CERAMICA (fr. céramique; sp. cerámica; ted. Keramik, Töpérkitnst; ingl. ceramic)
L'arte della ceramica concerne la fabbricazione di prodotti formati di terra, foggiati a mano o meccanicamente, e cotti. La parola è derivata dal nome greco dell'argilla (κέραμος) ed è passata nelle lingue moderne nel senso in cui i Latini adoperavano fictilis, cioè per indicare ogni oggetto fatto di argilla. Secondo tale accezione originaria, conservata in molte lingue moderne, la ceramica comprende il vasellame, le statue e statuette e gli elementi da costruzione. Tali oggetti riescono diversi nei riguardi tecnici: a) in dipendenza della varia natura della terra e degl'ingredienti talora aggiunti a formare l'impasto, varietà che richiedono appropriato grado di calore; c) secondo l'eventuale loro rivestimento; nei riguardi ornamentali, secondo l'eventuale tipo di decorazione. Materia prima essenziale è un impasto ottenuto dalla mescolanza, con adeguata quantità di acqua, di argilla (v.), allo stato naturale o corretta da altre sostanze, il quale offra plasticità e coesione sufficienti.
Il primo prodotto crudo, già relativamente rassodato (si dice allora verde), poi appositamente essiccato, deve essere sottoposto all'azione del fuoco che contrae l'impasto terroso (pasta) messo in opera, lo indurisce, lo fissa in una forma permanente, e, secondo la composizione chimica, lo trasforma più o meno intensamente e ne cambia anche il colore; a differenza di quello che avviene nell'affine arte del vetro, non lo fonde (il che deformerebbe il prodotto); lo porta, per talune varietà ceramiche, a un principio di vetrificazione. A cottura subita, gl'impasti possono essere considerati o secondo il diverso grado di compattezza o secondo il colore acquistato; questi differenti risultati possono già servire per una prima classificazione delle paste ceramiche, perché ogni classe di prodotti ha le proprie caratteristiche fondamentali; si hanno così ceramiche a pasta porosa o a pasta compatta; a pasta colorata o a pasta bianca. Però una classificazione definitiva deve tener conto di un altro elemento, che nella gran parte dei casi è costitutivo di un dato tipo di ceramica, cioè del rivestimento.
La più semplice espressione della ceramica si trova negli oggetti formati di solo impasto: cioè di terracotta, che è anche il nome dato alla prima grande classe di una divisione razionale della produzione: cioè a tutti i manufatti di un'argilla che cuoce porosa e colorata e senza applicazione di rivestimento (dal mattone al comune vaso da giardino, dalla statuetta alla terracotta ornamentale). Ma la necessità dell'uso e il sentimento estetico hanno suggerito fin dai tempi remotissimi (v. oltre) l'adozione di un processo correttivo della pososità e del colore della pasta mediante l'applicazione di un involucro, più o meno spesso, trasparente od opaco, che tolga la permeabilità alle paste tenere, dia levigatezza a quelle dure, dissimuli col proprio colore il corpo di quelle argille che non cuociono in bianco.
A parte il rivestimento alcalino impiegato dai ceramisti dell'antichità e l'ingobbio terroso, formato da un velo bianco di terra (da noi detta di Siena o di Vicenza) da applicarsi sul verde e richiedente a sua volta un secondo involucro impermeabile (bianchetto si disse e si dice ancora in molte officine d'Italia e fu usato specialmente per le ceramiche da ornare con graffiti), gli altri rivestimenti si possono ridurre a due tipi: le vernici e gli smalti. Le prime sono trasparenti e di esse quella a base di piombo (vernice piombifera) si suol dire anche vetrina o cristallina ed è propria delle paste tenere perché fonde a temperatura relativamente bassa; quelle boraciche e feldspatiche si dicono piuttosto coperta e son più proprie delle porcellane, perché fondenti a un più alto punto di temperatura. Degli smalti, più noto e comunemente usato è quello bianco, brillante, opacificato dall'ossido di stagno, che forma il classico rivestimento della maiolica (v.). Ambedue queste specie si possono tingere con colori vetrificabili, dovuti a ossidi metallici, i quali, uniti ai necessarî fondenti, secondo la temperatura e l'atmosfera del forno (ossidante o riducente), si comportano in modo diverso e dànno quindi diverso effetto.
Anche la pittura o l'ornato a colore è, nella maggior parte dei casi, dato da colori vetrificabili dovuti a codesti ossidi. Secondo la temperatura che devono subire, i colori si dicono a piccolo fuoco o a fuoco di muffola (da applicarsi soltanto sui rivestimenti: circa 600°) e a gran fuoco (da applicarsi sotto o dentro i rivestimenti (da 900° a 970° e oltre).
Il nome dei rivestimenti vaga tuttora incerto non solo fra lingua e lingua, ma anche in italiano. Quelli di tipo vetroso son detti più comunemente in fr. glaçure; sp. vidriado; ted. Glaóur; ingl. glaze; termini, che, nella loro vasta comprensione, mal trovano riscontro nella voce invetriatura che dovrebbe limitarsi a indicare i rivestimenti a smalti colorati (tipo della Robbia: quindi terrecotte invetriate). Il rivestimento terroso (che richiede un successivo involucro metallico per dare impermeabilità all'oggetto), detto da noi ingobbio, bianchetto, mezzamiolica (voce questa che denota piuttosto una iase intermedia fra le due tecniche, con l'aggiunta cioè di una piccola quantità di ossido di stagno per rendere più ricco l'ingobbio), vien detto in fr. engobe; sp. engalba; ted. Halbmaiolika; ingl. slib.
Se alla terracotta comune (detta in questo caso biscotto) si applica un rivestimento, si produce la seconda grande classe delleceramiche, quella delle faenze, la cui varietà più nota è la maiolica. Le altre sue suddivisioni corrispondono ai varî tipi di rivestimento (terroso o metallico, opaco o trasparente).
Il nome di "faenza", qua e là vivo nell'uso popolare italiano, è di applicAzione corrente all'estero (fe. faïence; sp. loza, faenza: ted. Fayence; ingl. fayence), dove si diffuse dopo che in Francia, con la fine dei secolo XVI e più ancora nel successivo, ebbe a designarsi col nome della città di Faenza, famosa sin dal Rinascimento per le sue ceramiche smaltate e policrome, questo genere di produzione a pasta argillosa colorata e porosa, ricoperta di speciale rivestimento a base di ossido di stagno.
L'impiego di argille appropriate e di speciali ingredienti ci da la produzione delle altre grandi classi ceramiche, quali il gres (v.); fr. grès; sp. gres; ted. Steinzeug; ingl. stoneware), che ha una pasta compatta, generalmente colorata (anche bianca e l'opacità lo differenzia allora dalla porcellana, che è translucida), cuoce ad alta temperatura e può essere o no rivestito; la terraglia (v.; fr. faïence fine, terre de pipe, cailloutage; sp. loza fina, loza inglesa, ted. Steingut; ingl. earthei enware), che cuoce a pasta bianca ed è di varia compattezza, richiedendo così o una vernice piombifera o una coperta secondo la temperatura alla quale viene portata; la porcellana (v.); fr. porcelaine; sp. porcelana; ted. Porzellan; ingl. porcelain, China), che cuoce ad alta temperatura, a pasta bianca, compatta e richiede una coperta. Allorché si produce senza rivestimento (specialmente in piccoli oggetti d'arte) e imita la grana del marmo, si chiama, alla francese, biscuit (sp. bizcocho).
L'insieme del vasellame da tavola e da cucina prende il nome collettivo di stoviglie, il quale indica piú l'uso che la materia (cfr. il lat. testum; fr. poterie; sp. vajilla; ingl. pottery; ted. Töpferei).
Nella totalità dei casi, per fissare il rivestimento e l'ornato occorrono una o più cotture successive a quella per la formazione del biscotto, e allora il prodotto si dice finito. Sono dunque due i processi essenziali che concorrono alla produzione della ceramica: la manipolazione delle materie e la cottura; durante quest'ultima fase avvengono quei cambiamenti di stato fisico e quelle continue e progressive reazioni chimiche che fissano il tipo ceramico che si vuol produrre (v. oltre quanto è detto circa l'industria e la fabbricazione della ceramica).
Basandosi in prevalenza su questa seconda fase della produzione e sulla scorta di un'antica radice sanscrita (che darebbe alla voce ceramica il significato di "materia cotta") il prof. Oldfather, considerando più ìl processo che la sostanza, aveva proposto di estendere la voce fino a comprendere altri prodotti "cotti", come le materie cementanti, i metalli smaltati, gli smerigli, gl'isolanti, ecc. La proposta, accettata in America, non trovò applicazione in Europa, dove è parso più ragionevole riguardare intimamente uniti, come sono, i due momenti della produzione ceramica (manipolazione di un impasto particolare a base di argilla e sua cottura), i quali utilizzano le proprietà fondamentali dell'argilla (plasticità dell'impasto molle, indistruttibilità dopo cottura delle forme impartitegli).
I tentativi di classificazione dei prodotti ceramici sono stati molti e laboriosi, ma la terminologia è ancora incerta, le singole nomenclature dibattute e senza esatta corrispondenza fra le varie lingue. Il seguente schema sommario, che rispecchia i casi più comuni, da tempo è adottato dal Museo e dalla R. Scuola di Ceramica di Faenza, e, senza presumere di corrispondere a tutte le richieste, tien conto, per quanto è possibile, dei due punti di vista: storico e tecnologico.
Storia.
La ceramica presso 1 primitivi. - Classificazione. - La ceramica è uno degli elementi materiali di cultura che hanno dato luogo alle ricerche più numerose; il suo studio ha destato le maggiori speranze soprattutto riguardo all'etnografia preistorica, perché si sperò che essa potesse fornire un criterio per datare i giacimenti. Si sono tentate numerose classificazioni delle ceramiche, spesso perfettamente opposte le une alle altre. Teoricamente la classificazione delle ceramiche può basarsi su sette prmcipî. La composizione chimica delle ceramiche, a prima vista, non sembra dare luogo a risultati soddisfacenti, perché in realtà i ceramisti primitivi non hanno preparato i materiali, ma si sono serviti di quelli che la natura offriva, di modo che impasti chimicamente simili possono essere stati utilizzati da popoli molto lontani nel tempo e nello spazio, e invece popoli vicini hanno impiegato terre chimicamente differenti. Per la stessa ragione la composizione delle paste non è un buon criterio, perché i primi vasai possono avere avuto a loro disposizione della pasta fina o grossolana senza possibilità di scelta. I processi di lavorazione hanno già maggior valore, ma in presenza di un vaso è spesso difficile poter dire quale sia stato il procedimento impiegato. Sarebbe inoltre completamente errato credere che i processi più perfezionati abbiano sostituito, ovunque siano stati conosciuti, quelli primitivi; anche in molte provincie e villaggi d'Europa si vedono sussistere contemporaneamente processi molto diversi gli uni dagli altri. La forma delle ceramiche è uno degli elementi più importanti per la classificazione, ma questo criterio non ha un valore assoluto, poiché talune forme si trovano per così dire ovunque; è il caso della coppa, che può essere considerata come un abbozzo di qualunque forma di vaso, e anche delle ceramiche in forma di calice che, malgrado l'eleganza e la ricercatezza apparenti, sono forme primitive (Franchet). La dimensione dei vasi è un elemento molto secondario, quantunque in talune regioni le dimensioni delle varie forme possano essere differenti. La decorazione è al contrario un elemento di differenziazione molto importante, specialmente nei particolari; anche qui però occorre guardarsi dal distribuire nel tempo i differenti principî di decorazione, perché si trova frequentemente che una ceramica è più semplice di un'altra alla quale è succeduta. Infine la cottura è stata proposta come criterio cronologico ed è stata stabilita, per la ceramica francese, la scala seguente (Pagès-Allary): 0. età paleolitica: niente di cotto; 1. età neolitica: molto poco cotto; 2. età del bronzo: poco cotto; 3. età gallica: abbastanza cotto; 4. età gallo-romana: ben cotto; 5. età merovingia: molto cotto; 6. età medievale: vetrificato grès; 7. età moderna: smaltato. Pure ammettendo la tendenza generale di questa scala, sorge il dubbio che essa sia troppo comoda, nella sua semplicità, per potere essere applicata ai casi particolari. Succede infatti che delle paste sottoposte simultaneamente alla stessa temperatura diano, nella cottura, dei risultati molto differenti e ciò a seconda della loro composizione chimica. Si è così riportati al primo elemento ricordato: alla composizione, e bisogna riconoscere che una classificazione chimica dà una base elementare precisa per la nomenclatura: senza dubbio questa classificazione non è esauriente per la determinazione precisa delle ceramiche e bisognerà aggiungervi una classificazione empirica geografico-cronologica, che tenga conto degli elementi a seconda della loro importanza, basandosi cioè ora sull'una ora sull'altra classificazione di comodo o, per impiegare un termine di medicina, una classificazione clinica.
