Cellule staminali
Uno degli obiettivi principali della medicina è sempre stato quello di sconfiggere gli effetti debilitanti dovuti alla perdita di organi o di tessuti. Per molti secoli l'unica soluzione è stata quella di rimuovere il tessuto malato. La maggiore comprensione del funzionamento degli organi ha portato a capire che, in alcune circostanze, un sostituto sintetico poteva essere una valida terapia alternativa. Altre scoperte, come gli antisettici, gli antibiotici e un'igiene migliore, hanno contribuito a un impressionante incremento nella longevità umana: ciò ha aumentato la necessità di sostituire i tessuti. La qualità di vita di milioni di pazienti è migliorata enormemente grazie allo sviluppo e all'applicazione clinica di impianti come protesi articolari, stent cardiovascolari e valvole cardiache artificiali. Il costo socioeconomico della terapia per il degrado dei tessuti e il malfunzionamento degli organi in una popolazione che sta invecchiando sempre di più (soprattutto nei Paesi più sviluppati) è enorme e finora l'ostacolo principale per l'utilizzo degli impianti artificiali, ossia la loro durata limitata, non è ancora stato risolto.
Oggi la scienza biomedica deve sostenere la sfida che essa stessa ha creato, ovvero affrontare la progressiva longevità dei pazienti. L'allungamento dell'aspettativa di vita ha due effetti sull'uso degli impianti: molti più pazienti ne necessitano e le stesse terapie devono durare più a lungo. Nasce quindi la necessità di discostarsi dai correnti metodi di sostituzione di tessuti in modo da avvicinarsi ad approcci più biologici, tra cui la rigenerazione dei tessuti. Una delle principali proprietà del tessuto vivente in un organismo multicellulare è la sua capacità di riadattarsi e rimodellarsi in risposta a stimoli fisiologici e ambientali. Tra i problemi degli impianti sintetici vi è la loro incapacità a percepire le condizioni locali e a rispondere adeguatamente a esse; il mancato adattamento al tessuto locale può essere una delle cause principali del fallimento di un impianto. Il passo successivo nello sviluppo di impianti clinici sarà dunque quello di utilizzare materiali più biologici e bioattivi, che forniscano i giusti segnali biologici e che possano sollecitare una risposta rigenerativa nel luogo danneggiato in vivo, o essere utilizzati per allevare tessuti in vitro che saranno successivamente impiantati. Per ottenere questi risultati, i materiali devono avere proprietà sofisticate, che sopravanzino i requisiti elementari di aumentare l'adesione cellulare e limitare le reazioni infiammatorie. La combinazione di questi materiali con le cellule permetterà di produrre impianti di tessuto vivente dalle piene funzioni biologiche, in grado di rispondere alle variazioni ambientali e con una durata media molto più lunga di quella degli attuali impianti.
Le esigenze cliniche del XXI sec. saranno sempre più connesse con le malattie degenerative, affezioni che colpiscono una percentuale sempre maggiore di individui e implicano crescenti costi socioeconomici: diabete, morbo di Parkinson e morbo di Alzheimer, condizioni a carico del cuore, dei vasi e delle articolazioni. Per queste patologie, gli impianti e le terapie disponibili registrano un successo limitato. Le cellule staminali si stanno rivelando molto importanti in questo settore della medicina, grazie al loro potenziale rigenerativo e all'esistenza di alcuni tipi di cellule staminali in grado di differenziarsi in qualsiasi tessuto dell'organismo.
L'identificazione e l'isolamento delle cellule staminali embrionali nei topi è stato un enorme passo avanti per la biologia. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, Leroy Stevens e Barry Pierce hanno dimostrato che i teratocarcinomi di questi animali contengono cellule in grado di dare origine a diversi tipi di linee cellulari. L'isolamento e la coltura di cellule embrionali di carcinoma hanno fornito ai biologi dello sviluppo un modello per lo studio in vitro dei processi di differenziamento. L'isolamento di cellule staminali embrionali da blastocisti di Primati e successivamente di esseri umani è stato il traguardo grazie al quale esse sono oggi all'avanguardia nella ricerca in medicina rigenerativa. Con la loro apparente capacità di proliferare indefinitamente in vitro e di differenziarsi in qualsiasi tipo di cellula somatica, le cellule staminali embrionali umane sono un'importante fonte potenziale di cellule. Gli studi che mostrano il differenziamento di cellule staminali embrionali umane in cellule di tipo neurale (neuroni, oligodendrociti e glia), cardiomiociti, cellule β, osteoblasti, epatociti e progenitori emopoietici dimostrano l'enorme potenziale di questo approccio.
