CEMENTO ARMATO (IX, p. 714; App. II, 1, p. 552)
ARMATO Calcolo. - Rottura per flessione. - Il metodo di calcolo tradizionale, detto metodo "n", applicato con successo fin dall'origine del cemento armato, è ancora correntemente adottato ed è contemplato da tutte le regolamentazioni. Peraltro il calcolo a rottura presenta interesse in alcuni casi e principalmente per le travi fortemente armate o con l'impiego di acciai ad elevata resistenza. E fra i varî procedimenti di calcolo a rottura è prevalso quello che fa astrazione dal rapporto dei moduli "n".
La rottura di una trave in cemento armato si produce in tre modi diversi, a seconda della percentuale di armatura, distinguendo tale percentuale in debole, normale e forte.
Con armatura debole la sezione cede per rottura dell'acciaio; con armatura normale per rottura del conglomerato a seguito dei forti allungamenti della armatura, essendo superato in questa il carico di snervamento; con forte armatura per rottura del conglomerato quando la tensione in essa si mantiene ancora nel campo elastico.
Nel primo caso il calcolo a rottura ha scarso interesse. Anche nel secondo, ossia con percentuale normale, il calcolo a rottura è superfluo, se considerato come verifica, poiché non va dimenticato che lo stesso metodo di calcolo classico è già un metodo a rottura (si prescinde dal conglomerato teso).
Il momento di rottura della sezione in questi due primi casi si esprime con la formula approssimata:
ove ωf è l'area complessiva della sezione dell'armatura; Rf il carico di rottura dell'acciaio (secondo alcuni autori viene sostituito dal carico di snervamento aumentando così tacitamente il grado di sicurezza); t il braccio delle forze interne, cioè il braccio della coppia T, Pr (v. fig.1) (T e lo sforzo di trazione nell'armatura metallica, Pr il risultante delle tensioni normali di compressione nel calcestruzzo).
Se si esegue il calcolo della sezione con il metodo classico, ponendo per l'armatura la metà del carico di snervamento, come prescritto dalle norme italiane, la [1] fornisce un momento di rottura poco superiore al doppio di quello di esercizio, essendo il braccio delle forze interne a rottura lievemente maggiore che non in fase di esercizio e la tensione a rottura dell'acciaio pure maggiore di quella di snervamento. Quindi non si intravedono vantaggi ad impiegare il calcolo a rottura poiché il risultato di questo è prevedibile dallo stesso calcolo in fase di esercizio.
Il calcolo a rottura consente invece di analizzare meglio le riserve di sicurezza delle sezioni aventi una elevata percentuale di armatura tesa. Aumentando infatti le armature metalliche tese in una assegnata sezione inflessa, si constata sperimentalmente un aumento della resistenza molto maggiore di quello che sarebbe prevedibile in base al calcolo classico. Il calcolo a rottura conduce in questi casi a risultati più aderenti alla realtà.
Il calcolo in questione consiste in definitiva nell'ipotizzare la forma del diagramma delle σc (v. cemento armato, App. II,1, p. 552) in prossimità della rottura; la tendenza attuale è di ammettere un diagramma parabolico con valore massimo al lembo compresso nella sezione, pari alla resistenza prismatica Rc del conglomerato, per quanto l'esperienza mostri che il massimo non si verifica al lembo della sezione ma più internamente. Infatti dal diagramma tensione-deformazione di un provino di conglomerato, risulta una sensibile caduta di tensione all'approssimarsi della deformazione di rottura.
L'espressione più generale del momento di rottura è:
dove b è la larghezza della zona compressa, supposta rettangolare, e d l'altezza utile; il coefficiente γ risulta dalla relazione:
In questa ultima è K = y/d cioè K indica il rapporto fra l'altezza del rettangolo compresso e quella utile della sezione (fig. i); α = 2/3 e ν = 3/8 sono rispettivamente il coefficiente di forma e quello di posizione del risultante per un diagramma parabolico delle tensioni normali σc. E poiché viene sempre ammessa l'ipotesi della conservazione delle sezioni piane risulta:
Ciò posto si pone il problema di progettare la armatura necessaria (che per l'ipotesi fatta è tesa in fase di esercizio al disotto del carico di sicurezza) a conseguire un determinato momento di rottura.
