Centro
di Gianfranco Pasquino
I termini centro, destra e sinistra fanno parte di una concezione spaziale della politica che risale alla Rivoluzione francese. Allora, la definizione dei vari gruppi venne espressa in particolare dal posizionamento del Terzo Stato rispetto al presidente, quindi, alla sua destra, alla sua sinistra oppure di fronte a lui, nell'assemblea a forma di anfiteatro. Curiosamente, il Parlamento inglese, ovvero la madre di tutti i parlamenti, ha forma rettangolare e vede il governo con la sua maggioranza schierarsi di fronte all'opposizione (alle opposizioni). Dal punto di vista spaziale, quindi, a Westminster non esistono una destra e una sinistra né, tanto meno, un centro. Ma, in Gran Bretagna, la destra e la sinistra sono da tempo immemorabile chiaramente identificate e identificabili, mentre è il c. a rimanere assente, in quanto partito, pur essendo, probabilmente, 'il' luogo della competizione politica. Da molti punti di vista inimitabile, il Parlamento inglese e le modalità della competizione politica che gli danno vita rimangono un'eccezione nel panorama delle democrazie, mentre è la terminologia derivante dalla Rivoluzione francese che ha fatto testo nella definizione delle posizioni politiche.
Come si vedrà nelle due voci relative, destra e sinistra hanno connotazioni specifiche e considerate, almeno fino a tempi recenti, sostanzialmente alternative, opposte, inconfondibili. Il c., invece, è spesso stato considerato un'entità politica fluttuante, non definibile, luogo di confusione e di fusione di posizioni diverse non sempre facilmente compatibili. Non a caso la terminologia rivoluzionaria francese si riferisce al c. come marais ovvero palude. Il marais è un luogo dove si trova un po' di tutto, politicamente parlando. Inoltre, è il luogo che impedisce scelte nette e chiare, che intorbidisce le acque della politica. In un articolo del 1964, rimasto giustamente famoso, il grande costituzionalista e analista politico francese M. Duverger critica la Quarta Repubblica francese e il suo pessimo funzionamento in quanto sistema che ha ridato vita all'eterno vizio politico francese della convergenza in un c. indistinto, per l'appunto, in un marais. Con terminologia nota agli italiani, ma non estranea alla dinamica di altri sistemi politici, è possibile e utile individuare nella palude il luogo della 'convergenza al centro' dove le distinzioni sfumano e le posizioni si stingono. Duverger è andato molto più in là nella sua idiosincrasia analitica (e, forse, politica) nei confronti del centro. Merita citarlo per esteso: "Il centro non esiste in politica: può esservi un partito di centro, ma non una tendenza di centro, una dottrina centrista. Chiamiamo 'centro' il luogo geometrico cui convergono i moderati di opposte tendenze: moderati di destra e moderati di sinistra. Ogni centro è diviso contro se stesso e rimane scisso in due metà: centro-sinistra e centro-destra, in quanto il centro non è altro che il raggruppamento artificioso della parte destrorsa della sinistra e della parte sinistrorsa della destra. Destino del centro è quello di venire smembrato, sbilanciato, annientato: smembrato quando una delle sue metà vota a destra e l'altra a sinistra; sbilanciato quando vota in blocco talora a destra, talora a sinistra; annientato quando si astiene" (Duverger 1951; trad. it. 1961, p. 264).
È interessante notare che G. Sartori (1976) ha sostenuto la tesi esattamente opposta: "quando non abbiamo un partito di centro, è probabile che abbiamo una tendenza di centro" (p. 131). È possibile riconciliare le due posizioni sottolineando che Duverger pensa in termini dualistici cosicché il c. risulta una posizione insostenibile nel medio periodo da qualsiasi partito/organizzazione politica. Al contrario, Sartori fonda la sua analisi sull'esistenza di una pluralità di tendenze ideologiche che si traducono in sistemi multipartitici incomprimibili. In questi sistemi, è molto probabile che il c. dello schieramento politico venga fisicamente occupato da un partito: ne consegue che la competizione non può più essere bipolare, ma, persino a prescindere dall'esistenza di "dottrine, ideologie e opinioni centriste" (p. 134), diventa multipolare con effetti, sostanzialmente negativi, sul sistema dei partiti, sul sistema politico, sulla qualità della democrazia. Infatti, laddove il c. diventa, è, rimane elettoralmente e politicamente consistente e robusto, l'alternanza risulta molto improbabile, quasi impossibile. Le energie politiche del sistema non vengono ampiamente ed efficacemente utilizzate e i cittadini i cui partiti risultano sistematicamente esclusi dall'accesso al governo diventano largamente insoddisfatti ai limiti dell'apatia politica, se sono poco politicizzati, e dell'alienazione politica, se, al contrario, sono molto politicizzati.