La possibilità di utilizzare il trasferimento nucleare dalle cellule somatiche (SCNT) per creare cellule staminali embrionali autologhe a scopi terapeutici è stata molto discussa sin dalla creazione del primo animale clonato e rimane un argomento controverso. Il numero limitato di linee provenienti da cellule staminali embrionali umane al momento disponibili e le restrizioni vigenti in alcuni Paesi in merito alla ricerca su di esse precludono la partecipazione della comunità scientifica in toto. Le difficoltà di fornire linee di cellule staminali embrionali umane di livello clinico sono state evidenziate recentemente, quando è stato mostrato che la loro coltura su uno strato di cellule di topo (il metodo più diffuso per crescere le linee cellulari) ha portato all'acquisizione di un residuo di acido sialico non umano, in grado di suscitare reazioni immunitarie. Per affrontare questo argomento, che naturalmente comporta aspetti di sicurezza e regolatori, si dovrebbero probabilmente isolare nuove linee che non siano mai state esposte a cellule o a sieri di altre specie.
Anche se molte popolazioni di cellule staminali sono presenti nel feto durante la gestazione e il loro ruolo nel normale sviluppo è stato ampiamente studiato, la loro possibile utilità clinica è stata poco esplorata, a causa delle questioni etiche legate all'uso di cellule fetali e dei rischi per la gravidanza associati alle procedure intrauterine. La scoperta di cellule staminali mesenchimali fetali nel circolo sanguigno sembra aprire la strada all'utilizzo di una fonte di cellule alternativa e meno controversa, permettendo forse anche di raccogliere cellule autologhe per trattamenti in utero.
La popolazione di cellule staminali mesenchimali estratta dal sangue fetale include cellule aderenti che si dividono in coltura per 20÷40 passaggi; esse possono differenziarsi in linee mesenchimali che includono osso e cartilagine ma che hanno, inoltre, la capacità di formare oligodendrociti e cellule emopoietiche. Queste cellule, che si trovano nella circolazione soltanto durante il primo trimestre, sono simili alle popolazioni emopoietiche del fegato e del midollo osseo del feto; se trapiantate in una pecora modello opportunamente modificata con geni umani, si innestano in molti organi e subiscono un differenziamento di tessuto sito-specifico. Queste caratteristiche potrebbero essere sfruttate per terapie geniche autologhe intrauterine. Studi recenti sull'autorinnovamento e sul differenziamento di cellule staminali mesenchimali umane dopo la trasduzione con vettori oncoretrovirali e lentivirali suggeriscono che queste cellule potrebbero rivelarsi dei bersagli adatti per la manipolazione genetica ex vivo con questi vettori, senza conseguenze sulle loro proprietà di cellule staminali.
Nell'adulto la capacità di alcuni tessuti (per es., la pelle, il sistema emopoietico, le ossa e il fegato) di ripararsi o rinnovarsi indica la presenza di cellule staminali o progenitrici. L'uso di cellule autologhe o allogeniche prese da pazienti adulti potrebbe rivelarsi un cammino meno arduo verso la medicina rigenerativa. Il midollo osseo umano già si trapianta, con effetti terapeutici comprovati, in pazienti con disturbi ematologici o che stanno affrontando chemioterapia o radioterapia. In passato si assumeva che, se danneggiati, molti tessuti non fossero in grado di autorigenerarsi, in quanto non dotati di cellule staminali endogene. Recenti scoperte hanno tuttavia dimostrato che molti tessuti adulti conservano cellule con capacità di riparazione rigenerativa.
Il potenziale delle cellule dello stroma del midollo osseo di sviluppare molte linee non emopoietiche è ben documentato. Nel 1974 furono identificate quelle che sono oggi chiamate 'cellule staminali mesenchimali' o 'cellule stromali del midollo osseo'. Solo alla fine del secolo scorso è stato dimostrato che esse possono essere purificate e propagate clonalmente in vitro per sviluppare osteoblasti, condrociti e adipociti, a seconda dei fattori di crescita utilizzati per la loro stimolazione. Esistono ovvie opportunità per utilizzare cellule staminali mesenchimali autologhe nelle terapie di sostituzione cellulare, evitando così il rigetto, e molte ricerche stanno ora cercando di trovare modi di ottenere la massima resa di queste cellule da piccole quantità di midollo osseo e di facilitarne la proliferazione e il differenziamento in vitro.
