CEREALI (dal lat. cerealis "della dea Cerere"; fr. céréales; sp. cereales; ted. Getreide; ingl. cerealia)
Si dicono cereali tutte le piante erbacee che, in coltivazione o allo stato spontaneo, producono frutti dai quali si può trarre farina, generalmente panificabile. Oltre che le piante, dette anche biade, la voce serve a indicare il loro prodotto principale (granelli o grani) già raccolto. Al singolare la voce "cereale" anche nel linguaggio tecnico è usata sostantivamente a indicare una singola specie del gruppo.
La maggior parte dei cereali, e tutti i più importanti, sono della famiglia delle Graminacee. Come cereali di pochissima importanza non appartenenti a questa famiglia sono da ricordare l'Amarantus frumentaceus delle montagne dell'India, della famiglia Amarantacee; e il Chenopodium quiuoa, detto riso indiano o piccolo riso del Perù, delle Ande Peruviane, della famiglia Chenopodiacee. Considerazione alquanto maggiore può meritare, in relazione anche alla granicoltura europea, il Polygonum fagopyrum o Fagopyrum esculentum, della famiglia Poligonacee, detto "grano saraceno". L'infimo dei cereali della famiglia Graminacee, in ragione della povertà alimentare dei granelli che fornisce, è la Bambusa arundinacea dell'India, del Sūdān, delle Filippine, ecc.; e il solo cereale ancora selvatico è la Zizania di cui la Z. palustris, vegeta lungo i fiumi e presso i laghi del Canada, delle Caroline e delle Antille e la Z. latifolia, nel Giappone, nella Cina e nella Manciuria. Esse sono della stessa tribù (Oryzeae) del riso e producono granelli farinosi, zuccherini, di gradevole sapore ma che cadono, a maturazione, con estrema facilità. Per ciò forse, ma soprattutto per la netta superiorità del riso nel particolare ambiente vegetativo, non furono addomesticate.
Cereali più o meno estesamente coltivati nelle regioni tropicali e subtropicali dell'Asia, dell'Africa, dell'America e dell'Australia sono: il miglio a candela (Penicillaria spicata); il Panicum frumentaceum; il Paspalum frumentaceum; l'Eleusine (coracana, indica, tocusso); l'Eragrostis abyssinica.
I cereali che hanno importanza veramente mondiale, sono: il grano o frumento, il riso, l'orzo, l'avena, la segale, il mais o granturco, il sorgo o saggina (v. queste voci).
La coltivazione di tutti questi cereali ha inizî preistorici e le più antiche si ritengono quelle del grano, dell'orzo e del riso. Perciò hanno incontrato insuperabili difficoltà le ricerche di archeologi, storici e botanici rivolte ad accertarne i primitivi centri o a rintracciarne, nella flora dei nostri tempi, le forme selvatiche. Le loro cariossidi, dotate di alto valore nutritivo, particolarmente quelle del grano, complete in relazione ai fondamentali bisogni alimentari, di facile conservazione e di sapore gradevole, hanno costituito, fin dal primo sorgere della civiltà, il principale alimento degli uomini. Ai cereali fu ed è destinata, presso tutti i popoli, una quota cospicua delle terre a coltivazione agraria.
Restano tuttora in Europa, dove erano ab immemorabili, i massimi centri della produzione mondiale di grano, avena, segale ed orzo; è nell'America Settentrionale il centro maggiore di produzione e consumo del mais. Nell'Asiá orientale permane il centro massimo della produzione del riso, specie in Cina e nel Giappone, dove ne trae il principale sostentamento una popolazione immensa. Il sorgo contribuisce, insieme col miglio, ad alimentare i popoli delle regioni caldo-aride dell'Africa e dell'Asia Meridionale.
Senza dire della presenza di varî cereali segnalata in stazioni preistoriche, può ricordarsi che sicuramente in possesso dei popoli di più antica civiltà erano il grano e l'orzo (presso Babilonesi, Egiziani, Greci, Romani ecc.) e il riso (presso i Cinesi, da almeno 2800 anni a. C.). Molto antica risulta anche la coltivazione del mais, di cui si sono rinvenuti granelli riferibili anche a differenti varietà nelle più antiche tombe del Messico, del Perù, ecc. Antichità minore si attribuisce alla coltura della segale, che avrebbe avuto origine nell'Europa settentrionale: sconosciuta all'Egitto e alla Grecia, non si sarebbe avviata presso i Romani che al principio dell'era cristiana. Il medesimo si dica dell'avena, la quale avrebbe avuto i primi centri di coltivazione nell'Europa orientale e nell'Asia occidentale, e si sarebbe diffusa col progredire della civiltà presso i popoli nordici, ai cui bisogni sembra meglio rispondere.