Detto η il coefficiente di sicurezza richiesto a rottura (2,2 secondo il nuovo regolamento italiano) ed M il momento di esercizio, ponendo nella [2] Mr = ηM, ed il valore di γ fornito dalla [3], se ne ricava:
D'altronde, per essere εc = εcr = ~ 3,5‰ la deformazione massima consentita nell'armatura, risulta, dalla [4]:
dal diagramma tensione-deformazione dell'acciaio si legge la tensione σf1 corrispondente ad εf1 e quindi si calcola l'armatura necessaria:
Si può in altro modo più semplice, e sufficientemente approssimato, valutare l'aumento di resistenza della sezione ottenibile con un aumento di armatura, seguendo ancora il calcolo classico ed ammettendo una maggiorazione del carico di sicurezza del conglomerato, nella fase di esercizio, espressa da una formula del tipo:
dove σf0 è il carico di sicurezza dell'acciaio impiegato e σf la minore tensione adottata in fase di esercizio.
Il regolamento italiano suggerisce il valore ξ = 0,05 con le limitazioni che non venga superato il 40% della resistenza cubica del conglomerato a 28 giorni e comunque il valore di 140 kg/cm2.
Alcuni autori hanno proposto il criterio equivalente di adottare una tabellazione dei carichi di sicurezza in rapporto alla percentuale di armatura della sezione.
Per la verifica a rottura delle sezioni fortemente armate, essendo valida la relazione di proporzionalità
dalle [6] e (7] si ricava K e quindi dalla [2] il momento di rottura.
Qualora si abbia anche armatura in compressione essa collabora scarsamente con il conglomerato in prossimità della rottura, talché Chambaud raccomanda di fare assegnamento solo sulla metà dell'area di questa ed al massimo sulla tensione di snervamento, ossia considera una forza aggiunta
Il corrispondente incremento del momento di rottura è
dove t′ è la distanza dell'armatura aggiunta in compressione da quella tesa. Vanno di conseguenza modificate le [2] e (3].
Nel caso di sollecitazione composta di flessione e sforzo normale il calcolo a rottura è indeterminato in quanto si hanno due variabili: lo sforzo normale è la sua eccentricità. Occorre quindi fissare o il valore di K o la eccentricità.
Fessurazione. - Si è detto che l'adozione del calcolo a rottura può apportare vantaggi economici nel caso di impiego di acciai ad alta resistenza. Aumentando il valore degli allungamenti unitarî nella zona tesa, occorre peraltro controllare che non si producano nel conglomerato fessurazioni nocive per la insufficiente protezione delle armature dalla corrosione.
Per chiarire il fenomeno della fessurazione si consideri una barra di conglomerato rettilinea con armatura centrata (fig. 2 a). Si pensi di sottoporre la barra ad una forza di trazione F gradualmente crescente. In una sezione sufficientemente distante dagli estremi dapprima la trazione si ripartisce tra acciaio e conglomerato in ragione dei moduli (la parte tratteggiata in fig. 2 b è assunta dall'acciaio).
Al crescere dalla forza F viene vinta la resistenza a trazione del conglomerato e questo si fessura in una sezione x-x (la cui ubicazione potrà essere eventualmente determinata da una eterogeneità costruttiva). In tale sezione lo sforzo Fmax è sopportato allora dalla armatura (fig. 2 c).
Affinché si produca la lesione occorre che, vinta l'aderenza nell'intorno della fessura microscopica iniziale, si verifichi uno scorrimento tra acciaio e conglomerato (nel caso che non vi fossero scorrimenti la lesione non potrebbe rendersi visibile in regime di tensioni elastiche dell'acciaio).
