Cellule staminali
Le cellule staminali sono cellule non specializzate presenti in tutti gli organismi viventi. Diversamente da una cellula epiteliale, capace di produrre una barriera biologica a difesa del nostro organismo, o da un globulo rosso, in grado di trasportare l’ossigeno attraverso il circolo sanguigno, una cellula staminale non possiede alcuna specializzazione fisiologica. La definizione di cellula staminale si basa essenzialmente su due caratteristiche: a) autorinnovamento, ossia la capacità di generare una cellula indifferenziata esattamente uguale alla cellula-madre attraverso numerosi cicli cellulari; b) potenza, vale a dire la capacità di differenziarsi in tipi cellulari specializzati.
Si distinguono diversi stadi di potenza delle cellule staminali: la totipotenza è la capacità di generare tutti i tessuti embrionali ed extraembrionali, tipica delle cellule della morula; la pluripotenza è la capacità di differenziarsi in tutti i tessuti embrionali, tipica delle cellule staminali embrionali (ES, Embryonic Stem cells) che compongono la massa cellulare interna della blastocisti, capacità che recentemente è stata riferita anche a cellule somatiche riprogrammate; la multipotenza è la capacità di differenziare in tutti i tipi cellulari di un foglietto germinativo (endoderma, mesoderma o ectoderma); l’unipotenza è la capacità di differenziarsi in un unico tipo cellulare, tipico dei progenitori. In questo saggio verranno descritte le cellule staminali embrionali e adulte fino alle innovative cellule staminali pluripotenti indotte (iPS, induced Pluripotent Stem cells), la sfida scientifica del nuovo secolo.
Cellule staminali embrionali
Le cellule staminali sono le uniche popolazioni cellulari che, in base allo stadio di sviluppo, mostrano differenti capacità di autorinnovamento e di differenziamento. Le cellule staminali totipotenti derivano dall’embrione allo stadio di preblastocisti (4-8 blastomeri) e possono generare un organismo vivente. Dopo la terza divisione cellulare, le cellule iniziano a specializzarsi, divenendo pluripotenti, poiché possiedono una minore, ma non meno sorprendente, capacità differenziativa nelle varie linee cellulari. Le cellule staminali pluripotenti hanno un cariotipo normale, sono in grado di autorinnovarsi indefinitamente e differenziarsi spontaneamente in più tipi cellulari, secondo un processo di divisione asimmetrica, e mantengono un’elevata attività telomerasica. Queste cellule hanno origine in coltura da due tessuti embrionali: l’ICM (Inner Cell Mass, ossia massa cellulare interna o embrioblasto) all’interno della blasto;cisti, da cui si isolano le ES, e la gonade embrionale, da cui derivano le cellule germinali primordiali (EG, Embryonic Germinal cells). Queste ultime, scoperte più recentemente, sono in grado in coltura di dare origine a cellule con caratteristiche simili alle ES. La capacità delle ES murine di differenziarsi in numerose linee cellulari, studiata per molti anni, ha stimolato l’interesse di isolare le medesime cellule di origine umana, che potrebbero costituire una fonte rinnovabile di cellule più specializzate.
Plasticità in vitro e in vivo delle ES
Le ES, dotate di pluripotenza, possono differenziarsi in molteplici linee cellulari sia in vitro sia in vivo. Nonostante vi siano molti fattori biochimici e condizioni di coltura che differiscono tra le ES murine e le ES umane (tab. 1), una caratteristica che le accomuna è la capacità di formare, in colture tridimensionali, aggregati di cellule indifferenziate (staminali) e differenziate, rappresentative di tutti e tre i foglietti germinativi embrionali: l’endoderma, il mesoderma e l’ectoderma. Per le loro dimensioni, la capacità di differenziamento e il profilo d’espressione genica rassomiglianti all’embrione postimpianto, queste strutture sferiche sono state chiamate corpi embrioidi e vengono impiegate come modelli di differenziamento ed espressione genica nello sviluppo precoce. Quando le ES vengono impiantate in topi immunodeficienti formano rapidamente teratomi benigni contenenti tipi tessutali differenziati, inclusi l’epitelio intestinale (endoderma); cartilagine, osso e muscolo scheletrico (mesoderma); epitelio neurale, gangli embrionali ed epitelio squamoso stratificato (ectoderma). In futuro, l’abilità di poter dirigere il differenziamento delle ES alla massima efficienza verso una linea desiderata, attraverso la combinazione di specifici fattori di crescita con sistemi d’induzione cellula-cellula, consentirà la scoperta di nuovi farmaci e la riparazione di tessuti danneggiati o malati attraverso il trapianto.
Le ES nella medicina rigenerativa: potenzialità e controversie
I recenti sviluppi nel campo della ricerca sulle cellule staminali rivelano il loro enorme potenziale come fonte di tessuti per le terapie rigenerative. Molte malattie, come il morbo di Parkinson e il diabete mellito giovanile, sono causate dalla morte o disfunzione di un solo o di pochi tipi cellulari. La sostituzione di queste cellule potrebbe rigenerare la parte di tessuto danneggiata. Inoltre, la produzione standardizzata di grandi quantità di cellule euploidi umane, come i cardiomiociti e i neuroni, fornirà una possibile fonte illimitata di cellule per verificare l’efficacia di nuovi farmaci, per controllarne la tossicità e per la terapia dei trapianti. La conservazione di ES con una specifica immunocompatibilità e la manipolazione genetica di cellule per ridurre o combattere il rigetto di cellule trapiantate potrebbero costituire nuove strategie per raggiungere un completo successo nella terapia cellulare. Per dirigere efficacemente le ES verso linee d’importanza clinica umana sono richiesti sostanziali approcci nella biologia dello sviluppo. Se si comprendono i meccanismi genetici e di controllo molecolare delle ES dovrebbe diventare più facile capire le cause dell’insorgenza di alcune malattie. Il progresso della biologia dello sviluppo è estremamente rapido, tanto che sono già stati effettuati passi avanti nel differenziamento in vitro di ES murine in neuroni, in cellule ematopoietiche e in cellule muscolari cardiache. Diversamente, per le ES umane il prelievo e la sperimentazione hanno suscitato questioni etiche e sono fortemente regolamentati.