Un'altra area di grande interesse per la ricerca è la possibilità che le cellule staminali del midollo osseo entrino in circolazione e migrino ad altri siti nel corpo dove possano differenziarsi per riparare danni al tessuto. Gli esperimenti sugli animali hanno riscontrato innesti di cellule del donatore in molti tessuti. Anche i dati degli studi sui trapianti sembrano suggerire che questo meccanismo operi anche negli esseri umani e ciò ha portato a trial clinici su piccola scala per valutarne il grado di sicurezza nell'applicare midollo osseo autologo alla terapia degli infarti miocardici. In futuro le terapie potrebbero utilizzare citochine per aumentare la mobilizzazione delle cellule fuori dalla zona del midollo e nella circolazione, un approccio che ha prodotto buoni risultati nei modelli murini. Lo stesso fattore che stimola colonie di granulociti si è dimostrato promettente, ma pare influenzi solamente la mobilizzazione delle cellule emopoietiche: tuttavia, potrebbero esserci effetti indiretti sulle cellule staminali mesenchimali attraverso il fattore 1 derivante dallo stroma. Inoltre, anche l'uso di citochine è stato associato a inattesi effetti collaterali nei trial.
La perdita o la separazione di fibre nervose e i danni degenerativi al sistema nervoso centrale (SNC) hanno sempre rappresentato una sfida apparentemente insormontabile per la medicina, poiché le cellule nervose non sembravano possedere la capacità di dividersi dopo la nascita e nessuna cellula staminale nervosa era mai stata identificata. Gli studi sullo sviluppo dei nervi hanno però portato all'isolamento nel sistema nervoso centrale di Mammiferi adulti di cellule che mostrano molte delle proprietà delle cellule staminali. Due zone specifiche del cervello hanno fornito quelle che sono state riconosciute come cellule staminali neurali: la zona subventricolare e il giro dentato dell'ippocampo. Queste parti del cervello adulto possiedono le popolazioni dalla divisione più veloce. Le cellule isolate da tali regioni possono essere cresciute in vitro per poi differenziarsi per formare neuroni, oligodendrociti e astrociti.
La pluripotenza di queste cellule, insieme alla loro facile manipolazione e capacità di attecchire una volta reintrodotte nel cervello, le rendono una attraente alternativa per la riparazione del SNC. Tuttavia, i meccanismi compensatori delle cellule staminali neurali sono insufficienti per trattare danni neurologici gravi. È dunque necessario sviluppare strategie che riescano ad aumentare questi processi rigenerativi intrinseci, possibilmente fornendo cellule staminali neurali esogene o segnali molecolari che possano portare alla formazione di tessuto e all'integrazione stabile nel SNC. Forse una delle intuizioni più preziose che possono essere dedotte dal lavoro sul trapianto di cellule staminali neurali è che l'ambiente del tessuto ospite non è l'unico a influenzare l'eventuale risultato. Le cellule trapiantate possono influenzare anche la sopravvivenza e la funzione delle cellule ospiti. La nascita di un'interazione reciproca tra le cellule ospiti e le staminali neurali trapiantate apre una seconda strada possibile per la medicina rigenerativa.
La cellula principale del fegato è l'epatocita. In generale, gli epatociti sono cellule non proliferative, ma in risposta alla perdita di cellule entrano nel ciclo cellulare e vanno incontro a un rapido autorinnovamento per rigenerare il tessuto. Parte di questa crescita è il risultato di un'espansione clonale, come dimostrano gli studi sui trapianti di epatociti. Questi possono dunque essere considerati come una cellula staminale funzionale per il fegato. Danni più severi, o l'interruzione alla normale rigenerazione epatocitica dopo una lesione, attivano un secondo programma di rigenerazione nel fegato. Cellule provenienti dall'albero biliare intraepatico proliferano per generare cellule ovali bipotenti che si differenziano in nuovi epatociti e cellule biliari.
Nel pancreas, gli studi sui topi hanno mostrato un'enorme rigenerazione in seguito a una pancreatectomia parziale, compresa la formazione di nuove isole. L'identificazione delle cellule progenitrici che causano questa risposta è stata complicata dagli eventi proliferativi osservati nel sistema. Le cellule che si dividono non si evidenziano prima delle 20 ore successive alla pancreatectomia, ma le nuove isole si formano dopo 72 ore. Quindi, dai tempi di raddoppio delle cellule e dal numero di cellule in ogni isola, le nuove isole non possono derivare da una singola cellula staminale: piuttosto ognuna di esse deve includere cellule derivate da diversi progenitori.