Ipotizzando con il Brice che l'aderenza sia costante, gli sforzi nel conglomerato e nell'acciaio risultano variabili linearmente nell'intorno della lesione e analogamente in prossimità delle sezioni di estremità, e se a è l'aderenza e p = Σπd il perimetro totale delle armature, la lunghezza del tratto a cavallo della lesione, nel quale si produce scorrimento, risulta legata alla forza F dalla relazione
essendo la sommatoria estesa ai tondini di diametro d.
Alla prima lesione ne succedono immediatamente altre, essendosi raggiunta la resistenza a trazione del conglomerato lungo tutta la barra. L'interasse delle lesioni è in generale variabile ma comunque non superiore ad lmax ed il diagramma di ripartizione degli sforzi fra conglomerato ed acciaio assume l'aspetto indicato in figura 2d.
Poiché l'ampiezza della lesione è pari alla differenza fra l'allungamento del conglomerato e quello dell'acciaio nel tratto di scorrimento, è evidente che essa sarà tanto minore quanto minore sarà il tratto di scorrimento che le compete ed in definitiva quanto più ravvicinate, e quindi numerose, saranno le lesioni; in ogni caso infatti la somma delle ampiezze di tutte le lesioni è una costante per un determinato valore della tensione nell'armatura.
L'esperienza mostra che l'interasse delle lesioni varia fra lmax ed 1/2 lmax e quindi può considerarsi in media pari a 0,75 lmax.
Dalla espressione [11] si ricava poi che la lunghezza massima di scorrimento si riduce se viene accresciuto il perimetro della armatura (adottando tondi di diametro inferiore a parità di area totale); lo stesso risultato consegue pure da un aumento dell'aderenza.
Di qui la opportunità di produrre una rugosità della superficie delle barre di acciaio ad alto limite elastico per poterne sfruttare le caratteristiche di resistenza. Tali acciai si chiamano, anche per tale ragione, "ad aderenza migliorata".
Peraltro l'aderenza non dipende solo dalla rugosità delle barre, ma anche dalla qualità del conglomerato, dalla distanza dalle pareti del getto (è tanto minore quanto più l'armatura è vicina alle pareti esterne), inoltre aumenta con una staffatura più densa.
Se si applica la [11] ad una trave inflessa da un momento costante: M = Fmaxt, essendo t il braccio delle forze interne, risulta
Wt è il modulo di resistenza della trave rispetto al lembo teso e Rct è la resistenza a trazione del conglomerato (circa 1/12 di quella a compressione); se si trascura l'allungamento del conglomerato la ampiezza massima delle lesioni, che si verifica per le lesioni distanti tra loro di lmax risulta:
dove σf è la tensione nell'armatura, di area ωf, in corrispondenza della lesione.
Poiché non si è tenuto conto del ritiro conviene aumentare del 20% il valore fornito dalla [13].
Brice esprime l'aderenza con la formula:
dove K è un coefficiente dipendente dalla forma delle barre: K = 1 per barre lisce, K variabile tra 1,5 e 2 per barre sagomate (il valore va ricavato sperimentalmente per ogni tipo di barra mediante rilevamento dell'interasse tra le lesioni) sf ed sc sono spessori di acciaio e di conglomerato lungo percorsi minimi con tratti normali alle pareti del getto, come segnato in fig. 2 e.
Il Comité Européen du Béton (CEB), un comitato di studio costituito nell'intento di redigere, in base a ricerche teoriche e sperimentali, una regolamentazione internazionale, ha definito come dannose le seguenti ampiezze delle lesioni: strutture interne protette: 0,30 mm.; strutture esterne 0,20 mm.; strutture in ambiente aggressivo: 0,10 mm.
Rottura per flessione e taglio. - Le condizioni di rottura sotto l'azione combinata di flessione e taglio, come ad esempio per le sezioni sugli appoggi intermedi di travi continue appaiono in parte diverse da quelle che si verificano nel caso di flessione pura.
Il fenomeno non è peraltro ben conosciuto allo stato attuale, sia per scarsa sperimentazione, sia perché esso è influenzato da un elevato numero di parametri difficilmente inquadrabili in una formulazione. Comunque le prime lesioni si manifestano ancora ove la trazione principale raggiunge la resistenza del conglomerato.
