuto, all'interno della quale il numero di c. s. viene mantenuto costante attraverso un meccanismo di tipo stocastico, il quale fa sì che vi sia un rapporto di stretta uguaglianza numerica tra i due tipi di mitosi che le c. s. possono effettuare. Entrambi sono di tipo simmetrico e danno sempre origine a due cellule identiche tra loro. Nel primo tipo, detto simmetrico proliferativo, si producono due cellule identiche alla staminale madre; in questo caso, ognuna delle cellule figlie mantiene le caratteristiche di totipotenza della cellula madre. Nel secondo tipo, detto simmetrico differenziativo, si ottengono invece due cellule uguali ma più differenziate rispetto alla staminale iniziale e quindi non più staminali.
Plasticità. - Una delle caratteristiche della c. s. è la plasticità. Con questo termine si intende la capacità della c. s. di variare l'espressione delle proprie funzioni di proliferazione, automantenimento e differenziamento in relazione alle richieste del tessuto di residenza. Qualora, per es., un danno di varia natura dovesse determinare una distruzione significativa delle cellule mature del tessuto, le c. s. potrebbero intervenire aumentando la velocità di proliferazione (producendo più cellule) o variando il tipo di cellule mature prodotte per favorire quelle più carenti o più necessarie. Da quanto illustrato, emerge chiaramente come le c. s. permettano ai vari tessuti corporei di mantenere una struttura architettonica, citologica e biochimica tale da garantire il regolare svolgimento delle funzioni dei vari organi (Loeffler, Potten 1997).
Cellule staminali embrionali
Le c. s. embrionali, o ES (Embryonic Stem), derivano nei Mammiferi dalla massa cellulare interna della blastocisti prima che questa si impianti nella parete dell'utero. Le cellule ES sono in grado di differenziarsi in cellule dei tre foglietti embrionali - endoderma, mesoderma ed ectoderma, dai quali, nel corso dello sviluppo embrionale avranno origine tutti i tessuti dell'organismo - e anche di contribuire allo sviluppo delle cellule germinali (oociti e spermatozoi). Le cellule ES sono inoltre caratterizzate da una illimitata capacità proliferativa (automantenimento a lungo termine), da stabilità cromosomica (cariotipo diploide) e da una elevata capacità clonogenica: una singola cellula può infatti originare una colonia di cellule geneticamente identiche (Smith 2001).
Grazie ai progressi delle biotecnologie è possibile isolare cellule ES da blastocisti e farle crescere in vitro con particolari metodiche che ne mantengono inalterate le proprietà di plasticità e totipotenza per alcuni anni (Evans, Kaufman 1981). La capacità proliferativa rappresenta una caratteristica di stabilità funzionale intrinseca delle cellule ES. La scoperta che le cellule ES murine sono in grado di proliferare indefinitamente e dare origine a tipi cellulari diversi ha suscitato enorme interesse e ha stimolato le ricerche per isolare cellule ES umane con lo scopo di utilizzarle a fini terapeutici. Nel caso delle cellule ES umane, la loro provenienza ha sollevato rilevanti problemi etici e religiosi e ha avviato un dibattito ancora aperto e in attesa di una soluzione definitiva. All'uso delle cellule ES per finalità terapeutiche si contrappone la proposta di utilizzare c. s. somatiche.
