CERETTI, Celso
Nacque da Luigi e da Maria Malagodi il 23 genn. 1844 a Mirandola, città dove vivace era l'opposizione al regime estense. Il padre, incarcerato per i moti del '31, dette ai figli una educazione ispirata a principî democratici. Appena quindicenne, dopo aver frequentato per qualche anno il ginnasio, il C. partecipò alla seconda guerra d'indipendenza, iniziando così una esperienza d'armi che lo porterà a compiti sempre più impegnativi e a elevati gradi di responsabilità.
Questa esperienza è da lui riassunta in specie di autobiografico stato di servizio: "Nel 1859 mi arruolai e feci quella campagna. Nel susseguente 1860 e 1861 feci col grado di sergente maggiore la campagna in Sicilia e continente - nel 1862 Aspromonte - nel 1866 ufficiale del 9 reggimento - nel 1867 nell'Agro Romano - 1870 capitano nell'armata dei Vosgi - 1873 comandante di una squadra in Spagna contro i carlisti - nel 1874 segretario intimo di Ljubibratič in Erzegovina - 1875 comandante col grado di maggiore della Legione italiana in Serbia".
Questa carriera militare, che s'interrompe definitivamente con la spedizione in Serbia e chiude il primo e più importante periodo della vita del C., lo colloca nelle vicende del Risorgimento come tipico esponente del volontarismo garibaldino e, in taluni momenti, anche stretto collaboratore del generale Garibaldi. Di particolare rilievo in questo quadro la partecipazione del C. alla spedizione in Francia, nell'armata dei Vosgi, nell'autunno-inverno 1870-71, non solo per la sua azione militare nei fatti d'arme intorno a Digione, ma anche perché in quella occasione, a contatto con altri volontari di ogni parte d'Italia e con esuli di altri paesi, nel clima della guerra di difesa repubblicana, egli maturò una sua scelta politica, di democrazia avanzata con forti venature di laicismo e di socialismo. Fu infatti al ritorno dalla Francia nel 1871 che costituì nella città nativa la Associazione repubblicana e anticattolica mirandolese, con fini di istruzione e di mutua assistenza e con un programma schiettamente repubblicano e razionalista.
In questo periodo il C. entrò in relazione, tramite la sezione di Ginevra, conl'Associazione internazionale dei lavoratori che stava diffondendosi in varie parti d'Italia in seguito all'eco suscitata dalla Comune di Parigi e alla crisi che quei fatti avevano aperto nelle file mazzininiane. Nel novembre 1871, presentato dall'ex compagno d'armi Enrico Perucca di Torino, entrò personalmente in rapporti con Michele Bakunin, che allora si trovava a Locarno e conduceva una sua autonoma azione di proselitismo, in dissidio col Consiglio generale dell'Internazionale, con sede a Londra.
Nel fitto carteggio avviatosi fra il rivoluzionario russo e il suo giovane corrispondente italiano hanno largo spazio questa polemica di Bakunin contro la maggioranza marxista nell'Internazionale e la parallela polemica contro la cosiddetta "teologia politica" di Mazzini. Proprio all'indomani della morte di Mazzini Bakunin inviava al C. una lunga lettera (12-27 marzo 1872), che costituisce la più diffusa e articolata esposizione delle sue idee a riguardo della situazione sociale e politica italiana. In effetti, in questo momento, il C., insieme a Ludovico Nabruzzi di Ravenna, Erminio Pescatori di Bologna e Vincenzo Pezza di Milano costituiva uno dei poli della influenza bakuniniana nell'Italia settentrionale.
Fin dall'agosto 1871 il C. a nome della Associazione repubblicana e anticattolica mirandolese e in accordo con altre due associazioni - la Giovane democrazia di Mantova e la Società dei reduci di Verona - si era fatto promotore di un "congresso democratico" allo scopo di riunire in un movimento unitario le sparse forze internazionaliste, repubblicane e razionaliste. A questo fine aveva tenuto rapporti con Garibaldi e con Luigi Stefanoni, direttore della rivista IlLibero pensiero e guida dell'omonimo movimento, i quali avevano avanzato analoghe proposte. Solo Mazzini aveva dissentito da questi progetti di unificazione e all'invito del C. aveva risposto con riserve sull'opportunità di fondere correnti troppo eterogenee e con critiche all'iniziativa.