I Greci distinguono due specie di vegetali che servono all'alimentazione umana; cioè i legumi (λάκανον) e i cereali (σῖτος). Tale distinzione persiste presso i Latini che negli autori georgici da Catone a Varrone, a Virgilio, ecc. si compiacciono di stabilire anche nella categoria dei frumenta successive distinzioni; principale quella in triticum e in far, dei quali il primo sarebbe il frumento a grani nudi e il secondo il frumento a grani vestiti.
Il tritico, secondo Columella (II, 9, 13), che è l'autore antico che espone con maggiore ampiezza tali classificazioni, si distingue in tre specie: il robus, più pesante e tale che rende una farina più bianca; la siligo, σιλίγυιου dei Greci, più leggiero, ma non meno bianco e utile probabilmente a fare l'amido; il trimestre cioè il frumento marzuolo, che si seminava a primavera quando non era stato possibile seminare in inverno. Presso i Greci vi corrisponde il πυρὸς τρίμηνος o τριμηνιαῖος.
Il farro, detto far o far adoreum, ben noto a tutti i popoli dell'antichità, formò la base del nutrimento di tutte le popolazioni dell'Italia più antica, e tale continuò ad essere fino ai tardi tempi dell'impero. Così il nome di confarreatio, dato alla forma più antica di matrimonio religioso presso i Latini, è tratto dall'uso della futura sposa di portare una torta simbolica fatta con farina di farro. Essendo il farro avviluppato nel grano da un involutro molto aderente, i Romani usavano provocarne il distacco con la torrefazione; la festa Fornacalia avrebbe con un'istituzione religiosa imposto al popolo di praticare quest'uso che ne rendeva più sana l'utilizzazione; la torrefazione del farro era pertanto una delle più frequenti opere per i giorni di lavoro domestico, da parte del contadino italico. Il farro era anche il grano più resistente nelle sue tre varietà citate da Columella: il clusinum, più chiaro, il venuculum, bianco o rosso, e l'halicastrum, che è marzuolo e più pesante.
È pure ampiamente documentato presso i Greci e i Romani l'uso dell'orzo (κριϑη, hordeum) nelle sue varietà, adoperato anche in Gallia e in Spagna per ricavarne una specie di birra (v.); inoltre il panico, il miglio, l'avena oriunda della Tracia. La segale pare assai poco nota, e quanto al riso sembra che i Greci non ne avessero notizia che dagli storici della spedizione di Alessandro, come d'un prodotto usato nei paesi più lontani, con i quali essi vennero a contatto.
Bibl.: G. Cardinali, art. Frumentatio, in De Ruggiero, Dizionario epigrafico; M. Rostowzew, art. Frumentum, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VII, coll. 126-187; Dickson, L'agricoltura degli antichi, in Bibl. stor. econ., parte 2ª, Milano 1905; R. Gradmann, Getreidebau im deutschen u. römischen Altertum, Jena 1909; V. Hehn, Kulturpflanzen u. Haustiere in ihrem Übergang aus Asien nach Griechenland und Italien und in das übrige Europa, Berlino 1911; W.E. Heitland, Agricola, a study of agriculture and rustic life in the Greco-Roman World, Cambridge 1921; M. Schnebel, Landwirtschaft im hellenist. Ägypten, Monaco 1925; Schumacher, Ackerbau in vorröm. u. röm. Zeit, Magonza 1922; G. Acerbo, Studi riassuntivi di agric. antica, I, Roma 1927; R. Billiard, L'agricult. dans l'antiquité d'après les Géorg. de Vergile, Parigi 1928; H.A. Thompson, Syrian wheat in hellenistic Egypt, in Archiv f. Pap. Forsch., IX (1930), pp. 207-213.
Grano, orzo e segale appartengono alla tribù Hordeae della famiglia Graminacee; l'avena è della tribù Aveneae, che comprende poche altre specie, non cereali, d'interesse agrario; il riso (Oryza sativa) è della tribù Oryzeae; il mais, insieme col teosinto (Reana luxurians) oggi molto ristrettamente coltivato come cereale, a quella delle Maydeae; il sorgo infine (Sorghum vulgare), col miglio e il panico che tanta parte hanno avuta fino a tempi non remotissimi anche nella granicoltura europea, alla tribù Andropogoneae.
