CERA (gr. κηρός; λατ. cera; fr. cire; sp. cera; ted. Wachs; inglese wax)
È, propriamente, la sostanza che le api elaborano nel loro organismo, e che serve come materiale per la costruzione dei favi (v. ape). Più genericamente, in chimica, si comprendono sotto il nome di cere alcune sostanze di origine animale o vegetale, simili ai grassi, da cui differiscono però per alcune proprietà fisiche e per una fondamentale proprietà chimica.
Imatti, mentre i grassi si considerano gliceridi di acidi grassi ad elevato numero di atomi di carbonio, le cere si definiscono esteri di alcoli mono- e bivolenti con acidi grassi. A questa definizione chìmica non corrisponde però sempre la nomenclatura corrente; p. es. la cera del Giappone è costituita da gliceridi e dovrebbe essere chiamata sego del Giappone; d'altra parte lo spermaceti deve considerarsi come una cera. Secondo la definizione la cetina (cetilpalmitato) è ottenuta dall'alcool cetilico e dall'acido palmitico con sottrazione di acqua secondo l'equazione:
cioè, mentre il costituente basico comune ai grassi è la glicerina, le cere sono caratterizzate da costituenti basici mono- e bivalenti sia alifatici sia ciclici, i primi della serie dell'etano, i secondi dagli steroli.
Il termine cere è anche usato come nome generico per certi idrocarburi solidi, p. es. le cere minerali che spesso entrano a far parte dei prodotti dell'industria dei grassi (v. candela).
Nella classificazione delle cere si adotta come base per le suddivisioni il numero di iodio soltanto (cioè la quantità di iodio che la cera, in soluzione di cloroformio, può estrarre da una soluzione iodio-mercurica). Sembra impossibile fino ad ora classificare e definire chimicamente, p. es., le differenze tra cere animali e cere vegetali, anche con il criterio della presenza e assenza di fito e coleterolo. Empiricamente le cere si classificano in liquide e solide (animali e vegetali).
Cere liquide. - Sono formate dalla combinazione di alcoli non saturi, della serie CnH2nO, con acidi grassi non saturi. Hanno solventi comuni ai grassi, e, come i grassi, presentano variazioni in rapporto all'alimentazione, all'habitat ecc. dell'organismo che le produce. Il loro peso specifico varia tra 0,875 e 0,881.
Cere solide. - Sono secrete da organismi vegetali ed animali, anche inferiori (bacilli ed alghe); loro caratteristica è il comportamento coi solventi comuni ai grassi: alcune sono sciolte totalmente, altre parzialmente dall'etere. Differiscono anche per la solubilità in alcool bollente. Non irrancidiscono all'aria grazie alla stabilità degli eteri. Lasciano la chiazza d'unto sulla carta come i grassi. La distillazione distruttiva muta gli esteri delle cere solide con idrocarburi. Vi si trovano frequentemente alcoli e acidi grassi liberi.
Cera delle api. - È secreta dalla comune Apis mellifica e da altre specie di api, come un prodotto del ricambio intermedio dei carboidrati alimentari dell'insetto.
Il procedimento di estrazione della cera consiste nel fondere i favi, dopo averne tolto il miele, con acqua calda, per separare le impurità: per raffreddamento si raccoglie alla superficie una focaccia di cera greggia, che, fusa di nuovo, filtrata e colata in forme, costituisce la cera vergine o gialla. Si estrae anche la cera sotto pressione e si ricuperano successivamente con solventi fino agli ultimi residui. Questi (cera d'api estrattiva) differiscono dalla cera d'api ottenuta per pressione per una maggiore acidità e un più basso numero di iodio.
La cera vergine, a seconda della provenienza e del modo di lavorazione, si distingue in varie qualità, che si presentano con diverso colore, dal giallo chiaro al rosso bruno, portano il nome del luogo di provenienza e si possono imbiancare con diversa facilità.
Il colore, come altre proprietà organolettiche e fisiche, dipende dall'habitat dell'ape; si dànno generalmente come indici di queste variazioni le proporzioni di acido cerotinico e di miricina contenuti nelle cere di provenienza diversa.
La cera d'api è formata principalmente dall'etere palmitico dell'alcool miricilico (palmitato di miricile o miricina, C15H31•COOC30H61) e da acido cerotico libero (C26H52O2), che stanno nel rapporto di circa 86 : 14. Pare che contenga inoltre dell'acido melissico, dell'acool cerilico, e degl'idrocarburi (sino al 15%).
È una massa amorfa di odore grato aromatico che ricorda il miele, di frattura granulosa, untuosa al tatto, molle e plastica al calore della mano. Insolubile nell'acqua e nell'alcool freddo, solubile invece nell'acool bollente, dando un liquido che si rapprende per raffreddamento in una poltiglia cristallina. È anche solubile in etere, benzina, solfuro di carbonio, essenza di trementina, ed olî grassi. Le costanti fisiche e chimiche delle cere europee, che permettono di scoprire le frequenti sofisticazioni, sono le seguenti: punto di fusione 62°-64°; punto di solidificazione 60°; densità a 150°,958-0,970; numero di acidità 16,7-22,1; numero di saponificazione 88-106; numero degli eteri (differenza fra il numero di saponificazione e il numero di acidità) 65,9-85; numero di iodio 5,7-10. Le cere esotiche possono presentare delle costanti leggermente diverse.