Il Franchet, prendendo come principio di classificazione delle ceramiche primitive la composizione della pasta, suddivide le ceramiche in ceramiche a pasta non vetrificata e in ceramiche a pasta vetrificata (vedi oltre). Le paste non vetrificate sono tenere, opache, permeabili, a frattura opaca; le paste vetrificate sono dure, translucide, impermeabili e a frattura brillante. Le ceramiche a pasta non vetrificata si suddividono in ceramiche non smaltate e in ceramiche smaltate. Fra le ceramiche non smaltate quelle che contengono del perossido di ferro sono dette ferruginose, poiché il perossido comunica loro una tinta nera, bruna e specialmente rossa, rosa o gialla, le altre sono non ferruginose (in particolare i materiali refrattarî); ma un terzo genere è costituito dalle ceramiche dette carbonifere, perché, anche se sono ferruginose, esse contengono del carbone, introdotto allo scopo di colorare la pasta. Le ceramiche non vetrificate smaltate possono pure essere ferruginose (maioliche dette stannifere) o non ferruginose (terraglie); un terzo genere è costituito dalle paste puramente silicee, senza alcuna terra plastica, per quanto ciò possa sembrare paradossale. Il secondo grande gruppo, quello delle ceramiche a pasta vetrificata, è del tutto ignoto alla ceramica primitiva e non si riferisce sostanzialmente che a delle ceramiche moderne (v. sotto). Le ceramiche carbonifere meritano di essere considerate con particolare attenzione, data la loro importanza tra le ceramiche primitive (dal punto di vista storico ed etnografico). Bisogna dividerle in tre specie che, come vedremo più tardi, sono caratteristiche di popoli differenti. Il primo gruppo è formato dalle ceramiche carboniose, poco cotte e nere in tutta la loro massa per la mescolanza di carbone polverizzato con la pasta; esse non si lucidano con lo strofinamento, come le ceramiche affumicate, ma diventano con la levigatura più brillanti delle ceramiche chiare; in confronto alle ceramiche affumicate quelle carboniose sono di un nero leggermente grigiastro. Le ceramiche nere, non per introduzione di carbone nella pasta ma per cottura speciale, sono dette affumicate; esse acquistano per lo strofinamento un bel lustro. Esse vanno suddivise in due specie. Una è formata di quelle affumicate nella massa e ha una pasta completamente nera (talvolta la parte esterna è più chiara essendo stata la cottura ossidante verso la fine, mentre l'interno è sempre nero); questo nero della pasta è ottenuto per cottura in un focolare chiuso, come per la preparazione del carbone di legna, nel quale le ceramiche si trovano in mezzo al combustibile, e la massa è ricoperta di ramaglie ricoperte esse stesse da uno strato di argilla (cottura riduttrice, di piccola intensità). L'altra specie (terza delle ceramiche carbonifere) è quella delle ceramiche affumicate superficialmente, in cui la pasta, molto dura, è nera soltanto per un piccolo spessore. Questo risultato è ottenuto con la cottura completa e facendo poi scendere la temperatura all'inizio del calor rosso e affumicando allora energicamente con un combustibile fuligginoso. Le ceramiche puramente silicee formano anche storicamente un gruppo molto importante e omogeneo, poiché esse non contengono traccia di materia plastica, bisagna ammettere che questa materia era una materia organica, che è scomparsa con la cottura.
Lavorazione. - Fra la preparazione della pasta e la cottura della ceramica interviene la lavorazione. Quando una ceramica è terminata, è spesso difficile ríconoscere i metodi di lavorazione, ma, con l'osservazione di ciò che si fa presso i popoli attuali, il van Gennep ha accertato l'uso di otto processi, tutti manuali, poiché questi soli interessano l'etnologia.
1. La zolla di argilla viene modellata nel modo desiderato, poi l'interno viene scavato con uno strumento qualunque, con un coltello, una conchiglia o altro (Andamane).
2. La zolla di argilla è modellata completamente con le due mani, senza che essa venga posata su un sostegno per questo lavoro (alcuni vasi da offerta scintoisti del Giappone, quelli di alcune popolazioni del Congo e di talune tribù del Rio Madre de Dios nell'America del Sud).
3. La zolla di argilla è posta su un oggetto piatto (pietra, coccio, ecc.); le si dà poi la forma desiderata assottigliando il fondo ed elevando i fianchi con le mani (Angoni, Wayao dell'Africa orientale, tribù del Congo Belga sull'alto Lualaba, il Cassai, il Kimugo, l'Ubanghi, il medio e basso Congo; alto Egitto nella regione di Assuan).
4. La zolla di argilla è un po' scavata e le sue pareti sono compresse con l'aiuto di una specie di paletta sicché si assottigliano e si elevano (in certi luoghi dell'India, presso i Malesi del Perak, nella Nuova Guinea, nelle isole Shortland, presso gli Haussa della Nigeria settentrionale).
5. Il quinto procedimento comprende molte varianti, tutte però caratterizzate dal fatto che la zolla di argiìla si applica su uno stampo, sia all'interno, sia più frequentemente all'esterno dello stampo stesso; nel primo caso la forma si fa abitualmente in una specie di paniere, nel secondo caso lo stampo può essere un vaso capovolto, un vero e proprio stampo di legno o di argilla, una pietra, un segmento di grosso bambù, o, infine, un pacchetto di fibre vegetali, che verrà lasciato nell'interno della ceramica e che brucierà nella cottura. In generale la sola pancia del vaso è fatta nella forma, poiché il piede e il collo sono aggiunti dopo. Si hanno esempî di modellamento esterno presso gli Haussa della Nigeria settentrionale, nel Congo (Stanley Pool), nella Nubia (Asiūt), nel Perù (Pima), presso i Naga dell'Assam (su cilindri di bambù), nel Brasile centrale (su pacchetti di fibra che bruciano alla cottura). È forse ai vasi fatti a stampo che bisogna ricollegare i panieri rinforzati da uno strato di argilla, primo abbozzo di stampo su panieri, ciò che proverebbe, secondo la maggioranza degli autori, che la ceramica è derivata dall'industria dei panieri, mentre altri non ammettono questa derivazione, vista la complessità di questa industria e il fatto che la ceramica potrebbe derivare dalla semplice osservazione dell'acqua stagnante nelle depressioni naturali di un terreno argilloso. Quest'ultima maniera di vedere è semplicemente teorica e l'osservazione dei pezzi preistorici dà pienamente ragione al primo punto di vista.
6. Una piccola zolla di argilla è posta su di un oggetto fisso o mobile; questa zolla viene leggermente scavata in maniera da formare il fondo. Le pareti sono elevate con l'apposizione di piccoli lembi di argilla che viene assottigliata e stirata con le dita (procedimento principale dei Cabili, in tutta la Siria moderna e presso gli Araucani).
7. Procedimento simile al precedente, ma nel quale i lembi di argilla sono dei rulli detti colombini, sia corti, sia della lunghezza del vaso. Questi rulli sono stirati verso l'alto e appiattiti in maniera da formare una paretc uniforme (certe ceramiche dei Cabili, degli Ibo del Niger, della Nigeria meridionale, dei Bangala del Congo, dei Bantu del paese di Kiziba, degli abitanti di Chowra nelle Isole Nicobar, dei Boutoc Igorot delle Isole Filippine, dei Lengua del Paraguay e Puna, Galibi, Caribi, Arawak, Chiriguano, Mataco, ecc. dell'America del Sud).
8. Procedimento simile al precedente, ma nel quale si prepara un solo lungo rullo che si arrotola a spirale, dopo di che si eguagliano le pareti (talune ceramiche cabile, di certe tribù del Congo Belga, di alcune Isole della Melanesia, di taluni Indiani del Chile e del Brasile). Si discute se si debba far derivare questa tecnica dall'intrecciatura dei panieri o semplicemente dalla tecnica precedente.
Si deve notare che nel primo dei procedimenti descritti si toglie nella lavorazione una parte della zolla di argilla primitiva, che nei procedimenti 2°, 3°, 4° si utilizza la zolla di argilla senza togliervi né aggiungervi nulla e infine che nei quattro ultimi procedimenti si fanno aggiunte alla zolla primitiva. Però quasi sempre il piede e il collo sono aggiunti separatamente alla parte centrale dei vasi, come pure gli eventuali manici (questa parte della lavorazione è detta guarnitura). D'altra parte gli otto procedimenti derivano dal modellamento, salvo il 5°, che costituisce lo stampo, ma i procedimenti a stampo sono sufficientemente differenti gli uni dagli altri per giustificare una divisione di questo processo.
A proposito della lavorazione occorre parlare del tornio o ruota da vasai, apparecchio che permette al vaso di girare regolarmente su sé stesso in maniera da rendere uguali i risultati della lavorazione: con il tornio essa è sempre un modellamento. Dal modellamento a mano libera al tornio da . vasaio si possono ravvisare quattro tappe evolutive (figg. i e 2). Inizialmente la ceramica da lavorare è posta semplicemente su un oggetto piatto e duro, fisso; nella 2ª tappa, la ceramica è collocata su un piatto che può girare liberamente sul suolo senza pernio. Perché una simile rotazione sia possibile occorre che il piatto sia leggermente concavo convesso, con la convessità rivolta verso il suolo; piatti simili di argilla si notano presso i Cabili. Mentre l'artigiano seduto sul suolo lavora la ceramica con le mani, con i piedi fa girare il piatto; perché il piede possa facilmente far muovere il piatto, l'orlo di questo presenta delle asperità irregolari. Nella 3ª tappa si ha la ruota del tornio piatto che presenta nella sua faccia inferiore una piccola coppa che si adatta su un pernio fisso. Il piatto rappresentato nella fig. 1, c è quello in uso presso talune tribù nel Congo Belga, ma esso è pure usato in Europa, come ad esempio in Bretagna. A parte il principio dello strumento, la ruota da tornio brettone è però molto differente da quella congolese, poiché la prima è un apparecchio trasportabile; di più il piatto è stato d'uso corrente nell'Oriente antico dove l'hanno usato gli Egiziani e gli Assiri (v. oltre). Infine, 4ª tappa, nel tornio il piatto per mezzo di un asse allungato è solidale a un volante, cioè a una grande ruota (p. es. ruota da carro) che, una volta messa in movimento, gira per lungo tempo per il proprio peso permettendo al vasaio di terminare il suo lavoro dopo una sola messa in movimento. Il vasaio può naturalmente farsi sempre aiutare da una persona per mettere e mantenere in movimento il volante. Oltre che alle popolazioni europee, il tornio da Tasaio era conosciuto in Cina e in India. Le ceramiche più perfette e più artisticamente decorate non si trovano tuttavia dove l'uso del tornio era conosciuto; così in India la ceramica fatta al tornio è molto semplice, probabilmente per il fatto che le purificazioni imposte dai costumi religiosi obbligano troppo frequentemente a gettar via i vasi adoperati. Le quattro tappe ricordate non si sono del resto sempre succedute le une alle altre, nei paesi dove il tornio è conosciuto. Al contrario, molto sovente la lavorazione a mano e quella al tornio possono continuare a sussistere parallelamente in località molto vicine e fra popolazioni dello stesso ceppo. Poiché la lavorazione a mano è generalmente un lavoro femminile, mentre quella al tornio incombe all'uomo, si è attribuita questa coesistenza di costumi (non equivalenti dal punto di vista evoluzionistico) alle tradizioni relative alle attribuzioni differenti dei sessi. Una spiegazione altrettanto legittima di queste persistenze parallele si troverebbe però nell'attribuire, secondo i paesi, la lavorazione a mano e il tornio a cicli culturali differenti.
Gruppi ceramici e rapporti etnologici.- L'età della pietra tagliata o Paleolitico ha ignorato la ceramica. Bisogna però fare qualche riserva: nel Magdaleniano, in Francia, sono stati trovati alcuni cocci, e nel Belgio lo strato paleolitico, nelle sue parti superiori, è regolarmente accompagnato da ceramiche. Infine, poiché tutti i cocci trovati finora in Europa sono frammenti di ceramiche che avevano subito la cottura, ci si deve domandare se queste ceramiche non siano state precedute da altre non cotte, ceramiche i cui frammenti non sono stati scoperti, perché facilmente distrutti nelle condizioni climatiche dell'Europa occidentale. Questa supposizione non è illegittima, poiché si è constatato che la ceramica più antica del territorio americano dei pueblos, la quale non data in verità che da un migliaio d'anni avanti la nostra èra, non era cotta.
Benché l'età che è seguita a quella della pietra tagliata sia chiamata, per contrasto con la precedente, età della pietra levigata, non è certamente questa pietra levigata che ha rappresentato il più grande capovolgimento nelle abitudini della popolazione neolitica, sibbene il fatto che essa conosceva e faceva largamente uso della ceramica. Le paste neolitiche erano argille grossolane contenenti minerali naturali sgrassanti, ma, d'altra parte, fin dal Neolitico si trovano delle ceramiche nere, dette carbonifere, la cui pasta aveva dunque subito una preparazione voluta. Se ci si riferisce alla divisione già fatta delle paste carbonifere, si potrà dire che le ceramiche nere neolitiche sono carboniose, mentre la ceramica nera per fumigazione della massa è stata particolarmente praticata dagli Etruschi (bucchero nero), e che infine le ceramiche nere per fumigazione superficiale sono generalmente gallo-romane, ma si riscontrano anche in una parte dell'America del Sud, il cui centro è il Perù. La decorazione della ceramica neolitica è primitiva, quasi sempre ottenuta per incisione; qualche pezzo presenta però decorazione a rilievo e qualche altro anche a pittura. È principalmente con l'aiuto della decorazione che si è tentato di creare delle divisioni nella ceramica neolitica, di cui si distinguono i tre principali gruppi seguenti:
a) la ceramica a cordicella (ceramique cordée, Schnurkeramik) ha una decorazione a intaglio fatta con l'aiuto di funicelle applicate a righe orizzontali sulla parte fresca; si classificano nello stesso gruppo le decorazioni ottenute con incisione o punteggiatura; questa decorazione non è praticata che sulla metà superiore del vaso. L'area di questa ceramica abbraccia l'Europa centrale e orientale, dalla Germania del sud e dalla Svizzera fino alla Russia del sud e all'Ucraina.
b) la maniera a fasce forma il secondo gruppo; questi vasi sono chiamati anche caliciformi (Glockenbecher, Zonenbecher) e vasi a campana, ma si è visto più sopra che la forma a calice deve essere ritenuta come una forma naturale, che sarà eventualmente però accentuata e più frequente in una determinata regione, ma che d'altra parte si ritrova, per così dire, dovunque; il nome di ceramica a fasce deve dunque essere preferito, tanto più che con ciò il criterio rimane determinato dalla decorazione, come nel 1° e nel 3° gruppo. Questa decorazione è costituita da zone di fasce orizzontali, formate esse stesse da punteggiature ottenute col mezzo di stoffe a trama grossa o di funicelle. L'area di questa ceramica abbraccia saprattutto il sud-ovest e l'ovest dell'Europa: Penisola Iberica, Italia (Sicilia, Sardegna, Italia del nord), Francia, Gran Bretagna, ma essa è pure rappresentata, in modo più sporadico, fino alla Vistola e al Danubio ungherese. L'origine ne sarebbe il vicino Oriente.
c) la ceramica a nastri (Bandkeramik) comprende vasi ornati di strisce a nastri disposte in diversa maniera (ondulazioni, spirali, ecc.), tracciate con linee incise o punteggiate. Il suo dominio abbraccia l'Europa occidentale (tranne la Gran Bretagna), i paesi danubiani, i Balcani, l'Asia Minore. Altri gruppi esistono a fianco di questi tre principali.