Dai primi sistematici i grani furono tutti compresi nell'unica specie Triticum sativum, che veniva poi suddivisa in alcune sottospecie: T. s. vulgare, T. s. durum, ecc. Sono ora distribuiti nelle seguenti specie principali:
In ognuna di queste specie si hanno varietà più o meno numerose, il maggior numero nei grani teneri, cosicché nell'insieme queste oltrepassano oggi il migliaio; e sono in continuo aumento, poiché in tutti i paesi va prendendo largo sviluppo l'"allevamento vegetale". I grani teneri preponderano particolarmente nell'Italia settentrionale e centrale, dove sono pressoché i soli. Di duri, molto frequenti al sud, non s'incontrano che rare sporadiche coltivazioni a nord del Lazio e dell'Abruzzo. Tali colture dimostrano comunque la possibile espansione di questi grani nell'Italia, che deve tuttora importarne per la fabbricazione delle paste alimentari. Qua e là ricorrono in coltura i grani turgidi, che vanno comunemente sotto la denominazione di semiduri, e tendono a estendersi, con danno del rendimento agricolo, particolarmente nella Toscana. Sono i grani di più basso valore alimentare e industriale; donde l'evidente convenienza di sostituirli, fino alla totale eliminazione o quasi, con i teneri o coi duri. Non sono mancati di tempo in tempo i profittatori che, sfruttando abilmente una parvenza d'alta produttività, han potuto ingannare più d'un agricoltore col grano "del miracolo" (Triticum compositum). È dai competenti concordemente indicato come il pessimo dei turgidi: fastoso e vano, instabile nella progenie, di nessun valore agrario. Meritano di essere appena ricordati nella nostra agricoltura i grani vestiti, limitatamente al Tr. dicoccum e Tr. spelta, dei quali non s'incontra che qualche rara e modesta coltivazione nei territorî montuosi ritenuti, spesso a torto, non accessibili ai grani nudi.
Le poche dozzine di varietà della segale rientrano tutte nell'unica specie Secale cereale, che deriverebbe secondo il Häckel dalla Secale montanum, spontanea nella Spagna, ecc. L'orzo comprende numerose varietà, distribuite nelle tre specie principali Hordeum distichum (orzi a due file), H. vulgare (a quattro file) e H. exasticum (a sei file) e in altre non poche (soprattutto nel grado di sottospecie) di scarso o nessun valore agrario. Le differenti varietà di avena, trascurando anche qui le specie di poco valore agrario, sono riferite ad Avena sativa (a pannocchia simmetrica, bilaterale) e Avena orientalis (a pannocchia unilaterale). La vecchia specie collettiva del granturco conta già più d'un mezzo migliaio di varietà, in continuo aumento anch'esse, le quali sono oggi distribuite fra le seguenti specie "agrarie" o "colturali": Zea everta, Z. indurata, Z. indentata, Z. amylacea, Z. saccharata.
Delle non poche varietà di riso, quelle di maggiore interesse agrario sono tutte comprese nella specie Oryza sativa. La Oryza glutinosa, pochissimo coltivata, comprende risi il cui granello nella cottura si spappola. Parecchie, ma non moltissime, sono le varietà del sorgo, che, riferite anche a specie distinte, vanno sotto i nomi di dura o durra, saggina, ecc.
Non agevole e comunque troppo lungo sarebbe anche un semplice accenno a tutti gli spostamenti territoriali che nel corso dei secoli si sono verificati nelle zone agrarie di questi cereali. A larghi tratti, si può qui ricordare la scomparsa quasi completa del miglio (Panicum miliaceum) e del panico (P. italicum) nell'Europa Meridionale sotto la pressione del mais, venuto dall'America. Si può accennare alla non remotissima decadenza dell'orzo come cereale europeo da pane sotto la pressione del frumento, e - in contingenze analoghe - al restringersi del dominio della segale, altra volta assoluto, nell'Europa centrale e settentrionale, all'esclusione quasi completa del mais dalla panificazione americana, che fu esclusivamente maidica presso gl'indigeni. Si può ricordare infine, entro l'ambito d'un singolo cereale, la scomparsa quasi completa della spelta, larghissimamente coltivata nell'Impero romano, sotto la pressione dei grani nudi, assai più produttivi.
Questi grani, i teneri particolarmente, rappresentano oggi il cereale da pane per eccellenza, quantunque ottimamente panificabile sia anche la farina di segale, che a quella del grano più s'avvicina per composizione e proprietà. Forte d'una salda tradizione, largo uso trova ancora la farina d'avena nell'alimentazione di popoli dell'Europa settentrionale della Norvegia e della Scozia particolarmente. Ma la produzione mondiale dell'avena e dell'orzo, trova ora il più largo uso nell'alimentazione del bestiame equino principalmente.
Uno spostamento analogo di destinazione ha subito il mais, cui è oggi particolarmente legata la fiorentissima produzione suina degli Stati Uniti d'America. Molta parte invece ha tuttora il mais nell'alimentazione umana in tutti i paesi europei nei quali la coltura, come nel nostro, si è più largamente diffusa.
Come eventuale ingrediente secondario del pane è da ricordare anche la farina di riso, non atta da sola alla panificazione, ma capace di migliorare le qualità organolettiche del pane di grano, senza troppo deprimerne il valore alimentare, se addizionata nella modesta misura del 5-10%.
