CENSURA.
– La censura di Internet. L’auto censura. Censura e guerra. La libertà di stampa. Bibliografia
Nel 21° sec. i tradizionali significati di c., legati soprattutto alla c. delle notizie di stampa e della corrispondenza, sono stati sempre più considerati in riferimento ai nuovi mezzi tecnici di comunicazione, e hanno aperto un dibattito sulla libertà nell’uso di Internet e delle forme di comunicazione che se ne servono.
La c. delle espressioni artistiche e letterarie, a parte i casi collegati alla politica o alle esigenze di sicurezza degli Stati (come in caso di guerra), è prevista in molti ordinamenti giuridici, per es. contro l’incitamento alla violenza e alla discriminazione o contro la pornografia. In Italia, sebbene la c. sui film sia considerata un retaggio del Novecento, il Servizio di revisione cinematografica del ministero dei Beni culturali continua a esprimere un parere sulle pellicole per attribuire eventuali limitazioni alla visione da parte dei minori, di solito su proposta dei produttori, e nel corso del 21° sec. ha negato il cosiddetto nulla osta alla proiezione a un film del 2011, Morituris, per le scene di violenza.
In campo politico, per es., la legge Scelba nr. 645 del 1952 contro la ricostituzione del partito fascista prevedeva il sequestro della stampa che ne facesse l’apologia.
La censura di Internet. – Casi di reati commessi attraverso il web sono stati fra i motivi di iniziative legislative nazionali volte a controllare il mezzo, che però non hanno concluso il loro iter, tra molte polemiche. Nel 2011 l’obbligo di rettifica, che sarebbe stato imposto anche ai siti Internet da un articolo del disegno di legge sulle intercettazioni, ha portato l’enciclopedia on-line Wikipedia a oscurare per protesta il suo sito in italiano (http://it.wikipedia.org/wiki/Wikipedia:Comunicato_4_ottobre_2011): la vicenda si è poi risolta per la mancata approvazione del provvedimento, definito dai suoi oppositori legge bavaglio. Al web, tuttavia, si applicano le leggi in vigore. In base alla legge Mancino nr. 205 del 1993 contro la discriminazione, nel 2012 è stato, per es., reso inaccessibile dall’Italia il sito Internet del forum Stormfront, per incitamento all’odio razziale: provvedimenti di questo genere, comunque, sono poco efficaci date le caratteristiche tecniche del web.
Nel campo del controllo politico in generale alcuni Stati, come Cina, Arabia Saudita e Iran, sottopongono a stretta vigilanza Internet, il cui uso ha avuto un ruolo importante nella cosiddetta primavera araba del 2011. Nell’aprile 2013, nel corso della ventitreeesima sessione dell’United Nations Human rights council, il relatore speciale per la promozione e la protezione del diritto alla libertà di opinione e di espressione, il guatemalteco Frank La Rue, ha presentato un rapporto nel quale ha evidenziato come la questione della sorveglianza su Internet sia collegata alla difesa della libertà di espressione e come le restrizioni alle forme anonime di comunicazione possano limitare la libertà di espressione delle idee e delle informazioni. Il filtro e la c., ha precisato, possono avvenire sia tramite la ricerca automatica di parole o contenuti sia tramite corpi specializzati di polizia. Nello stesso documento ha sostenuto che la difesa della sicurezza nazionale, da molti Stati invocata come motivo per la c. delle informazioni, è un concetto definito in modo vago e «vulnerabile alla manipolazione da parte dello Stato come mezzo per giustificare azioni che prendano di mira gruppi vulnerabili come difensori dei diritti umani, giornalisti o attivisti» (http://www.ohchr.org/ Documents/HRBodies/HR Council/RegularSession/Session23/A.HRC.23.40_ EN.pdf, p. 16).
L’autocensura. – Un caso particolare di c. è rappresentato da quella che viene esercitata dagli stessi giornalisti o dalle aziende proprietarie dei mezzi di informazione. Dietro l’autocensura ci può essere il rispetto di regole deontologiche della professione giornalistica, come quelle che tutelano i minori; tuttavia ci possono essere altri motivi, come, per es., la tutela di interessi politici o economici, in palese contrasto con la deontologia professionale. In un senso leggermente diverso, nei regimi totalitari, l’autocensura è una regola generale che viene osservata per seguire la linea dettata dagli organismi statali.