Nelle epoche successive i gruppi di ceramica si moltiplicano, mentre contemporaneamente, e generalmente, la ceramica si perfeziona. Però nella storia della ceramica i generi superiori non sempre seguono quelli inferiori. Così nell'Elam o Susiana una ceramica grossolana, incisa, rassomigliante a quella del Neolitico europeo è seguita da due fasi di superbe ceramiche tornite e dipinte (motivi di cerami che più o meno stilizzate); ma queste ceramiche fini sono di nuovo seguite da una ceramica grossolana, senza pitture, corrispondente forse all'arrivo dei Semiti nella Bassa Caldea e nell'Elam. Poiché la bella ceramica dell'Elam è preistorica, corrispondente cronologicamente a quella del Neolitico europeo, ciò significa che gli esordî della ceramica in tale regione sono molto anteriori a quelli dell'Europa. In Egitto avviene lo stesso che nell'Elam. L'Egitto preistorico corrispondente al Neolitico europeo ha una superba ceramica, che scompare con l'apparizione dei primi faraoni.
La ceramica storica egiziana è assai notevole per la sua composizione chimica. Se la ceramica greca è caratterizzata dall'elevato contenuto di calcare e quella cinese dal forte contenuto di feldspati, la ceramica egiziana è puramente silicea. Si tratta dunque di ceramica che non contiene altro che dello sgrassante, della silice, e l'assenza di ogni altra materia fa sorgere il quesito, come fosse possibile lavorare una simile pasta: gli Egiziani hanno dovuto utilizzare, per rendere plastica la loro pasta, delle materie organiche, quali la gomma, i grassi, ecc., che sono scomparsi con la cottura. Essi sono il solo popolo che abbia usato questo sistema, e questa ceramica si trova fin dai tempi della 18ª dinastia (circa 1500 anni prima della nostra èra). La solidità era aumentata da un rivestimento di smalto, la cui invenzione è pure da attribuirsi agli Egiziani; ma perché questo smalto non si screpolasse esso doveva avere lo stesso coefficiente di dilatazione della pasta, e ciò non poteva essere ottenuto che con una invetriatura molto alcalina, la quale procurava anche toni speciali, fra gli altri il famoso "blu egiziano". Un altro popolo, il cinese, ha al contrario utilizzato intenzionalmente la differenza dei coefficienti di dilatazione in modo da ottenere l'incrinatura dello smalto, ugualmente famosa. I Cinesi conoscevano pure l'invetriatura, ma solo a partire dalla dinastia Han (dal 206 a. C. ȧl 220 d. C.), cioè molto dopo la conoscenza di questo procedimento da parte degli Egiziani. I Greci e i Romani si sono specializzati nel decorare la loro ceramica col colore rosso. Un procedimento analogo è stato riscontrato presso certe tribù dell'America del Sud.
Se ora si passano in rivista i continenti per quanto riguarda lo stato della ceramica in ciascuno di essi, si constata quanto segue.
Africa. - I Boscimani non conoscono la ceramica. Per i Pigmei le notizie sono contraddittorie, ma è probabile che coloro tra essi che la conoscono l'abbiano appresa dai loro vicini negri. Questi sanno tutti fabbricare ceramiche e si è anche visto che le tribù del basso Congo sanno carbonizzare la pasta e che hanno una ruota da tornio. Infine qua e là nel nord dell'Africa si trova un vero e proprio tornio.
Asia. - La ruota da tornio e il tornio sono usati in tutta la superficie dei tre dominî: islamico, indù e cinese; beninteso il tornio non ha nulla a che fare con l'Islām ed è a esso anteriore. In India il tornio è conosciuto tanto dalle popolazioni scure (Dravidiche) quanto dalle popolazioni più chiare del nord. Di questi tre gruppi di popoli, islamico, indù e cinese, sono i Cinesi che hanno portato la ceramica più in alto. In Cina si trovano già sotto la dinastia Shang (dal 1766 al 1123 a. C.) ceramiche lavorate a mano presentanti forme che richiamano quelle dell'arte dei panieri e dei recipienti naturali. Sotto la dinastia Chou (dal 1122 al 294 a. C) il tornio comincia a far concorrenza alla lavorazione a mano. Sotto la dinastia Han la ceramica si sviluppa riccamente e diventa molto variata, appare l'invetriatura e una decorazione con animali in rilievo che richiama motivi turchi, persiani e sciti e anche micenei. È questa una delle ragioni per ammettere che la civiltà cinese non sia completamente indipendente in origine, ma che abbia subito influenze occidentali per il tramite della Siberia.
L'età del bronzo e la prima età del ferro in Siberia forniscono in effetto ceramiche che formano un legame tra l'Occidente e l'Estremo Oriente, mentre la Siberia attuale usa poco la ceramica. Essa è regolarmente impiegata soltanto dagli Jakuti, che derivano dalla cultura turco-tartara, e dai Buriati, veri Mongoli che sono emigrati in Siberia dal sud. D'altronde, appena ci si allontana dal centro cinese, la ceramica diventa più primitiva nei suoi procedimenti e nei suoi prodotti; così nel Tibet non si fa uso del tornio. ll Giappone è da ricollegarsi alla Cina per la bontà dei suoi prodotti. Gli Ainu hanno un tempo fabbricato ceramica, e i cocci che si trovano presso di loro provengono certamente dai loro antenati e non da una popolazione precedente.
Nel sud-est dell'Asia, le popolazioni che conoscono il tornio l'hanno appreso sia dall'India, sia dalla Cina, ma i popoli a cultura inferiore, che sono la maggioranza, non conoscono se non la lavorazione a mano. Tra i Vedda di Ceylon, i Senoi di Malacca e i Toala di Celebes, i primi hanno la ceramica, ma hanno certamente imparato a conoscerla dai loro vicini Oravidi; i Senoi e i Toala non la conoscono, ma si sono trovati dei cocci negli scavi del paese dei Toala. Tra gli Andamanesi, i Semang (Malacca) e gli Aeta (Filippine), tutti pigmei o negriti, i soli Andamanesi fabbricano ceramica. È da chiedersi se gli altri negriti abbiano perduto la conoscenza di quest'arte. Ma è più verosimile forse che gli Andamanesi abbiano potuto apprendere tale uso dagli abitanti delle vicine isole Nicobar.
Oceania. - Nessuna ceramica in Australia. Nella Melanesia si trovano ceramiche in varî punti della Nuova Guinea e delle isole Salomone (in particolare nell'is. di Bougainville), nelle nuove Ebridi, nelle isole Fiji (quesie sono ceramiche invetriate, a doppio o a quadruplice collo). Nella Polinesia, per contro, non si conosce la ceramica che in una maniera molto sporadica e piuttosto nella zona contigua alla Melanesia. Può essere che i Polinesiani praticassero in misura maggiore l'arte del vasaio, prima di spandersi dal sud-est dell'Asia continentale nelle isole, e che essi abbiano poi rinunziato a questa pratica per mancanza di paste convenienti.
America. - Gl'Indiani della California centrale, i Cayapo e i Botocudo del Brasile, i Fuegini (tanto gli Ova quanto gli Yaghan e gli Alakalue) non hanno conoscenza della ceramica. Le civiltà messicane e andine hanno per contro prodotto ceramiche meravigliose, ma, a parte lo Yucatán che ha fatto uso di una ruota da tornio primitiva, il tornio è ignorato da tutto il continente americano.
Torna qui opportuno dire qualche cosa di più della ceramica non cotta che si è rivelata come il primo stadio della ceramica del dominio dei Pueblos. I primi lndiani di questa regione, cacciatori, sono stati seguiti da Indiani panierai, agricoltori, e questi alla lor volta da genti che usavano dimore costruite in caverne (Cliff-dwellers), mentre i Pueblos attuali usano abitare degli ammassi di case situate sugli altipiani. La civiltà degl'Indiani panierai presenta quattro caratteristici stadî successivi; nel terzo stadio comincia a comparire la ceramica sotto la sua forma non cotta, alcuni vasi essendo modellati su panieri (principalmente su panieri fatti a spirale) e altri invece lavorati a mano. La maggior parte di queste ceramiche presentano una pasta senza sgrassante, essendo questo sostituito da fibre vegetali; la ceramica di quest'epoca è ornata di incisioni. Nella quarta fase della civiltà dei panierai la ceramica ha sempre sabbia come sgrassante ed è cotta. La prima comparsa della ceramica a colombino si ha presso i Cliff-dwellers, e il procedimento si conserva presso i Pueblos attuali. Questi dipingono anche le loro ceramiche, e hanno la ceramica più sviluppata dell'America del Nord. Potrebbe darsi dunque che la ceramica abbia avuto inizio in questo territorio indipendentemente da altri centri; là, in ogni caso la ceramica non cotta ha preceduto quella cotta, e, in conformità a osservazioni fatte in altri luoghi, la ceramica sembra essere posteriore e derivata dall'arte dei panieri, in origine verosimilmente per semplice calafatura dei panieri con u̇no strato di argilla. Il clima e il materiale disponibile (adobe), ancora oggi largamente usato dalla popolazione bianca per le costruzioni, spiegano come sia stato possibile, almeno in questa regione, l'ímpiego della ceramica non cotta.
L'epoca neolitica ha visto diffondersi la ceramica: ora, tra le attuali civiltà oceaniche la ceramica è un elemento che appartiene alla cultura dell'arco (Nuova Guinea e Melanesia). Nell'America del Sud, parimenti, il popolo vasaio per eccellenza, gli Arawak, rappresenta il ciclo dell'arco. Questo ciclo conta inoltre, nel numero dei suoi elementi più importanti, l'agricoltura e la dimora su palafitte, e questi fattori, insieme con la levigatura della pietra, sono ugualmente caratteristici del Neolitico europeo. Se taluni elementi del Neolitico si riscontrano pure nel ciclo delle due classi e nel ciclo polinesiano, cioè nei cicli anteriore e posteriore a quello dell'arco, non è men vero che quest'ultimo è quello che rappresenta meglio il "Neolitico moderno", e la ceramica aiuta notevolmente a rinforzare questa concordanza fra il Neolitico preistorico e il Neolitico di oggi.
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Il mondo antico. - Mentre qualunque argilla è sufficiente ai bisogni primitivi, si comincia, col progredire della civiltà, a porre la maggior cura nella scelta del materiale, sia per il colore e la plasticità, sia per i buoni risultati della cottura, si adoperano speciali accorgimenti perché l'impasto risulti omogeneo: la creta è decantata, depurata di ogni particella estranea ed impastata ripetutamente. La perfezione di tale tecnica è vanto dei ceramisti greci, specialmente dei secoli V-IV a. C., né miai più è stata raggiunta. Col miglioramento dell'impasto è connessa la varietà e la bellezza delle forme, a seconda degli usi svariati dei vasi, della comodità e dell'imitazione di forme naturali; la massa di terra, avvolta in una mano, viene con l'altra premuta, lisciata, fino a ottenere la forma e la sottigliezza volute. Alla precisione del movimento quasi rotatorio dato al braccio e all'uguale pressione che si può esercitare sull'argilla è affidata la possibilità di ottenere oggetti di belle forme.
Da siffatte pratiche all'invenzione o applicazione di uno strumento atto a dare un preciso movimento il passo non è teoricamente molto lungo; non per questo l'innovazione ha avuto minore importanza. Tale preziosa macchina primitiva è il tornio (v. sopra), detto dai Greci τροχός, dai Latini rota figularis, ruota da vasaio da noi. Per la ceramica è questa la conquista tecnica più impertante, che il mito greco riferiva perciò a Dedalo (Diodoro Siculo, IV, 76, 5).
Il tornio da vasaio ci appare in alcune pitture dell'Antico Impero, in Egitto, ed è manifestamente servito alla fabbricazione delle ceramiche egiziane di questo periodo, di quelle dell'Assiria e delle civiltà asiatiche più progredite. L'uso del tornio da vasaio si riscontra nelle ceramiche del 2° strato di Troia e nella civiltà cretese nel medio-minoico. Sembra che a questa si debba la sua diffusione nel bacino del Mediterraneo, fino in Occidente, dove le civiltà locali sub-neolitiche, le quali cominciano ad usare oggetti di rame, ignorano ancora il tornio, e l'imparano con la manifesta apparizione di influssi egeo-micenei: così in Sicilia - 2° periodo siculo - e in Spagna. Nell'Iliade (XVIII, 600) si accenna a questa ruota da vasaio, come strumento mosso dalla mano. Tale ci appare in pitture egiziane e in molti monumenti greci (figg. 3-4). Ma non dovette tardare il perfezionamento dell'9ggiunta di una ruota inferiore, che permette all'operaio di dare il movimento rotatorio col piede, lasciandogli libere le mani per modellare l'argilla posta sulla ruota superiore. Le anse, e talvolta i piedi del vaso o il manico del coperchio, venivano modellati a parte e incollati inumidendo la superficie del vaso già fatto.
Con la bontà della creta e dell'impasto e con la ruota, la tecnica della ceramica, per quanto riguarda la forma e la consistenza dell'oggetto, non ha raggiunto tutta la perfezione. Rimane la cottura, per la cui bontà occorre che il vaso sia sottoposto ad un calore uniforme, ben regolato, senza fumo. Ha provveduto a questo la costruzione di uno speciale forno, cavità riscaldata in cui si rinchiudono i vasi. Il κάμινος, fornax, forno da vasaio, quale ci appare con poche differenze in documenti greci e romani e si ritrova comunemente in ogni epoca, mira ad assicurare intorno a questa cavità un calore uniforme e prolungato, ponendo e alimentando il fuoco davanti e al disotto di essa per mezzo di un focolare anteriore e di una fornace sottostante (figg. 5-6). La cottura deve essere prolungata per parecchi giorni, a seconda della creta e del combustibile adoperati. L'abilità del vasaio poggia moltissimo su questa conoscenza non facile, per cui la cottura è una delle operazioni più delicate del ceramista. Masse di rottami rinvenute presso le antiche fornaci attestano quanto materiale andasse perduto durante tale operazione. E un poemetto pseudo-omerico, intitolato Κάμινος (Il forno), ci fa conoscere i genietti malefici che presiedevano a questi incidenti.