Ora, nella primavera del 1872, grazie anche alle sollecitazioni di Bakunin, la proposta del C. venne fatta propria dalle sezioni dell'Internazionale che cercavano un loro punto di coagulo, e si concentrò nel progetto di una conferenza costituente di una Federazione italiana dell'Associazione internazionale dei lavoratori (Rimini, 4-6 ag. 1872). Il C. fu uno dei più attivi organizzatori della conferenza, come appare dalle sue corrispondenze pubblicate sul giornale La Favilla di Mantova e a Rimini venne chiamato a far parte della Commissione di statistica della neonata organizzazione.
Poichè la conferenza di Rimini aveva deciso la rottura col Consiglio generale di Londra, controllato da Marx e da Engels, e l'adesione ad un controcongresso "anti-autoritario" da tenersi in Svizzera in contrapposizione a quello convocato all'Aia dal Consiglio generale, il C. ebbe un momento di perplessità, superato solo dopo un energico intervento epistolare di Bakunin e di Cafiero a metà agosto 1872. Subito dopo scoppiò il caso di Carlo Terzaghi, un internazionalista torinese, direttore del giornale Il Proletario, prima sospettato e poi posto sotto accusa come confidente della polizia. Il C. fu uno degli accusatori nel corso dell'inchiesta condotta da Carlo Cafiero e conclusasi con l'espulsione dell'inquisito dall'Internazionale.
Mentre stava curando l'organizzazione del secondo congresso della Federazione italiana che avrebbe dovuto svolgersi a Mirandola nel marzo 1873, il C. venne tratto in arresto proprio alla vigilia del congresso, vietato dalle autorità (ma si tenne ugualmente, in forma clandestina, a Bologna). Ne seguì un processo che coinvolse come coimputati nell'accusa di cospirazione contro la sicurezza interna dello Stato anche il democratico Luigi Castellazzo e il giovane repubblicano Luigi Bramante, di San Giovanni Rotondo (Foggia), entrambi vicini idealmente anche se non aderenti all'Internazionale.
Solidale con gli arrestati, rinchiusi per alcuni mesi nelle carceri di S. Eufemia a Modena, si pronunciò Giuseppe Garibaldi e il procedimento si risolse con un proscioglimento in istruttoria. Appena liberati il C. e i suoi compagni di pena inviarono una lettera a Garibaldi, di protesta contro l'arresto e la detenzione, che venne pubblicata dalla stampa democratica (fra gli altri da LaFavilla del 4 sett. 1873).
Dopo questo episodio iniziò un graduale distacco del C. dall'Internazionale. Anche i suoi rapporti personali con Bakunin si interruppero ed egli riprese la sua posizione di "conciliatore" fra le differenti forze della Sinistra antimonarchica, anche ai fini di un comune tentativo di moto insurrezionale. Come scriveva al conterraneo Angelo Umiltà esule in Svizzera, in data 12 febbr. 1874, egli restava fedele in teoria "ai principî di puro socialismo", critico nei confronti del programma mazziniano, ma, aggiungeva: "in pratica poi conosco non essere possibile la riforma sociale se prima non si ottengono i diritti politici, per questo sto coi repubblicani" (in Bakunin..., 1977, p. 108).
In questa frase risiedono i motivi della crisi del C., ora aggravata dall'indirizzo apertamente insurrezionistico preso dalla Federazione italiana nella primavera-estate 1874 con i noti moti di Romagna e di Bologna: iniziativa che il C. - che pure non era stato estraneo al tentativo di intesa coi repubblicani stroncato dagli arresti di Villa Ruffi - criticò pubblicamente in una lettera del 24 ag. 1874 a La Favilla di Mantova (n. del 26 agosto), di cui fu collaboratore negli anni 1872-74. Tuttavia l'allontanamento dall'Internazionale non significò una attenuazione del suo impegno rivoluzionario che si concretò in due operazioni fuori d'Italia - in Spagna e in Serbia - nella tradizione iniziata nel 1870 con la spedizione in Francia.