Uno dei modelli più accettati per il funzionamento di questo processo è quello della perdita di fenotipi maturi per cellule non-β (per es., cellule duttali) che poi si differenziano per formare isole. Molti dati supportano questo modello, anche se nuove scoperte hanno suggerito un meccanismo completamente diverso per la rigenerazione delle isole, che potrebbe spiegare la paradossale comparsa di isole in un così breve periodo di tempo. Per mezzo del marking genetico è stata dimostrata l'autoduplicazione delle cellule β nei topi. Questo meccanismo potrebbe sostenere il mantenimento del tessuto negli animali normali e la rigenerazione delle isole dopo la pancreatectomia. Da tale scoperta consegue un piccolo mutamento di prospettiva, e cioè che le cellule β terminalmente differenziate conservino la loro capacità proliferativa in vivo; ciò pone in dubbio l'ipotesi che le cellule staminali adulte abbiano un ruolo importante nel rifornimento di cellule β.
Per lungo tempo, studiando le staminali adulte in tessuti come ossa e midollo osseo, il punto di vista più accettato è stato che il loro potenziale di differenziamento fosse strettamente limitato alle linee cellulari trovate nel tessuto di origine. Nel corso degli ultimi anni questa teoria è stata criticata in ragione del fatto che diversi studi, oggetto di forti controversie e dibattiti, hanno dimostrato un'apparente plasticità nelle cellule staminali adulte, ossia la loro capacità di differenziarsi in tipi di cellule diverse da quelle di origine.
Piccole frazioni di midollo osseo contengono una popolazione di cellule che è stata identificata per mezzo di metodi basati sulla fluorescenza. Il fenotipo caratteristico di questa popolazione è apparentemente associato all'espressione di una proteina denominata ABCG2 transporter. Nel fegato danneggiato si è riscontrato che diversi membri della famiglia delle proteine ABC transporter sono sovraregolati nei duttuli in corso di rigenerazione, il sito proposto per la suddivisione delle cellule staminali epatocite. L'identificazione della stessa popolazione di cellule in diversi tessuti e l'espressione di ABCG2 transporter su diversi tipi di cellule staminali hanno portato all'ipotesi che questa caratteristica sia un elemento determinante del fenotipo della popolazione laterale.
È stato inoltre identificato un piccolo gruppo di cellule che si copurificano con le cellule staminali mesenchimali del midollo osseo, ma che hanno un potenziale di differenziamento notevolmente maggiore. Denominate 'cellule progenitrici adulte multipotenti', esse si differenziano in vitro in linee cellulari mesodermiche, endodermiche e neuroectodermiche. Questa importante scoperta ha posto seriamente in discussione la teoria, a lungo sostenuta, secondo cui le cellule staminali veramente multipotenti o pluripotenti non sussisterebbero oltre i primi stadi dell'embriogenesi. Le cellule progenitrici adulte multipotenti esibiscono l'attività dei geni OCT-4 e REX-1, marker di pluripotenza in precedenza trovati solamente nelle cellule staminali embrionali o negli embrioni prima della gastrulazione, e sono in grado di fornire molte linee se iniettate in una blastocisti. Rimangono tuttavia diverse questioni da risolvere: escludere che esse siano un artefatto di laboratorio e capire se siano uguali alle popolazioni di cellule che esprimono ABCG2 transporter. L'unica cosa certa è che queste inaspettate scoperte hanno stimolato grande interesse riguardo la plasticità nelle cellule adulte.
La mole di dati accumulati in anni di coltura in vitro di cellule primarie è stata una fonte di inestimabile valore per i ricercatori che tentavano di guidare il differenziamento di cellule staminali o progenitrici. Un'ampia varietà di tipi di cellule è stata derivata con successo attraverso il differenziamento in vitro, anche se poche sono state poi applicate terapeuticamente. Tuttavia, gli studi odierni sembrano poter arrivare a fornire i tipi cellulari più importanti per le nuove terapie delle malattie che costituiscono le principali sfide future. Oltre alle ovvie applicazioni terapeutiche ‒ sostituzioni, riparazioni e rigenerazioni di tessuti ‒, le cellule staminali possono essere utilizzate come sistemi a base cellulare per analizzare le malattie umane. Le cellule staminali embrionali create con trasferimento di nuclei di cellule contenenti un difetto genetico preesistente possono facilitare la comprensione dei meccanismi delle malattie umane ed essere inoltre utilizzate per sperimentare possibili farmaci e trattamenti terapeutici.
