Mancini, Celso
Filosofo e scrittore politico (Ravenna 1542 - Alessano, od. prov. Lecce, 1612). Entrò (1555) tra i canonici lateranensi di S. Maria in Porto e conseguì un dottorato a Padova (1565), dove poi insegnò filosofia e teologia negli istituti della congregazione. Frutto di questo insegnamento è l’opera, aristotelica per dottrina e metodo, De cognitione hominis, quae naturali lumine haberi potest (1586). Nel 1590 fu chiamato da Alfonso II d’Este alla cattedra di filosofia morale nello studio di Ferrara. Trasferitosi poi a Roma, vi scrisse e pubblicò (1596), a sostegno del pontificato romano, il De iuribus principatuum, grazie al quale ottenne il vescovato di Alessano. Per quest’opera, scritta anche per confutare le tesi di Bodin, Botero e Lipsio – delle cui idee peraltro risente –, M. viene collocato fra gli scrittori politici della Controriforma fautori di una «cristiana ragione di Stato», secondo i rinnovati concetti della scuola tomistica. Da essi, tuttavia, M. si distingue per il suo realistico interessamento alla vita economica dello Stato.