SAINT-VALENTIN, Ceramica di
La classe di vasi attici detta di S.-Valentin dal ritrovamento di un esemplare in Francia, a La Motte S.-Valentin (v. la tène, civiltà di), comprende più di un centinaio di kàntharoi e sköphoi a vernice nera con motivi geometrici e vegetali sovraddipinti in bianco su nero o tracciati con vernice diluita sul fondo risparmiato. Questa produzione si può pertanto considerare compresa nella tecnica delle figure nere, benché si estenda dalla metà del V sec. a. C. fino al IV; a partire dalla fine del V sec. si conoscono molte imitazioni àpule e campane.
La forma del kàntharos, leggermente svasato, privo dell'alto piede e con i manici che non superano la linea dell'orlo, è stata creata con i primi vasi di questa classe, forse con la suggestione dei vasi plastici a due teste, dove si nota la stessa posizione dei manici e il medesimo piede ad anello. Negli esemplari più tardi il corpo del kàntharos è più rigidamente cilindrico ed il piede è scanalato. Lo sköphos conserva invece la forma di quello corinzio arcaico, molto arrotondato e con piccolo piede, o l'altra, parimenti difiusa nella ceramica attica, con largo piede e pareti più rigide, che alla fine del V sec. assume un profilo sinuoso, affinato verso il basso.
I motivi ornamentali degli esemplari più antichi e la stessa maniera di disporli in due "metope" uguali sulle due facce del vaso, sono l'invenzione di un maestro la cui mano è riconoscibile su alcuni kàntharoi, e che poi ha esteso ed adattato agli sköphoi le medesime campiture decorative. Ogni metopa è limitata in alto ed in basso da una fascia a linguette che rappresenta l'elemento di più tenace continuità iconografica in tutta la serie dei vasi di S.-Valentin. Tra queste due strisce si succedono: un motivo a rete di rombi, una stretta fronda d'edera ed un caratteristico disegno a palmette o "piume" sovrapposte con disposizione squamata; può mancare talvolta uno dei due principali motivi. La fascia continua a linguette è presente su grandi vasi attici degli anni dal 460 al 425 a. C., e soprattutto sulle brocchette con teste plastiche. Queste ultime, che rappresentano anche per la forma un precedente dei kàntharoi, sono dipinte talvolta dal Pittore di Brygos, ed i motivi più simili a quello della rete e delle palmette si trovano su di esse e su vasi firmati dal vasaio, ma non dipinti dal maestro; è lecito pertanto supporre che nella cerchia di Brygos fosse anche l'autore dei primi vasi di S.-Valentin (Johnson, Howard); meno fondata appare la connessione con la bottega del Pittore della Megera (Haspels). La cronologia piuttosto alta dei primi vasi di S.-Valentin è comunque confermata dai ritrovamenti nei corredi della necropoli della Certosa, a Bologna, ed in uno strato anteriore al 425 circa, a Camarina.
Ancora nell'ambito del terzo venticinquennio del secolo, come proverebbe un frammento da Camarina, appare una larga fascia di alloro con foglie e bacche bianche su nero, in sostituzione del ramo d'edera. Il motivo è rappresentato sui vasi a figure rosse fin dal 450 circa, ma nella ceramica di S.-Valentin sembra che abbia fortuna più tardi, come prova il progressivo arricchimento del chiaroscuro e della policromia: nei migliori esemplari le foglie sono ravvivate, lungo la nervatura, da sfumature brune ed una volta anche dalla doratura. Si conserva in generale il disegno a rete o a palmette, quest'ultimo più carico nei toni rossi della vernice sul fondo naturale dell'argilla; ma vi sono anche vasi che per tutta decorazione hanno due fasce di alloro, con il solito motivo a linguette, che però negli sköphoi resta solo sopra la metopa e tende a divenire più sommario. Gli esemplari più tardi sembrano appunto quelli con la doppia fascia di alloro: un kàntharos ad Este era probabilmente associato con materiale del IV sec. ed uno sköphos a largo piede di Bologna, rivela un profilo simile già a quello sinuoso.
Negli ultimi anni del V sec. vengono abbandonati definitivamente gli originarî motivi decorativi, sostituiti da pannelli verticali alternatamente riempiti con motivi vegetali o semplice tratteggio a vernice. Questo disegno, associato con la corona di alloro ed il solito motivo a linguette, si trova tanto sugli sköphoi a doppia curva della fine del V sec. quanto sui kàntharoi a piede scanalato. La decorazione è sempre sommaria, e le foglie di palma e le fronde d'edera inserite nelle campiture verticali hanno solo un vago spunto naturalistico. Ciò forma un sorprendente contrasto con la vivacità quasi illusionistica delle riproduzioni di motivi vegetali sulla ceramica del IV sec., e convince che a questo punto i kàntharoi e gli sköphoi si continuavano a decorare nello schema di S.-Valentin per una stanca tradizione; in Attica questa cessa infatti del tutto con i primi decenni del IV secolo.
È invece agli ultimi esemplari della classe di S.-Valentin che si rifanno, per la forma dei kàntharoi, il disegno e la tecnica, le prime imitazioni àpule; esse se ne differenziano per un'ulteriore degradazione del primitivo criterio decorativo di tutta la produzione attica. Sui kàntharoi àpuli, nella serie di campiture rettangolari, si inserisce un quadrato centrale, con criterio simmetrico estraneo ai modelli attici, e viceversa per un desiderio di variazione ispirato da altre forme della ceramica si alternano disegni diversi sulle fronti del vaso. Questi primi esemplari la cui fabbricazione àpula è confermata dalla provenienza, quando è nota, appartengono con altri, probabilmente del IV sec., al gruppo detto di Xenon. Una diversa serie, di una decina di esemplari, è invece riferibile ad una fabbrica campana.
Bibl.: P. Orsi, Camarina, in Mon. Ant. Lincei, XIV, 1905, c. 757 ss., figg. 112, 113, cc. 912, 943; G. Pellegrini, Catalogo dei vasi greci dipinti delle necropoli Felsinee, Bologna 1912, n. 549 ss., fig. 137; J. Déchelette, La collection Millon, Parigi 1913, p. 127 ss., tav. XXXI; P. Jacobstahl-A. Landsdorff, Die Bronzeschnabelkannen, Berlino 1929, tav. 40 a, p. 62 s.; J. D. Beazley, Campana Fragments in Florence, Londra 1933, p. 26, tav. 19, 8; C. H. E. Haspels, Attic Black-figured Lekythoi, Parigi 1936, p. 183 ss.; J. D. Beazley, Etr. Vase-Paint., p. 219 ss.; 248; S. Howard-P. F. Johnson, in Amer. Journ. Arch., LVIII, 1954, p. 191 ss., tav. 32 ss.