La senescenza replicativa non è un concetto recente. Diversamente dalle linee cellulari tumorali note come , la maggior parte delle cellule non è immortale in coltura. Più di quaranta anni fa fu suggerito che vi fosse un limite al numero di divisioni che potevano subire le cellule umane normali. La scoperta dei telomeri (sequenze DNA non codificante che si trovano alle estremità dei cromosomi) e del loro progressivo accorciarsi con la replicazione e l'età suggerì una possibile spiegazione per la senescenza cellulare. L'idea fu confermata dalla sovraespressione della telomerasi (che mantiene la lunghezza del telomero) nei fibroblasti umani normali, che li rendeva immortali. Il limite al numero di cicli di divisione che può subire una cellula è un vero ostacolo nella produzione di grandi banche di cellule di alta qualità per uso terapeutico. Sebbene esistano alcuni meccanismi molecolari che possono aumentare o ripristinare l'espressione di telomerasi nelle cellule, si teme la cancerogenesi delle cellule immortali dopo l'impianto; sono dunque necessari meccanismi che arrestino la crescita o uccidano le cellule nell'eventualità di una crescita incontrollata. Tuttavia, anche dopo i progressi compiuti in questo settore, la manipolazione genetica delle cellule prima del trapianto dovrà soddisfare una gran quantità di requisiti normativi prima di trovare applicazione clinica.
Le espressioni di fenotipi stabili nelle principali cellule in coltura sono state studiate per molti anni, in modo da creare in vitro modelli utili della fisiologia del tessuto. Le combinazioni di fattori di crescita e mezzi di coltura specializzati per molti tipi di cellule sono ben documentate e ampiamente utilizzate. Il controllo in vitro del differenziamento, soprattutto per quanto riguarda le cellule staminali, ha attinto moltissimo da questa esperienza, così come dagli studi di biologia dello sviluppo sui meccanismi di specializzazione e differenziamento delle cellule.
I condrociti presentano alcune difficoltà nella crescita in vitro perché tendono a de-differenziarsi in fenotipi fibroblastici dopo molti passaggi in coltura. Molti fattori e condizioni di coltura sono stati usati per mantenere o ripristinare l'espressione di collagene di tipo II o di altri marker di fenotipo condrocitico. Attualmente si stanno sviluppando modelli complessi di bioreattori che permettano di far crescere in vitro grandi porzioni di tessuto atte a essere impiantate.
L'isolamento di cellule mineralizzanti dall'osso dei Mammiferi è stato raggiunto trenta anni fa, mentre la scoperta delle condizioni necessarie per indurre gli osteoblasti a compiere il loro normale differenziamento in vitro è arrivata successivamente. Una combinazione di acido ascorbico e una fonte di fosfato inorganico sono i requisiti minimi, anche se i dosaggi soprafisiologici utilizzati probabilmente pongono ancora un limite all'applicazione in vivo di queste pratiche. L'ormone sintetico glucocorticoide dexametasone e la vitamina D3 sono inoltre spesso aggiunti alle colture di osteoblasti, così come altri fattori di stimolazione della crescita, quali, per esempio, le proteine morfogenetiche ossee. Da quando sono stati stabiliti metodi affidabili per istruire gli osteoblasti al differenziamento in coltura, gli schemi della proliferazione cellulare e dell'espressione genica sono stati studiati attentamente. Questo sistema modello viene oggi utilizzato ampiamente per lo studio dei meccanismi di controllo trascrizionale specifico per tessuto. Inoltre, tali studi sono stati preziosissimi per poter stabilire protocolli affidabili per il controllo della proliferazione e una piena elaborazione del fenotipo maturo in vitro.
La pluripotenza delle cellule staminali embrionali è sempre più studiata per ottenere linee cellulari specifiche per l'ingegneria dei tessuti e per la medicina rigenerativa, così come per le applicazioni terapeutiche. Le cellule alveolari epiteliali di tipo II sono state derivate da cellule staminali embrionali murine con diversi metodi. Queste scoperte potrebbero essere il punto di partenza per arricchire le colture derivate da cellule staminali embrionali di pneumociti di tipo II e fornire un sistema in vitro per la ricerca sui meccanismi di rigenerazione e riparazione dei polmoni. È stato dimostrato che queste cellule sono inoltre capaci di generare cellule differenziate epiteliali delle vie respiratorie. Coltivate sull'interfaccia aria-liquido, le cellule staminali embrionali hanno creato un epitelio delle vie respiratorie pienamente differenziato. Questi risultati suggeriscono un potenziale terapeutico nel caso di epitelio danneggiato nelle malattie respiratorie, come, per esempio, la displasia broncopolmonare e la fibrosi cistica.