Qualora predomini il taglio sulla flessione esse hanno inizio in prossimità del baricentro della sezione, con inclinazione prossima a 45° e ne segue una ridistribuzione degli sforzi nel conglomerato, di natura del tutto incognita, per cui il reticolo delle lesioni si diffonde assumendo aspetti strettamente dipendenti dal modo come sono applicati i carichi e dalla stessa forma della sezione.
Nel caso delle travi a doppio T le ali collaborano efficacemente alla resistenza, dopo la forte fessurazione dell'anima ma, al crescere del carico esterno, una lesione si distingue per ampiezza estendendosi alla zona compressa della trave (fig. 3) provocandone il collasso (rottura per taglio). Quando vi sia una armatura resistente al taglio il collasso si verifica solo dopo raggiunto lo snervamento dell'armatura.
Lo schema del comportamento di questa è in definitiva quello ipotizzato da Mörsch, già utilizzato per il calcolo in fase di esercizio, che affida lo sforzo di taglio ad un sistema reticolare di tiranti metallici e di bielle compresse in conglomerato.
Alla rottura si producono in dette bielle elevate compressioni, molto superiori a quelle che si avrebbero in assenza di fessurazione (oltre il doppio), anche a causa di eccentricità degli sforzi. In un calcolo a rottura non va quindi trascurata la possibilità di cedimento delle bielle.
Chambaud dà la formula del taglio di rottura, in assenza di armatura:
essendo ωc l'area della totale sezione retta della trave ed Rct la resistenza a trazione del conglomerato.
Nel caso di rottura per flessione e taglio, con predominio della flessione, la fessurazione inizia dal lembo teso della trave per proseguire inclinata come indicato nella fig. 4 fino in prossimità dell'asse neutro. Se non vi è armatura per taglio la resistenza è offerta esclusivamente dalla zona compressa i cui diagrammi teorici delle tensioni normali σc tangenziali τ sono indicati in figura 5.
Al crescere dei carichi esterni si perviene al collasso per rottura del conglomerato, come nel caso della flessione pura, ma per uno sforzo risultante sulla zona compressa che, per la presenza del taglio, è inferiore a quello per flessione pura. Pertanto, come nella flessione, la rottura ha inizio per lesioni di trazione e si compie per schiacciamento del conglomerato. Il corrispondente momento dicesi momento tagliante di rottura.
La presenza di armature a taglio riduce in prossimità della rottura le tensioni tangenziali sulla zona compressa e quindi aumenta il valore del momento tagliante di rottura.
Tutto ciò fornisce solo l'aspetto qualitativo del fenomeno e mostra quanto sia difficile esprimere in formule la resistenza a rottura di una sezione sottoposta a flessione e taglio.
Le scarse esperienze eseguite sono relative a travi appoggiate, sottoposte a due carichi simmetrici (fig. 6) e pongono in evidenza la notevole influenza che ha sulla rottura il rapporto tra la portata di taglio a e l'altezza utile della sezione d.
Il CEB in base ai risultati sperimentali distingue tre casi di rottura. Per a 〈 4 d si perviene alla fessurazione dell'anima non appena le trazioni principali raggiungono la resistenza del conglomerato ed alla rottura per il momento tagliante espresso dalla formula:
essendo t il braccio delle forze interne, b la larghezza della zona compressa ed Rc la resistenza prismatica del conglomerato in Kg/cm2.
Per 4d 〈 a 〈 6,5d la fessura obliqua di rottura appare quando il momento flettente supera il valore sopra indicato e pertanto si ha l'immediato collasso della trave.
Per a > 6,5d si raggiunge la rottura per flessione.
