CENSURA
(IX, p. 741)
Cinema. − In ogni parte del mondo, sin dalle prime apparizioni, il cinema ha suscitato timori a causa del potere di suggestione che mostrava di possedere più di altri mass media: donde il ricorso a misure amministrative che tendevano, e ancora tendono, a subordinare la libertà espressiva al rispetto di alcune regole di comportamento, di norma sottoposte al controllo centrale dei ministeri competenti in materia. Sono esistite e sopravvivono varie forme di c. cinematografica: preventiva se applicata alle sceneggiature dei film prima che siano realizzati; a posteriori, se messa in atto quando l'opera cinematografica ha concluso la fase di realizzazione; di ritorno, se interviene a revisione del primitivo giudizio e in quanto dettata da circostanze particolari. In genere, il compito di controllare i film è assegnato a commissioni di c. variamente composte, i cui verdetti talvolta tengono conto dell'opportunità che un prodotto sia diffuso all'estero. Oltre quelle istituzionali e dirette, esistono anche manifestazioni indirette di c., quali le classificazioni morali dei film compiute da appositi centri che si ispirano alle autorità religiose. Effetti non trascurabili ha anche la cosiddetta c. di mercato, definizione con la quale si designa l'impedimento di fatto alla diffusione dei film in quanto considerati privi di requisiti commerciali dalle stesse case distributrici o dai gestori delle sale.
Il principio, su cui si fondano le istituzioni censorie, attiene alla pedagogia del non conoscere e comporta che la libertà di giudizio e di scelta dello spettatore anche se adulto debba essere protetta e, comunque, preventivamente limitata. I bersagli principali della c., pur variando a seconda dei regimi politici e dei tempi, sono i film contrari al buon costume e alla morale, le presunte offese alle istituzioni, alle Chiese e alle religioni, al prestigio nazionale, la crudeltà nei confronti degli uomini e degli animali, i soggetti che potrebbero turbare l'ordine pubblico e i rapporti internazionali. Per fare alcuni esempi, negli anni Trenta in Estonia venivano bocciati persino i film ritenuti privi di valore artistico; in Cina non si perdonavano i tentativi di modificare i costumi locali; ancor oggi, in Egitto e nelle nazioni musulmane, la raffigurazione del Profeta è ritenuta inopportuna.
Sesso, ideologie politiche, concezioni sociali sono i cardini dell'azione censoria, al di là della catalogazione dei film adatti ai minorenni. In Italia (vedi anche App. I, p. 432; II, i, p. 612; III, i, p. 388) la c. amministrativa fu istituita nel 1913 dal governo Giolitti su sollecitazione delle stesse categorie cinematografiche, ripetutamente soggette a sequestri ordinati dalle prefetture e a sentenze che mutavano da località a località. La casistica contemplata alla vigilia della prima guerra mondiale ricevette conferma nel 1919 e venne estesa dalla legge 24 settembre 1923, che sancì l'esame preventivo dei copioni. Profondamente antidemocratica, la legislazione del 1923 è rimasta in vigore sino al 1962, legittimando nel secondo dopoguerra e negli anni Cinquanta clamorosi interventi, d'indole moralistica e politica, a danno di alcune fra le più significative opere del neorealismo e di numerosi film stranieri. Le nuove norme legislative del 1962, circoscrivendo le competenze della c. amministrativa soltanto ai casi di offese al buon costume, hanno liberalizzato il settore. In reazione alla prudenza dei censori, alcuni magistrati hanno ripreso ad avvalersi della facoltà loro concessa di promuovere autonomamente azioni penali contro film anche se regolarmente approvati. Ne è derivato un clima di incertezza per i produttori, e la conseguente esigenza di ritoccare l'assetto legislativo vigente.
Le cinematografie nazionalizzate, più che sottoposte a controlli delegati a commissioni ministeriali, sono sottomesse a una forma di c. non regolamentata, che interviene − tramite le aziende produttrici o distributrici − per applicare le decisioni prese dai governanti in sede politica.
In nazioni come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Repubblica Federale Tedesca, è stato collaudato un sistema di autodisciplina voluto dagli stessi imprenditori cinematografici. Hollywood nel 1930 adottò il cosiddetto Codice Hays, rimasto in vita sino agli anni Sessanta e ideato da W. A. Hays (1879-1954), ex presidente del Partito repubblicano ed ex ministro delle Poste. Mettendo al bando ogni accenno, ritenuto sconveniente, alle tradizioni religiose, ai più scottanti problemi sociali, alle relazioni tra i sessi e all'uso di stupefacenti, il Codice Hays impose inizialmente soffocanti condizionamenti alla produzione statunitense, divenendo man mano sempre più elastico, sino a dissolversi del tutto. Un esperimento tra i più radicalmente innovativi è stato intrapreso in Danimarca, nel 1969, eliminando anche la c. contro la pornografia.
Bibl.: D. Tarantini, Processo allo spettacolo, Milano 1961; M. Argentieri, La censura nel cinema italiano, Roma 1974; W. H. Hays, Il codice di produzione, in Hollywood: lo ''studio system'', a cura di A. Aprà e V. Zagarrio, Venezia 1982; R. A. Inglis, Sviluppo e funzionamento dell'autoregolamentazione, ibidem.