ALTO-ADRIATICA, Ceramica
Con questa denominazione è stato definito recentemente da alcuni studiosi un gruppo di ceramiche che presentano caratteri omogenei, diffuse fra il Piceno e la foce del Po, il cui centro di fabbricazione non è ancora stato individuato.
Fra gli ultimi decenni del sec. XIX e i primi anni del XX si ebbero alcuni ritrovamenti sporadici di questa ceramica nelle necropoli di Adria, di Bologna (predio Benacci), di Osimo, di Montefortino, di Nesazio in Istria; ma particolarmente importanti e numerosi furono gli esemplari emersi dagli scavi del 1890 nel sepolcreto di Numana, che diedero occasione al Brizio di descrivere brevemente questi vasi, indicandoli come produzione di un ignoto centro italico, importati nella città picena. Nel 1922 cominciarono altri rinvenimenti durante l'esplorazione della necropoli di Spina in Valle Trebba, rinvenimenti che si protrassero per più di un decennio e che sono ricominciati poi in Valle Pega con l'aprirsi delle nuove campagne di scavo fino dal 1954. Frattanto, essendo stati ripresi ad Adria scavi sistematici nel 1938 lungo una nuova inalveazione del Canalbianco, si trovò, nella necropoli preromana, lo stesso tipo di materiale ceramico. Il Ducati segnalò la presenza di questa ceramica a Spina dopo il rinvenimento dei primi esemplari. Il Negrioli li mise in relazione con quelli dei sepolcreti piceni, ascrivendoli a una ignota officina etrusca. L'attribuzione a un'officina altoadriatica fu proposta dall'Aurigemma; fu in seguito ripresa dalla Felletti Maj in base all'esame più approfondito e con questa denominazione è presentata anche nella guida del Museo Archeologico di Ferrara di Arias e Alfieri. Il Beazley invece, tenendo conto esclusivamente del gruppo di Spina (Ferrara), lo ha incluso nella produzione etrusca molto tarda, dubitando che si tratti di fabbrica locale.
Le forme di questa ceramica sono, con qualche eccezione, quelle classiche: il cratere a campana e a calice, la pelìke, la lekàne, lo sköphos, la òlpe, l'oinochòe a bocca trilobata, lo stàmnos, la pisside, la phiàle, l'askòs. Le sagome dei vasi sono però appesantite e alterate rispetto a quelle greche; hanno affinità, in taluni casi, con quelle dei vasi italioti, in altri corrispondono alle forme della cosiddetta ceramica etrusco-campana. Si nota poi qualche forma peculiare, come la brocca a bocca rotonda con ventre espanso e ansa bifida. Per la fabbricazione di questi vasi sono state adoperate due qualità di argilla; di colore giallastro assai pallido l'una, più rossa l'altra, ambedue depurate e omogenee, ma piuttosto friabili. Nulla hanno a che vedere con le argille usate nei centri di produzione dei vasi italioti a figure rosse e non è da escludere che provengano dalle argille del Po; lungo il fiume si incontrano in prevalenza argille pallide verso la foce, rossastre lontano dal mare. La vernice nera è di qualità assai scadente, opaca, e poco resistente all'azione del tempo e dei terreni impregnati d'acqua. La tecnica più antica è quella dei vasi a figure rosse; fra questi si distingue un gruppo di crateri a decorazione figurata, di ceramica pallida, con vernice scadente, mal distribuita, con alcuni particolari interni sovrappinti, tracciati con i colori bianco e giallo. Questa tecnica però non si mantiene inalterata: ben presto la vernice nera o nero-rossastra viene ristretta a una striscia che delimita la figura, quindi a un pennellata di contorno; si assiste a tale inversione della tecnica nell'abbondante e dozzinale produzione di vasi, specialmente oinochòai e lekànai, con "testoni" di profilo e ornati fitomorfi e geometrici, tracciati con vernice nera sul fondo chiaro. Naturalmente si prospettano degli interrogativi: quale fu il luogo di fabbricazione di tale ceramica? quali i limiti cronologici? da quali centri di produzione ebbe impulso? Risulta dagli scavi che essa fu di uso comune in un territorio ristretto ai centri costieri (fra il Piceno e le foci del Po) e scarsamente esportata nei luoghi limitrofi interni e sull'opposta sponda adriatica. Si tratta di un prodotto di carattere accentuatamente provinciale e periferico, sia per la tecnica scadente, sia per le forme appesantite, sia per la rapida decadenza del disegno. Il Brizio aveva notato l'aflinità per forma e ornati di alcuni crateri di Numana con quelli falisci. Affiancando a queste ceramiche qualche altro vaso di Spina, la Felletti Maj pensò a una fabbrica impiantata inizialmente, con forti influssi falisci, nel territorio di Ancona, che si sarebbe in breve diramata verso Spina e Adria, accogliendo varî insegnamenti dall'Etruria e probabilmente