Censura e guerra. – Gli Stati hanno sempre esercitato con particolare attenzione la c. nei periodi di guerra. La guerra del Vietnam (negli anni 1964-75, periodo di coinvolgimento degli Stati Uniti d’America) è stata un esempio di conflitto nel quale le opinioni della stampa occidentale, relativamente libera, hanno avuto peso rilevante. In conflitti successivi che hanno coinvolto gli Stati Uniti, come la prima guerra del Golfo (1990-91), la stampa è stata strettamente controllata, e sono stati autorizzati a seguire gli eventi solo i giornalisti embedded, ossia quelli sostanzialmente incorporati nelle forze armate e tenuti a rispettarne le disposizioni. Il paradosso è sicuramente che la crescente disponibilità di nuove tecnologie sembra non aver migliorato la capacità di dare notizie sulle guerre, dato che anche la c. da parte degli Stati utilizza mezzi sempre più avanzati per il controllo dell’informazione. I conflitti del 21° sec. hanno seguito per la maggior parte lo schema della prima guerra del Golfo: le difficoltà materiali e la c. fanno sì, per es., che poche informazioni attendibili siano arrivate dalla guerra civile in corso fin dal 2014 in Ucraina. In questo Paese sul piano mediatico si fronteggiano gli apparati contrapposti di propaganda del governo ucraino e della Russia e molti giornalisti non sono in grado di lavorare per le ripetute intimidazioni, mentre almeno sei sono stati uccisi nel 2014, tra i quali il fotogiornalista italiano Andrea Rocchelli, come riferisce l’OSCE, Organization for Security and Co-operation in Europe (http://www.osce.org/fom/124537? download=true; v. anche https://cpj.org/killed/2014/andrea-rocchelli.php).
La libertà di stampa. – La stampa è stata dall’inizio della sua storia sottoposta a limitazioni e c. tramite, fra l’altro, il controllo fisico dei suoi strumenti, come le apparecchiature tipografiche, e della sua diffusione: questo controllo è divenuto più difficile a causa delle comunicazioni tramite onde elettromagnetiche, come nel caso di radio e televisione, ed è ancora più complesso nei cosiddetti nuovi media, come quelli basati sulle tecnologie digitali e sulle reti informatiche.
Il tema della libertà di espressione in Italia è stato affrontato da La Rue (dall’agosto 2014 gli è subentrato nell’incarico lo statunitense David Kaye) nel novembre 2013, nel corso di un incontro con rappresentanti italiani delle autorità e della stampa (http://daccess-dds-ny.un.org/doc/ UNDOC/GEN/G14/140/12/PDF/G1414012.pdf?Open Element), al termine del quale ha espresso preoccupazioni per vari motivi, tra i quali l’esistenza di una legge che prevede il carcere per la diffamazione a mezzo stampa, le querele ai giornalisti a scopo intimidatorio, i conflitti d’interesse nella proprietà dei mezzi d’informazione, l’assetto della RAI e le minacce ai giornalisti. Per quanto riguarda la legge sulla diffamazione, nella prima metà del 2015 è ancora in corso l’iter parlamentare di una legge che potrebbe eliminare il carcere, ma vi sono comunque proteste da parte dell’Ordine dei giornalisti perché, fra l’altro, sono previsti l’obbligo di una smentita senza replica e un aumento delle pene pecuniarie.
La libertà di stampa nel mondo (alla quale è dedicata una giornata internazionale, dal 1993 celebrata il 3 maggio; v. anche http://unesdoc.unesco.org/images/0022/002205/ 220525E.pdf) è studiata e in qualche modo misurata da classifiche e rapporti di svariate organizzazioni non governative, come Reporters without borders, CPJ (Committee to Protect Journalists), IFEX (International Freedom of Expression eXchange network) e Freedom house, che riceve fondi dal governo statunitense: tali organizzazioni si occupano della libertà di stampa e inoltre elaborano statistiche sulle violenze ai danni di giornalisti e operatori dell’informazione in genere. Secondo Reporters without borders, che ha sede a Parigi e pubblica il World press freedom index, nell’edizione 2015 (riferita all’anno precedente) l’Italia risulta al settantreesimo posto su 180 Paesi considerati nell’indice (http://index.rsf.org/#!/). Per Freedom house, organizzazione che ha sede a Washington, l’Italia è invece al trentunesimo posto nel mondo per la libertà di stampa nel 2014. Per quanto riguarda i giornalisti vittime di violenze nel mondo, secondo Reporters without borders nel 2014 sono stati uccisi 69 giornalisti, 11 assistenti e operatori e 19 blogger; in totale meno dell’anno precedente, quando le vittime sono state rispettivamente 79, 4 e 55. I giornalisti sequestrati nel 2014 sono stati 127, compresi 8 blogger, mentre sono stati 87 nel 2013.
Parte delle violenze contro gli operatori dell’informazione in Medio Oriente è dovuta all’Islamic State, IS (v.). A parte coloro che sono stati vittime di atti di guerra, l’IS ha portato avanti una campagna di sequestri contro gli occidentali e anche contro giornalisti di ogni provenienza, proclamati in genere spie. Alcuni dei sequestrati sono stati uccisi, tra questi i giornalisti statunitensi James Foley e Steven Joel Sotloff, decapitati nel 2014 con esecuzioni riprese in video resi pubblici, a opera di un uomo poi identificato come il britannico Mohammed Emwazi, detto Jihadi John. Il fotoreporter britannico John Cantlie, che era stato sequestrato nel 2012 in Siria insieme a Foley, tra il 2014 e il 2015 ha registrato, presumibilmente sotto costrizione, alcuni video nei quali espone fatti dal punto di vista dell’IS (http://en.rsf.org/syria-islamic-state-uses-britishhostage-28-10-2014,47170.html).
Bibliografia: A. Papuzzi, Professione giornalista, Roma 1998, 20105. Tutte le pagine web citate nel testo si intendono visitate per l’ultima volta il 9 giugno 2015.