Nonostante gli esaltanti progressi nella ricerca sulle ES umane molti lavori sono ancora necessari e troppi ostacoli rimangono da superare prima che questa tecnologia possa entrare nella pratica clinica. In particolare, le limitazioni che colpiscono le ES includono l’incapacità di produrre linee ES in condizioni di coltura completamente definite per impedire l’infezione di patogeni; di indurre il differenziamento in popolazioni cellulari che mantengono le loro caratteristiche biologiche in vivo; di purificare e isolare popolazioni cellulari omogenee; di eliminare i rischi relativi alla formazione di teratomi; di espandere e differenziare le ES umane in tempi brevi (Mountford 2008). Tutte queste limitazioni sollevano e alimentano il dibattito etico relativo alla sperimentazione delle ES facendo privilegiare quei filoni di ricerca che stanno dando da anni risultati e feconde potenzialità terapeutiche: in particolare sulle staminali adulte e su quelle fetali, che sono cellule con caratteristiche intermedie e non presentano i rischi neoplastici delle embrionali. La ricerca futura necessita di ottimizzare le strategie per dirigere il differenziamento in vitro verso una specifica linea di nuovi protocolli per generare specifiche linee cellulari pure, di tecniche di coltura per ottenere una produzione massiva di cellule utile per scopi clinici e di migliori regimi antirigetto. Si tratta di un passo che richiede ulteriori investimenti, ricerche e, quindi, del tempo. L’impulso, anche commerciale, potrebbe compromettere la sicurezza e condurre questa tecnologia verso fittizie illusioni su trattamenti ‘miracolosi’. La ricerca nell’utilizzo terapeutico delle ES ha bisogno di essere ‘nutrita’ in modo sicuro e metodico per garantire in futuro un reale beneficio ai pazienti (Braude, Minger, Warwick 2005).
In Italia, dopo l’emanazione della l. 19 febbr. 2004 n. 40 e il risultato del referendum del 12 e 13 giugno 2005, che riguardava anche l’utilizzo delle cellule staminali embrionali nella ricerca, la posizione è chiara: le sperimentazioni delle terapie cellulari possono avvalersi soltanto del recupero di staminali adulte, cordonali ed embrionali unicamente se derivate da embrioni prodotti in soprannumero durante le procedure di fertilizzazione in vitro nelle cure contro l’infertilità. È, invece, illegale derivare nuove linee di cellule staminali embrionali (l. n. 40). Le ragioni di tale scelta, che sono insieme etiche e scientifiche, riguardano l’assoluta intangibilità dell’embrione umano sin dalla fecondazione, il divieto di sopprimere embrioni umani al fine di ricavarne cellule staminali embrionali e l’inefficacia riguardo alla loro potenziale utilità nella cura di condizioni attualmente incurabili. Per questo la possibilità di lavorare legalmente in Italia sulle linee ES è resa del tutto vana dalle politiche di finanziamento pubblico: l’Italia, insieme a Germania, Austria, Polonia, Slovacchia e Malta, ha dichiarato in sede europea di non poter «accettare che attività comportanti la distruzione di embrioni umani possano beneficiare di un finanziamento a titolo del settimo programma quadro di ricerca». I sei Paesi si sono uniti nella soluzione di rafforzare la ricerca sulle cellule staminali adulte per evitare di finanziare attività di ricerca sulle cellule staminali umane embrionali, auspicando incentivi al solo campo di ricerca delle staminali adulte (http://www.camera.it/parlam/leggi/04040l.htm).
Il 9 marzo 2009 il presidente statunitense Barack Obama ha rimosso, con un ordine esecutivo, i limiti al finanziamento pubblico alla ricerca sulle cellule staminali embrionali. Cambiamenti in tal senso sono auspicabili in Italia e nell’Europa del nuovo secolo.
Cellule staminali adulte
Una cellula staminale adulta (ASC, Adult Stem Cell) è una cellula indifferenziata che si può trovare in un tessuto o organo terminalmente differenziato; esse sono presenti in un numero molto piccolo in ogni tessuto. Si ritiene che queste cellule risiedano in aree specifiche, dalla citoarchitettura definita, che garantiscono un microambiente controllato biochimicamente, detto nicchia, dove le ASC rimangono relativamente quiescenti fino a che non vengono riattivate da un danno o da uno stato patologico. Esse proliferano durante l’intera vita di un organismo e in vitro vanno incontro a senescenza perdendo la capacità di proliferare dopo 100÷200 cicli cellulari. Il ruolo primario delle cellule staminali adulte è infatti quello di mantenere il normale turnover e riparare il tessuto in cui si trovano, oltre a contribuire allo sviluppo postnatale dell’individuo. I tessuti adulti per cui è stata dimostrata l’esistenza delle cellule staminali sono molti: per es., l’endotelio, il muscolo scheletrico, il fegato, la polpa dentale, la cornea. Tipicamente le ASC sono definite multipotenti, poiché possiedono la capacità di generare tutti i tipi cellulari specializzati del tessuto d’appartenenza. Esse si dividono secondo due principali modalità: divisione simmetrica, che permette la generazione di due cellule staminali identiche tra loro; e divisione asimmetrica, che permette la generazione di una cellula staminale identica alla cellula di partenza e di una cellula progenitrice. I progenitori hanno una capacità rigenerativa inferiore a quella delle cellule staminali di partenza e possiedono un commitment, cioè un programma che li induce a differenziarsi in un determinato tipo cellulare (Pauwelyn, Verfaillie 2006).