dall'Apulia. Sarebbe da prendere in considerazione anche una relazione con i crateri volterrani a grandi teste tra palmette (v. Volterra). Il Beazley ha affermato il carattere etrusco del "gruppo di Ferrara, tomba 785", accostando nel contempo questi vasi ai prodotti campani del Pittore di Vitulazio (v.). Nei tre crateri attribuiti a questo pittore (Journ. Hell. Stud., lxiii, 1943, p. 104) la decorazione consiste in grandi teste femminili di profilo, tracciate con rapidità e trascuratezza, in una tecnica affine ai vasi altoadriatici. La testa femminile di profilo con ampia cuffia ricamata, che nasconde tutta la chioma, tranne i ricci sulla fronte e i boccoletti scendenti in coppia davanti all'orecchio, è infatti il soggetto preminente in brocche, crateri, lekànai, insieme a ornati a spirale derivanti da motivi fitomorfi, grandi palmette, rami di alloro, foglie di vite e qualche meandro, o altro motivo geometrico. Questo repertorio è comune a tutte le necropoli; fa però eccezione il sopra citato gruppo di Numana-Spina, formato da crateri, pelìkai, lekànai di ceramica assai pallida, con colori sovrappinti, decorato con figure femminili stanti o sedute, Satiri, Eroti. Le figure hanno forme molli, ampie, talora qualche spunto caricaturale; nelle lekànai di Spina si nota qualche soggetto diverso (scena di gineceo, grifoni), che sembra ispirato al repertorio contemporaneo delle lekànai a figure rosse di importazione. Gli ultimi vasi a figure rosse, di stile piuttosto trascurato e frettoloso, sono infatti presenti, sebbene non abbondanti, nei corredi funebri di Numana e di Spina caratterizzati dalla ceramica alto-adriatica. Si tratta delle tombe più antiche, che risalgono al IV sec. a. C., come induce a credere anche l'abbondanza delle scodelle a vernice nero-lucente con ornati graffiti nell'interno, che a Spina fanno la loro apparizione negli ultimi decenni del V sec. e continuano ad apparire per lungo tempo nel secolo successivo. È indispensabile a questo proposito osservare che una recente classificazione delle ceramiche "campane" non si può applicare, dal punto di vista cronologico, ai sepolcreti del versante adriatico. La grossa e pesante ceramica a vernice nero-opaca si accompagna a Spina agli ultimi vasi a figure rosse, ed ha evidentemente fornito i modelli a talune forme alto-adiatriche, come sköphoi e oinochòai. Per la datazione un dato interessante è fornito dal recente ritrovamento nella città di Ancona di una tomba contenente, insieme a una oinochòe decorata dalla solita testa femminile, un semiobolo d'argento tarentino. Nel periodo di più abbondante produzione dei vasi a.-a. fanno parte dei corredi funebri anche ceramiche tipo Gnathia ed altre assai piccole imitanti i vasi metallici, e inoltre piccole ceramiche plastiche etrusche, porta-profumi di pasta vitrea, balsamarî di alabastro, collane di ambra, qualche gioiello di fattura etrusca; sono inoltre presenti grandi anfore, vasetti e piattelli non verniciati di argilla giallo-rossastra e il vasellame analogo di argilla grigia nelle povere e semplici forme dell'età gallica; rari sono i bracciali di tipo gallico e le fibulette a balestra, ma l'orizzonte di questa civiltà è analogo a quello dei sepolcreti felsinei e piceni di Adria. Nei sepolcreti adriesi si nota però minor varietà di forme nella ceramica a.-a., maggior monotonia nei motivi e l'assenza della tecnica propria della fase iniziale.
Mancano in queste tombe adriesi i vasi a figure rosse, ma vi si è trovata una patera con quadrighe della ceramica cosiddetta calena. Sorta nella seconda metà del IV sec. a. C., l'industria ceramica a.-a. era ancora fiorente, se anche decaduta dal punto di vista del disegno, nella prima metà del III sec. Non sappiamo però se fosse ancora attiva nel secondo cinquantennio; per certo non varcò la fine del secolo.
Bibl: E. Brizio, Scavi nella necropoli di Numana, in Not. Scavi, 1891, p. 150 ss.; P. Ducati, Il sepolcreto di Valle Trebba nel Comacchiese, in Rend. Acc. delle Scienze dell'Istituto di Bologna, S. II, vol. III, 1923-24, p. 10; A. Negrioli, in Not. Scavi, 1924, pp. 289 ss., 304 s.; id., in Not. Scavi, 1927, p. 172; S. Aurigemma, Il R. Museo di Spina in Ferrara, 1936, p. 121 ss., tavole LVII-LXVI; B. Felletti Maj, La cronologia della necropoli di Spina e la ceramica a.-a., in St. Etr., XIV, 1940, p. 43, ss., tavv. III-VII; G. Fogolari, Scavo di una necropoli preromana e romana presso Adria, in St. Etr., XIV, 1940, p. 439 ss., tav. XLII-2; J.D. Beazley, Etr. Vase-paint., Oxford 1947, p. 177 ss., 186; P. E. Arias-N. Alfieri, Il Museo Archeologico di Ferrara, Ferrara 1955, p. 28 ss., tavv. 18-20.