Se i procedimenti della fabbricazione, le forme e la decorazione rappresentano nello stadio primitivo della ceramica un insieme non molto vario che genera una certa uniformità fondamentale fra i varî prodotti, ben presto tecnica, forme, decorazione acquistano una grande varietà da paese a paese e da periodo a periodo. Le ceramiche delle varie popolazioni di epoca storica assumono una così sorprendente e precisa individualità, da rappresentare di ogni civiltà i documenti più definiti e caratteristici. E poiché la ceramica, benché fragile, in realtà, anche ridotta in frantumi, è indistruttibile e conserva tenacemente i suoi caratteri, non v'è nulla al pari di essa che nel variabile detrito lasciato dall'umanità nelle sue sedi abbia con eguale chiarezza e precisione valore di documento. Essa è anche, come riflesso del gusto artistico predominante, il più comune e sicuro indizio dell'arte dei popoli.
Decorazione. - Già nei primi tentativi di ceramica comincia una certa preoccupazione decorativa. Essa si rivolge innanzi tutto al colore della superficie, che viene lucidata con l'uso di cortecce resinose, e decorata con incisioni fatte col dito, l'unghia, una stecca di legno o d'osso, e qualche volta riempite per maggior risalto d'una materia bianca. Sembra che coincida con la scoperta e l'uso dei metalli l'apparizione o meglio la volgarizzazione della decorazione dipinta a colori, a fianco di quella incisa, mentre di questa si ha una varietà consistente nell'impressione di elementi decorativi a mezzo di punzoni. Gli elementi di questa decorazione cominciano con le più semplici combinazioni di linee geometriche, passano quindi al motivo dell'intreccio, manifestamente ispirato ai canestri e ceste di verghe di vario colore e ad elementi vegetali e umani.
La sovrapposizione di colore, con la facile varietà che offre, rappresenta la base principale della decorazione delle ceramiche: i colori vengono applicati, in tutte le ceramiche primitive, direttamente con un pennello sul fondo della terra; sono generalmente colori ricavati da ocre di tinta rossa, gialla, bruna le quali, per la loro affinità, vengono assorbite e quasi assimilate dall'impasto poroso del vaso ancora crudo. Così colorate, le ceramiche vengono quindi cotte. Ma una siffatta colorazione è quanto mai precaria, e noi assistiamo a tutta una serie di tentativi ed esperienze d'ogni sorta per consolidare il colore. Ora si lucida e strofina la superficie del vaso con scorze resinose; ora si ricorre a un impasto per il colore, che ne assicuri una maggior coesione. Altra volta si spalma un preparato a base di calce e colla o resina sulla parete del vaso e si dipinge su di esso. In questi ultimi casi la dipintura è data dopo una prima cottura del vaso.
La decorazione della ceramica delle prime fasi della civiltà minoica e di altre civiltà protostoriche presenta in genere queste tecniche. Nella ricerca di sempre migliori mezzi di colorazione duratura, la soluzione - per tanti versi definitiva - è data dalla scoperta della vernice. Nella tecnica della ceramica con questa parola, che in altri campi ha un diverso significato, s'intende, con un'accezione alquanto imprecisa ma consacrata dall'uso generale, una materia colorante, che, per mezzo di un procedimento fisico dovuto al calore, diviene indelebile e splendente. Questa vernice appare nella civiltà cretese, nel periodo minoico-medio, mentre si afferma e trionfa nelle sue tinte brune e rossastre nel tardo minoico e miceneo. L'insegnamento non andò perduto. Seguito con maggiore o minore perfezione in quasi tutte le ceramiche prodotte nell'Egeo, tra la fine del miceneo e gl'inizî dell'epoca storica, fu tramandato ed elaborato in Grecia, e specialmente in Attica, ove produce i suoi risultati più splendenti dal sec. VI al IV a. C. Una vera e grande arte, che noi chiamiamo industria per l'immensa massa dei suoi prodotti, continua per alcuni secoli, con crescente perfezione, a creare oggetti fra i più belli e suggestivi che vanti l'umanità.
Questa ceramica attica a vernice (v. attici, vasi) affida allo splendore della sua vernice nera lucidissima e al chiarore rosato che sa conferire alla terra tutti gli effetti, e produce perciò vasi che possono chiamarsi figurati meglio che dipinti, perché manca ad essi - o è aggiunta parcamente in fine - la varietà del colore.
A molte discussioni e ricerche di chimici e a tentativi d'imitazione ha dato luogo questa vernice attica; ma può dìrsi che essa in realtà custodisca ancora il segreto della sua resistente bellezza. Se anche sarà vero - il che è ancora appena probabile - che il nero di questa vernice è a base di manganese ed ossido di ferro, ciò non toglie che ignoriamo i procedimenti attraverso i quali era ottenuta la sua perfetta fusione e il suo splendore metallico. Questa lucentezza, poiché è estesa nei migliori prodotti alle parti rosse del vaso, non può essere dovuta solo alla vetrificazione del preparato nero, ma, almeno in parte, all'uso di una qualche vernice incolore e fusibile, composta probabilmente di soda e salnitro, distesa su tutto il vaso prima della cottura definitiva. Che la lucentezza del rosso sia dovuta a un'accurata levigatura è da escludere, per numerosi indizî tecnici. Non è da tutti ammesso che la vernice venisse applicata sul vaso crudo; sembra però che il vaso fosse seccato, o appena esposto a una dolce cottura, mentre è certo che la cottura completa avveniva dopo l'uso della vernice.
Meglio informati siamo circa la dipintura. L'operaio che modellava il vaso non era sempre quello che lo dipingeva; questo doveva avvenire nelle piccole fornaci, anche di artisti di valore, che firmavano il vaso, accompagnando il loro nome col verbo ἐποίησε "fece"; ma spesso le due operazioni erano distinte e in molti casi ritroviamo sia la firma del vasaio seguita da ἐποίησε, sia quella del pittore col verbo ἔγραψε (dipinse). Alla fig. 7 si può vedere una completa officina di vasaio ateniese dei tempi migliori.
Il pittore segnava, in genere, uno schizzo sommario della figurazione, con una sottilissima punta; era appena una traccia, in base alla quale cominciava quindi a distendere il colore col pennello. È noto come i vasi attici (v.) sono dipinti in un primo tempo a figure nere, vere silhouettes sul fondo rosso del vaso; e che invece al principio del sec. V si sostituisce un procedimento inverso, per il quale è dipinto il fondo in nero e le figure appaiono nel rosso naturale del vaso. Nel primo caso il nero è disteso entro lo schizzo; dopo la cottura l'artista completava il disegno, facendo ricomparire il rosso dell'argilla per mezzo di una sottile punta metallica, con un vero e proprio lavoro d'incisione, affine a quello adoperato per i bronzi; erano così indicati i particolari della persona, tratti del viso, muscolatura, vestiti, armature. Con l'inversione della tecnica, essendo le figure rispettate sul fondo, questi tratti interni vengono invece dipinti. La sottigliezza delle linee adoperate a questo scopo lascia perplessi e meravigliati intorno alla fluidità del colore e alla natura del pennello, che sembra consistere in una grossa setola. Per dipingere il fondo l'artista contornava dapprima le sue figure con una grossa fascia, atta a preservarle da ogni errore durante la riempitura del fondo stesso. Questa operazione è probabile fosse affidata a giovani di bottega, cui competeva quasi sempre l'esecuzione dei motivi decorativi: meandri, palmette, ghirlande d'alloro e ulivo che inquadravano le figurazioni e spesso le scene di genere - colloquî di efebi, scene bacchiche - che occupavano la parte posteriore, meno nobile e quasi sempre meno corretta e pregevole, del vaso. Alla fig. 8 diamo un pittore vascolare - quale ci appare in un vaso - che decora una coppa tenendola sulle ginocchia.
Dopo aver trionfato in Attica, questa tecnica ebbe affermazioni notevoli in Etruria, nell'Italia meridionale (v. apuli, vasi, campani, vasi; lucani, vasi), in Sicilia e in qualche altra località del mondo antico, i cui prodotti differiscono da quelli attici non soltanto per lo stile, ma per qualche gradazione nello splendore del nero. Essa scende fino al sec. II a. C. Alla data del 186 a. C. che, col celebre senatoconsulto dei Baccanali, avrebbe segnato anche la fine della ceramica dipinta, non si attribuisce ormai il valore di prima.
Nella ceramica a figure nere qualche volta il pittore arricchiva la figurazione con l'aggiunta di color matto bianco e pavonazzo, sovrapposto alla vernice dopo la cottura e forse esposto nuovamente al calore. Questo medesimo sistema si ritrova molto in Etruria. E ad esso, arricchito di varietà di colori e persino di dorature, si ricorre nelle ultime e decadenti fasi della ceramica a figure rosse, per dare ad essa nuova vita, nell'Italia Meridionale e nell'Attica stessa (vasi di Kerč).
Una vera pittura policroma si ha anche in taluni altri vasi. Così nelle cosiddette lekythos bianche di Atene; i colori più svariati (bruno, giallo, nero, violetto, rosso porpora e oro) sono applicati sulla superficie del vaso, la quale è ricoperta d'un sottile strato di caolino, lucidata, e quindi cotta.
Procedimento ben differente è quello di altre ceramiche, veramente dipinte, quali quelle di Canosa e di Centuripe, che su di un preparato biancastro riproducono a vivaci colori la tecnica dell'encausto, e che hanno particolare importanza per la storia della pittura antica.
Se il fondo naturale dell'argilla era opportunamente utilizzato nella ceramica attica e nelle sue imitazioni, là dove le argille ferruginose dànno alla cottura un rosso anche più vivace - il che avviene in parecchi luoghi - la ceramica trovava nel suo impasto medesimo un aspetto gradevole. L'influenza della tecnica a vernice ha ben presto consigliato di ravvivare e rendere lucido questo rosso naturale. Uno dei primi luoghi di fabbricazione di tali ceramiche sembra sia stato Samo, onde il nome di vasa samia. Ma essa ha trovato ogni perfezione in Italia, e precisamente ad Arezzo (v. aretini, vasi). La vernice rossa di questi vasi resiste agli acidi, all'umidità, al fuoco; essa non è soltanto destinata a dare il lucido, ma a ravvivare il colore rossastro della creta e a renderlo di uno splendore corallino inimitabile.
Accanto ai prodotti originali di Arezzo esportati in ogni parte del mondo romano, furono fabbricate imitazioni in varî luoghi, e fin quasi ai nostri tempi. Anche una classe di ceramica arabo-normanna di Sicilia è diretta derivazione di questa industria eccezionale, come la pregevole e caratteristica ceramica ottomana delle isole. La vernice splendente, solo nei casi eccezionali, costituisce l'unico ornamento della ceramica aretina, perché di solito è associata al rilievo.
Affinità con la tecnica aretina si trova in quella classe di ceramiche prodotte anche dal sec. VII al III a. C., in territorio Etrusco: il bucchero.
Rilievo a stampa, ad applicazione; "barbotine". - Questo diffusissimo metodo di decorazione della ceramica che è il rilievo, si ritrova fino negli stadî più remoti dell'industria.
Il rilievo viene eseguito sul vaso, che abbia di già ricevuto la sua forma a mano o sul tornio, ma prima della cottura, quando anzi non è del tutto asciugato dall'aria. Solo in casi eccezionali, e per i motivi decorativi più semplici, questa decorazione è direttamente plasticata con la stecca o la mano sull'oggetto; ma in genere viene ottenuta applicando speciali stampi, i quali possono essere completi per tutto il vaso - e allora si ha una vera forma cava - o parziali. In questo caso gli stampi consistevano in punzoni di terracotta essi stessi, e talvolta di metallo, che potevano essere variati nella loro combinazione, mentre i cordoni e le fasce a motivo ripetuto e ininterrotto erano ottenuti per mezzo di matrici a rullo. Interessante conoscere come venivano ottenute sia le prime forme complete, sia i punzoni e gli stampi: spesso le forme erano infatti calcate sopra monete, oggetti di metallo, vasi d'argento, gioielli. Le ceramiche a rilievo di età ellenistica e romana, specie quelle aretine, ci dànno perciò, forse per diretta riproduzione, l'immagine di vasellame prezioso. Una serie di lucerne cartaginesi di creta corallina del sec. IV d. C., è stampata con punzoni ricavati da piccoli gioielli. Tutta una serie di vasi a rilievo è decorata di grandi medaglioni, ricavati da uno stampo di vere monete, specie le bellissime siracusane (fig. 9). In questo caso però l'impronta del medaglione non è eseguita sul vaso, bensî su di un pezzo di creta, indipendentemente dal vaso, e poi applicata.
Quest'applicazione di elementi plasticati o formati a parte ha anch'essa uno speciale sviluppo. Si ha così, specialmente in età ellenistica, in varî paesi del Mediterraneo, una ceramica i cui prodotti, appena torniti, vengono rivestiti di elementi architettonici, vegetali, talora anche figurazioni umane, ricavati a stampo e parzialmente a mano, applicati alla superficie del vaso, inumidita, e saldati con un po' di creta sciolta.
Infine un'altra sorta di decorazione a rilievo può essere ottenuta distendendo sul vaso, con un pennello o una spatola, un impasto molto liquido della creta medesima, e modellando con essa linee, ghirlande, figure che risultano a contorni e rilievo incerto e confuso. È la tecnica universalmente nota con il nome di borbotine. La tecnici del rilievo è in genere completata dal colore o dalla vernice a fondo unico, ma è frequente il caso in cui sia accoppiata alla figurazione dipinta come nei vasi di Kerč e di Centuripe.
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Medioevo ed epoca moderna. - Dopo l'applicazione dei due sussidî fondamentali, la ruota e il forno (v. sopra), l'attrezzatura dell'arte non ha subito sino ai tempi recenti modificazioni sensibili. La ruota del vasaio dei tempi faraonici e biblici è sostanzialmente identica a quella delle officine del nostro Rinascimento, anzi all'istrumento impiegato dall'attuale "torniante". Anche la scoperta di un rivestimento completo e di natura tale da dissimulare il colore dell'impasto e da correggere gl'inconvenienti derivanti dalla sua porosità, è merito dell'antica civiltà egiziana. Alcalini furono i fondenti impiegati fin dalla più remota antichità e gli Egiziani dell'Antico Impero, forse già a mezzo il quarto millennio a. C., scoprirono che, mescolandoli con ossidi metallici, si ottenevano splendide colorazioni, bene rispondenti ai loro impasti sabbiosi.