Passato e presente
Negli anni Sessanta del 20° sec. alcuni ricercatori scoprirono che il midollo osseo contiene almeno due tipi di cellule staminali. La prima popolazione scoperta, le cellule staminali emopoietiche, dà origine a tutte le cellule del sangue. Pochi anni dopo fu scoperta una seconda popolazione, le cellule stromali del midollo osseo. Questa è una popolazione cellulare mista che genera l’osso, la cartilagine, il grasso e il tessuto connettivo e fibroso. Sempre negli stessi anni furono identificate alcune cellule in divisione in due aree del cervello di ratto. Nonostante questi dati, la maggior parte dei ricercatori non credeva che le cellule nervose potessero essere rigenerate nel cervello adulto. Soltanto negli anni Novanta fu accettata nel mondo scientifico la presenza di cellule staminali nel cervello, capaci di generare i tre tipi cellulari principali dell’encefalo: i neuroni, che costituiscono le cellule nervose, gli astrociti e gli oligodendrociti, che fungono invece da supporto. A partire da quel momento numerosi gruppi di ricerca si sono dedicati allo studio delle ASC e sono stati condotti indagini precliniche su modelli animali per la terapia cellulare in tessuti danneggiati o malati. Alcuni esempi di potenziali applicazioni delle ASC in terapia includono la sostituzione delle cellule dopaminergiche nell’encefalo dei pazienti malati di Parkinson, il trapianto di cellule capaci di produrre insulina (cellule beta) nel pancreas in pazienti affetti da diabete di tipo 1, la ripopolazione del tessuto muscolare scheletrico nei pazienti con distrofia muscolare di Duchenne tramite l’iniezione di precursori del muscolo scheletrico da donatore sano oppure modificati geneticamente, e la riparazione del muscolo cardiaco in seguito a infarto mediante l’iniezione di cellule muscolari cardiache (Weissman 2000).
Plasticità
Molti esperimenti hanno recentemente dimostrato che alcune cellule staminali adulte, oltre a differenziarsi nei tipi cellulari specializzati derivanti dal foglietto embrionale d’appartenenza (il cosiddetto differenziamento ortodosso), possiedono la capacità di generare cellule specializzate di tessuti diversi. Questa proprietà è nota come plasticità, o transdifferenziamento o differenziamento non ortodosso. Attualmente la ricerca è rivolta a determinare quali siano i meccanismi responsabili della plasticità delle ASC. Se questi meccanismi verranno compresi, in modo tale da poter essere controllati, le cellule staminali da un tessuto sano potranno essere indotte a ripopolare un tessuto danneggiato. Nella tabella 2 è riportato un elenco delle cellule staminali adulte. Recentemente anche nei tumori sono state identificate cellule in grado di soddisfare i criteri di staminalità, denominate cellule staminali tumorali (CSC, Cancer Stem Cells). Le CSC sembrano essere responsabili delle recidive e delle metastasi, e per questo motivo rappresentano un importante target ai fini dello sviluppo di terapie antitumorali.
Raffronto tra cellule staminali embrionali e adulte
Le cellule staminali embrionali e le cellule staminali adulte possiedono entrambe vantaggi e svantaggi per il potenziale uso nella medicina rigenerativa. Come è stato precedentemente illustrato, le ES possiedono una maggiore capacità differenziativa rispetto alle ASC. Le ES possono essere facilmente isolate dalla blastocisti ed espanse in coltura in quantità elevate. Le ASC, invece, sono più difficili da isolare, poiché presenti in quantità minima nei tessuti maturi, e la loro espansione in coltura non è efficiente come quella delle ES, seppure le ASC replichino molto velocemente e per un numero molto elevato di cicli di duplicazione. Questa è una distinzione importante poiché è necessario un numero cospicuo di cellule (centinaia di milioni in alcuni casi) per le terapie cellulari. Un potenziale vantaggio implicito nell’uso delle ASC è che le stesse cellule prelevate dal paziente possono essere espanse in coltura, eventualmente modificate geneticamente e successivamente reiniettate, escludendo in questo modo la possibilità di un rigetto da parte del sistema immunitario. Una delle maggiori novità nel campo delle cellule staminali è la scoperta di un metodo per generare ES a partire da cellule terminalmente differenziate introducendo un pool di geni in grado di riprogrammare la cellula fino a riportarla allo stadio indifferenziato (Takahashi, Yamanaka 2006). Questa scoperta ha gettato le basi per studi che potranno portare alla generazione in laboratorio di grandi quantità di cellule staminali autologhe in grado di rigenerare ogni tessuto, superando quindi diversi ostacoli tuttora esistenti e dovuti alla limitata capacità di isolare ed espandere in coltura le ASC, al problema etico intrinseco nell’isolamento delle ES da embrioni e a quello riguardante il rigetto di cellule eterologhe in un organismo ospite.
