centauri
. I c. campeggiano nel canto XII dell'Inferno (vv. 55 ss.), dove appaiono come guardiani dei violenti contro il prossimo, e dove costituiscono il centro poetico del canto. Essi corrono in schiera lungo le rive del fiume di sangue, sorvegliando i dannati e colpendoli con le loro frecce qualora tentino di alleviare la pena sollevandosi dal livello del Flegetonte più di quello che ha decretato la giustizia divina. Vedendo avvicinarsi D. e Virgilio, tre c. si staccano dalla schiera e si fanno loro incontro: si tratta, come apprenderemo subito dopo dalle spiegazioni di Virgilio, di Chirone, Nesso e Folo. Nesso intima ai due pellegrini di fermarsi e dire a qual martiro vengano, se non vogliono esser colpiti dalle sue frecce. Ma Virgilio risponde seccamente che parlerà solo con Chirone, il loro capo: a questi infatti si rivolge con uno studiato e persuasivo discorso, illustrando per qual motivo egli e D. stiano facendo questo viaggio, e ottenendo Nesso come guida e scorta per visitare sicuri il girone dei violenti.
Per la loro doppia natura, umana e bestiale, e per la tradizione letteraria che li presentava pronti al sangue e alla rapina (cfr. " Nesse ferox ", Met. IX 101; " Violente... Nesse ", IX 121; " [Euryte] saevorum saevissime Centaurorum ", XII 219; e gli episodi di Nesso e della battaglia coi Lapiti nel loro complesso), i c. rappresentano per D., al pari del Minotauro, la cieca cupidigia e l'ira folle, attraverso cui si manifesta la bestialità umana e viene soprattutto eccitata la violenza. Interessano le chiose del Boccaccio e di Benvenuto, che nei c. scorgono riprodotte le figure dei soldati di ventura (" Isti ergo centauri ad propositum figuraliter sunt stipendiarii, et viri militares praedatores "); perciò i tiranni, commenta il Fallani, " sono tormentati da quegli stessi che furono strumento nel mondo delle loro iniquità ".
Tanto più che la punizione attestata delle loro violenze, ricordata esplicitamente da D. (mal fu la voglia tua sempre sì tosta, v. 66), mostra la vanità della violenza, come cioè cupidigia e ira siano davvero cieche e folli. Pure, nella rappresentazione che D. fa dei c., più che il ricordo delle loro violenze e il severo giudizio morale che ne deriva, sono presenti un elemento di simpatia morale per la figura di Chirone, precettore e saggio, e un elemento di simpatia artistica, la " gioia di vedersi davanti vive le belle ed armoniose fiere ", come bene osservò il Parodi. Verso quelle fiere D. sarà più aspro e severo nel Purgatorio, proprio perché lì non c'è, di fronte al giudizio morale, il bel quadro da costruire e contemplare.
A questo quadro D. arriva rielaborando e rivivendo artisticamente sparsi spunti di poeti latini: la descrizione virgiliana di Catillo e Cora (" ceu duo nubigenae cum vertice montis ab alto / descendunt Centauri Homolen Othrymque nivalem / linquentes cursu rapido; dat euntibus ingens / silva locum et magno cedunt virgulta fragore ", Aen. VII 674-677), la quale è " una visione di rapidità, e insieme di poderosità travolgente ", osserva il Bosco; o anche questo inizio di mischia, episodio del più vasto affresco della battaglia coi Lapiti: " Ecce ruunt vasto rabidi clamore bimembres / Telaque in hunc omnes unum mittuntque feruntque " (Met. XII 494-495); oppure il ritratto del bel centauro Cillaro, tutto armonia di membra poderose: " Gratus in ore vigor; cervi umerique manusque / Pectoraque artificum laudatis proxima signis / Et quacumque vir est; nec equi mendosa sub illo / Deteriorque viro facies; da colla caputque, / Castore dignus erit; sic tergum sessile, sic sunt / Pectora celsa toris... " (XII 397-402).
Oltre a questi e ad altri pochi passi di classici, D. poté forse aver presenti il c. saettante effigiato nel pavimento del Battistero di Firenze e in quello di S. Miniato al Monte, nonché le figurazioni medievali del segno zodiacale del Sagittario, nella cui costellazione egli sapeva esser stato trasformato Chirone, e che veniva rappresentato abitualmente come un c. armato di saetta. Di tali figurazioni sembrano ricchi più che i codici medievali dei classici latini, quelli degli Aratea e di altre opere astronomiche e astrologiche: ma solo un'esplorazione sistematica di tali opere e delle enciclopedie e dei repertori mitologici medievali permetterà di dare indicazioni più sicure.
In ogni modo, da tali spunti non numerosi, D. ha tratto un quadro vivissimo e pieno di forza poetica: dalla veloce cavalcata iniziale con cui i c. appaiono agli occhi di D., che tale impressione di rapidità conserva (Noi ci appressammo a quelle fiere isnelle [v. 76], dove ‛ isnelle ' va inteso senza alcun dubbio " veloci ", come ha mostrato il Bosco), salvo poi a fonderla e armonizzarla con la maestosità della figura di Chirone; alla veloce corsa finale, in groppa a Nesso, lungo le rive del fiume di sangue.
Al di fuori di questa atmosfera poetica è Caco, da D. fatto centauro per l'interpretazione da lui data ai termini semihominis, semifer, con cui questi era chiamato in Virgilio, e con cui i c. erano chiamati in Ovidio, e collocato lontano dai suoi compagni per il furto frodolento.
In Pg XXIV 121-123 infine D. ricorda i c. come esempio di golosità punita, attribuendo a ebrietà di cibo e di vino il tentativo di rapire le donne dei Lapiti, che condusse alla battaglia con questi e alla sconfitta dei c. (satolli, li chiama D.: e Ovidio dice di Eurito, rapitore della sposa, " tibi... / Euryte, quam vino pectus tam vergine visa / Ardet et ebrietas geminata libidine regnat " [Met. XII 219-221]; e saranno da ricordare anche le Georgiche [II 455-457]: " Bacchus et ad culpam causam dedit; ille furentis / Centauros leto domuit... ").
Bibl. - E.G. Parodi, in Poesia e storia nella D.C., Napoli 1920, e anche in " Bull. " VIII (1900-1901) 92-93; G. Mazzoni, Il canto XII dell'Inferno, in Almae luces, malae cruces, Bologna 1941; U. Bosco, Il canto dei C., in Tre letture dantesche, Roma 1942 (rist. in D. vicino, Caltanissetta-Roma 1966, 237-254).
Per la definizione del concetto di violenza cfr. anche G. Ferretti, Saggi danteschi, Firenze 1950. Per la trasformazione dantesca di Caco in c., si veda A. Ronconi, Per D. interprete dei poeti latini, in " Studi d. " XLI (1964) 5-44. Per le figurazioni medievali dei c. cfr. P. Renucci, D. disciple et juge du monde gréco-latin, Parigi 1954, e la bibliografia ivi riportata.