Nella fig. 7 appare un tentativo di Walther di schematizzare, sulla scia degli studi di Mörsch, il meccanismo della rottura per momento tagliante. Si vede che l'ipotesi della conservazione delle sezioni piane è abbandonata. Egli adotta il diagramma rettangolare per la zona compressa (plasticizzazione perfetta) con un valore di Rc inferiore a quello della flessione pura, appunto per tenere conto della riduzione di resistenza per la presenza della tensione tangenziale.
Per il calcolo a rottura delle staffe nel caso di taglio predominante, supponendo che l'andamento delle lesioni sia quello indicato in fig. 8 a, lo sforzo di taglio Vr assorbito a rottura dalle staffe, risulta
essendo σfs la tensione di snervamento dell'acciaio e ωf la sezione complessiva di una staffa.
Le staffe offrono un momento
che riduce lo sforzo di trazione nella armatura longitudinale.
Quando la rottura avviene per momento tagliante l'andamento delle lesioni di rottura è quello di fig. 8 b sicché lo sforzo assorbito dalle staffe è:
essendo V il taglio esterno. La differenza tra il taglio esterno e lo sforzo assorbito dalle staffe viene affidata al conglomerato compresso.
Strutture in cemento armato eseguite nell'ultimo decennio. - Tra le numerosissime opere di rilievo costruite in c. a. negli ultimi anni citeremo in particolare la copertura del Palazzo delle Esposizioni delle Industrie a Parigi (Esquillan), le strutture del Palazzo dello Sport a Roma (P. L. Nervi) e un serbatoio da 3.500 m3 costruito nel Marocco su progetto di E. Torroja (v. figg.1, 2, 3, delle tavv. f. t.). La copertura del Palazzo delle Esposizioni a Parigi è formata da una doppia volta sottile nervata autoportante ad elementi prefabbricati. Essa ha pianta triangolare con lato di 218 m poggiante in corrispondenza dei tre vertici, che sono collegati da tiranti in conglomerato precompresso.
Il Palazzo dello Sport a Roma ha una cupola con un diametro di 98 m (alla base dei sostegni) e che è formata da elementi radiali ondulati prefabbricati e sovrastante soletta gettata parzialmente in opera.
Cemento armato precompresso (App. II,1, p. 555, paragrafo calcestruzzo precompresso). - Verifica a rottura. - Nel caso delle strutture in cemento armato precompresso le condizioni di esercizio e quelle che precedono la rottura sono totalmente diverse in quanto in esercizio la generica sezione trasversale è tutta reagente, mentre si perviene alla rottura attraverso la parzializzazione. Di qui la particolare importanza che assume la verifica a rottura delle sezioni in cemento armato precompresso.
Il calcolo a rottura non differisce sostanzialmente da quello già visto per il cemento armato ordinario.
Nel c.a.p. alle deformazioni prodotte dal carico esterno si sovrappongono quelle di precompressione ε̄c ed ε̄f talché le deformazioni totali dei materiali: acciaio e conglomerato, sono diverse per una stessa fibra. Nella fig. 9 è indicato in ABEI il diagramma trapezio, di precompressione (ε̄c e εca sono le dilatazioni al lembo superiore della sezione c in corrispondenza dell'armatura pretesa, di cui è ε̄f la dilatazione iniziale). Intervenendo un momento esterno M, questo dà luogo a un nuovo diagramma, intrecciato, di deformazione, che si sovrappone al precedente, e si ha un diagramma risultante ACFI, anch'esso intrecciato. Dalla similitudine dei triangoli ANC e AIC′ si ricava l'espressione del coefficiente di posizione dell'asse neutro
In questa, ε′cM e εcM = εfM indicano le dilatazioni indotte da M al lembo superiore della sezione e in corrispondenza dell'armatura; tutte le dilatazioni sono considerate in valore assoluto.
Peraltro con percentuali normali di armatura, ossia quando il collasso avviene per cedimento del conglomerato, a seguito dei forti allungamenti dell'armatura, il momento di rottura è dato da una formula particolarmente semplice, analoga alla [1]
dove ωf è l'area della armatura pretesa ed Rf è la sua resistenza, ωfa l'area della armatura aggiunta non pretesa e σfs la sua tensione di snervamento, α un coefficiente tanto più vicino all'unità quanto minore è la percentuale μ di armatura (il regolamento italiano indica α = 0,95 per μ = 0,25 e α = 0,9 per μ = 0,40, con variazione lineare).