Si deve alla mancanza o alla non conoscenza di materie prime adatte all'"accordo", se gli altri popoli dell'antichità non fecero larga applicazione di quegli insegnamenti. Gli stessi ceramisti greci, per utilizzare le argille delle cave, anche al momento di maggior splendore dell'arte loro, dovettero restringerla alla produzione di terrecotte dipinte (v. sopra), insuperate per forma e per disegno, ma con un rivestimento parziale e monotono. Limitata infatti, e sporadica, e in tutti i casi tarda, sembra la loro produzione di ceramica invetriata e a ciò va, forse, attribuito il fatto che l'adozione della smaltatura presso i ceramisti occidentali non seguì che in tempi relativamente recenti. I paesi dell'Oriente Anteriore avevano trovato un altro sistema di rendere impermeabili le loro ceramiche, adatto alla natura delle loro terre: mediante cioè, la vernice piombifera (o "vetrina"), trasparente e incolore come il vetro, suscettibile anch'essa di essere colorata dagli ossidi metallici. Essa si poteva applicare direttamente sull'oggetto foggiato e convenientemente essiccato, oppure sull'ingobbio terroso (v. sopra) di che era già stato rivestito per dissimulare il colore dell'impasto e servire di fondo alla graffitura di un determinato disegno.
S'ignora il luogo dove ebbe prima applicazione siffatto involucro metallico che seguì in ordine di tempo quello a smalto delle ceramiche egiziane. Noto ai vasai ellenistici e certamente anche ai romani, entrò in maggior uso col declinare della ceramica aretina; recenti trovamenti sembrano documentare che le ceramiche vetrate romane influenzarono anche la ceramica cinese degli Han, che per tecnica e per forma ricorda quelle dell'Impero. Questa tecnica divenne poi di comune impiego in tutto l'Occidente prima della diffusione della maiolica (v.); ne sono esempî significativi i vasi trovati da G. Boni nel Foro romano (sec. VIII d. C.?), rozzamente decorati con bozze a cresta in rilievo e colorati in un verde bruno o giallo verdognolo dovuti al rame e al ferro mescolati alla vernice, nonché altri appartenenti ai tempi carolingi. I vasai bizantini, che gia avevano derivato dall'Egitto ellenistico e romano la conoscenza delle paste bianche (tipo di Naukratis) e quella dell'applicazione del lustro metallico, applicarono largamente questa vernice su ingobbî più spesso giallicci, che ricordano nelle loro graffiture schemi orientalizzanti; ed essi, a loro volta, influirono sulla ceramica arcaica dell'Islām, erede in parte delle antiche civiltà mesopotamica e sassanide, la quale ebbe poi sviluppi autonomi meravigliosi.
I ceramisti italiani del Medioevo proseguirono su quella via, e il loro repertorio ornamentale fu di tale bellezza di disegno da produrre, specialmente nel sec. XV, veri capolavori. Questo genere ingobbiato e vetrato, che persiste tuttora, ebbe, anche dopo il trionfo della faenza smaltata o maiolica, una nuova fioritura nel sec. XVII.
Fra i due generi di rivestimento sinora veduti (silico-alcalino e piombifero), in tempo imprecisato ma remoto se ne inserì un terzo, bianco, opaco, lucente (smalto stannifero), che acquistò presto un carattere suo proprio. Esso, pure impiegato dai vasai dell'Egitto, trova uso importantissimo nell'Assiria e a Babilonia, dove la ceramica ha servito l'architettura in assai più larga misurá che lungo le rive del Nilo. Infatti a Ninive, a Nimrud, a Khorsābād, a Susa sono venuti in luce ampî rivestimenti murali in mattoni cotti e smaltati in turchino, in giallo, in arancio, in violaceo e in bianco, di carattere stannifero.
Circa la natura di questi smalti, specialmente per il forte tenore di silice dei mattoni mesopotamici dei tempi dei Sargonidi, sono sorte discussioni. La recente ricostituzione fatta a Berlino (ottobre 1930) di vasti paramenti di laterizio a grandi mattoni smaltati con figure anche in rilievo provenienti dal Palazzo di Nabucodonosor II (660-550 a. C.) sembra non lasciare sussistere dubbio; il quale, in ogni caso, sarebbe eliminato dai famosi fregi degli "Arcieri" e dei "Leoni", ricostituiti al Louvre coi materiali asportati dai palazzi degli Achemenidi di Susa (500-400 a. C.), e che ricordano, anche come stile, i consimili ornamenti policromi assiri. Forse sotto Ciro e i suoi seguaci questa antica tecnica passò ai centri del nuovo reame achemenide e dalla Persia si diffuse, con la conquista araba, alle regioni occupate dall'Islām, nelle due forme di ceramica da rivestimento e di stoviglie usuali.
Lo sviluppo avuto, specialmente dal sec. XI in poi, dalla ceramica musulmana, che largamente impiegò, insieme con le tecniche silicee (a vaghissime colorazioni e ad ornati stilizzati floreali ed epigrafici, sia per le stoviglie d'uso che per i rivestimenti murali), anche quella a smalto stannifero, specialmente quale fondo dei suoi magnifici lustri e riflessi metallici (v. maiolica), fortemente influì sul mondo mediterraneo, i cui artefici furono ben presto potentemente stimolati e nel gusto d'arte e nella pratica di officina da quegli insegnamenti. Mentre tutta l'Europa produceva ancora le sue rozze stoviglie di argilla grossolana, ricoperta da rudi vernici piombifere verdi e giallo-brune, i vasai musulmani ottenevano l'omaggio della cristianità, che collocava le loro opere di alto valore decorativo e di mirabile perfezione a decorare l'esterno di edifici sacri e profani (dell'Italia soprattutto, ma anche del sud-est della Francia) sotto forma di scodelle o "bacini" iridescenti per lustri e specchianti d'oro. E dalla Spagna araba e dall'Italia partì il movimento rigeneratore della ceramica europea.
Mentre degli apporti musulmani la Spagna medievale offre un evidente capitolo sia nei suoi azulejos (v.), sia nei due tipi di ceramiche, il malaghino-granadino e quello più particolarmente eseguito nel reame di Valenza e conosciuto più comunemente col nome di ceramiche ispano-moresche decorate a riflessi aurei e a lustri cangianti sulle quali è sensibile un'influsso gotico, non sembra altrettanto evidente che alle officine mauro-iberiche l'Italia sia debitrice, come sovente vien detto, dello smalto stannifero, anche se con ciò si possa meglio spiegare il nome di "maiolica" (da Maiorca, isola delle Baleari) dapprima dato alle ceramiche lustrate italiane e poi a tutta la produzione stannifera. Sotto la voce maiolica viene riservata l'esposizione di altre possibili conclusioni: intanto qui va affermato che questo prodotto, dipinto in Italia più comunemente a ricche e gustose policromie, secondo le ispirazioni dell'umanesimo, vi ebbe una fioritura meravigliosa specialmente nei secoli XV e XVI e un nuovo rinascimento nel sec. XVIII; e dall'Italia, dopo avere influenzata sugl'inizî del Cinquecento la ceramica della stessa Spagna, si diffuse al resto dell'Europa, segnatamente in Francia, Germania, Paesi Bassi, Inghilterra, Boemia, assumendo poi il nome universalizzato di faïence.
La produzione locale dell'Europa centrale e settentrionale, pur avendo trasformato i suoi tipi primordiali sotto l'influsso della eeramica romana, continuava ancora nella sua infanzia; solo l'esecuzione di pavimenti gotici a mattonelle di una tecnica simile a quella del graffito (senza cioè alcun cenno di un ornato dipinto) denotava qua e là in Francia, Germania, Inghilterra, un relativo progresso. L'influsso e poscia l'imitazione italiana dei secoli XVI e XVII vi modificarono a fondo il gusto e quindi poi la lavorazione, che si volse al nuovo insegnamento (pittura policroma su smalto stannifero), pur lasciando sussistere le ceramiche di tipo popolaresco, che ancor oggi si producono (salvo che in Inghilterra).
Gl'influssi musulmani sono evidenti pure nell'India e, come già quelli classici, anche in Cina, i cui vasai in ogni tempo sono stati eccellenti maestri di ceramica: infatti soltanto dai loro forni uscì quel vasellame caolinico, cotto ad alta temperatura e translucido, che formò la delizia e l'ansia del mondo medievale, e che a sua volta influenzò la produzione dell'Oriente Anteriore e dell'Europa.
Specialmente col sec. XVI le porcellane cinesi vennero largamente importate in Italia: la loro voga eccitò non soltanto i decoratori di maioliche ad emularne il candore e l'ornato, ma suscitò le ricerche anche degli alchimisti per la scoperta di quella particolare pasta. Nacque così a Firenze (dopo precedenti tentativi veneziani e ferraresi) quella "porcellana dei Medici" che costituì fra il 1575 e il 1590 la prima base concreta dell'imitazione della porcellana cinese in Europa. Ma va soggiunto che la parola "porcellana" trova qui un'applicazione non precisa, perché non si tratta di materiale silico-alluminoso simile a quello applicato dai vasai dell'estremo Oriente, bensì di una pasta translucida ottenuta mescolando all'argilla una larga percentuale di vetro (porcellana "vetrosa" o artificiale; v. porcellana).
L'accentuazione delle importazioni di genuine porcellane orientali coi vascelli delle varie "Compagnie delle Indie" eccitò nuove ricerche: in Francia un secolo dopo, e più tardi altrove, venne prodotta una pasta artificiale, conosciuta anche col nome di porcellana tenera, a differenza di quella dura (cioè caolinica o di tipo cinese), i cui primi saggi europei, dopo faticose ricerche favorite dalla scoperta in Sassonia della materia prima (caolino), furono prodotti dal tedesco Böttger presso Dresda nel 1710. Nonostante l'aumento delle importazioni cinesi e giapponesi, ogni paese, a imitazione della Sassonia, volle allora avere la propria officina nazionale sovvenzionata dai principi regnanti: in Italia, dove le ricerche forse non erano mai cessate a seguito della produzione medicea, ben presto ebbe modo di eccellere il mecenatismo dei marchesi Ginori che fondarono e mantennero a proprie spese nella villa di Doccia, presso Firenze, la loro fabbrica, terza in Europa per ordine di data (1735), più tardi (intorno al 1740) la corte di Napoli istituì l'officina di Capodimonte, dalla quale sorse quella spagnola del Buen Retiro; e altre sorsero a Venezia e altrove per opera di privati.
Tipi particolari di produzione vennero poi introdotti nel corso del sec. XVIII; un tipo inglese (calcareo, detto bone porcelain perché a base di ossa di bue, macinate e immesse nella pasta) e un altro italiano (magnesiaco, prodotto a Vinovo per merito di V.A. Gioanetti). Venne invece abbandonato, per le difficoltà di avere un buon rendimento, il tipo vetroso alla francese. Naturalmente la maiolica ebbe a subire un grave contraccolpo da queste innovazioni, che cercò d'imitare coi suoi mezzi, ricorrendo alla decorazione con colori "a piccolo fuoco"; ma la porcellana stessa si trovò presto impegnata dalla concorrenza che poté farle un nuovo genere di ceramica trovato dagl'Inglesi a metà del Settecento in sostituzione della vecchia maiolica che essi chiamavano Delft dal nome della città olandese che ne era stato un grande emporio europeo: la terraglia (v.), essa pure a impasto bianco, ma poroso, molto adatta all'uso domestico e ottenibile su larga scala con processi meccanici. In questo genere le officine inglesi, specie per merito di J. Wedgwood, raggiunsero una grande maestria, e continuarono e continuano a perfezionare il prodotto, che è divenuto una caratteristica nazionale della loro industria. Una clagse speciale forma il gres (v.), più proprio delle popolazioni del Nord. Pur destinate ad usi pratici, le stoviglie che ne furono prodotte mantennero carattere artistico; le eccellenti qualità del gres sono anche ora studiate per applicazioni ornamentali.
I nuovi tempi, in genere, hanno dato più largo sviluppo all'uso delle paste dure allo scopo di utilizzarle a servizio delle nuove industrie, creando, ad es., per gl'isolanti di porcellana, tutta una nuova branca, alla quale la meccanica, la termica, la chimica, l'elettrotecnica portano i loro elementi di successo.
Così se la ceramica di tutte le arti industriali è forse quella che valorizza al più alto grado la materia prima che impiega, perché l'informe pugno di terra che si richiede a foggiare un oggetto acquista "a finito" un pregio senza confronto superiore al proprio valore reale, conviene pure soggiungere che la scienza ha contribuito e contribuisce potentemente al suo perfezionamento. Il fuoco stesso, unico elemento stabilizzatore del tipo ceramico, può essere studiato ora anche in ciò che all'empirismo dei tempi trascorsi sembrava la bizzarria del suo comportamento; infatti non solo l'andamento della temperatura è regolato dalla pirometria, ma l'atmosfera dei forni, che diversamente agisce secondo il diverso stato di sua composizione, può essere analizzata e quindi variamente utilizzata; la petrografia, a sua volta, con lo studio degli stati interni della materia, e la chimica, con l'analisi della composizione dei materiali impiegati e la preventiva conoscenza che trae dai risultati della loro unione, controllano la formazione degl'impasti e del loro accordo coi rivestimenti e le coltivazioni, accelerando il miglioramento intrinseco, pratico ed estetico, dei prodotti.
Bibl.: A. Brongniart, Traité des arts céramiques ou des poteries, 2ª ed., Parigi 1854; J. Marryat, A history of Potter and Porcelain medieval and modern, 3ª ed., Londra 1868; A. Jacquemart, Les merveilles de la céramique, voll. 3, Parigi 1866-69; id., Histoire de la céramique, Parigi 1873; A. Demmin, Guide de l'amateur de faïences et porcelaines, 4ª ed., voll. 3, Parigi 1873; F. Jaennicke, Grundriss der Keramik in Bezug auf das Kunstgewerbe, Stoccarda 1878-79; R. Jean, Les arts de la terre, Parigi 1911; E. Hannover, Pottery and Porcelain, a cura di B. Rackham, voll. 3, Londra 1925.