Un conto è l'autocollocazione dei gruppi politici; altra cosa alquanto diversa è, da un lato, l'autocollocazione dei cittadini e, dall'altro, la loro capacità di collocare quei gruppi politici sul continuum destra-sinistra, o viceversa. Per quel che riguarda il c., è possibile sostenere che per molti cittadini/elettori si tratti, in effetti, di una autocollocazione residuale. Si autocollocano al c. tutti quei cittadini/elettori che non si ritengono né di destra né di sinistra. Secondo alcuni studiosi (e politici) è possibile fare un passo ulteriore. Si collocano al c. tutti i cittadini/elettori che respingono scelte nette ed estreme. Lungi, quindi, dall'essere luogo di indistinzione e di confusione, il c. è luogo di rifiuto consapevole di alternative considerate troppo nette e drastiche, luogo preminente di moderazione politica (sociale e culturale). Nella misura in cui le ideologie deperiscono e gli elettorati si spoliticizzano, il c. come luogo di moderazione politica e indistinzione programmatica si affolla. Tuttavia, la comparsa di tematiche nuove e controverse può contribuire alla rimobilitazione degli elettori altrimenti 'centristi' e alla loro dispersione lungo lo schieramento politico. Poiché la politica contemporanea è fatta di elezioni e di competizioni elettorali fra partiti e schieramenti, il problema di che cosa è c. e di come il c. e gli elettori eventualmente centristi vengono concretamente raggiunti e rappresentati, si pone con specifico riferimento ai sistemi elettorali.
Laddove viene utilizzato un sistema elettorale proporzionale non soltanto è possibile che gli elettori centristi vengano efficacemente rappresentati anche da una pluralità di partiti, ma è altresì molto probabile che esista un partito di centro (Daalder 1984). Non ne consegue però, automaticamente, che la competizione tra partiti sia orientata alla conquista del centro. Se infatti il c. è, per così dire, più o meno saldamente 'occupato' da un partito, allora gli altri partiti avranno maggiore interesse a definire e differenziare la loro offerta politico-programmatica e a 'catturare' il loro specifico elettorato, andando anche alla ricerca degli elettori astensionisti da motivare e da mobilitare. Nei sistemi multipartitici, questa strategia d'incapsulamento dell'elettorato sembra quasi inevitabile.
Rispetto alla destra e alla sinistra che, in qualche modo, possono fare riferimento a posizioni ideologicamente definite, l'eventuale, probabile, partito di c. rischia di avere non insignificanti difficoltà con il suo elettorato che, proprio perché 'moderato', spesso poco interessato alla politica e poco informato, tende a essere scarsamente motivabile e mobilitabile. In un certo senso, un c. di questo genere rischia anche di essere 'svuotato' dai poli di destra e di sinistra in situazioni di crisi politiche significative. Questa è l'argomentazione che Sartori ha ampiamente sviluppato con riferimento ai sistemi partitici definiti di pluralismo polarizzato. Dalla Repubblica di Weimar (1919-1933) alla Repubblica spagnola (1931-1936), dalla Quarta Repubblica francese (1946-1958) al Cile democratico (1958-1973) per finire con il sistema politico dell'Italia repubblicana (dal 1946 al 1993), i poli di destra e di sinistra, ideologicamente motivati, hanno sistematicamente tentato di svuotare il centro. Laddove vi sono riusciti, vale a dire dovunque tranne che in Italia (ma altre considerazioni sarebbero necessarie per chi ritiene che, dopo tutto, nel 1993 anche l'Italia repubblicana entra in una crisi di regime), l'intero sistema politico è crollato. Quando, nei sistemi di pluralismo polarizzato, il c. non 'tiene' e viene meno, allora è tutto il sistema che si trasforma ed eventualmente crolla.
Tanto nella Quarta Repubblica francese quanto nella Repubblica italiana, è possibile identificare fasi di governo nelle quali il c. politico, elettorale, sociale, ha svolto un ruolo importante, se non addirittura dominante e decisivo. Tutti i pur deboli e instabili governi francesi della Quarta Repubblica furono centristi, 'paludosi' nella severa critica di Duverger, perché incapaci di delineare e offrire alternative e di produrre politiche all'altezza delle sfide. In Italia, il centrismo (1948-1960) ossia l'alleanza fra liberali, democristiani, repubblicani e socialdemocratici contribuì in maniera significativa al consolidamento della democrazia. Vent'anni dopo, però, nella sua espressione come pentapartito (1980-1992), l'alleanza fra liberali, democristiani, repubblicani, socialdemocratici e socialisti spense l'evoluzione della democrazia italiana. Il nuovo blocco centrista si configurò come paludoso, luogo di non decisioni e di opportunità di corruzione, modalità d'impedimento di qualsiasi alternanza di governo. Senza dubbio, la convergenza al c. può talvolta essere necessaria al salvataggio del regime e delle sue regole democratiche.