L'imbiancamento della cera si ottiene sia esponendola in piccoli frammenti all'aria e al sole, sia per azione di sostanze ossidanti; la cera bianca presenta quasi le stesse costanti fisiche e chimiche della cera vergine. La cera delle api viene in commercio spesso sofisticata con sostanze minerali (talco, caolino, gesso, ecc.), con fecola, resina, sego, acido stearico, cere e grassi vegetali, paraffina, ecc. Le sofisticazioni con sostanze minerali e con fecola si riconoscono perché il'prodotto non è completamente solubile in alcool bollente e in cloroformio; le sofisticazioni con grassi e resine si scoprono determinando le varie costanti fisiche e chimiche.
La cera di api costituisce la parte principale delle cere genericamente note come cere animali, cioè delle cere estratte da taluni insetti, per es. dalla cocciniglia, della cosiddetta cera di lana, cioè la parte neutra del grano di lana propriamente detto (v. anche lanolina), degli spermaceti.
Cere vegetali. - Le formazioni analoghe alla cera che si trovano in alcune specie di vegetali superiori sono chimicamente affini alle sostanze grasse, ma ne differiscono per parecchi caratteri fisici e chimici. Infatti esse presentano una consistenza maggiore, un punto di fusione più elevato, e si sciolgono meno facilmente nell'alcool bollente.
Queste produzioni cerose si trovano generalmente alla periferia del corpo vegetale, ove rivestono le gemme, le foglie, i fusti e sono depositate sulla cuticola delle cellule epidermiche. Il loro aspetto è vario: o sono pellicole di vario spessore (1 μ sui fusti di alcuni Sempervivum ed Euphorbia carnose; 15-19 μ sulle foglie di Copernicia cerifera; fino a 79 mm. nell'Euphorbia canariensis; 5 mm. sui fusti di Ceroxylon e Klopstockia) o sottili bastoncini (foglie di Musa, Strelitzia; fusti di Saccharum officinarum, Phragmites communis, ecc.), o minutissimi granuli (foglie di Tulipa, di Eucalyptus, frutti di Prunus, ecc.).
La loro funzione è quella di ridurre considerevolmente o totalmente la traspirazione attraverso la cuticola; per questo abbondano nelle piante xerofile.
Sui fusti e sulle foglie di alcune piante vi sono delle ghiandole che secernono sostanze cerose (Ficus, Caladium, Gymnogramme, Cheilanthes); infine in altre piante la cera si trova all'interno delle cellule come avviene nei frutti di alcuni Rhus, di Myrystica ocuba; nel lattice del Ficus ceriflua; nel parenchima del fusto di parecchie Balanoforacee, che sono così ricche di cera da poter essere direttamente usate nei paesi di origine come candele.
In alcune specie la produzione della cera è così abbondante da poter essere usata industrialmente, come avviene specialmente nella Copernicia cerifera, la cui cera (carnauba) viene esportata dal Brasile.
Cera minerale. - Il consumo della cera animale è diminuito in questi anni per la forte introduzione di surrogati quali la stearina (v. grassi), la ceresina e la paraffina (v.). Una sorgente di paraffina fra le più importanti è la ozocherite (v.) o cera minerale. Trattando l'ozocherite con acido solforico concentrato e decolorando poi il prodotto ottenuto con nero animale, si ottiene la ceresina, prodotto di maggior valore e simile alla cera d'api. La ceresina pura bianca fonde a 62-80°, somiglia alla cera, ha un peso specifico di 0,918-0,922. Un'altra cera minerale, la cera montana (Montanwachs) si estrae dalle ligniti: queste vengono trattate con opportuni solventi, i quali, avvenuta l'evaporazione, lasciano una massa cerosa che, purificata con acido solforico fumante, dà una massa quasi bianca, la cera montana, simile alla ceresina.
Luoghi di produzione. - La cera d'api si produce principalmente in Francia (Normandia, Borgogna, Hérault), Portogallo, Germania (Baviera, Sassonia, Turingia), Egitto, Etiopia, Madagascar, Chile; la cera di lana nelle regioni dei grandi allevamenti ovini, ossia in Nuova Zelanda, Australia, America del Sud, Russia; la cera d'insetti in Cina e Giappone.
Le cere vegetali solide sono prodotte generalmente nelle regioni atlantiche dell'America; la cera carnauba a Bahia, Pernambuco, Rio Grande; la cera di candelilla nel Messico e nel Texas, la cera di palma nelle Ande. Alcune cere (di gondang e di pisang) sono peculiari di Giava, altre del Giappone (cera del Giappone).
L'ozocherite si trova principalmente in Polonia, in Inghilterra e negli Stati Uniti. I giacimenti più importanti e sfruttati commercialmente sono quelli della Galizia, dove l'ozocherite si trova anche in filoni di un metro di spessore.
