CEMENTO
(IX, p. 701; App. I, p. 399; II, I, p. 551; III, I, p. 342)
Produzione e commercio. -Dopo il prolungato periodo di rallentamento produttivo, protrattosi per circa un decennio, dal 1975 (primo anno di grave crisi petrolifera) al 1985, la produzione mondiale di c. ha mostrato negli ultimi anni una tendenza alla ripresa, tanto da raggiungere e superare, nel 1990, 1,1 miliardi di t prodotte.
Le ragioni della caduta produttiva sono da ricondurre anzitutto alla più generale recessione economica nei paesi a economia avanzata ove si registrano i più alti consumi pro capite di c., e quindi alla stretta interdipendenza strutturale tra industria del c. e industria delle costruzioni. Quest'ultima, che ha svolto un ruolo di traino sia nella fase post-bellica di ricostruzione delle infrastrutture pubbliche e delle strutture abitative e industriali, sia in quella successiva di eccezionale espansione economica, è rimasta praticamente stagnante nella seconda metà degli anni Settanta e nella prima metà degli Ottanta.
Alle ragioni del mercato si sono aggiunte le difficoltà interne create dalla crisi energetica per un settore come quello del c. tipicamente ad alta intensità energetica (il processo produttivo a ciclo continuo del c. richiede il raggiungimento di temperature prossime ai 1400 °C e quindi si avvale di un forte impiego di combustibili a immissione diretta) e, oltretutto, caratterizzato da forte incidenza dei costi di trasporto, anch'essi nettamente cresciuti per effetto della stessa crisi petrolifera.
La ristrutturazione dell'industria cementiera nei paesi a economia avanzata si è pertanto indirizzata verso l'impiego di tecnologie a minor consumo energetico e la sostituzione delle tradizionali fonti di energia. Si sono così ottenuti risparmi energetici dell'ordine del 15% per unità di prodotto, mentre è aumentato l'impiego extraelettrico del carbone e del metano, in luogo dell'olio combustibile.
Le difficoltà connesse ai maggiori costi di trasporto hanno accentuato la tendenza già in atto alla delocalizzazione degli impianti a favore dei paesi in via di sviluppo e in particolare verso quelli dove, in presenza di fonti d'energia, permane elevata la domanda di c. per opere pubbliche o dove la stessa domanda si è innalzata per effetto delle maggiori disponibilità finanziarie consentite dai rialzi petroliferi. Già negli anni Settanta l'alta incidenza del costo del trasporto non solo terrestre, ma anche marittimo (per l'onerosità delle operazioni di carico e scarico e per la necessità di attrezzare appositamente le navi a evitare la deperibilità del prodotto) aveva determinato una tendenza a localizzare i nuovi impianti direttamente nei paesi terzi ove, oltretutto, meno pressanti risultavano i vincoli di salvaguardia ambientale per un'attività industriale tendenzialmente in contrasto con essa.
La diversa dislocazione geografica della produzione mondiale di c. fa sì che mentre nel 1970 i paesi in via di sviluppo compresi tra i primi dieci produttori mondiali (la cui produzione copriva i 2/3 del totale mondiale) rappresentavano l'8% del totale prodotto nel mondo, nel 1990 questi stessi paesi arrivavano al 30%. La conseguenza di ciò è stata una profonda modificazione della dislocazione continentale della produzione che vede nettamente in testa l'Asia (esclusa l'URSS) con il 41% del totale e quindi l'Europa (incluso il 13% dell'URSS) con il 32%, le Americhe con il 15,8% (di cui il 6,8% degli Stati Uniti), l'Africa con il 4,5% e l'Oceania con lo 0,7%.
Il primato asiatico è in massima parte il risultato degli straordinari progressi della Cina che, con 208 milioni di t prodotte nel 1990 (pari al 18% della produzione mondiale), è di gran lunga il principale produttore. In netta ripresa, invece, la quota assoluta e relativa del Giappone che come nel 1981 è tornato ad essere ai vertici della graduatoria mondiale. L'URSS, con una produzione in lenta ma costante ascesa, occupa ora il secondo posto registrando un quantitativo pressocché doppio di quello statunitense.
Di particolare rilievo, ancor oggi, la produzione italiana, ove per l'elevata domanda interna (719 kg di consumo pro capite nel 1990: il più alto del mondo dopo quello del Lussemburgo e della Svizzera) si registra la più consistente produzione europea e la quinta a livello mondiale. La produzione del nostro paese, tuttavia, analogamente a quanto si registra nel resto del mondo industrializzato, appare destinata a un ridimensionamento anche consistente.
Nell'ambito della CEE risultano in forte espansione le più concorrenziali produzioni greca e spagnola, mentre accede nell'ambito comunitario, a condizioni altrettanto favorevoli, la produzione turca, anch'essa in rapida espansione (22 milioni di t prodotte nel 1987 contro 15 milioni di t del 1981). Sintomatici in ambito CEE, a tale proposito, la caduta nell'utilizzazione della capacità produttiva (66% nel 1987; 90% nel 1970) e il capovolgimento nel saldo commerciale con l'estero (+1,7 milioni di t nel 1979; −0,39 milioni di t nel 1987).
Quanto alle esportazioni di c. a livello mondiale, occorre notare come si siano andate progressivamente riducendo quelle nipponiche, scese nel 1987 a poco più di 4 milioni di t (massimo storico di 14 milioni di t esportate nel 1983) per la forte concorrenza dei paesi asiatici emergenti quali Corea del Sud, Taiwan, Indonesia e Filippine. A seguito di tale mutamento, il flusso di c. esportato dal Giappone ha ceduto il primato a lungo conservato ed è divenuto il quinto, dopo Grecia, Corea del Sud, Spagna e Messico. Quest'ultimo, assieme al Canada, risulta il più importante fornitore del mercato statunitense che negli ultimi anni è diventato il massimo importatore mondiale.
Bibl.: P. Farge, L'industrie italienne du ciment et sa répartition régionale, in Méditerranée, 3 (1975), pp. 3-17; C. Beltrame, Geografia economica: il settore cemento, in Rass. Econ. Alessandria, 1978, pp. 39-41; P. Brandis, L'industria del cemento in Sardegna nel quadro della produzione mondiale, Sassari 1979, p. 67.