Cellule staminali dell’epidermide
L’epidermide, lo strato più esterno della pelle, è costituito da un epitelio stratificato squamoso caratterizzato da un tipo cellulare principale, i cheratinociti. Sono stati identificati tre diversi tipi di cheratinociti, gli olocloni, i merocloni e i paracloni. L’oloclone possiede il più alto potenziale proliferativo (120-160 divisioni cellulari), è in grado di generare tutti i tipi cellulari del tessuto di origine e di recuperare in modo permanente l’epitelio quando trapiantato in pazienti con danni e difetti estesi. Per questo motivo l’oloclone è considerato la cellula staminale epiteliale. Nella pel;le umana gli olocloni sono distribuiti uniformemen;te nello strato basale dell’epidermide interfollicolare e in specifiche regioni dei follicoli. Gli olocloni si localizzano anche nell’epitelio del limbus oculare, compreso tra la cornea e la congiuntiva bulbare. Durante il normale turnover dell’epidermide, gli olocloni entrano nel programma differenziativo, perdono la loro capacità proliferativa (meroclone, paraclone), migrano verso lo strato più esterno dell’epidermide e attivano il processo di morte cellulare programmata, dando origine allo strato spinoso, allo strato granuloso e allo strato corneo dell’epidermide. Il paraclone possiede una ridotta capacità proliferativa rispetto all’oloclone (15 divisioni cellulari) e nel processo di divisione cellulare genera solo cellule terminalmente differenziate. Il meroclone può essere considerato una stadio cellulare intermedio tra l’oloclone e il meroclone. Un oloclone può essere quindi prelevato dalla pelle e amplificato estensivamente in vitro tanto da poter essere utilizzato per il trapianto di un’estesa superficie epidermica.
Applicazioni cliniche
I cheratinociti dell’epidermide possiedono due importanti caratteristiche: l’elevata capacità replicativa e la facile reperibilità (Pellegrini, De Luca 2010). Queste cellule sono state utilizzate nella cura di gravi ustioni. A partire da cheratinociti autologhi è possibile produrre in vitro l’epitelio stratificato della pelle e, successivamente, innestarlo nel paziente ustionato. In maniera simile è possibile isolare cellule staminali epidermali dall’estremità del canale uretrale, farle cresce;re in vitro e utilizzarle per ricostituire la porzione mancante dell’uretra. Le cellule progenitrici della cornea, localizzate nell’epitelio del limbus, si possono isolare e coltivare per generare l’epitelio corneale da trapiantare in caso di necessità. Cellule staminali dell’epidermide hanno inoltre trovato impiego, con successo, nella cura di alcune malattie degli epiteli, come l’epidermolisi bullosa che comprende un gruppo di gravi malattie ereditarie della pelle causate dalla mutazione del gene della laminina 5 o di altri componenti dell’emidesmosoma: cellule staminali dell’epitelio umano sono state coltivate e stabilmente trasdotte in vitro con vettori retrovirali, codificanti per la proteina sana della laminina 5; le cellule corrette geneticamente riacquistano le proprietà adesive tipiche delle cellule sane e sono in grado di esprimere il transgene per lungo tempo. È stato, quindi, messo a punto un protocollo clinico per il trapianto, sotto anestesia locale, di strati epiteliali geneticamente corretti su regioni del corpo piuttosto vaste, ottenendo risultati molto incoraggianti (Mavilio, Pellegrini, Ferrari et al. 2006).
Cellule staminali del muscolo scheletrico
Le fibre muscolari scheletriche derivano dalla fusione di cellule progenitrici mononucleate che hanno origine nei somiti, strutture transitorie di derivazione mesodermica. Durante lo sviluppo i somiti si differenziano nello sclerotomo e nel dermomiotomo. I progenitori muscolari (mioblasti) che si specificano nella regione dorsolaterale del dermomiotomo migrano nella regione sottostante a formare il miotomo. A livello del miotomo si attiva il processo di biogenesi: parte dei mioblasti si differenzia in cellule muscolari in grado di fondersi a formare le fibre muscolari primarie (o embrionali). I rimanenti mioblasti continuano a proliferare, in una fase successiva dello sviluppo si differenziano in fibre muscolari, di minore dimensione e dette secondarie (o fetali), che circondano le fibre primarie con una conformazione a ciambella. Contemporaneamente si assiste alla formazione della lamina basale intorno a ciascuna fibra muscolare. Nel muscolo scheletrico la lamina basale definisce l’ambiente specifico adatto ad accogliere le cellule staminali proprie del muscolo, ossia le cellule satelliti, identificate da Alexander Mauro negli anni Sessanta del 20° secolo. Anche le cellule satelliti hanno origine dai somiti; in particolare, successivamente alla miogenesi fetale, le cellule satelliti migrano nello spazio compreso tra la lamina basale e la membrana plasmatica delle fibre muscolari (nicchia staminale muscolare). Durante lo sviluppo e la crescita postnatale le cellule satelliti si dividono lentamente e contribuiscono alla crescita e alla rigenerazione muscolare; nel muscolo adulto, invece, sono normalmente quiescenti.
Cellule satelliti e mesoangioblasti nella cura delle distrofie muscolari
Normalmente nell’individuo adulto le cellule satelliti sono quiescenti, ossia non vanno incontro a divisione cellulare; inoltre esprimono Pax7, marcatore precoce muscolare, e Cd34, marcatore endoteliale precoce, considerato indice di staminalità. Le cellule satelliti possono essere però attivate in seguito a stress meccanico (esercizio fisico) e in risposta a danno muscolare (trauma o malattie, quali la distrofia muscolare). In queste condizioni le cellule satelliti, moltiplicandosi, incrementano il numero di precursori muscolari disponibili a riparare il danno (esprimenti Myf5), accendono il programma di differenziamento muscolare (attivando MyoD), si fondono a formare miotubi (esprimenti miogenina) fino a maturare in miofibre in grado di fondersi con quelle sopravvissute.