Il C., che già nel luglio 1872 aveva inviato un pubblico indirizzo ai socialisti spagnoli (La Plebe, 13 luglio 1872), accorse nel '73 in Spagna con un nucleo di giovani emiliani, repubblicani e internazionalisti, per difendere la prima repubblica, insidiata sempre più minacciosamente dalle sedizioni dei monarchici carlisti. Ma al momento del suo arrivo in Spagna le istituzioni repubblicane agonizzavano sotto l'urto delle forze conservatrici e restauratrici. Il tentativo dei volontari italiani si ridusse perciò ad un atto puramente simbolico di solidarietà. Più fortunata la spedizione in Erzegovina e poi in Serbia dove era scoppiata l'insurrezione contro i Turchi: movimento strettamente nazionale e non a fondo democratico-sociale come quello spagnolo. Malgrado ciò insieme col C. giunsero nei Balcani parecchi internazionalisti: il fratello Arturo, Alceste Faggioli, Giuseppe Barbanti Brodano che su questa esperienza scrisse un libro di ricordi (Su la Drina. Ricordi e studi slavi, Milano 1878), il piacentino Giuseppe Berni, caduto in Macedonia, Errico Malatesta. Il C. svolse un ruolo importante nelle vicende militari dell'insurrezione e poi della guerra nazionale serba, fra l'altro come consigliere del comandante Mico Ljubibratić (cfr. le corrispondenze del C. su La Minoranza di Reggio Emilia, 1875-1876).
Rientrato in Italia nel 1876, costituitasi una famiglia, assorbito da necessità e da interessi di lavoro (si occupò prima di una modesta attività commerciale e poi della rappresentanza della Navigazione generale italiana), il C. interruppe quasi del tutto la sua azione politica. È di questo periodo la sua adesione alla massoneria che coincide anche per qualche altro internazionalista con un avvicinamento alla democrazia radicale.
Del resto egli era sempre stato un mediatore fra il garibaldinismo e l'internazionalismo, favorendo con questo suo ruolo la diffusione delle idee socialiste in Italia e il passaggio di molti giovani repubblicani sotto le bandiere dell'Internazionale. La frase famosa di Garibaldi "L'Internazionale è il sole dell'avvenire", contenuta appunto in una lettera di Garibaldi a lui diretta, divenne la sua insegna. Egli fu uno dei maggiori tramiti attraverso cui le idee di Bakunin, trasmesse nella forma di lettere-circolari, arrivarono e si diffusero in Italia ma, pur avendo grande considerazione per il rivoluzionario russo e conservando nei suoi confronti un senso di venerazione per tutta la vita, non si integrò mai al suo programma politico. Pur proclamandosi socialista non accettò mai completamente e incondizionatamente il programma degli internazionalisti italiani; mantenne delle riserve e le rese esplicite dichiarando, ad esempio, in una lettera pubblicata su La Libertà di Pavia del 5 ag. 1874 - proprio nei giorni dei moti di Romagna - la propria adesione al metodo elettorale e rifiutando l'astensionismo. Egli non ripudiò mai una concezione latamente democratica e intese il socialismo come una sua più vasta e più vera esplicazione.
Nel lungo periodo che coincide col secondo trentennio della sua vita il C. in un solo momento fu protagonista di un episodio politicamente rilevante. Fu quando Amilcare Cipriani, uscito da poco dal bagno penale e trasferitosi a Parigi, prese l'iniziativa di una Lega dei popoli latini, in chiave palesemente polemica contro la politica triplicista del governo italiano e in un momento di grave tensione diplomatica fra i governi di Roma e di Parigi, con pericoli di guerra aperta. Il C. si sentì vicino alle posizioni di Cipriani e nel 1888 fondò a Mirandola un giornale dal titolo Il Sole dell'avvenire, con un programma libertario e umanitario. La propaganda del C. non piacque ad un gruppo di anarchici italiani a Parigi che contrastavano violentemente il Cipriani con libelli e manifesti. Del gruppo facevano parte illegalisti ed "espropriatori" e due di questi, di origine reggiana, Vittorio Pini e Luigi Parmeggiani, vennero in Italia per punire con la morte il C. e il socialista Camillo Prampolini che con l'iniziativa del primo aveva simpatizzato. Col Prampolini l'attentato andò a vuoto ma riuscì col C. che rimase ferito (14 febbr. 1899).