Il cervello e la spina dorsale adulti custodiscono cellule staminali neurali capaci di generare neuroni, astrociti e oligodendrociti. La maggior parte dei dati disponibili suggeriva che la progenie prodotta dalle cellule del sistema nervoso fosse limitata al destino delle cellule neurali, come conseguenza del particolare ambiente in cui esse erano state inserite. Ora è stato dimostrato che le cellule staminali neurali cerebrali dei topi adulti possono essere integrate negli embrioni di pulcini e topi generando cellule tipiche di tutti i foglietti embrionali. Le cellule staminali adulte avrebbero dunque un'ampia capacità di sviluppo e potrebbero essere utilizzate per generare vari tipi di cellule per trapianto per diverse malattie. Recentemente è stata dimostrata la possibilità di derivare progenitori neurali da staminali embrionali umane. Quando questi erano trapiantati nei ventricoli cerebrali di topi appena nati, si incorporavano al parenchima cerebrale, mostrando la capacità di diffondersi e differenziarsi nelle tre linee neurali, in modo specifico rispetto alla regione in cui si trovavano e conformemente ai normali segnali di sviluppo.
Una delle strategie possibili per affrontare le future necessità cliniche è la terapia di sostituzione cellulare. Una sostituzione massiccia di cellule attraverso il trapianto di un organo o di tessuto non è una novità. Tuttavia, l'insufficienza cronica di organi disponibili per il trapianto rende questa un'opzione possibile solo per pochi pazienti. Per tale motivo si sta esplorando con grande interesse la terapia di sostituzione cellulare. Questo approccio utilizza l'espansione ex vivo o la selezione di cellule staminali o progenitrici, successivamente trapiantate nei pazienti per ripristinare la struttura, la funzione e la capacità di adattamento a cambiamenti nelle funzioni fisiologiche. Ormai da qualche anno i trapianti di midollo osseo vengono utilizzati in questo modo per il trattamento di patologie ematologiche. Alcuni bambini con osteogenesi imperfetta sono stati trattati con trapianti allogenici di cellule progenitrici mesenchimali derivate dal midollo di persone sane, ottenendo un miglioramento nel loro disordine.
L'uso di cellule staminali del midollo osseo nelle nuove terapie rigenerative è cresciuto rapidamente dopo che studi effettuati su Roditori hanno mostrato che le cellule progenitrici derivanti dal midollo osseo potevano essere migrate sul tessuto del muscolo cardiaco danneggiato e migliorare la funzione cardiaca dopo aver indotto un infarto. Tuttavia, questi risultati si sono rivelati controversi. I tentativi di replicare questo lavoro in Primati non umani non hanno fornito risultati positivi e altri gruppi di ricerca non sono riusciti a riprodurre lo studio originale sui Roditori. Inoltre, un altro studio suggerisce che siano le cellule staminali di derivazione mesenchimale e non emopoietica a rigenerare i cardiomiociti dopo un infarto. Anche gli studi clinici stanno producendo risultati diversi: alcuni non hanno dimostrato alcun beneficio, altri si sono rivelati inizialmente promettenti e infine uno è stato interrotto per effetti avversi imprevisti. Potenzialmente i benefici di questo tipo di terapie sono enormi, ma non sono ancora state stabilite solide basi scientifiche ed è necessaria molta cautela nell'utilizzare questo approccio.
Si è ottenuto un risultato clinico più chiaro dall'uso del trapianto autologo di mioblasti scheletrici, basato su studi effettuati su Roditori e pecore. I pazienti hanno mostrato un chiaro beneficio, nonostante le preoccupazioni iniziali riguardo eventuali aritmie delle cellule trapiantate. Uno studio ha dimostrato che le cellule cardiache e le cellule muscolari scheletriche si possono fondere in vitro e in vivo; ciò fa pensare che anche dopo molti anni di intensa ricerca vi siano ancora incertezze sugli effettivi meccanismi biologici che governano il trapianto di cellule e la terapia sostitutiva.
Per le sostituzioni cardiovascolari, un altro tipo di cellula è la cellula vascolare endoteliale. La derivazione di cellule endoteliali dalle staminali suscita grande interesse e diversi gruppi di ricerca hanno ottenuto buoni risultati. Sono stati utilizzati diversi fattori e condizioni, compresi il fattore di crescita vascolare endoteliale e la selezione manuale. Tuttavia, esistono anche altre fonti oltre alle cellule staminali embrionali, compreso il tessuto adiposo; in coltura, alcune cellule stromali-vascolari derivanti dal tessuto adiposo possono esprimere spontaneamente alcuni marker endoteliali in vitro e hanno mostrato in vivo un notevole potenziale di incentivazione per la crescita di nuovi vasi. È stato anche dimostrato che, trapiantate in vivo, le cellule derivate dal midollo osseo si differenziano nel fenotipo endoteliale e contribuiscono alla rigenerazione cardiaca.