La distrofia muscolare è una malattia ereditaria senza cura e che limita la motilità e l’aspettativa di vita. Nei soggetti affetti da questa patologia le cellule satelliti presentano lo stesso difetto genetico delle fibre muscolari. In un possibile protocollo terapeutico le cellule satelliti devono essere derivate dallo stesso paziente (autologhe) o da un donatore sano (eterologhe). Nel primo caso il gene difettivo deve essere corretto o sostituito per rendere il trapianto efficace; nel secondo caso la correzione del difetto genico non è necessaria ma il paziente deve essere sottoposto a terapia immunosoppressiva per prevenire il rigetto delle cellule esogene. Purtroppo le cellule satelliti non sono in grado di attraversare la parete dei vasi, quindi non possono essere introdotte per via sistemica e, inoltre, non possono migrare dal sito dell’iniezione intramuscolare, per cui il loro utilizzo terapeutico richiederebbe migliaia di iniezioni.
Recentemente sono state evidenziate le potenzialità terapeutiche dei mesoangioblasti, cellule progenitrici associate ai vasi, in modelli preclinici per la distrofia muscolare. Mesoangioblasti embrionali, isolati da espianti di aorta dorsale, si differenziano nella maggior parte dei tipi cellulari del mesoderma, quando esposti a specifiche citochine o in cocoltura con cellule differenzianti. I mesoangioblasti iniettati nel circolo sanguigno sono in grado di migrare nei tessuti infiammati, come nel caso del muscolo distrofico. Mesoangioblasti isolati da topi sani sono stati iniettati nell’arteria femorale di topi knockout per il gene dell’alfa-sarcoglicano, affetti da distrofia muscolare. Negli animali trattati i mesoangioblasti hanno generato fibre muscolari sane che esprimono la proteina alfa-sarcoglicano, completamente assente negli animali non trattati, migliorando la loro capacità locomotoria (Sampaolesi, Torrente, Innocenzi et al. 2003). Inoltre, gli effetti terapeutici dei mesoangioblasti nella terapia autologa (dopo correzione genica) sono paragonabili agli effetti osservati per le cellule sane. Risultati analoghi sono stati ottenuti trapiantando per via sistemica mesoangioblasti isolati da cani sani in cani affetti da distrofia muscolare sotto regime d’immunosoppressione (Sampaolesi, Blot, D’Antona et al. 2006). Mesoangioblasti umani possono efficientemente differenziarsi in miociti in vitro e in vivo; il loro potenziale terapeutico è stato dimostrato trapiantandoli in topi immunodeficienti affetti da distrofia muscolare (Dellavalle, Sampaolesi, Tonlorenzi et al. 2007). Sulla base di questi risultati è in programma un clinical trial su pazienti affetti da distrofia muscolare di Duchenne.
Cellule staminali e cardiomiogenesi
I primi studi riguardanti la possibilità di generare tessuto cardiaco (cardiomiogenesi) a partire da precursori cellulari si sono focalizzati su popolazioni staminali pluripotenti (cellule staminali embrionali) o multipotenti circolanti. Le cellule staminali embrionali possono differenziarsi in cardiomiociti ma con bassa efficienza. Grazie alla loro elevata capacità proliferativa possono comunque rappresentare una risorsa illimitata di cellule trapiantabili per la riparazione del miocardio. Queste cellule, però, possono diventare tumorigeniche e, inoltre, data la loro origine allogenica, potrebbero causare fenomeni di rigetto nel soggetto ricevente. Due diversi tipi di cellule staminali adulte sono già approdati alla sperimentazione clinica: progenitori del muscolo scheletrico (mioblasti) e cellule staminali del midollo osseo. Alcuni gruppi di ricerca hanno dimostrato che il trapianto postischemico di progenitori muscolo-scheletrici apporta un miglioramento delle funzioni cardiache (Menasché, Alfieri, Janssens et al. 2008), ma molte sono le limitazioni e le controversie di questi risultati. In alcuni casi il trapianto di cellule satelliti causava aritmia acuta, costringendo il paziente all’utilizzo di pacemaker. Queste cellule, infatti, non sono in grado di integrarsi elettricamente con le cellule cardiache presenti e quindi non garantiscono una completa funzionalità del tessuto rigenerato. I progenitori midollari, che raggruppano cellule staminali ematopoietiche e mesenchimali, sono stati utilizzati con successo in modelli sperimentali per l’infarto cardiaco (Orlic, Kajstura, Chimenti et al. 2001). Molti ricercatori sono concordi sul fatto che tale miglioramento sia dovuto a fenomeni paracrini, vale a dire al rilascio da parte delle staminali di citochine e fattori di crescita, rilascio che promuove l’angiogenesi e preserva il tessuto cardiaco adiacente alla zona infartuata.
Cellule staminali cardiache
Fino a pochi anni fa il cuore adulto era considerato un organo costituito unicamente da cellule adulte differenziate denominate cardiomiociti e incapaci di rigenerare nuovo tessuto cardiaco. Se coltivati in vitro, i cardiomiociti non sono in grado di dividersi, mentre in vivo possono incrementare la massa del cuore solo grazie a un aumento delle loro dimensioni, fenomeno denominato ipertrofia. Soltanto nel 2002 si è dimostrata l’esistenza di precursori circolanti in grado di dare vita a nuove cellule cardiache, arterie e vasi. Tale scoperta ha spinto il mondo scientifico a identificare nuovi progenitori cardiaci e vascolari residenti negli interstizi del tessuto cardiaco. Diversi gruppi di ricerca hanno successivamente confermato la presenza di cellule plastiche residenti nel cuore, a cui viene attribuito il nome di cellule staminali cardiache. Queste cellule rappresentano una famiglia di cellule staminali adulte che possono moltiplicarsi numerose volte e sono programmate per differenziarsi in cellule del sistema cardiovascolare. Le differenze esistenti tra i diversi tipi di cellule staminali cardiache riguardano la loro origine, il metodo di isolamento utilizzato e la loro efficienza nel dar vita a nuovo tessuto miocardico. Anche se la maggior parte delle informazioni sulle popolazioni staminali cardiache proviene da studi effettuati su modelli murini, è stata confermata la presenza di questo tipo di cellule anche nel cane e nell’uomo. Le nuove conoscenze sia nella biologia delle cellule staminali sia nel loro possibile impiego nella rigenerazione cardiaca stanno rendendo la loro potenziale applicazione nelle patologie cardiache una realtà clinica sempre più vicina.