La formula [21] discende dalla constatazione che al crescere del carico esterno, prima che sia raggiunta la rottura dell'acciaio preteso, nelle armature aggiunte si perviene sicuramente al carico di snervamento, se non a quello di rottura.
Infatti anche se le armature pretese hanno in più, rispetto a quelle aggiunte, la deformazione elastica di pretensione, le successive deformazioni plastiche che intervengono prima della rottura sono ben maggiori di quelle richieste dall'acciaio per raggiungere la tensione di snervamento. In altre parole: le deformazioni elastiche di pretensione perdono di importanza rispetto a quelle plastiche di rottura.
La [21] mostra chiaramente come il carico di rottura possa essere aumentato mediante armature non pretese, il che può risultare economico per il minor costo di queste rispetto agli acciai da precompresso.
Il caso di forte armatura, peraltro assai raro nel c.a.p. si risolve ancora con il procedimento indicato per il c.a. ordinario e tenuto conto della [20]. Il valore di K si ottiene dalla relazione
e quindi il momento di rottura dalle [2] e [3].
Calcolo del taglio. - Le tensioni principali di trazione, che nel c. a. sono uguali in valore assoluto a quelle di taglio massimo (nel calcolo convenzionale), nel c.a. p. vengono ridotte dalla precompressione (v. App. II,1, p. 555).
Le massime trazioni non si verificano più in corrispondenza della fibia baricentrica, ove il taglio è massimo, poiché dipendono anche dalla forma del diagramma di pressione (nelle sezioni a doppio T la massima trazione si verifica in generale all'attacco di una soletta all'anima). Tuttavia, per semplicità di calcolo, si suole eseguire la verifica solo per la fibra baricentrica.
Inoltre l'inclinazione dei cavi riduce la forza tagliante esterna, ma va rilevato che sia il σmin, sia il taglio totale V = Ve − Ã, (Ve è il taglio per carichi esterni e à quello per precompressione trasversale), non variano proporzionalmente al crescere dei carichi esterni talché occorrerebbe verificare la sicurezza della struttura mediante un calcolo a rottura. Ad esempio se la componente trasversale V fosse la metà di Ve, ad un raddoppio del carico esterno il taglio risultante si triplicherebbe.
Come già detto per il c. a. ordinario, non si hanno allo stato attuale elementi sufficienti per impostare il calcolo a rottura talché ci si deve accontentare di fare assegnamento con prudenza sulla riduzione degli effetti taglianti dovuti alla precompressione.
Un criterio semplicistico è quello adottato dalla regolamentazione italiana di introdurre nei calcoli solo una percentuale della precompressione (i 2/3). Riducendosi allora la pressione normale aumenta il valore assoluto delle σmin ed aumenta anche la forza di taglio risultante, per il ridursi della componente trasversale della precompressione (tale ultima riduzione va naturalmente applicata solo in quanto riduca effettivamente il valore assoluto del taglio risultante).
Quando la trazione principale supera il carico di sicurezza a trazione del conglomerato (3 kg/cm2 secondo le norme italiane) l'interasse delle staffe va calcolato con la formula
essendo
e σ la compressione ridotta come detto (σ e τ in corrispondenza dell'asse baricentrico).
Sistemi staticamente indeterminati. - Nelle strutture iperstatiche la precompressione fa insorgere delle reazioni vincolari che generano un ulteriore stato di sollecitazione in aggiunta a quello di precompressione che sarebbe prodotto dai cavi sulla stessa struttura liberata dai vincoli iperstatici.