I problemi del riconoscimento delle cellule proprie ed estranee e delle risposte immunitarie dell'ospite ai tessuti e agli organi trapiantati sono stati affrontati per mezzo di trattamenti immunosoppressivi. Anche se tali trattamenti espongono al rischio di infezione e rendono più complicata la gestione clinica dopo il trapianto, la maggior parte dei pazienti arriva a godere di una qualità di vita ragionevole. Molti pazienti muoiono però nell'attesa di trapianti. Uno dei principali problemi da risolvere è se, una volta inserita nell'uso clinico, la terapia di trapianto cellulare debba utilizzare cellule allogeniche e persistere nell'immunosoppressione, permettendo il trattamento di un maggior numero di pazienti, oppure se tali terapie debbano prevedere dall'inizio meccanismi per gestire il rigetto senza ricorrere a farmaci tanto potenti. L'immunogenicità potenziale delle cellule staminali e dei derivati differenziati è fondamentale per risolvere questo problema.
La principale causa del rigetto è l'incompatibilità tra antigeni MHC; pertanto è essenziale chiarire quale sia l'espressione di tali molecole nelle cellule staminali e nella progenie differenziata, al fine di identificare un modo per limitare o prevenire il rigetto dell'innesto. Negli esseri umani le due classi di MHC (I e II) sono codificate dai geni HLA1 e HLA2 rispettivamente. Le possibilità di incompatibilità MHC tra persone non imparentate geneticamente sono alte e una riduzione nell'espressione MHC o il nascondere le cellule trapiantate al sistema immunitario sono modi attraverso i quali la risposta immunitaria dell'ospite alle cellule trapiantate può essere ridotta. Studi sull'espressione di molecole MHC nelle cellule staminali embrionali hanno dimostrato che le cellule non differenziate hanno una bassa espressione di antigeni di classe I e non esprimono antigeni di classe II. L'espressione degli antigeni di classe I aumenta dopo il differenziamento spontaneo (da due a quattro volte) o l'induzione verso il teratoma (da otto a dieci volte). L'assenza di antigeni MHC di classe II dalle staminali embrionali umane e dai loro derivati potrebbe essere un tratto tipico del differenziamento non ematopoietico. Tuttavia, da sola l'attenzione alla differenza del complesso MHC non risolverà il problema del rigetto; è stato infatti osservato che tessuti provenienti da topi mancanti di MHC sono stati rigettati alla stessa velocità dei tessuti degli altri topi. Inoltre, il trapianto di tessuti senza i meccanismi immunologici fondamentali potrebbe fornire un luogo sicuro in cui la replicazione virale o la trasformazione cellulare potrebbero aver luogo senza controllo.
Oltre agli antigeni espressi nelle cellule trapiantate, vi sono altri fattori che potrebbero avere un ruolo importante nel limitare il rigetto umano. Si ritiene che eliminare dagli innesti cellulari le popolazioni che potrebbero partecipare a una reazione di rigetto (per es., le cellule che presentano l'antigene) potrebbe migliorare il grado di sicurezza dell'innesto. Tuttavia, questo approccio non ha avuto successo perché non affronta il meccanismo di presentazione indiretta di alloantigeni. Inoltre, in certi disordini, le cellule vengono trapiantate a un sito immunologicamente privilegiato. Per esempio, dopo il trapianto di neuroni dopamminergici fetali in pazienti affetti dal morbo di Parkinson, gli innesti sopravvivono per anni e contribuiscono al miglioramento funzionale senza alcuna immunosoppressione.
Sono stati avviati molti progetti nazionali per creare banche di cellule staminali. Così come i registri di organi e di midollo osseo permettono una compatibilità HLA ottimale tra il donatore e il ricevente, si potrebbero creare banche di cellule di diversi tipi HLA, anche se ciò richiederebbe molti anni e ingenti finanziamenti. I problemi che circondano l'immunocompatibilità e la tolleranza dell'ospite non hanno una facile risoluzione. Alcuni approcci possibili per superare il rigetto comprendono l'SCNT, la creazione di banche di genotipi di cellule staminali embrionali umane per genotipo, la modificazione genetica per creare un donatore universale o un fenotipo protetto, l'uso di farmaci non immunosoppressivi, l'immunomodulazione del ricevente e la creazione di un emopoietico nel ricevente. La compatibilità e l'alterazione genetica delle cellule staminali embrionali umane o dei loro derivati ridurrebbero enormemente la risposta immunitaria, ma probabilmente non abbastanza da rendere del tutto superflua l'immunosoppressione. Molti antigeni da trapianto sono codificati nel genoma mitocondriale, che è sempre legato al donatore anche se si usa l'SCNT, e questi antigeni potrebbero stimolare il rigetto dei tessuti clonati. L'induzione di chimerismo emopoietico e il trapianto di tessuti terapeutici dalla stessa linea di cellule staminali embrionali umane potrebbero offrire la possibilità di una vera tolleranza al trapianto.