Cellule staminali cardiache residenti
Le cellule staminali cardiache sono localizzate nelle cosiddette nicchie del tessuto cardiaco, microambienti cellulari che ne regolano la partecipazione all’omeostasi tessutale. Sono stati identificati diversi tipi di progenitori cardiaci residenti, ognuno caratterizzato diversamente per l’espressione di proteine di superficie, modalità di isolamento e plasticità cellulare. Un gruppo di ricercatori americani ha isolato in modelli animali e nell’uomo una popolazione cellulare caratterizzata per l’espressione di un recettore chiamato Cd117. Questi progenitori sono in grado di differenziarsi in vitro nei tre tipi di cellule che compongono il cuore, ovvero cardiomiociti, cellule del muscolo liscio ed endoteliali: se trapiantati in modelli sperimentali d’infarto, sono in grado di attenuare la crisi ischemica e migliorare le condizioni fisiologiche. Le cellule Sca1+ sono state identificate solo nel topo e hanno la capacità di generare cardiomiociti in vitro in seguito al trattamento con un composto chimico demetilante chiamato azacitidina. Trapiantate in vivo in modelli sperimentali d’infarto cardiaco riparano il cuore grazie al differenziamento diretto in cardiomiociti e alla formazione di nuovi vasi e arterie. Due gruppi italiani hanno identificato due differenti popolazioni di cellule staminali cardiache, denominate rispettivamente cardiosfere e mesoangioblasti cardiaci (Galvez, Sampaolesi, Barbuti et al. 2008). Le cardiosfere sono una popolazione eterogenea ottenuta a partire da biopsie cardiache atriali e ventricolari e tendono a formare in coltura aggregazioni cellulari che ricordano i corpi embrioidi ottenuti da cellule staminali embrionali. Per la loro forma sferica e per la loro derivazione cardiaca sono state appunto chiamate cardiosfere. Quando una simile formazione sferoide cellulare è ottenuta da biopsie di alcune aree del cervello, viene chiamata neurosfera. Le cardiosfere, a differenza delle neurosfere, hanno attività contrattile, tipica del tessuto cardiaco, e chiaramente esprimono marcatori biologici tipici del cuore. Solo una modesta percentuale delle cellule presenti in ogni cardiosfera si differenzia in vitro in cardiomiociti funzionali in grado di contrarsi spontaneamente. I mesoangioblasti cardiaci, una popolazione associata ai vasi sanguigni del sistema cardiovascolare, si differenziano con elevate percentuali in cardiomiociti e cellule del muscolo liscio e migliorano le funzionalità del miocardio ischemico.
Meccanismo d’azione della terapia cellulare
Sebbene siano stati effettuati grandi passi avanti nella ricerca terapeutica per le malattie cardiovascolari, il meccanismo attraverso il quale la terapia cellulare può apportare un beneficio alla funzione cardiaca non è ancora molto chiaro. Tre sono le teorie più accreditate: fusione cellulare, transdifferenziamento e rilascio di mediatori paracrini.
La fusione cellulare consiste nell’unione di una cellula ospite con la cellula staminale trapiantata, con conseguente trasferimento del contenuto cellulare e delle informazioni necessarie per svolgere le funzioni cellulari. Sten Eirik Jacobsen e altri ricercatori hanno dimostrato che trapiantando progenitori ematopoietici, alcuni di essi si fondono con le cellule del muscolo cardiaco, anche se con una frequenza bassissima. Il termine transdifferenziamento indica invece la capacità di una cellula staminale residente in un tessuto di differenziarsi in cellule presenti in altri tessuti. Altra modalità che potrebbe spiegare gli effetti benefici della terapia cellulare nelle patologie cardiache è il rilascio paracrino di fattori di crescita e di sopravvivenza. In questo caso la cellula trapiantata apporta effetti benefici attraverso la liberazione di citochine e fattori di crescita in grado di stimolare la sopravvivenza delle cellule differenziate e il differenziamento delle cellule staminali residenti. È molto probabile che questi tre meccanismi non agiscano in modo separato ed esclusivo, ma si manifestino sinergicamente per aumentare la rigenerazione del miocardio danneggiato.
Cellule staminali neuronali
Per molto tempo il sistema nervoso centrale (SNC) dei mammiferi adulti, al contrario di altri organi come la pelle o il fegato, è stato considerato unico nella sua apparente incapacità di autoriparazione e rigenerazione. Studi effettuati nei primi anni Novanta del 20° sec. hanno dimostrato che la neurogenesi ha luogo in alcune regioni del cervello nel periodo postnatale e continua durante la vita adulta prevalentemente nella zona ventricolare, nell’ippocampo e nel sistema olfattorio (Reynolds, Weiss 1992).