Cellule staminali ematopoietiche
Le c. s. ematopoietiche (HSC, Hematopoietic Stem Cells) si trovano prevalentemente negli organi ematopoietici e, in particolare, nel midollo osseo. Sono capaci di autorinnovarsi e di differenziarsi in 8-10 tipi di cellule mature del sangue e di essere mobilitate al di fuori del midollo osseo, trasferendosi nel circolo sanguigno. Nel sistema ematopoietico, le c. s. - che nel topo rappresentano circa lo 0,05% delle cellule di midollo - non costituiscono una popolazione omogenea. Infatti esse possono essere divise in tre popolazioni di cellule progenitrici aventi decrescente capacità di autorinnovamento: autorinnovanti a lungo termine (LT-HSC, Long Term-Hematopoietic Stem Cells), a breve termine (ST-HSC, Short Term-Hematopoietic Stem Cells) e progenitori multipotenti senza capacità di autorinnovamento (NR-MP, Non self-Renewing Multipotent Progenitors). Queste popolazioni formano una linea genealogica cellulare continua, nella quale le LT-HSC danno luogo alle ST-HSC e queste generano le NR-MP. Muovendosi lungo questa direzione, le HSC perdono progressivamente la loro capacità autorigenerativa divenendo però mitoticamente più attive. Le cellule NR-MP danno luogo a due stipiti cellulari principali: quello linfoide e quello mieloide. I progenitori della linea mieloide daranno inoltre origine ai precursori dei megacariociti e degli eritrociti, che produrranno, rispettivamente, le piastrine, che vivono mediamente 5-9 giorni, e gli eritrociti, con vita media di 120 giorni (Kerr 1999). L'autorinnovamento delle HSC è essenziale nel sistema ematopoietico e, nei fatti, risulta critico per la sopravvivenza dell' organismo. Le HSC possono tanto autorinnovarsi, mantenendo quindi le loro proprietà di c. s., quanto, alternativamente, dare luogo a cellule sempre più differenziate verso le diverse serie ematopoietiche. Accanto a meccanismi di natura stocastica, sembrano coinvolti anche fattori di ordine ambientale, che determinano una selezione del tipo di cellule da produrre in base alle necessità dell'organismo in un dato momento. Nel topo l'ematopoiesi inizia all'ottavo giorno di vita embrionale (Weissman, Anderson, Gage 2001) nelle isole sanguigne del sacco vitellino, che già è connesso al fegato del feto tramite la vena ombelicale. Il sacco vitellino contribuisce all'ematopoiesi durante lo sviluppo e, grazie alla migrazione delle HSC nel midollo osseo del feto, anche a quella della vita postuterina. Il sito primario di localizzazione delle HSC è il midollo osseo e, infatti, per oltre 40 anni le cellule HSC da utilizzare nei trapianti sono state prelevate dal midollo dell'osso iliaco. Va comunque osservato come sia difficile attribuire alle HSC un'unica nicchia di residenza. Esse infatti differiscono dalle altre staminali somatiche in quanto non aderiscono strettamente l'una all'altra e migrano temporaneamente utilizzando il circolo sanguigno per poi tornare alla loro nicchia di origine. Per il trapianto clinico viene preferita la raccolta di HSC dal sangue periferico circolante, in quanto è noto che un piccolo numero di HSC circola liberamente nel sangue e questo numero può essere incrementato da un'iniezione di citochine (come il fattore stimolante le colonie di granulociti) alcuni giorni prima della loro raccolta. Anche dopo questo trattamento le HSC presenti in circolo sono comunque molto diluite e pertanto occorre filtrarle e arricchirle usando dei marcatori cellulari. Questo metodo permette di aumentarne la resa dal 5 al 20%, portandola a un valore circa doppio rispetto a quello delle HSC ottenibili dal midollo osseo; si ottiene così una più veloce copertura immunoprotettiva in pazienti immunodepressi da trattamenti chemioterapici (Negrin, Atkinson, Leemhuis et al. 2000). Il midollo osseo non è una struttura citologicamente omogenea: esso infatti contiene anche le cellule stromali, le quali si differenziano e sono i progenitori di altri tipi cellulari, quali le cellule cartilaginee, ossee, adipose. L'interno del tessuto stromale è ricco di vasi sanguigni dotati di una parete molto sottile in cui si riversano le neoprodotte cellule del sangue. Un'altra importante fonte di HSC è il sangue del cordone ombelicale e della placenta. In particolari condizioni fisiologiche, come, per es., durante stimolazione antigenica, anche la milza contiene HSC, seppure in misura limitata; nell'uomo, durante il primo trimestre di vita fetale, la