ZACCARIA, Centurione
II. – Figlio di Andronico, a sua volta figlio di Centurione I, nacque nella seconda metà del Trecento, verosimilmente nel Peloponneso.
Ormai da cinquanta o sessant’anni, quella che era stata un’importante ‘signoria marittima ed egea’ imperniata sull’isola di Chio e sui traffici commerciali – quella appunto degli Zaccaria – era tramontata definitivamente. Gli Zaccaria si erano trasformati in signori territoriali. Andronico aveva ereditato dal padre (scomparso nel 1383), un dominio consistente, cui si aggiunsero, nel 1388, la signoria di Arcadia e il titolo di gran connestabile di Morea.
L’avo Centurione I, ottenuto il titolo di barone di Damala nel 1334, a seguito della morte del fratello Bartolomeo, iniziò a esercitare un ruolo di primo piano in seno alla nobiltà franco-ellenica locale, inserendosi nella contesa tra Giovanni di Gravina, principe d’Acaia, fratello di Filippo I d’Angiò, e il figlio di questi, Roberto, imperatore titolare di Costantinopoli. A seguito delle pressioni del re di Napoli, Giovanni accettò di cedere il principato al nipote in cambio dei titoli di re d’Albania e despota di Romània. L’accordo, però, fu ricusato dalla nobiltà moreota, guidata da Centurione, che ottenne da Roberto, in cambio del riconoscimento della sua sovranità, la conferma dei propri diritti peloponnesiaci. Tali contatti facilitarono il matrimonio con la figlia del governatore della Morea bizantina, Andronico Asen, figlio dello czar bulgaro Ivan III Asen e di Irene Paleologina, sorella di Andronico II Paleologo, coronando sia il desiderio d’affermazione principesca della famiglia sia quello di legittimazione della propria sovranità sui propri sudditi di origine greca.
Nel 1345, Centurione I ereditò, dunque, le baronie di Veligosti, di Damala e di Chalandritsa. La sua posizione risultò ulteriormente rafforzata a seguito del matrimonio tra il figlio Andronico e l’unica figlia del barone di Arcadia e Saint-Sauveur, Erard III Le Maure, della quale non è noto il nome, da cui nacquero Centurione II e Stefano. Tali legami ne facilitarono l’elezione a bailo di Morea, dopo la morte di Roberto di Taranto, nel 1364. Lo schierarsi di Centurione I a fianco di Filippo II di Taranto nella lotta sviluppatasi con Ugo IV di Lusignano, principe titolare di Galilea, ne favorì, altresì, la nomina a gran connestabile. Benché la morte di Filippo II, nel 1373, configurasse una difficile situazione politica, Centurione I riuscì ad accrescere ulteriormente la propria influenza sia sotto il governo di Giovanna I d’Angiò regina di Sicilia, da cui ricevette gli speroni d’oro di cavaliere per il figlio, sia nel corso del breve governatorato dell’Ordine di S. Giovanni, sia, infine, a seguito della conquista del Peloponneso da parte della Compagnia navarrese, al servizio di Jacques de Baux, di cui riconobbe prontamente la sovranità. Morì nel 1383.
Una volta assurto al potere, Andronico, figlio di Centurione I tentò di approfittare della caotica situazione interna al Principato di Acaia per collegarsi con Amedeo di Savoia Acaia, nipote di Filippo di Savoia, che rivendicava diritti nella regione, inviando alla sua corte, nel 1387, il cognato, Giovanni Lascaris Calopheros. Tuttavia, l’operazione si risolse in un nulla di fatto. Conseguentemente, decise d’appoggiare il comandante dei navarresi, Pedro de San Superano, contro Neri Acciaiuoli, signore di Corinto e di Atene, che fece arrestare a tradimento nel 1389, ma fu sconfitto nel 1395 nel corso d’uno scontro con Teodoro Paleologo, despota di Mistrà, finendo per breve tempo in carcere. L’alleanza con de San Superano fu cementata, a ogni modo, mediante il matrimonio tra questi e la sorella, Maria Asen. L’anno successivo, sostenuto finanziariamente da Andronico, de San Superano avrebbe acquisito dal re di Napoli Ladislao il titolo di principe d’Acaia.
Nel 1400, alla morte del padre, Centurione II ereditò i titoli di barone di Arcadia e di gran conestabile di Morea, inserendosi nella complessa vicenda politica locale. L’anno successivo, di concerto con il fratello Stefano, decise, infatti, d’abbandonare l’alleanza con la Compagnia navarrese per sostenere le rivendicazioni di Teodoro Paleologo sul Peloponneso. La morte di Pedro de San Superano, principe d’Acaia, nel novembre del 1402, aprì il problema della successione. A causa della minorità dei figli, la vedova, Maria Asen, zia di Zaccaria, affidò la reggenza al nipote. Nel 1404, approfittando della situazione, questi riuscì a estromettere Maria dal governo del principato, usurpando il trono con il sostegno di Ladislao di Napoli. Il matrimonio con Creusa, figlia di Leonardo Tocco, la cui famiglia dominava su Leucade e Cefalonia, sull’Epiro e sulla costa occidentale del Peloponneso, sembrò rafforzarne la posizione. Tuttavia, nel 1406, il fratello Stefano – eletto, nel frattempo, arcivescovo di Patrasso – si alleò con Carlo Tocco e Teodoro Paleologo con lo scopo di detronizzare Zaccaria. La morte del despota, l’anno successivo, e l’intervento diplomatico di Venezia, vanificarono l’impresa. L’occupazione del porto di Clarenza, nel 1408, da parte di Leonardo Tocco convinse Zaccaria dell’opportunità di collegarsi con i veneziani, cui il fratello Stefano aveva ceduto per cinque anni la baronia di Patrasso.