L'attentato fece molta impressione in tutta la Sinistra e al C. giunsero attestati di simpatia e di solidarietà da parte di repubblicani, radicali, socialisti e anarchici. Dei due aggressori il Pini venne di lì a poco arrestato dalla polizia francese e, condannato anche per altri reati, morirà alla Caienna nel 1903, mentre il Parmeggiani, avendo il C. rifiutato per ragioni di principio e di umanità di costituirsi parte civile, riuscì a strappare una assoluzione ai giudici di Londra, dove si era rifugiato.
Nei suoi ultimi anni di vita il C., trasferitosi a Ferrara e ormai appartatosi dalla vita pubblica, dette solo saltuariamente qualche segno di continuità politica col suo passato, collaborando alla stampa anarchica e socialista, con lettere e ricordi (ad es. su La Libertà di Bologna [6 febbr. 1898 e ss.]; e cfr. il Discorso di C. C., tenuto in Sermide presso la Società dei Reduci il 19 marzo 1883, s.l. né d.), mantenendo contatti epistolari con i vecchi compagni come Malatesta, Merlino, Cipriani, Barbanti Brodano. Nel 1905 venne insignito della medaglia d'oro dal governo serbo per le benemerenze acquistate nella campagna del 1875.
Il C. morì a Ferrara il 12 genn. 1909, Amilcare Cipriani lo ricordò sull'Humanité (n. del 17 gennaio) come "un vaillant socialiste révolutionnaire, un convaincu, un probe, un honnête, un héros, qui a su par sa vie exemplaire s'attirer l'estime de tous et, d'une façon toute particulière, celle du grand Garibaldi, qui ne l'accordait pas facilement au premier venu".
Fonti e Bibl.: International Institut voor Sociale Geschiedenis, Amsterdam, Archives Bakounine, a cura di A. Lehning-A. J. C. Rüter-P. Scheibert, I, Michel Bakounine et l'Italie (1861-1872), Leiden 1963, ad Indicem; II, Michel Bakounine et les conflitsdans l'Internationale (1872), ibid. 1965, ad Indicem; P. C. Masini, LaPrima Internaz. in Italia nelle carte dei fratelli Ceretti, in Movim. operaio e socialista, XI (1965), pp. 41-80; Un ined. di Bakunin inmorte di Mazzini, a cura di A. Colombo, in Annali dell'IstitutoGiangiacomo Feltrinelli, XIV (1972), pp. 175-183; C. C. (con unalett. a Paride Suzzara Verdi), in Contributi (Reggio Emilia), luglio-dic. 1977, pp. 73-85; Bakunin e la Prima Intern. in Emilia. Mostra docum. Reggio Emilia... 1977, Reggio Emilia 1977, pp. 39-48, 73, 75, 96, 103 s., 108 s.; M. Nettlau, Bakunin e l'Intern. in Italia dal 1864 al 1872 (con pref. di E. Malatesta), Ginevra 1928, ad Ind.; R. Zangheri, C. C. e la crisi delle formaz. democr. del Risorgimento, in Fatti e teorie, V (1950), 11-12, pp. 34-39; Id., C. C. e la crisi della democraziadopo l'Unità, Ravenna 1951; A. Romano, Storia del movimentosocial. in Italia, Milano-Roma 1955, ad Indicem; P. C. Masini, Storia degli anarchici ital. Da Bakunin a Malatesta (1862-1892), Milano 1969, ad Indicem; F. Andreucci-T. Detti, Il movimentooperaio ital. Dizionario biografico, II, s. v.