Le cellule staminali neurali (NSC, Neural Stem Cells) sono cellule multipotenti in grado di autorinnovarsi e di generare la maggior parte dei tipi cellulari del sistema nervoso centrale (neuroni, astrociti e oligodendrociti) mediante una divisione asimmetrica, sia in vivo sia in vitro. Oltre a derivare dall’SNC di molte specie di mammiferi a differenti stadi di sviluppo, le NSC possono avere origine dalle cellule staminali embrionali, dalle cellule germinali e dai teratocarcinomi (carcinomi embrionali). Il differenziamento dei progenitori neurali durante lo sviluppo del cervello dei mammiferi è determinato da fattori neutrofici e di crescita che intervengono nella regolazione della neurogenesi. Attualmente gli sforzi compiuti nel restaurare sottocategorie di neuroni o persino di reti neurali sono animati principalmente da trapianti di cellule embrionali. La crescente evidenza dell’esistenza di progenitori endogeni dormienti nel tessuto adulto fa aumentare il numero di strategie terapeutiche alternative, quali l’attivazione di cellule endogene mediante specifiche molecole e il trapianto di cellule staminali neurali, isolate in diverse zone del cervello, come la zona subventricolare, il giro dentato dell’ippocampo e il bulbo olfattivo.
Isolamento e caratterizzazione delle NSC
La maggior parte dei neuroni dell’SNC è terminalmente differenziata e non ha capacità proliferativa in vitro e in vivo. Tuttavia è stato dimostrato che piccole popolazioni di neuroni continuano a nascere in molte regioni dell’SNC. La progenie di queste cellule staminali putative si differenzia in neuroni e questa neurogenesi tardiva permane per tutta la vita adulta. Queste cellule possono essere isolate da campioni di tessuti normali, geneticamente alterati o patologici, e indotte a propagarsi ex vivo, sotto lo stimolo di particolari molecole: il fattore di crescita epidermico (EGF, Epidermal Growth Factor) o il fattore di crescita dei fibroblasti (FGF-2, Fibroblast Growth Factor-2). Le NSC, in coltura, mostrano la capacità di sopravvivere, proliferare e di aggregarsi in gruppi cellulari isolati (chiamati neurosfere, v. sopra), costituiti prevalentemente da progenitori commissionati mescolati a neuroni e astrociti differenziati. Benché le cellule staminali siano solo una piccola parte di questa popolazione cellulare eterogenea, esse esprimono uniformemente le caratteristiche morfologiche, biologiche e molecolari dei precursori neurali e gliali. Molti esperimenti hanno dimostrato che precursori neurali isolati, coltivati per lunghi periodi e trapiantati nel cervello di animali di laboratorio, sono in grado di differenziarsi in neuroni maturi e di popolare specifiche regioni dell’SNC. Il differenziamento delle neurosfere permette di studiare la neurogenesi, il destino e il differenziamento cellulare. Queste nuove conoscenze rappresentano una grande promessa per lo sviluppo di terapie cellulari e molecolari per una varietà di malattie neurologiche.
Potenzialità terapeutiche delle NSC
I recenti approcci nel campo della ricerca sulle cellule staminali, incluse l’espansione selettiva delle NSC, l’induzione di particolari cellule neurali da cellule staminali embrionali in vitro, l’identificazione di NSC o NSC-simili nel cervello e l’identificazione delle molecole che determinano la neurogenesi adulta, hanno posto le basi per lo sviluppo di nuove terapie mirate a indurre la rigenerazione nell’SNC danneggiato (Conti, Reitano, Cattaneo 2006). Queste strategie possono essere classificate in due tipologie: l’induzione della capacità rigenerativa endogena e il trapianto di cellule esogene. Le NSC endogene sono in grado di originare nuovi neuroni in seguito a insulti; questa forma di neurogenesi seguita dalla migrazione e maturazione funzionale di cellule staminali neurali, così come la risposta delle cellule gliali e del sistema vascolare, giocano un ruolo cruciale nei meccanismi di riparazione endogena nel tessuto nervoso centrale danneggiato.
Esperimenti sempre più numerosi, invece, vengono condotti sulle NSC e sui progenitori neurali (NSPC, Neural Stem Progenitor Cells), ovvero le cellule formanti le neurosfere, isolate da tessuti cerebrali di feti umani o di modelli animali di differenti malattie neurodegenerative, per determinare le loro potenzialità terapeutiche. Dopo la loro espansione in colture a lungo termine e il trapianto nelle regioni lese del cervello, vengono valutate le funzioni sensomotorie e cognitive. I risultati indicano un notevole miglioramento neurologico da parte delle NSPC in seguito al danno e mostrano la loro abilità di migrare nelle zone lese, differenziarsi in neuroni maturi e formare sinapsi con i circuiti neuronali ospiti.
Utilizzo delle NSC nelle patologie dell’SNC
Le cellule staminali neurali e i loro precursori offrono grandi potenzialità per il trattamento di disordini neurologici. Recentemente sono state generate linee clonali di cellule umane tradotte con vettori virali codificanti fattori di crescita o molecole con effetti antitumorali. Queste cellule sono state utilizzate in modelli animali per disordini neurologici, quali malattie di accumulo lisosomiale, ictus, morbo di Parkinson, sclerosi multipla e ma;lattia di Huntington. Una volta impiantate nel cervello, le cellule sono in grado di migrare nelle regioni lese, differenziarsi in neuroni e cellule gliali e ripristinare i difetti funzionali di queste malattie neurologiche. In molti tumori cerebrali, invece, alcune di queste linee cellulari vengono ingegnerizzate per rilasciare molecole terapeuticamente bioattive, producendo un significativo effetto antitumorale nella massa neoplastica intracranica. Dal momento che queste cellule umane, geneticamente immortalizzate, si espandono con grande efficienza, si potrebbe ottenere una scorta illimitata di neuroni umani per il trattamento di pazienti affetti da malattie neurodegenerative. Purtroppo, le NSC presentano molti problemi critici da risolvere: 1) riuscire a ottenere in maniera non invasiva una quantità sufficiente di NSC per il trapianto autologo; 2) regolare la plasticità neurale di differenti NSC; 3) ottenere un corretto differenziamento nell’SNC adulto. Benché il promettente campo della ricerca sulle cellule staminali applicata alla medicina rigenerativa, alla scoperta di nuovi farmaci e ai test farmacologici sia ancora ai primordi, le sue potenzialità sembrano infinite.