milza è mielopoietica, ma perde tale proprietà con l'inizio della funzione ematopoietica del midollo osseo. Data la complessa disposizione delle cellule del midollo osseo, l'identificazione delle HSC risulta particolarmente difficoltosa, tranne che nel caso degli immediati precursori delle cellule sanguigne mature. La maggior parte dei protocolli d'arricchimento per le HSC si basa sulla citometria a flusso (FACS, Fluorescent-Activated Cell Sorting), la quale permette di separare le cellule sfruttando la presenza di marcatori cellulari di superficie presenti sulla membrana cellulare ed espressi prevalentemente o esclusivamente in un particolare tipo di cellula. Numerosi marcatori sono comunemente usati per arricchire le HSC nel topo; nell'uomo vengono comunemente usati CD34, Thy-1, CD38 e c-kit, oppure KDR (recettore 2 per il fattore di crescita per le cellule endoteliali vascolari). L'antigene CD34, originariamente scoperto nel corso di uno studio volto a individuare anticorpi capaci di riconoscere sottopopolazioni di cellule ematopoietiche, è stato adottato come marcatore universale per le HSC. Le HSC, in vivo, sono esposte a numerosi fattori di crescita, sia solubili sia legati alla matrice extracellulare, che ne regolano l'attività e la cui identificazione potrà contribuire a stabilire le condizioni sperimentali ottimali per la manipolazione di tali cellule a fini sperimentali e terapeutici, anche ex vivo. Il differenziamento da HSC a cellule mature implica l'attivazione di alcuni geni e la disattivazione di altri. Numerosi studi hanno però dimostrato che parecchie cellule pluripotenti esprimono, anche se a bassi livelli, geni in precedenza ritenuti peculiari di una specifica linea cellulare differenziata, suggerendo che le differenze fra vari tipi di cellule possano in realtà essere legate non tanto all'espressione selettiva di diverse molecole, quanto alla loro regolazione a livello quantitativo. Le cellule HSC sono state tra le prime staminali a essere usate con successo in ambito terapeutico per il trattamento di pazienti leucemici o affetti da linfomi. In generale, questi trattamenti prevedono che le cellule neoplastiche vengano distrutte tramite irradiazione del paziente o chemioterapia, ma comportano anche la compromissione dell'apparato ematopoietico dell'ospite e la perdita delle cellule HSC, che vengono quindi rimpiazzate con cellule ematopoietiche prelevate da un donatore sano e immunocompatibile. Grazie alla donazione di HSC vengono trattati pazienti affetti da leucemia linfoblastica, leucemia mieloblastica acuta, leucemia mieloide cronica, malattia di Hodgkin, mieloma multiplo. Si può adottare il trapianto allogenico di midollo osseo anche per il trattamento di malattie ereditarie del sangue, come l'anemia aplastica, la β-talassemia, la sindrome di Blakfan-Diamonde, la leucodistrofia globale, l'anemia falciforme, le immunodeficienze combinate, le sindromi linfoproliferative legate al cromosoma X e la sindrome di Wiskott-Aldrich. Inoltre, anche difetti enzimatici ereditari, come la sindrome di Hunter, quella di Hurler, l'osteopetrosi e la sindrome di Lesch-Nyan, possono essere trattati con trapianto di midollo osseo.
Cellule staminali stromali del midollo osseo
Il midollo osseo rappresenta una struttura unica, in quanto in esso coesistono e cooperano strettamente due diversi sistemi tissutali, quello ematopoietico e quello stromale. Inizialmente le cellule stromali sono state studiate per il supporto ambientale che esse forniscono alle c. s. ematopoietiche, ma ben presto si è compreso che anche alcune cellule dello stroma fungono da progenitori delle cellule dell'apparato scheletrico. Le cellule stromali del midollo osseo (BMSC, Bone Marrow Stromal Cells) sono note sin dalla fine degli anni Sessanta del 20° secolo. In appropriate condizioni sperimentali, quali, per es., il trapianto in animali ospiti, le cellule stromali sono in grado di rigenerare un ampio spettro di tessuti connettivi differenziati, come l'osso, lo stroma che contiene le cellule ematopoietiche, il tessuto adiposo e, occasionalmente, anche la cartilagine. Numerosi sforzi sono stati compiuti nella ricerca di metodologie per l'isolamento di cellule stromali staminali con la più alta capacità di replicazione e di differenziamento. Molti laboratori hanno sviluppato anticorpi monoclonali allo scopo di individuare uno o più marcatori per selezionare le BMSC tramite FACS.