Nel 1410 Centurione II cedette a Venezia una serie di casali con le relative terre, situati nei territori di Corone, Navarino, Manticori e Grisi, così da assicurarsene la neutralità. Il Comune veneziano s’impegnò a rispettare i diritti dei feudatari presenti in cambio del riconoscimento della propria giurisdizione. Tuttavia, nel 1422, ne richiedette il dominio completo.
Per sostenere il conflitto imminente, egli arruolò mercenari albanesi, ottenendo, altresì, l’appoggio dei Giustiniani di Chio, ormai ben assestatisi sull’isola. L’ingente sforzo finanziario fu premiato dalla stipula, il 12 luglio 1414, d’una tregua triennale, patrocinata da Venezia, che gli consentì di riappropriarsi del porto di Clarenza.
Del conflitto in atto, a ogni modo, si avvantaggiò Manuele II Paleologo, che, in quello stesso anno, giunse a Mistrà, ottenendo da Zaccaria l’atto d’omaggio. Per contrastare la crescente ingerenza veneziana nella regione, questi pensò di collegarsi a Genova, probabilmente per tramite dei Giustiniani, inviando, il 20 novembre, alcuni ambasciatori presso il porto ligure con l’offerta di un’alleanza militare in cambio dei porti di Clarenza e Navarino. Tuttavia, la difficile situazione politica interna alla città, in preda alla guerra civile, non favorì l’accordo. La posizione di Zaccaria ne risultò ulteriormente indebolita, tanto più che il piano, scoperto da Venezia – che non poteva tollerare che la rivale tirrenica s’installasse a poca distanza dalla propria base di Modone – fu denunciato all’imperatore.
Nel maggio del 1417, le truppe imperiali, guidate dai despoti Teodoro II e Giovanni Paleologo, penetrarono in Acaia, occupando la Messenia e buona parte dell’Elide e assediando Clarenza, presso cui Centurione s’era rifugiato. Questi riuscì a fuggire via mare soltanto nella primavera del 1418, mentre i Greci minacciavano Patrasso. Fu solo grazie a una nuova mediazione veneziana che si giunse a una tregua. Tuttavia, buona parte del territorio di sua pertinenza era caduto in mano di Carlo Tocco, che aveva assunto il titolo di despota di Romània, e dell’Impero, con cui la lotta riprese.
Nel 1424, Costantino, fratello di Giovanni VIII Paleologo e futuro imperatore, riuscì a catturare lo stesso Zaccaria. Riacquistata la libertà, questi tentò una rivincita, ma fu costretto, nel 1429, a cedere Clarenza e Patrasso. Il territorio da lui controllato si riduceva, ormai, a qualche fortezza, tra cui quella di Chalandritsa, cuore dei propri domini, presto assediata da Tommaso Paleologo. Non vedendo altra via d’uscita, Zaccaria negoziò la resa, ottenendo la conservazione dei propri titoli e il possesso della baronia d’Arcadia in cambio della cessione di tutte le altre fortezze come dote della figlia Caterina, promessa sposa a Tommaso. A seguito del matrimonio, celebrato a Mistrà nel gennaio del 1430, Zaccaria si ritirò nel castello di Arcadia, dove morì nel 1432.
Tommaso prese possesso della baronia, facendo imprigionare la vedova e il figlio illegittimo, Giovanni Asen, riportando il Peloponneso sotto il controllo imperiale. Fuggito di prigione nel 1453, Giovanni tentò in seguito di sobillare una rivolta, appellandosi a Maometto II, che, nel 1460, avrebbe occupato la regione. Caterina morì nel 1462, in esilio a Roma, seguita dal marito, dopo aver affidato la tutela dei propri figli al cardinale Bessarione, che, nel 1472, combinò il matrimonio della primogenita, Elena, con Andrea, re di Serbia e despota titolare di Morea, e della secondogenita, Zoe, con lo czar moscovita Ivan III. L’unico figlio maschio della coppia, Manuele, si trasferì a Costantinopoli, convertendosi all’islam.
Si disperdevano così le ultime reliquie di una plurisecolare tradizione familiare.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Genova, Archivio Segreto, Materie Politiche, 2737B, nr. 10; N.C. Sathas, Documents inédits relatifs à l’histoire de la Grèce au Moyen Age, I-VIII, Paris 1880-1890, I, pp. 40, 118, III, pp. 62, 273 s., 337; P. Lisciandrelli, Trattati e negoziazioni politiche della Repubblica di Genova (958-1797), in Atti della Società ligure di storia patria, n.s., I (1960), nn. 746; F. Valentini, Acta Albaniae Veneta: saeculorum XIV et XV, I-XXV, Rome 1967-1979, VII, nn. 1821, 1823.
W. Heyd, Histoire du commerce du Levant au Moyen Âge, Leipzig 1885-1886 (rist. anast. Amsterdam 1967), pp. 463, 486; R.S. Lopez, Genova marinara nel Duecento. B. Z. ammiraglio e mercante, Milano-Messina 1933, p. 251; J. Lognon, L’Empire Latin de Constantinople et la Principauté de Morée, Paris 1949, pp. 299-352; A. Bon, La Morée franque. Recherches historiques, topografiques et archéologiques sur la principauté d’Achaïe (1205- 1430), Paris 1969, pp. 266, 283-293, 320-325, 414-417; E. Basso, Gli Zaccaria, in Dibattito su famiglie nobili del mondo coloniale genovese nel Levante, Atti del Convegno, Montoggio... 1993, a cura di G. Pistarino, Genova 1994, pp. 46-71; C. Wright, The Gattilusio lordships and the Aegean world, 1355-1462, Leiden-Boston 2014, pp. 57, 133, 137, 146 s.