Riprogrammazione cellulare
La generazione di cellule staminali multipotenti o pluripotenti direttamente da cellule somatiche ottenute dai pazienti rappresenta uno dei più recenti obiettivi della medicina rigenerativa in questi primi anni del 21° sec. (Yamanaka 2007). Le cellule staminali, come si è visto, costituiscono una promessa per il trattamento di molte malattie, come il diabete di tipo 1, la distrofia muscolare, il cancro, i disordini neurodegenerativi e cardiovascolari. Molti ostacoli, quali il controllo del destino delle cellule staminali, il rigetto allogenico e la limitata disponibilità cellulare sono da superare prima che il loro potenziale terapeutico possa essere realizzato. A questo scopo sono state ricercate piccole molecole chimiche che inducono il dedifferenziamento (riprogrammazione) cellulare e possono contribuire allo sviluppo di farmaci per la riparazione e la rigenerazione di tessuti. Fra queste molecole vi è la reversina, capace di aumentare la plasticità di differenti tipi cellulari di mammiferi (Anastasia, Sampaolesi, Papini et al. 2006). In particolare, fibroblasti murini e umani trattati con la reversina possono essere riprogrammati e differenziarsi in diversi tipi cellulari come muscolo scheletrico, sia in vivo sia in vitro. È stato dimostrato che è possibile ottenere progenitori pluripotenti da fibroblasti in cui viene forzata l’espressione ectopica dei geni c-myc, Sox2, Klf4 e Oct3/4. Gli effetti biologici della riprogrammazione cellulare suggeriscono la possibilità di identificare nuove piccole molecole capaci di innescare la potenzialità rigenerativa nei tessuti umani, conferendo loro illimitate applicazioni nel campo medico.
Bibliografia
B.A. Reynolds, S. Weiss, Generation of neurons and astrocytes from isolated cells of the adult mammalian central nervous system, «Science», 1992, 255, 5052, pp. 1707-10.
I.L. Weissman, Stem cells. Units of development, units of regeneration, and units in evolution, «Cell», 2000, 100, 1, pp. 157-68.
D. Orlic, J. Kajstura, S. Chimenti et al., Bone marrow cells regenerate infarcted myocardium, «Nature», 2001, 410, 6829, pp. 701-05.
M. Sampaolesi, Y. Torrente, A. Innocenzi et al., Cell therapy of alpha-sarcoglycan null dystrophic mice through intra-arterial delivery of mesoangioblasts, «Science», 2003, 301, 5632, pp. 487-92.
Handbook of stem cells, ed. R. Lanza, 2 voll., Boston 2004.
P. Braude, S.L. Minger, R.M. Warwick, Stem cell therapy. Hope or hype?, «British medical journal», 2005, 330, 7501, pp. 1159-60.
L. Anastasia, M. Sampaolesi, N. Papini et al., Reversine-treated fibroblasts acquire myogenic competence in vitro and in regenerating skeletal muscle, «Cell death and differentiation», 2006, 13, 12, pp. 2042-51.
L. Conti, E. Reitano, E. Cattaneo, Neural stem cell systems. Diversities and properties after transplantation in animal models of diseases, «Brain pathology», 2006, 16, 2, pp. 143-54.
F. Mavilio, G. Pellegrini, S. Ferrari et al., Correction of junctional epidermolysis bullosa by transplantation of genetically modified epidermal stem cells, «Nature medicine», 2006, 12, 12, pp. 1397-1402.
K.A. Pauwelyn, C.M. Verfaillie, Transplantation of undifferentiated, bone marrow-derived stem cells, «Current topics in developmental biology», 2006, 74, pp. 201-51.
M. Sampaolesi, S. Blot, G. D’Antona et al., Mesoangioblasts stem cells ameliorate muscle function in dystrophic dogs, «Nature», 2006, 444, 7119, pp. 574-79.
K. Takahashi, S. Yamanaka, Induction of pluripotent stem cells from mouse embryonic and adult fibroblast cultures by defined factors, «Cell», 2006, 126, 4, pp. 663-76.
A. Dellavalle, M. Sampaolesi, R. Tonlorenzi et al., Pericytes of human skeletal muscle are myogenic precursors distinct from satellite cells, «Nature cell biology», 2007, 9, 3, pp. 255-67.
S. Yamanaka, Strategies and new developments in the generation of patient-specific pluripotent stem cells, «Cell stem cell», 2007, 1, 1, pp. 39-49.
B.G. Galvez, M. Sampaolesi, A. Barbuti et al., Cardiac mesoangioblasts are committed, self-renewable progenitors associated with small vessels of juvenile mouce ventricle, «Cell death and differentiation», 2008, 15, 9, pp. 1417-28.
P. Menasché, O. Alfieri, S. Janssens et al., The myoblast autologous grafting in ischemic cardiomyopathy (MAGIC) trial. First randomized placebo-controlled study of myoblast transplantation, «Circulation», 2008, 117, 9, pp. 1189-1200.
J.C. Mountford, Human embryonic stem cells: origins, characteristics and potential for regenerative therapy, «Transfusion medicine», 2008, 18, 1, pp. 1-12.
G. Pellegrini, M. De Luca, Human embryonic stem cell-derived keratinocytes. How close to clinics?, «Cell stem cell», 2010, 6, 1, pp. 8-9.
Hanno collaborato alla stesura di questo saggio: Matilde Bongio, Marco Cassano, Giulia Coppiello, Stefania Crippa.