L'approccio che forse può rivoluzionare maggiormente la medicina rigenerativa è la creazione di linee di cellule staminali geneticamente compatibili attraverso l'uso del trasferimento nucleare da cellula somatica, talvolta chiamato anche 'clonazione terapeutica'. Da un punto di vista etico questo è un concetto molto dibattuto sia nella comunità scientifica sia nel pubblico non specializzato, ed è stata la britannica Human Fertilisation and Embryology Authority a concedere le prime due licenze per creare cellule staminali embrionali umane attraverso il trasferimento nucleare somatico. Queste cellule sembrano avere un potenziale di differenziamento simile a quello delle linee di cellule staminali embrionali umane già esistenti, poiché anch'esse formano teratomi dopo il trapianto in vivo sugli animali.
L'SCNT richiederebbe la creazione di una linea di cellule per ogni paziente, mentre le banche di cellule staminali embrionali umane potrebbero fornire tessuti compatibili per quasi tutti i pazienti. Le cellule create con l'SCNT potrebbero inoltre venire usate in modelli sperimentali per gettare luce sulla patogenesi e lo sviluppo di certe malattie umane. Per le malattie genetiche, l'SCNT potrebbe aiutare a identificare i geni coinvolti. Le cellule derivate da cellule staminali embrionali costituiscono una speranza anche per il trattamento delle malattie cardiovascolari, dei danni alla spina dorsale, del morbo di Parkinson e delle malattie autoimmuni come il diabete di tipo 1. Queste cellule possono anche essere utilizzate come saggio cellulare per lo screening di farmaci per il trattamento di questi disordini. Le cellule clonate offrono evidenti vantaggi anche per la valutazione della tossicità respiratoria delle sostanze chimiche: per esempio, la ventiquattresima relazione della Royal commission on environmental pollution raccomanda lo screening di oltre 20.000 agenti chimici presenti in prodotti di pulizia domestica. Per i saggi di vitalità e funzionalità cellulare occorre un approccio rapido e non invasivo e per riprodurre il più accuratamente possibile l'ambiente in vivo è preferibile utilizzare cellule e tessuti umani primari. Cellule pluripotenti clonate potrebbero risultare quindi molto utili. Tuttavia, occorrerà molta attenzione nella valutazione delle modalità di applicazione di questo approccio per ottenere nuove terapie.
Molto resta ancora da fare per realizzare la promessa delle cellule staminali. Nonostante i progressi finora ottenuti nella comprensione dei meccanismi biologici, occorrono ulteriori ricerche non solo per il controllo ma anche per ottenere un differenziamento e una crescita ottimali di tali cellule. I problemi da esaminare comprendono i segnali che inducono il differenziamento, quali gli stimoli chimici e gli indicatori associati alla matrice o al substrato, e il ruolo dei fattori fisici. Al di là degli aspetti scientifici, quando la biologia delle cellule staminali verrà tradotta in applicazioni cliniche, si presenteranno ulteriori problemi e sfide. Innanzitutto, dal momento che occorrerebbe un gran numero di cellule, quale potrebbe essere il modo migliore per espandere le cellule staminali? Quali innovative tecnologie bioreattive saranno necessarie? Che tipo di controllo di qualità dei processi sarà necessario per ottenere l'approvazione da parte delle autorità competenti? Qualcosa è stato fatto, ma in questo campo resta ancora molto da indagare. In secondo luogo, qual è il modo migliore per far arrivare le cellule staminali là dove serve? In alcuni casi, il semplice innesto cellulare potrebbe essere la migliore strategia; ma anche così si pone la questione se utilizzare cellule staminali oppure cellule differenziate. Tuttavia, potrebbero darsi casi in cui l'approccio migliore sia quello di incorporare le cellule in una struttura (cioè impiantarle in una impalcatura). Tale impalcatura potrebbe essere di materiale sintetico oppure una matrice biologica naturale. Le cellule che si trovano in un'architettura tridimensionale si comportano diversamente da quelle monostrato e dunque ci si deve aspettare tali differenze dalle cellule staminali. Esistono alcuni studi iniziali, ma ancora rimane molto da studiare. Tra i problemi ancora da risolvere relativi ai materiali sintetici, vi sono la loro biodegradabilità e l'arco di tempo in cui questa si verifica, e se il materiale debba incorporare le citochine adatte.
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