Cellule staminali epiteliali
La cute è l'organo di maggior estensione nel corpo umano, di cui costituisce quasi un sesto del peso totale. I cheratinociti costituiscono il tipo cellulare predominante dell'epidermide e sono espressione di un processo dinamico che trasforma le cellule indifferenziate dello strato basale (c. s. cutanee) negli elementi terminali altamente differenziati (cellule cornee). Dalla stratificazione dei cheratinociti ha origine l'epidermide (tessuto epiteliale pluristratificato) nella quale è possibile distinguere lo strato basale (germinativo), lo strato spinoso, lo strato granuloso, lo strato lucido (presente nelle regioni palmari e plantari) e lo strato corneo. L'epidermide umana si rinnova completamente ogni due settimane grazie alle c. s. somatiche epiteliali e alla concomitante attività mitotica dei progenitori epiteliali presenti nello strato basale. Le c. s. epiteliali presenti nello strato basale sono quiescenti e proliferano lentamente. Esse danno origine a una popolazione di progenitori epiteliali di transizione i quali hanno una elevata velocità proliferativa - ma per un limitato numero di cicli cellulari (circa tre-cinque) - che si esaurisce quando cominciano a differenziarsi (Watt 2001). L'esistenza di una popolazione di progenitori di transizione garantisce la capacità di generare un elevato numero di cellule e limita la probabilità che nelle c. s. si possano accumulare mutazioni genetiche durante il rapido ricambio cellulare dell'epidermide. Lo strato basale o germinativo dell'epidermide costituisce la nicchia ristretta in cui sono localizzate le c. s. epiteliali. Il numero di c. s. presenti all'interno della nicchia basale, così come quello dei progenitori di transizione, è finemente regolato da meccanismi che sembrano coinvolgere proteine chiave, come alcuni fattori di trascrizione. Il fatto che queste stesse proteine siano mutate o mancanti in molti casi di tumori epiteliali suggerisce un coinvolgimento delle c. s. nei processi cancerogenetici. Sicuramente altri fattori presenti nel compartimento staminale possono giocare un ruolo fondamentale nella regolazione dell'attività delle c. s. epiteliali. La caratterizzazione delle c. s. epiteliali e la messa a punto di protocolli che consentono di coltivarle in vitro hanno aperto nuove frontiere nel campo delle applicazioni terapeutiche. Uno dei risultati più concreti di questo approccio è rappresentato dalla coltivazione in vitro di lamine di cheratinociti umani, usati per il trattamento di lesioni cutanee come ustioni e ulcere. Il progresso tecnologico ha consentito di creare una pelle artificiale completa, ovvero un sostituto cutaneo formato da uno strato di derma (fibroblasti) che sostiene e interagisce con uno strato di epidermide (cheratinociti). Lo scopo ultimo delle colture di cellule epidermiche umane è il miglioramento dei trapianti autologhi di pelle da utilizzare nella cura di diverse patologie umane, quali ustioni, vitiligine, psoriasi e così via (Bianco, Robey 2001).Un discorso a parte va fatto per le c. s. del follicolo pilifero. Dati sperimentali ottenuti dagli studi effettuati sull'epidermide murina e umana evidenziano la presenza di una nicchia di c. s. nel follicolo pilifero (Fuchs, Merrill, Jamora et al. 2001). Questo distretto tissutale contiene cellule capaci di dividersi e dare origine a progenitori cellulari che migrano verso la matrice e dai quali deriveranno i molteplici tipi cellulari presenti nel pelo. Una proprietà unica di queste c. s. epiteliali è la loro plasticità; dati sperimentali evidenziano infatti che sono proprio le c. s. del follicolo pilifero a rigenerare i tessuti epiteliali in caso di ferite profonde o ustioni estese.