In Italia si producono discrete quantità di cera d'api. La migliore e più abbondante produzione è quella della Romagna e della Toscana. Vengono in seconda linea, con produzioni abbastanza pregiate, la Campania e la Calabria. Meno pregiate sono le cere della Sicilia e del Veneto. Fino all'anteguerra, l'Italia esportava alcune migliaia di quintali di cera. Oggi invece ne importa da 2500 a 3000 quintali e ne esporta per 2 o 300 quintali.
Usi industriali. - La cera è usata soprattutto per la fabbricazione delle candele (v.). Si usa anche per la fabbricazione dei lucidi (con sapone e potassa per pulire i pavimenti), per apprettare, per lucidare carte e tele, per lapis litografici, mastici, impronte e modelli varî nella ceroplastica.
Farmacologia. - La nostra Farmacopea (1929) registra la cera vergine, o cera gialla (cera flava), e la cera bianca (cera alba) che sono adoperate nella preparazione di unguenti, pomate, cerati ed empiastri. La cosiddetta cera vegetale, o cera del Giappone, è una sostanza grassa costituita per la massima parte da palmitina oltre a acido palmitico, stearina, arachina, che si ricava specialmente dai frutti della Rhus succedanea e di altre specie affini della famiglia Anacardiacee; è stata proposta come succedaneo alla cera bianca. Nell'indastria, e non di rado nelle sofisticazioni della cera comune, è usata la cera carnauba.
Bibl.: J. Lewkowitsch, Chemical technology and analysis of oils fats and waxes, 6ª ed., voll. 3, Londra 1921-1923; A. Gruen, Analyse der Fette und Wachse, Berlino 1925; Ubbelhode e Goldschmidt, Handb. der Chemie und Technologie der Öle und Fette, 2ª ed., Berlino 1929. Sulla cera vegetale, J. von Wiesner, Die Rohstoffe des Pflanzenreiches, 3ª ed., Lipsia 1914, I; H. Molisch, Mikrochemie der Pflanzen, 2ª ed., Jena 1921.
La cera nell'arte.
La pittura in cera. - Tecnica molto in uso presso i Greci e i Romani così nella grande arte come nelle arti industriali; anzi, per esser tipica della pit ura su pietra, le sue origini sono da ricercarsi piuttosto nella decorazione architettonica e nella coloritura dei marmi, che nelle botteghe dei grandi maestri, autori di quadri su tavola, giacché è probabile che essa sia stata adottata per la notevole resistenza che la cera oppone all'azione degli agenti atmosferici e quindi inizialmente usata appunto per le opere più esposte all'aria aperta. Gli scrittori (Plinio, Nat. Hist., XXI, 85; Vitruv., De arch., IV, 2) ci dicono che la cera policroma serviva in pari tempo a decorare e proteggere le pareti degli edifici e le fini membrature architettoniche così di pietra come lignee, e infatti molte analisi chimiche, eseguite su resti antichi del genere, vi hanno confermato la presenza di cera mista ad olio. Con cere colorate si dava alle statue quella patinatura (γάνωσις) cui tanta importanza annettevano gli stessi artefici, se è vero l'aneddoto narrato da Plinio (Nat. Hist., XXXV, 133), secondo il quale Prassitele avrebbe affermato di prediligere fra le sue sculture quelle completate dal pittore Nicia. La stessa tecnica fu anche largamente adoperata per il legno e specialmente ebbe grande diffusione nella dipintura delle navi (Plinio, Nat. ist., XXXV, 149 ecc.; Ovid., Fast., IV, 275 segg.). Peraltro nella pittura d'arte essa ebbe le più considerevoli applicazioni, ma la perdita totale delle opere dell'antica pittura noq permette se non ideali rícostruzioni, sulla scorta delle testimonianze epigrafiche e letterarie o di monumenti molto tardi. Verosimilmente non si ricorse sempre ad un unico metodo, ma il sistema più diffuso e a noi meglio noto (benché caduto in disuso col tramonto della civiltà classica e interamente dimenticato nella pratica) fu l'encausto, che consisteva nello stendere le cere colorate disciolte a fuoco e poi spanderle con appositi arnesi di ferro riscaldati. Tuttavia pare che oltre a questa pittura a cera calda i Greci abbiano conosciuto anche una tempera a cera, e cioè si siano serviti di cere colorate solubili in acqua; in tal caso sarebbe da credersi che la tecnica della pittura in cera abbia predominato in tutta la pittura su tavola. Ma solo della pittura ad encausto conosciamo il metodo e identifichiamo gli esempî nei monumenti superstiti (v. encausto).
Bibl.: G. Perrot e Ch. Chipiez, Histoire de l'art dans l'antiquité, IX, Parigi 1911, pp. 198 segg. e 211 segg.; E. Pfuhl, Malerei u. Zeichnung d. Griechen, Monaco 1923, II, par. 660. V. anche ceroplastica.
Cera perduta: v. fusione.