Ad esempio, nella trave della fig. 10, precompressa da un cavo risultante rettilineo (si dice cavo risultante quello equivalente a tutti i cavi della trave), la linea d'asse si deforma secondo un arco di cerchio come indicato in fig. 10 a); ma se l'estremo è vincolato (fig. 10 b) nasce una reazione di iperstaticità talché la linea delle pressioni si discosta dal cavo risultante per passare nella posizione A′-B. In una trave continua la linea delle pressioni si sposta dal cavo risultante, come indicato in fig. 11, a seguito delle reazioni di iperstaticità sugli appoggi.
Peraltro se il cavo risultante ha andamento tale da non provocare deformazioni in contrasto con i vincoli sovrabbondanti, tutto resta come se la struttura fosse isostatica e la linea delle pressioni coincide con il cavo risultante.
Un cavo che abbia questo andamento particolare viene detto cavo concordante (Guyon). Per ogni struttura si hanno più cavi concordanti. Si constata al riguardo che il diagramma dei momenti di una struttura iperstatica per qualsiasi sistema di carichi, e disegnato in qualsiasi scala, fornisce il tracciato di un cavo concordante.
Va aggiunto peraltro che non sussistono ragioni di convenienza statica per adottare un cavo concordante; la considerazione di questi può solo agevolare il procedimento di progettazione. Si può infatti partire da un cavo concordante e passare ad altro non concordante, ma rispondente meglio alle esigenze costruttive: ove si operi una traslazione del cavo mantenendo fissi i punti di ancoraggio dei cavi e la loro curvatura, lo stato di sollecitazione non cambia (teorema delle trasformazioni lineari di Guyon); la linea delle pressioni resta nella posizione del cavo concordante (onde è anche detta linea stabile).
Il calcolo delle sollecitazioni prodotte in una qualsiasi struttura iperstatica dal trasferimento della precompressione può essere ancora eseguito con i noti metodi generali ove si tenga presente il principio dei carichi equivalenti (Cestelli-Guidi): ogni stato di precompressione può essere rappresentato, a tutti gli effetti statici, da un equivalente sistema di carichi esterni, costituito da forze concentrate nelle sezioni terminali dei cavi, tangenti ai cavi stessi, e da forze ripartite ed anche concentrate dovute alla curvatura dei cavi e alla curvatura della linea d'asse della trave.
Le forze ripartite dovute alla curvatura dei cavi sono:
essendo N lo sforzo del cavo e R il suo raggio di curvatura; quelle dovute alla curvatura dell'asse della trave sono:
essendo N′ la risultante di precompressione nella sezione ed R′ il raggio di curvatura dell'asse della trave. Tutte le volte che la linea d'asse del cavo risultante non si discosta molto da una curva parabolica, si può con lecita approssimazione considerare come equivalente una opportuna forza ripartita di intensità e direzione costante, oltre a opportune forze concentrate agli estremi.
Nella fig. 12 sono indicati i sistemi equivalenti di alcune strutture.
Peraltro può risultare conveniente rendere la struttura staticamente determinata nel periodo di trasferimento della precompressione (ad esempio con cerniere provvisorie) non solo per liberare le deformazioni flessionali ma anche, e principalmente, quelle assiali.
Il principio del sistema equivalente facilita anche lo studio della distribuzione dei cavi nelle lastre piane e curve nell'intento di creare delle condizioni favorevoli ai bordi, come ad esempio per la volta sottile dello shed della fig. 13.
Il c.a.p. trova vastissimi campi di applicazione in tutti i settori dell'edilizia civile ed industriale; nel campo della prefabbricazione consente la costruzione di elementi di minor peso rispetto al c.a. ordinario. Recentemente è stato sperimentato con successo nelle pavimentazioni per piste di aeroporti e nelle pavimentazioni stradali.
La figg. 4 e 5 delle tavv. f. t. mostrano rispettivamente un serbatoio di 20 m di diametro precompresso sul fondo oltre che sulle pareti sì da consentire la eliminazione del giunto di fondo e un ponte con travate centrale di 100 m di luce (Cestelli-Guidi).
La precompressione consente ancora la costruzione di membrane tese in conglomerato come quella della copertura a sella della sala di Karlsruhe (fig.1. i). Vedi tav. f. t.