Fabbricazione dei prodotti ceramici.
L'industria ceramica deve la sua origine e la sua importanza alla singolare proprietà che presentano le argille e i caolini di conservare la forma che loro s'imprime, non solo allorché sono ridotti allo stato di pasta per essere foggiati nelle forme più svariate, ma anche dopo essere stati sottoposti alla temperatura che occorre per indurre la consistenza o la durezza richiesta. Siffatto modo di comportarsi è caratteristico del silicato idrato di alluminio, quale si trova pressoché puro in alcuni caolini e in determinate argille, nelle quali si riscontra in parte sotto forma colloidale. Siccome tali materie provengono dalla scomposizione del feldspato il quale non di rado è accompagnato da altri minerali che modificano il grado di fusibilità, il colore e i caratteri commerciali dei prodotti, questi, in relazione all'uso, si possono classificare come segue.
Porcellana. - Ha frattura concoide, è di colore bianco, impermeabile all'acqua, anche se non è rivestita di coperta. Non si lascia intaccare da una punta d'acciaio e resiste ai reattivi chimici ad eccezione degli alcali caustici e dell'acido fluoridrico. Trascurando alcuni elementi secondarî, la composizione delle differenti porcellane oscilla entro i limiti seguenti:
Gl'impasti debbono essere cotti a 1250°-1380° e sono formati di:
Il silicato d'allumina raggiunge la proporzione maggiore negli oggetti la cui foggiatura è delicata e quando occorra che la porcellana non sia troppo sensibile ai salti di temperatura e offra la massima resistenza alla flessione. L'aumento del quarzo giova ad assicurare la stabilità della forma, trattandosi d'un materiale che corregge l'eccessiva contrazione dell'argilla. Col crescere del contenuto di feldspato e di calcare riesce possibile abbassare la temperatura necessaria per la cottura, aumentando la trasparenza e la lucentezza non senza l'inconveniente di accrescere la fragilità. Alla categoria delle porcellane cotte a temperatura moderata appartiene quella preparata un tempo in Inghilterra con la cenere d'ossa, suscettibile d'una ricca decorazione (v. porcellana).
Terraglia. - Ha frattura più o meno porosa e perciò è alquanto permeabile all'acqua; è di colore bianco. Si lascia scalfire dall'acciaio e resiste soltanto agli acidi organici. Si qualifica tenera allorché nella sua composizione entra in proporzioni sensibili il calcare o la dolomia, la cui presenza rende possibile d'abbassare notevolmente la temperatura di cottura. Una qualità di terraglia che per l'elevato suo tenore di calce, per la sua leggerezza e la vivacità delle tinte che assume è tuttora un prodotto speciale del nostro paese, corrisponde alla seguente formula:
Laddove il fondente è limitato all'impiego del feldspato, nella proporzione strettamente necessaria per rendere tenace l'impasto, gli oggetti offrono i caratteri della terraglia che attualmente ha il sopravvento sugli altri prodotti analoghi. I materiali impiegati per ottenere la terraglia variano nelle proporzioni seguenti:
Faenza (anche nella sua specie Maiolica). - Ha struttura simile a quella della terraglia tenera, dalla quale si differenzia per il colore dell'impasto che è giallastro o rossiccio e perché gli oggetti sono ricoperti da uno smalto bianco opaco, impostosi agli antichi fabbricanti che non disponevano di argille e caolini capaci di dar prodotti incolori.
Gres. - È il prodotto della cottura d'argille inquinate di quarzo, feldspato, mica e ossido di ferro, che hanno la proprietà di subire la vetrificazione a 1150°-1280° e d'acquistare l'impermeabilità e pressoché la resistenza meccanica della porcellana.
I componenti di queste argille variano nei seguenti limiti:
Al gres ordinario di colore bruno per gl'impianti sanitarî e per le industrie di prodotti chimici, si applica la coperta prodotta mediante volatilizzazione del sale comune, mentre al gres fino, ottenuto da argille pure, associate a feldspato e quarzo, si applicano coperte analoghe a quelle destinate alla terraglia forte, opportunamente corrette per avvicinarne il coefficiente di dilatazione termica a quello del gres (v.).
Laterizî (v.) e terrecotte. - Provengono da argille assai impure e costituiscono un materiale assai eonomico.
Materiali refrattari - Destinati alla costruzione dei forni per le industrie metallurgiche e chimiche, hanno anche una funzione importante per la fabbricazione delle caselle destinate alla cottura degli oggetti ceramici, affinché le ceneri trascinate dalle fiamme non abbiano a deturpare il colore dei prodotti. Per questo scopo è condizione indispensabile che le caselle non solo siano difficilmente fusibili, ma offrano altresì una grande resistenza alla compressione a caldo, prima di vetrificarsi. Occorre che contengano la minore quantità possibile d'ossido di ferro e di titanio, i quali non solo fanno abbassare la refrattarietà ma provocano la scomposizione del ferrocarbonile che si trova nelle fiamme dei focolai durante il periodo riducente e per conseguenza la deposizione di nuovo ossido di ferro che abbrevia la durata delle caselle refrattarie. La resistenza al fuoco dei materiali argillosi è in relazione al loro contenuto d'allumina, ma ad alta temperatura essi subiscono un graduale rammollimento prima di fondere. Perciò alle argille refrattarie crude si aggiunge, come dimagrante, argilla refrattaria, cotta ad elevata temperatura, e in qualche caso anche quarzo, per raggiungere una maggiore stabilità.
Ai materiali refrattarî si affida, in qualche caso, anche una funzione chimica, come avviene coi rivestimenti dei f0rni per la produzione dell'acciaio col metodo Thomas Gilchrist, f0rmati di magnesite calcinata. Per il vòlto dei forni che funzionano ad alta temperatura, per i quali i materiali argillosi si mostrano inadatti per la contrazione che subiscono, hanno la preferenza quelli silicei (dinas) e per i forni elettrici sono richiesti mattoni di grafite, di carborundo, d'ossido di zirconio, di bauxite e di cromite.
Materie prime. - Le materie prime per l'industria ceramica si suddividono in quelle plastiche, dimagranti, e in quelle che hanno la funzione di fondenti. Alla prima categoria: appartiene il caolino (v.) la cui composizione, quando è puro, corrisponde a quella del silicato idrato d'alluminio (Al2O3•2SiO22•H2O). Si presenta amorfo o microcristallino e la sua plasticità è notevolmente minore di quella dell'argilla. Perde l'acqua a 450-600° e a 800° incomincia a scindersi in allumina e silice. Aumentando il riscaldamento, non avviene la ricombinazione dei componenti dissociati nei rapporti sopra riferiti, ma si constata la formazione di mullite. (2Al2O33SiO2), sotto forma di cristalli ben definiti.
Le argille il cui componente principale è il silicato idrato di alluminio si distinguono per la loro plasticità e perché contengono materie organiche che giovano alla stabilità dei componenti colloidali. A seconda della natura dei materiali da cui sono inquinate varia la loro fusibilità; quelle che offrono il contenuto maggiore d'allumina e la minore proporzione di ferro e che sono prive d'ossidi alcalini e terrosi sono le più refrattarie. Specialmente importante è il colore che assumono dopo la cottura e che è influenzato dalla presenza d'ossido di ferro, specie se questo è accompagnato da titanio e da vanadio i quali intensificano molto la tinta.
Nei riguardi della plasticità il controllo dei materiali ceramici si eseguisce determinando la proporzione d'acqua necessaria per ridurre il campione da esaminare in una pasta che non aderisca alle mani; poi nello stabilire l'entità della contrazione lineare che un cilindretto subisce essiccandolo all'aria e dopo cottura a determinata temperatura, esperimentando per confronto con un campione che serve di tipo, per es. con la Blue Ball Clay che è un'argilla fra le più plastiche. Un'indicazione rapida e concludente si ha determinando lo sforzo che occorre per tagliare un cilindretto della pasta molle e secca inserita entro un tubo di ferro o d'ottone fissato orizzontalmente e dal quale la pasta sporge di pochi millimetri. La resistenza alla trazione determinata con l'apparecchio Michaelis fornisce pure utili indicazioni.
Per determinare la refrattarietà dei materiali ceramici, si ricorre ai coni di Seger, formati di piccole piramidi triangolari preparate con opportune miscele che, per l'azione del calore, s'incurvano gradatamente sino liquefarsi entro limiti di temperatura ben precisati.
Le difficoltà che s'incontrano per conservare inalterata la forma degli oggetti foggiati con materiali plastici, sia durante l'essiccazione. sia durante la cottura, obbligano a far intervenire nella composizione delle paste i materiali dimagranti in sostituzione di parte dell'argilla. Per questo scopo si ricorre al quarzo, perché esso aumenta di volume quando subisce la cottura, compensando in parte l'eccessiva contrazione dell'argilla. Accanto al quarzo cristallino macinato finemente, si usano per lo stesso scopo le sabbie silicee, le argille e i caolini cotti, nonché i rottami degli oggetti ceramici. Siccome la compattezza e l'impermeabilità non si raggiungono se non avviene la parziale vetrificazione e cioè soltanto laddove l'eutetettico, o il silicato più fusibile che tende a formarsi a spese dei componenti degl'impasti ceramici, si trova in grado di saldare stabilmente le sĭngole particelle, è necessario che per gli oggetti che devono essere cotti a temperatura moderata, la refrattarietà dell'argilla e del caolino sia corretta mediante l'aggiunta di fondenti, cioè di feldspato, pegmatite, carbonato di calcio o dolomia, oppure con appositi vetri alcalini, i quali provocano la formazione di silicati e silico-alluminati complessi che abbassano il punto di vetrificazione al limite voluto.
Le materie prime, dovendo essere sotto forma di polvere estremamente fina, rendono necessario che dal caolino e dalle argille allo stato greggio siano elimiriate le parti grossolane e che siano sottoposte alla levigazi0ne spappolandole nell'acqua e facendo defluire la miscela entro canali o serbatoi comunicanti fra loro con una determinata velocità, affinché avvenga la sedimentazione delle parti meno fini. operazione questa che d'ordinario si compie nei luoghi dove si sfruttano i giacimenti.
Per facilitare la polverizzazione del feldspato e del quarzo si pratica anzitutto l'arroventamento entro un forno a tino e la subitanea immersione nell'acqua per procedere poscia alla frantumazione nei frantumatori a mascelle (fig. 12) o a cilindri (fig. 13). Per i materiali meno duri, invece (caolino, argille), s'impiegano le molazze oppure i frantumatori centrifughi (fig. 14).
L'ulteriore macinazione per via umida si faceva coi mulini a mole orizzontali di scarso rendimento, difficili a pulirsi e le cui mole esigevano di essere continuamente ravvivate. Gli apparecchi moderni che maggiormente si raccomandano per il piccolo spazio che occupano, il limitato costo di manutenzione e la facilità di pulitura, sono i molini cilindrici a palle (fig. 15), rivestiti internamente di conci di quarzo o di mattoni di porcellana, che ricevono fino a 2/3 della loro capacità in ciottoli di selce del diametro di 5 a 8 cm. mescolati per 85 a 90% del loro peso con sostanza da macinare, I molini non sono riempiti interamente d'acqua, perché questa, riscaldandosi per il lavorio d'attrito dei ciottoli, eserciterebbe una pericolosa pressione. La velocità periferica oscilla intorno ai m. 1,8 al minuto secondo. Per raggiungere però il massimo rendimento meccanico occorre che la velocità sia determinata sperimentalmente, variando anche con la durezza del materiale da macinare. È pure da stabilire nei singoli casi la proporzione e il diametro dei ciottoli di selce per i singoli materiali. Sebbene non sia consigliabile nei riguardi della potenzialità del molino, l'esperienza ha dimostrato che al quarzo, al feldspato, e alla pegmatite da macinare conviene associare una determinata proporzione di argilla o caolino per impedire che in caso d'arresto del motore le sostanze macinate si depongano rapidamente, rendendo difficile la vuotatura o il ravviamento del molino.
Preparazione degl'impasti. - Tanto per le materie dimagranti, come per quelle plastiche che si trovano spappolate nell'acqua, importa di conoscere esattamente la proporzione delle materie solide che vi sono contenute per procedere alle volute miscele. La determinazione si può fare su un piccolo volume, eliminando l'acqua mediante riscaldamento, oppure raccogliendo su un filtro di carta bibula tarato la materia solida per essiccarla e pesarla. La proporzione si può dedurre anche col calcolo quando si conosce il peso specifico della miscela secca (S) e quello della miscela con l'acqua (b). Il peso di materia solida contenuta risulta uguale a (b − 1) S/(S − 1).
La miscela dei volumi rispettivi dei materiali plastici dimagranti e fondenti si opera entro tini muniti di agitatori meccanici (fig. 16) per procedere poi alla stacciatura attraverso tele metalliche, previa separazione delle particelle minute di ferro metallico, eventualmente presenti, mediante apposito apparato elettromagnetico.
L' apparecchio di stacciatura della fig. 17 ha soppiantato gli antichi sistemi nei quali la tela metallica era tesa su cilindri rotanti. Nella nuova disposizione la tela metallica si trova sul fondo delle casse mobili ed è sottoposta a un continuo scuotimento per modo che la stacciatura avviene rapidamente. In alcuni recenti impianti si è ricorso anche all'aria compressa, che s'immette nella parte inferiore degli stacci per mantenere libere le maglie provocando il rapido passaggio dell'acqua con le sostanze che vi si trovano sospese.
La eliminazione ulteriore dell'acqua per giungere agl'impasti suscettibili d'essere foggiati si opera coi filtripresse, adottati in molte industrie chimiche e dei quali si preferiscono quelli interamente metallici soltanto dove non si teme l'inquinamento del ferro. L'alimentazione dei filtri si fa con pompe a membrana, le quali attingono la miseela dai serbatoi muniti di agitatori meccanici, e in determinati momenti possono esercitare una forte pressione, immettendo dell'aria compressa per espellere maggiormente l'acqua. Si stanno introducendo però anche negli stabilimenti ceramici i filtri a funzionamento continuo (v. filtrazione).