Cellule staminali cerebrali
Uno dei 'dogmi' della biologia ha sempre sostenuto che nel cervello adulto non vi è ricambio di cellule mature; pertanto, la scoperta della presenza di c. s. cerebrali è stata fonte di notevole sorpresa. Per es., alcune zone del cervello dei Mammiferi - prevalentemente nei Roditori, ma anche nei Primati inferiori e nell'uomo - sono sede di un continuo ricambio cellulare: nella corteccia del bulbo olfattivo, ma anche nelle strutture dell'ippocampo e forse in altre aree corticali, possono infatti essere inserite nuove cellule mature, in particolare neuroni, nell'arco di tutta la vita. I nuovi neuroni vengono generati da c. s. tripotenti (in grado cioè di dare origine a neuroni, astrociti e oligodendrociti) che nel caso dell'ippocampo risiederebbero all'interno dell'ippocampo stesso, mentre nel caso del bulbo olfattivo si troverebbero nello strato periventricolare che circonda i ventricoli laterali (meglio noti come primo e secondo ventricolo telencefalico). Una delle caratteristiche principali e più inattese delle c. s. cerebrali risiede nella loro incredibile capacità proliferativa e di amplificazione in appropriate condizioni ex vivo. Questo fenomeno è stato osservato nelle c. s. di molte specie, uomo compreso, sebbene in quest'ultimo caso gli esempi disponibili siano limitati a cellule cerebrali di origine fetale. La possibilità di generare quantitativi teoricamente illimitati di c. s. cerebrali in grado di produrre cellule cerebrali mature ha aperto nuove potenzialità per la cura delle malattie a carattere degenerativo del cervello.
Cellule staminali muscolari
Il muscolo scheletrico contiene un tipo di cellule, dette cellule satelliti, che svolgono il ruolo di precursori miogenici e possiedono caratteristiche staminali. Le cellule satelliti sono ritenute una fonte stabile e autorinnovante di cellule muscolari adulte e svolgono il loro ruolo funzionale durante la crescita e/o la riparazione tissutale. In contrasto con molti altri tipi di c. s. somatiche, le cellule satelliti sono unipotenti, in quanto normalmente danno luogo a un solo tipo di cellula differenziata, il miocita del muscolo scheletrico. Esperimenti di generazione e degenerazione delle fibre hanno consentito di evidenziare la capacità di espansione di tali cellule prima del loro differenziamento finale in cellula muscolare. Morfologicamente esse possono essere riconosciute per la posizione che occupano nei solchi tra la lamina basale e il sarcolemma delle fibre muscolari, mentre da un punto di vista dell'espressione genica sono caratterizzate dalla presenza di alcune proteine di adesione. Inoltre, le cellule satelliti non esprimono fattori di regolazione miogenica e questo le distingue senza possibilità di errore dalle cellule muscolari. Le cellule satelliti si sviluppano relativamente tardi durante l'ontogenesi; nel topo, infatti, appaiono a livello degli arti al giorno 17,5 di vita embrionale e continuano a rinnovarsi per tutta la vita con una velocità che non subisce variazioni dalla vita adulta - 2 mesi - alla vecchiaia - 2 anni (Seale, Asakura, Rudnicki 2001).