Sono le democrazie consociative, vale a dire, quelle nelle quali le élites politiche sacrificano consapevolmente e deliberatamente la loro competizione e accettano accordi e convergenze centriste intese a salvaguardare il sistema e la sua democrazia. Il consociativismo come trionfo del c. non può essere che un'esperienza straordinaria di non lunga durata, più adatta a democrazie piccole ed esposte alle sfide esterne. Gli esempi ai quali si fa abitualmente riferimento sono i Paesi Bassi, il Belgio, la Svizzera e, in qualche misura, l'Austria, sistemi politici che per mantenere, ovvero consolidare, la loro democrazia hanno mirato a ridimensionare la competizione fra partiti e hanno praticato con successo la convergenza al c., in termini di formule di governo e di politiche. Ovviamente, laddove non esista un sistema elettorale proporzionale, la competizione politico-partitica si presenta secondo modalità molto diverse da quelle che prefigurano e configurano convergenze al centro. In questi casi, la terminologia abitualmente adottata fa riferimento a pratiche di ostilità, di confronti e di scontri che lasciano poco o nullo spazio al c., inteso come moderazione e composizione negoziata di interessi. È opinione diffusa che il bipolarismo, che può manifestarsi tanto con una competizione limpida e netta tra due partiti quanto con una competizione, forse, meno limpida e meno netta, tra due schieramenti o coalizioni, non lascia spazio al c. in quanto partito o schieramento composito.
Esiste, peraltro, un'opinione contraria vigorosamente argomentata da A. Downs e che porta, nei sistemi bipartitici, alla moderazione nella competizione, nel confronto, nell'opera di governo. Secondo Downs (1967; trad. it. 1988), è probabile che "nei sistemi multipartitici, i partiti si sforzino di differenziarsi ideologicamente l'uno dall'altro, mantenendo la purezza delle proprie posizioni, mentre nei sistemi bipartitici, ogni partito cercherà di assomigliare il più possibile al suo avversario" (p. 165). Nei sistemi bipartitici, continua Downs, "gli elettori si addensano nella parte moderata [esplicitamente detto, il centro] della distribuzione dove si collocano entrambe le ideologie; ed è dunque probabile che considerino come aspetti decisivi, la personalità, la competenza tecnica o altri fattori non ideologici" (p. 163). Come dimostrato, nei due più importanti e duraturi sistemi bipartitici, Gran Bretagna e Stati Uniti, quand'anche la competizione che ha portato al governo dei rispettivi Paesi, M. Thatcher e R. Reagan, sia stata indirizzata alla conquista del c., le successive politiche hanno, invece, avuto un chiaro orientamento e una netta impronta di destra. Sono, in realtà, state rese possibili proprio dall'allontanamento dal c. dei laburisti inglesi e dei democratici americani. In definitiva, è possibile sostenere scientificamente che in politica il c. è definito, costruito e rappresentato dalle offerte dei partiti e dalle scelte dei governanti. Dunque, può esistere oppure no a seconda che le modalità di competizione politica lo rendano utile e indispensabile alla vittoria elettorale e al governo del sistema politico. In sé, il c. come luogo fisso e consolidato dello spazio politico non esiste. Come obiettivo collegato alla costruzione di politiche che sono specificamente intese a conquistare la vittoria elettorale, la sua esistenza dipende proprio dalla formulazione di quelle politiche e dalla capacità degli attori politici e partitici di elaborarle e di comunicarle.
Per chi ritiene che sia possibile andare oltre la destra e la sinistra, ossia, al di là, al tempo stesso, del vecchio conservatorismo e della vecchia sinistra, ovvero le socialdemocrazie classiche, allora, probabilmente, la cosiddetta Terza Via finirebbe per essere il nuovo c. della politica nelle democrazie, non solo occidentali.
Bibliografia
M. Duverger, Les partis politiques, Paris 1951 (trad. it. Milano 1961).
M. Duverger, L'éternel marais. Essai sur le centrisme français, in Revue française de science politique, 1964, 14, 1, pp. 33-51.
A. Downs, An economic theory of democracy, New York 1967 (trad. it. Bologna 1988).
G. Sartori, Parties and party systems: a framework for analysis, Cambridge 1976.
H. Daalder, In search of the center of european party systems, in American political science review, 1984, 78, 1, pp. 92-109.