L'esperienza ha dimostrato che nelle paste ceramíche, in seguito alle operazioni a cui sono sottoposte per rgnderle atte alla foggiatura, la plasticità si affievolisce ma si ripristina col lungo riposo in un'atmosfera satura di umidità; si è trovato perciò utile di lasciare per un certo tempo le paste, nello stato in cui escono dai filtri, ammucchiate entro appositi locali chiusi in modo che non abbiano ad essiccare, affinché l'idrolisi dei silicati prosegua e si ripristini il contenuto in silice e di silicati colloidali a cui è legata la plasticità.
Specialmente per gl'impasti di porcellana si rende necessario, prima di procedere alla foggiatura, di espellere l'aria che vi si trova imprigionata, operazione che un tempo si faceva mediante numerose battiture, ed ora si eseguisce meccanicamente con apposito apparecchio (fig. 18), in cui la pasta viene compressa tra due cilindri rotanti contro un tai-olo convesso, sul quale è disposta e mediante altri quattro rulli di piccole dimensinni piemuta dalla periferia verso il centro. La pressione e il rimescolamento permettono di espellere completamente l'aria.
Per le paste destinate al colo l'eliminazione completa dell'aria è stata faggiunta mediante la rare azione. Per le paste di terraglia e terrecotte lo stesso risultato si ottiene passandole attraverso le impastatrici.
Foggiatura. - Per oggetti di piccole dimensioni, come bottoni, minuterie e accessorî per gl'impianti elettrici, la foggiatura si ottiene mediante compressione delle paste entro matrici d'acciaio valendosi del bilanciere (fig. 19). Lo stesso sistema serve anche per fabbricare le piastrelle destinate ai rivestimenti e per la pavimentazione, nonché per foggiare i mattoni sagomati e forati per i quali furono ideate presse idrauliche che permettono una produzione assai rilevante.
La foggiatura di oggetti d'uso comune si-fa tuttora a mano con l'antico tornio del vasaio (fig. 20) ora mosso meccanicamente, valendosi di impasti ridotti alla voluta consistenza e ricorrendo a sagome opportunamente foggiate per facilitare la modellatura.
Per gli oggetti di notevoli dimensioni che presentano forme svariate si predispongono lastre d'impasto molle ottenute con apposito laminatoio e si applicano sulle matrici di gesso comprimendole per adattarle esattamente alle pareti. Il gesso sottrae parte dell'acqua e gli oggetti acquistano in breve sufficiente consistenza per essere staccati.
La foggiatura si fa anche mediante il colo degl'impasti diluiti con acqua in modo da renderli scorrevoli e da poter riempire la matrice di gesso e vuotare la parte rimasta liquida, dopo che sulla superficie interna si è íormato uno strato di pasta consistente. Se le sostanze di cui sono formate le paste ceramiche non contengono quantità sensibili di sali di calce e di magnesia, è possibile limitare al 30% la proporzione dell'acqua per raggiungere la voluta fluidità, quando la si renda leggermente alcalina con carbonato sodico. In caso contrario occorre l'azione del silicato sodico e dei tannati alcalini in quantità da determinarsi sperimentalmente.
Nelle fabbriche moderne di laterizî la formatura dei mattoni comuni per gli usi edili si fa con torchi a trafila dai quali l'argilla ridotta in pasta consistente esce in modo continuo sotto forma d'un nastro a sezione rettangolare che viene tagliato automaticamente nelle dimensioni volute. Anche per la fabbricazione dei tubi di gres furono ideate apposite disposizioni meccaniche che rendono celere e perfetta la formatura.
L'essiccazione degli oggetti foggiati per predisporli alla cottura si compie lasciandoli esposti all'aria libera, se si tratta di materiali poco plastici, che non presentano notevoli differenze di spessore, poiché la contrazione più rapida che subiscono i punti più sottili provocherebbe delle fessurazioni. Data la lentezza con la quale l'acqua contenuta nei materiali si porta alla superficie in presenza dei composti colloidali contenuti nelle argille, si rende necessario che la secchezza dell'aria e la sua rinnovazione negli ambienti dove avviene l'essiccazione siano opportunamente regolate. Per soddisfare a queste condizioni negl'impianti moderni l'essiccazione si compie entro gallerie nelle quali il materiale arriva dal lato opposto a quello dell'entrata dell'aria calda, sicché questa incontra quello pressoché secco. Siccome si deve evitare che l'aria saturatasi di umidità deponga della rugiada sugli oggetti da essiccare nel punto in cui questi entrano negli essiccatoi, si dispongono dei caloriferi nei diversi tratti della galleria affinché la temperatura dell'aria non scenda al disotto del limite corrispondente alla saturazione. Riflettendo sul fatto che la capacità calorifica dell'aria è relativamente debole, in aleuni casi si ricorre all'espediente d'iniziare l'essiccazione con aria riscaldata a 80°, mediante aggiunta diretta di vapore d'acqua, allo scopo d'elevare rapidamente la temperatura degli oggetti anche nelle parti interne, approfittando del grande potere diffusivo che presenta il vapore.
Coperte. - La condizione essenziale a cui le coperte debbono soddisfare in tutti i casi o di non essere soggette a incrinarsi o a staccarsi per il rapido riscaldamento o il brusco raffreddamento, e cioè di avere pressoché lo stesso coefficiente di dilatazione termica degli oggetti sui quali vanno applicate.
Nella composizione delle coperte occorre tenere presente la necessità che i loro componenti abbiano a reagire leggermente con quelli dell'impasto coi quali si trovano in contatto, affinché sia assicurata la perfetta aderenza. Importa inoltre che la coperta assuma la voluta fluidità per distribuirsi uniformemente e non sia soggetta a devetrificarsi. Nella scelta degli ossidi metallici che devono funzionare da fondente importa tener conto che la fusibilità che inducono si accresce nell'ordine seguente:
la magnesia essendo la più refrattaria e l'ossido di piombo meno.
Le coperte per la porcellana tenera e dura offrono una composizione che oscilla entro i limiti seguenti:
Il massimo contenuto di silice caratterizza le coperte delle porcellane dure le quali esigono di essere cotte a 1350°-1380°, mentre per le tenere si hanno coperte ricche di alcali, essendo sufficiente la cottura a 1250°-1280°.
Nelle coperte per le terraglie che debbono fondere a temperutura inferiore si fanno intervenire l'ossido di piombo e quello di zinco e si sostituisce parte della silice con l'acido borico, come appare a titolo di esempio dalle due seguenti formule:
Le coperte più facilmente fusibili, specialmente adatte per i colori smaglianti, si cuociono a 9000-10800, mentre quelle che debbono offrire una maggiore resistenza e la cui composizione si avvicina a quella del vetro comune esigonpo 12000-1z500 e perciò la tavolozza dei colori riesce meno ricca e non altrettanto brillanti le decorazioni sotto la vernice.
L'opacità delle coperte o dello smalto per le faenze (maioliche) si raggiunge mediante l'acido stannico, con l'ossido di antimonio e di zirconio, nonché con la criolite e con le ceneri d'ossa. Quando si ricorre all'ossido di stagno la composizione si aggira intorno alla seguente:
Se la coperta offre l'inconveniente d'incrinarsi, occorre aumentare la proporzione di quarzo cristallino e macinarlo finemente, diminuire i composti che funzionano da fondente, sostituendo quelli che hanno un peso molecolare elevato con altri a peso molecolare più basso e meno dilatabili, far intervenire l'acido borico accanto alla silice, prendendo norma dagli studî di Winkelmann e Schott e di English e Turner sul coefficiente di dilatazione termica che presentano i differenti ossidi metallici. Nel caso che la coperta sia soggetta a staccarsi perché meno dilatabile dell'impasto, le correzioni si fanno in senso opposto a quello sopraindicato. Per evitare le incrinature si può armonizzare l'impasto con la coperta anche cuocendo a temperatura più elevata, se si tratta d'un prodotto che non è vetrificato, o a temperatura più bassa nel caso contrario.
I pr0dotti occorrenti per ottenere le coperte destinate alla terraglia e alla faenza, devono essere fusi in forni a riverberi comuni, o rotativi.
La macinazione della coperta si compie entro molini a palle o in quelli a mole orizzontali. La finezza non si spinge oltre certi limiti perché 1ltrimenti nel periodo che precede la completa fusione alcune coperte presentano l'inconveniente di contrarsi e di agglomerarsi e perciò di non distribuirsi uniformemente.
L'applicazione si fa per immersione degli oggetti che subirono già una parziale cottura, entro un bagno d'acqua nel quale si mantiene sospesa la coperta. Ne rimane aderente un esile strato in relazione alla porosità che il materiale presenta nel periodo d'immersione e alla densità del bagno. Sulle superficie piane, come ad esemepio sulle piastrelle da rivestimento, la coperta si applica anche per semplice innaffiamento con apposite disposizioni che permettono un lavoro continuo. Largo uso trovano anche i polverizzatori (areografi) che si impiegano per intonacare le pareti con colori minerali.
Decorazione. - Per le svariate decorazioni, di cui sono suscettibili i prodotti ceramici, si ricorre a dìfferenti ossidi metallici, e cioè all'ossido di cobalto per ottenere le tinte azzurre e celesti, a quello di cromo per il verde, di ferro per il rosso giallastro, di manganese per le tinte violacee, di nichelio per il bruno, di uranio per il giallo e il grigio. di rame per il verde, all'oro per il rosso, all'iridio per il nero, all'antimoniato di piombo per il giallo, al cromato basico di piombo per il corallo, al silico-stannato di calce e di cromo (pink) per il rosso, e alla porpora di Cassio per il viola. Meediante opportune miscele dei colori monocromatici e dicromatici si ottengono le gradazioni e i passaggi alle tinte degradate o incupite; cosi, ad esempio, per ottenere il nero, si fanno intervenire il cobalto, il ferro e il cromo. Le colorazioni che si ottengono sono influenzate dalla natura dell'atmosfera nella quale avviene la cottura e infatti coi composti di uranio si ottiene una colorazione gialla se la fiamma è ossidante, e bruna se riducente; e con quelli di ferro, tinte rosso-giallastre nel primo caso, e verdastre nel secondo. I gas riducenti favoriscono lo sviluppo del colore verde con l'ossido di cromo mentre alterano le tinte del nichelio, e fanno volgere al rosso quelle ottenute col rame. La temperatura alla quale gli ossidi coloranti sono esposti influisce notevolmente sul tono e sull'intensità della colorazione e l'esperienza ha mostrato che col regime termico dei forni di porcellana non può essere usato che un numero limitato di ossidi metillici: quelli di cobalto, cromo, titanio, manganese e nichel.
Anche la natura delle sostanze che s'impiegano come fondenti per fare aderire stabilmente i colori non è senza influenza sulle colorazioni che gli ossidi metallici inducono e infatti il silico-borato di calcio viene consigliato per le colorazioni che producono il rame e il cobalto; e la presenza di fluoruro di calcio conviene specialmente per le colorazioni del cromo e dell'uranio. Gli ossidi metallici e i vetri colorati a cui dànno luogo servono anche per produrre determinate colorazioni delle paste ceramiche quando queste per scopi decorativi si vogliono sovrapporre le une alle altre. Le degradazioni si ottengono mediante aggiunta dei componenti delle paste ceramiche associate con fondenti.
Quando si tratta di colori da applicarsi sotto la coperta e occorre preservarli dall'azione solvente che queste ultime eserciterebbero, gli ossidi metallici si calcinano dopo di averli intimamente mescolati con allumina. Tale espediente serve per l'ossido di cobalto e di ferro.
Al fine di rendere più ricca la tavolozza delle tinte per la decorazione della porcellana si rende necessario eseguire la cottura dei colori a una temperatura non superiore ai 600-800°, e ciò obbliga non solo ad applicare i colori esclusivamente sugli oggetti già rivestiti di coperta, ma a far variare la natura dei fondenti in relazione alla funzione chimica che questi devono esercitare. Per soddisfare a questa condizione si ricorre al silicato di piombo (PbO 1,25 SiO2) per le tinte del cobalto, mentre per quelle rosa e porpora d'oro si impiega il silico-borato di piombo e di sodio:
Per il verde con l'ossido di cromo si preferisce il silico-borato di piombo PbO SiO2 + o,5 B2O3 ed egualmente per il bruno di nichelio. Il prodotto della fusione dell'ossido colorante col fondente vuole essere polverizzato e reso scorrevole mediante aggiunta di trementina per rendere possibile l'applicazione col pennello, oppure coi timbri di gomma o con le spugne appositamente tagliate, se si tratta di disegni grossolani.
Per decorazioni a tratti delicati e a svariati colori si ricorre a carte stampate col processo cromo-litografico, alle quali si fa subire uno speciale trattamento per farle aderire agli oggetti verniciati e per rendere possibile la cottura nei forni a muffola.
Anche i metalli non ossidabili, e cioè l'oro, il platino e l'argento, sotto forma di polvere estremamente divisa, quale si ottiene mediante precipitazione per via umida, trovano frequente applicazione, potendosi fissare a bassa temperatura col sussidio dell'ossido di bismuto e del borato di piombo. L'oro, così, non sempre risulta lucente ed esige talvolta di essere lucidato meccanicamente. Valendosi per contro di una soluzione di cloruro d'oro disciolta nel tio-derivato della trementina, il velo metallico che si ottiene dopo la cottura appare subito brillante. A scopo decorativo si rendono iridescenti i colori sulle coperte con l'applicazione di una soluzione di sottonitrato di bismuto nella colofonia diluita con essenza di lavanda. Valendosi delle soluzioni dei resinati dei differenti metalli si hanno direttamente colorazioni iridescenti e di grande effetto.
Cotlura. - Nella fabbricazione dei prodotti ceramici la cottura rappresenta la base più delicata, se si tiene conto delle difficoltà che s'incontrano per raggiungere ognora la temperatura uniforme nell'eguale periodo di tempo e per variare la natura delle fiamme onde avere a determinatì periodi l'azione ossidante o riducente necessaria per raggiungere gli effetti desiderati. Con le disposizioni attualmente adottate si hanno forni a regime intermittente sia con le fiamme ascendenti sia con quelle orizzontali e discendenti, e del pari a funzionamento continuo per gli oggetti crudi e da verniciare e infine forni a muffola per scopi decorativi.