Considerazioni e prospettive
L'impiego terapeutico delle ricerche effettuate su c. s. rappresenta in medicina un vero salto di qualità, una sorta di rivoluzione concettuale già in atto dalla fine del 20° secolo. Numerose patologie degenerative possono essere trattate con varie metodiche concernenti l'impiego di cellule staminali. Esse sono un'alternativa ai trapianti d'organo grazie alla possibilità di ottenere una loro espansione in vitro, così da superare il problema della scarsità degli organi disponibili e la necessità di ricorrere a una terapia immunosoppressiva per lungo tempo. È noto che l'istocompatibilità tissutale rappresenta un fattore critico per l'attecchimento dei trapianti e lo stesso trattamento immunosoppressivo aumenta nel malato il rischio di infezioni ed è talora di difficile gestione clinica. Poiché la causa più importante del rigetto riguarda la distribuzione sulle cellule degli antigeni di istocompatibilità, è necessario definire quale sia la caratteristica della loro distribuzione anche nelle c. s. e in quelle che ne derivano, per controllare e possibilmente evitare eventuali fenomeni di rigetto. Pertanto sono nati progetti per la formazione di banche di c. s., così come sono disponibili registri di organi e di midollo osseo che permettono di conoscere in tempo reale la compatibilità tra il soggetto donatore e quello ricevente. L'area di impiego è assai vasta, partendo dal fatto che l'applicazione delle c. s. consiste proprio nel sostituire cellule e tessuti che sono stati irrimediabilmente danneggiati in diverse patologie: malattie del sistema nervoso a carattere degenerativo, lesioni del midollo spinale (traumatismi che generano, per es., paraplegia), patologia vascolare (infarto del miocardio, arteriosclerosi), alterazioni dell'apparato uditivo o visivo sia su base traumatica sia genetica, applicazione in soggetti ustionati, patologie della cute su base genetica, alterazioni metaboliche (per es., nel caso di malattie legate ai lisosomi). Un altro aspetto interessante e di grande prospettiva riguarda le c. s. totipotenti che possono acquisire, con opportune metodiche di ingegneria genetica, geni introdotti per sostituire quelli non funzionanti o che hanno subito mutazioni. Tali caratteristiche e soprattutto la capacità di persistere nel corso del tempo rendono le c. s. uno strumento potenzialmente molto efficace per eseguire una terapia genica di successo. Nell'ambito della 'percezione' mediatica sull'uso delle c. s. va tuttavia segnalato come un certo trionfalismo si è imposto nel grande pubblico, con il rischio di confondere tra i dati acquisiti in studi biologici e una potenziale realistica ricaduta terapeutica. Se in ambito ematologico l'uso di c. s. è realtà consolidata (per es., guarigione pari al 100% nell'aplasia midollare), la sperimentazione in ambito cardiologico è abbastanza limitata e i successi in ortopedia, anche se più incoraggianti, non hanno ancora carattere definitivo. D'altro canto, il problema delle c. s. riguarda le complesse procedure che si trovano sia nel contesto della biologia molecolare e della genetica, sia nell'impiego farmacologico di varie sostanze o fattori che possono modulare diverse funzioni. Esistono, per es., cellule che, prelevate da un tessuto, possono essere ricondotte a una sorta di 'ristaminalizzazione' e che pertanto potrebbero assumere un ulteriore ruolo in terapia. In relazione ai problemi etici e legali, il contesto è di particolare complessità e si inserisce nel quadro del rapporto tra libertà e limiti della ricerca, disponibilità economica, ridefinizione di alcuni aspetti dell'assistenza sanitaria. Ne è pertanto derivato un dibattito costante e impegnativo che vede coinvolti sia i ricercatori sia le autorità pubbliche e religiose. Una modalità operativa di notevole consistenza concettuale è la creazione di c. s. che esprimono compatibilità genetica grazie al trasferimento nucleare da cellula somatica. In queste cellule si osserva un potenziale di differenziamento analogo a quanto osservato per c. s. embrionali. Un ulteriore contributo emerso dalle conoscenze sul ruolo delle c. s. riguarda la cancerogenesi. Esistono infatti notevoli somiglianze fra cellule neoplastiche e c. s. ed è noto che i tumori maligni hanno la capacità di moltiplicarsi illimitatamente e formare metastasi. La c. s. possiede capacità di autorinnovarsi e assume caratteristiche di proliferazione, come si è visto, del tutto peculiari. Studi condotti sulle caratteristiche della crescita tumorale hanno evidenziato l'esistenza di c. s. cancerogene. In particolare, di grande rilievo è l'indagine effettuata sui sistemi di regolazione della c. s. che abbia acquisito mutazioni maligne. Il ruolo giocato da 'nicchie' ambientali sembra critico nel consentire o meno l'espansione di una c. s. e nel regolare la sua capacità di crescita numerica. È probabile che segnali intercorrenti tra 'nicchia' cellulare e raggruppamento di c. s. siano i meccanismi che modulano la finale evoluzione di tipo tumorale (Clarke, Fuller 2006). Da queste indagini è emerso un nuovo modello di approccio terapeutico alle neoplasie, con lo scopo di mirare alla distruzione delle c. s. cancerogene, così da eliminare la fonte altrimenti non controllata delle recidive tumorali stesse.
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