Per la cottura della porcellana sono preferiti i forni circolari a fiamma rovesciata a due camere sovrapposte e a regime intermittente (fig. 21). Nella parete perimetrale, a piano di terra, sono disposti i focolai a griglia piana o inclinata a seconda del combustibile che si vuole adoperare. I prodotti gassosi dei focolai, in parte raggiungono il vòlto (una frazione è diretta al centro del forno), richiamati attraverso la platea bucherellata, per essere inviati nella camera superiore attraverso canali praticati nella muratura esterna del forno. La fiamma rovesciata permette di evitare l'inconveniente che si verifica nei forni a fiamma ascendente, d'intensificare automaticamente lo squilibrio di temperatura quando in un punto il riscaldamento si fa troppo intenso. Il rendimento termico di questi forni è relativamente basso (25 a 30%), ancorché i gas caldi che sfuggono dalla camera inferiore siano utilizzati per riscaldare la porcellana cruda che si trova superiormente per la cottura preliminare. Il materiale da cuocere si dispone entro caselle refrattarie che si sovrappongono le une alle altre in modo da utilizzare nel miglior modo lo spazio disponibile pur lasciando libero il passaggio ai gas. Le caselle assumono forme disparate a seconda degli oggetti da cuocere e per ridurre al minimo possibile i punti di appoggio.
Per impedire la deformazione degli oggetti di sottile spessore, allorché raggiungono la temperatura della semivetrificazione, si ricorre ad appositi sostegni di materiale refrattario che assumono forme disparatissime. Nel primo periodo della cottura si procede assai lentamente nel riscaldamento per eliminare l'acqua igroscopica, e siccome all'inizio il richiamo dei prodotti gassosi è limitato per la debole temperatura che regna nel forno, in luogo di obbligarli ad attraversare la platea si dirigono nella camera superiore, tenendo aperti i fori esistenti nel vòlto, fino a raggiungere la temperatura di 200°-300°. Durante questo periodo non si può evitare che lo zolfo contenuto nel combustibile fossile non dia luogo alla formazione di acido solforoso ed eventualmente di solforico, il quale è trattenuto non solo dal calcare e dalla magnesite eventualmente presenti, ma anche dall'allumina che si rende libera nel caolino allorché questo è sottoposto a temperatura superi0re ai 500°. Dovendo scacciare l'acido solforico innanzi che l'impasto raggiunga la semivetrificazione per impedire le soffiature a cui darebbe luogo, si regola l'accesso dell'aria nei focolai per avere una fiamma riducente, affinché a determinati periodi si trovino 4 a 5% dí ossido di carbonio, il quale riduce i solfati a solfiti facilmente spostabili dalla silice. Questo provvedimento ha inoltre per effetto di ridurre l'ossido ferrico, che induce colorazione giallastra, a ossido ferroso la cui presenza è pressoché impercettibile. Ma con la fiamma riducente non si può evitare la deposizione di carbone amorfo e perciò occorre da ultimo alternare il regime riducente con quello ossidante, affinché gli oggetti non riescano affumicati. Nell'ultimo periodo della cottura i focolai si regolano in modo che il tenore di ossido di carbonio non superi 0,5 a 1% per evitare un inutile spreco di combustibile.
La temperatura della camera superiore che contiene gli oggetti da sottoporre a parziale cottura non deve superare 900°-950° affinché sia conservata la porosità necessaria per la verniciatura. Anticamente il combustibile preferito era la legna stagionata, ma si è riconosciuto che anche con il litantrace a lunga fiamma si raggiungono gli stessi risultati. Per la cottura della terraglia forte si ricorre ai forni circolari a fiamma rovesciata, ma con una sola camera, dovendosi raggiungere fin dall'inizio la temperatura necessaria per indurre la voluta resistenza, cioè 1200°-1280°, per procedere poi all'applicazione della coperta, particolare questo che tr0va giustificazione nel fatto che la terraglia forte deve rimanere leggermente porosa per evitare la fragilità che presenta la porcellana, senza cadere nei difetti proprî della terraglia dolce.
Nei riguardi termici sembrano preferibili i forni a galleria nei quali il materiale da cuocere, caricato su appositi vagoncini, viene spinto a determinati intervalli in direzione opposta a quella dei gas provenienti dai focolai, che si trovano addossati nel punto mediano della galleria, sicché il materiale, riscaldandosi, giunge nelle volute condizioni nella zona di cottura e cede poi il calore all'aria che giunge dal lato opposto e che serve a bruciare il gas proveniente da un gassogeno centrale, o quello prodotto in focolai addossati nel punto della massima temperatura.
Questi forni esigono maggiore abilità nella condotta e convengono per le grandi produzioni. La loro adozione si va generalizzando anche per gli articoli che devono rimanere lungamente esposti a un'alta temperatura e che offrono notevoli dimensioni. Fondati sullo stesso principio, trovano applicazione per la cottura delle piastrelle di terraglia dolce i forni formati di una serie di tubi di materiale refrattario disposti orizzontalmente e riscaldati esternamente nella parte mediana per riservare al tratto estremo la funzione di elevare gradatamente la temperatura del materiale da cuocere innanzi che raggiunga la zona centrale di cottura, e al tratto opposto quello del lento raffreddamento. Spingendo le piastrelle a determinati periodi da una estremità all'altra si raggiungono le condizioni che si hanno nei forni continui a moderata temperatura.
Per la cottura del gres si preferiscono tuttora i forni rettangolari di limitata altezza (fig. 22), poiché non si possono accatastare i materiali gli uni sugli altri per la loro debole refrattarietà.
La condotta dei focolai si compie seguendo la stessa norma accennata per la cottura della porcellana. Raggiunta la massima temperatura che oscilla fra 1180° e 1280°. a seconda della natura della materia prima disponibile, l'alimentazione dei focolasi è regolata onde avere una fiamma riducente, prima d'introdurre il sale comune, il quale, in presenza del carbone e del vapor d'acqua, dà luogo alla formazione di acido cloridrico, ossido di carbonio, idrogeno e ossido di sodio. Quest'ultimo, combinandosi con gli elementi di cui è costituita l'argilla, forma il silico-alluminato di ferro e di sodio della coperta. La salatura si ripete intensificando il riscaldamento per raggiungere nuovamente la temperatura massima compatibile con la refrattarietà del materiale.
Per la cottura dei colori che si applicano a scopo decorativo sulla porcellana, sulla terraglia e sulla faenza si impiegano i forni a muffola (fig. 23), formati da camerette di materiale refrattario, aventi sottili pareti con involucro in muratura distanziato in modo da far circolare nell'interstizio le fiamme del focolaio che si trova nella parte inferiore.
Essendo condizione indispensabile per raggiungere la vivacità dei colori, di eseludere interamente, non solo la presenza di ossido di carbonio, degl'idrocarburi e dell'idrogeno, che caratterizzano la fiamma riducente, ma altresì quella dell'anidride solforosa che altera le tinte, anche laddove si trova in piccole proporzioni, è stata riconosciuta la necessità di rendere impermeabili ai gas le pareti delle muffole mediante l'applicazione di una coperta. Siccome non è possibile ottenere la perfetta uniformità della temperatura nella muffola, si è perciò obbligati a distribuire il materiale da cuocere nelle differenti zone in ordine alla maggiore o minore resistenza al calore che i colori presentano.
Controlli tecnicî della fabbricazione. - I controlli diretti a stabilire se la cottura avviene nelle condizioni volute per la riuscita perfetta del materiale che si vuole produrre e col minor consumo di combustibile, sono:
a) Colore che assumono gl'impasti in seguito alla cottura e contrazione lineare di alcune sbarrette o tubi di prova disposti a differenti temperature per verificare se la loro composizione è ognora costante e invariata la porosità.
b) Temperatura esistente nei forni a determinati periodi, da accertare mediante piroscopî di Seger, integrati coi pirometri termoelettrici o a radiazione calorifica.
c) Percentuale media di anidride carbonica, di ossigeno e di ossido di carbonio nei gas che circolano nel forno a determinati periodi della cottura, per accertare entro quali limiti l'atmosfera riesce ossidante o riducente e di quale entità è l'eccesso dell'aria.
d) Determinazione del grado di aspirazione che esercita il fumaiolo nelle differenti fasi della cottura e cioè la velocità che assume la corrente gassosa nel condotto di uscita, valendosi del tubo di Pitot a registrazione automatica per essere in grado di valutare le perdite di calore che si hanno attraverso il camino.
e) Proporzione del carbone rimasto incombusto nelle ceneri del combustibile, del quale è stato determinato il peso consumato e la proporzione delle materie minerali che contiene.
Caratteri merceologici dei prodotti ceramici. - I prodotti ceramici, in relazione all'uso a cui sono destinati, devono possedere determinati requisiti.
La porcellana deve essere perfettamente bianca e trasparente se osservata contro luce, quando lo spessore non è eccessivo. La coperta non deve presentare alcuna discontinuità e sopportare un salto di temperatura di almeno 100° senza incrinarsi. A queste condizioni soddisfano meglio le porcellane che non hanno frattura vitrea e che all'esame microscopico non rivelano la presenza di sostanze cristalline (quarzo e mullite). La resistenza alla trazione varia c0n la qualità del fondente impiegato e col grado di cottura, da 140 a 240 kg. per cmq. Deve sopportare kg. 3800 a 5000 allo schiacciamento. La costante dielettrica oscilla fra 4,4 e 6,8. In seguito alle estese applicazioni che gl'isolatori di porcellana hanno trovato per il trasporto dell'energia elettrica a grande distanza, ha acquistato valore la resistenza alla perforazione che dipende dalla struttura più o meno perfetta dell'impasto ceramico e dall'assenza di discontinuità. Si esige che gl'isolatori mantenuti immersi in una soluzione alcoolica di fucsina sotto pressione non abbiano ad assumere alcuna colorazione.
Così per la terraglia forte come per quella tenera, che sono soggetie a incrinarsi, ha importanza il verificare se gli oggetti resistono ai rapidi cambiamenti di temperatura, ciò che si fa riscaldando il materiale a 100° e immergendolo rapidamente nell'acqua fredda. Nei riguardi igienici il controllo si eseguisce sottoponendo per mezz'ora il vasellame destinato agli usi di cucina a una soluzione bollente di acido acetico al 4% per accertare se abbandona del piombo. Il gres destinato agl'impianti sanitarî e alle fabbriche di prodotti chimici deve essere impermeabile all'acqua, inattaccabile agli acidi minerali e organici e la sua porosità non deve superare il 3 a 4% riferita al peso. Si esige inoltre che la resistenza allo schiacciamento non sia inferiore a kg. 2000 per cmq. e quella alla trazione a kg. 50 per cmq. Per i laterizî e più specialmente per i mattoni comuni per scopi edilizî, si assegna grande importanza alla resistenza allo schiacciamento che deve essere superiore a kg. 100 per cmq. e per quelli qualificati forti kg. 150. In ispecie per le tegole importa accertare la permeabilità all'acqua e la resistenza al gelo, che sono legate al potere di imbibizione. Contemporaneamente non può essere trascurata la proporzione dei solfati solubili e specialmente del solfato sodico, che non deve essere superiore a quella corrispondente a un contenuto di gr. 0,2 di SO3 per kg., per premunirsi dalle efflorescenze saline che accelerano lo sgretolamento del materiale da costruzione.
Quanto ai mattoni refrattarî importa di accertare mediante analisi chimica se offrono la composizione prescritta nei singoli casi e la voluta compattezza dedotta dalla densità apparente, per escludere che possano essere corrosi dalle ceneri del combustibile e dalle sostanze con le quali si troveranno in contatto, procedendo poi alla determinazione del punto di fusione e di rammollimento sotto la pressione; assaggi questi che si eseguiscono entro piccoli fornelli elettrici, ricorrendo ai piroscopî di Seger per apprezzare la temperatura. Per i mattoni di quarzite è importante la stabilità di volume dopo prolungato riscaldamento, essendo variabile la diminuzione di densità che subiscono quando sono sottoposti a prolungato riscaldamento.
Notizie sull'industria. - Dopo la scoperta in Germania del processo di fabbricazione della porcellana (1710; v. sopra) e dopo la creazione delle prime fabbriche di ceramica a Doccia e a Capodimonte, la lavorazione industriale ben presto si diffuse in Italia. Più tardi il progresso delle industrie chimiche ed elettrotecniche aprì nuovi campi all'industria ceramica, favorendone l'orientamento verso la produzione di materiale tecnico. Oggi l'industria comprende due gruppi principali di lavorazioni: un primo gruppo costituito dal ramo più antico della ceramica, che conserva carattere artistico o produce materiale di utilizzazione famigliare; e un secondo gruppo che prepara materiali per altre industrie. Ciascun gruppo potrebbe così suddividersi:
1. a) industria delle maioliche e porcellane artistiche; b) industria della porcellana e delle terraglie per uso domestico, e delle terraglie per articoli igienici; c) industria delle terrecotte e delle stoviglie;
2. a) industria di prodotti refrattarî; b) industria del gres; c) industria della porcellana per usi tecnici; d) industria delle mole abrasive artificiali.
Per i dati riguardanti ciascuno di questi rami, in Italia e all'estero, v. gres; maioliche; porcellana; refrattarî, prodotti; terraglia.
In Italia, l'industria ceramica contava nel 1928 circa 400 fabbriche di una certa importanza con più di 20.000 dipendenti. All'estero l'industria è diffusa in Inghilterra, Francia, Germania, Austria, Cecoslovacchia, Olanda, Danimarca, Svezia, Belgio, Spagna, Stati Uniti. Lo specchio qui sopra riprodotto mostra come l'Italia sia ancora tributaria dell'industria estera per alcuni tipi di ceramiche, specialmente per i tipi fini (porcellane e terraglie).
Bibl.: E. S. Auscher e C. Quillard, Les industries céramiques, Parigi 1901; A. Granger, La céramique industrielle, Parigi 1905; B. Kerl, Handbuch der gesammten Tonwareindustrie, Brunswick 1907; G. Maderna, Prodotti ceramici: maioliche, porcellane e gres, Milano 1909; W. Pukall, Gründzuge der Keramik, Berlino 1922; H. Hecht, Lehrbuch der Keramik, Vienna 1923; V.E. Giunti, La maiolica italiana, Milano 1927.
V. tavv. CCV-CCX.