Più largamente ancora che con i granelli, all'alimentazione degli erbivori domestici i cereali contribuiscono con i loro sottoprodotti, paglie, pule, ecc., e soprattutto poi quando entrano nel quadro della coltura foraggera, che li utilizza, al pari delle altre essenze prative, a fioritura appena iniziata o di poco superata. Un tale uso, possibile per tutti meno che per il riso, trovano più spesso l'orzo, l'avena e il sorgo; ma in maggior misura di tutti il mais, sia nel proprio settore, già tanto vasto, della zona dei cereali sia anche in amplissimi tratti marginali, dove appena può giungere alla fioritura.
Quanto all'uso dei cereali nelle industrie, ricorderemo quella dell'amido, la quale tutti può accoglierli come materia prima in caso di avaria che li renda improprî all'uso alimentare, e largamente li assume anche non alterati, attingendo soprattutto alla segale, all'orzo, al mais, al riso. Da ricordare l'uso dei cereali nella distilleria e, limitatamente al mais, nell'oleificio; il largo contributo, solo di recente soverchiato da altre fonti di cellulosa, delle paglie di cereali alla fabbricazione della carta; l'uso delle medesime nei lavori di sparteria e quello di paglie tratte da coltura speciale, che è tra i vanti della campagna toscana, nella fabbricazione dei finissimì cappelli di Firenze; l'uso delle "cime" di saggina nella fabbricazione delle scope.
Ma a tutti gli altri usi industriali forse sovrasta quello dell'orzo distico, degli orzi d'altra specie e di quasi tutti gli altri cereali, nella fabbricazione della birra (v.).
Bibl.: T.F. Hunt, The cereals in America, New York 1904; J. Percival, The Wheat Plant, Londra 1921; F. Bœuf, Éléments de Biologie et de Génétique, Tunisi 1927; Denaiffe e Collab, Les blés cultivés, 3ª ed. 1928; F. Todaro, Il miglioram. di razza nelle piante agr., 3ª ed., Casale Monferrato 1928.
Coltura.
Della cerealicoltura non si può qui trattare che molto sommariamente e con riferimento pressoché esclusivo all'Italia.
Nell'immediato anteguerra, e cioè dal 1909 al 1914, per l'entità del rispettivo prodotto in granelli, mais e grano si disponevano a un dipresso nel rapporto di 1 a 2, con poco più di 25 milioni di quintali contro poco meno di 50. A grande distanza seguivano l'avena e il riso, con prodotti aggirantisi sui 2 milioni di quintali, poi l'orzo con circa 2 milioni e da ultimo la segale con un milione e un terzo circa. Questi rapporti si mantengono tuttora fondamentalmente, con tendenza però ad una generale elevazione dei quantitativi assoluti, in favore soprattutto del frumento, che visibilmente ogni anno avvantaggia del grande fervore d'attività suscitato, a partire dal 1925, da Benito Mussolini con la simbolica "Battaglia del grano".
Ferve oggi come non mai, in tutta la sterminata zona dei cereali, un'opera nel suo insieme colossale intesa a realizzare nella produzione granaria il maggiore possibile incremento, principalmente nei paesi che non bastano, per il pane, a sé stessi. È fra questi anche il nostro, che nei momenti più aspri della guerra mondiale ha potuto amaramente valutare l'importanza vitalissima - nazionale prima ancora che economica - d'un sicuro possesso del pane in casa propria. Fortemente impegnata, con la battaglia del grano, a quest'opera di vera redenzione, l'agricoltura italiana tende ora con tutte le sue forze e con salda fede all'auspicata vittoria.
La seguente graduatoria - di John Percival - in ordine alla produmone unitaria del grano pone l'Italia al settimo posto: 1. Danimarca; 2. Belgio; 3. Olanda; 4. Svizzera, Gran Bretagna, Germania, Svezia; 5. Francia, Austria, Giappone; 6. Canada, Ungheria, Romania; 7. Italia, Egitto; 8. Stati Uniti, Chile; 9. Spagna; 10. Portogallo, Algeria; 11. Tunisia.
Ma è qui lungi dal rispecchiarsi la sola tecnica granaria di questi paesi, poiché quasi tutti quelli che ci precedono usufruiscono di un clima assai più propizio ai cereali del gruppo comprendente il grano, la segale, l'orzo e l'avena. Un ambiente meno improprio al grano offre in Italia la sola Valle Padana, cui, se fosse considerata isolatamente, un posto ben più alto sarebbe assegnato nella graduatoria. E, continuando la "battaglia", l'intero nostro paese non mancherà di ascendere arditamente, in un prossimo futuro, sulla scala del prodotto unitario.
Per soddisfare il più ingente fabbisogno avvenire dell'umanità la granicoltura mondiale guarda particolarmente alle nuove terre, tuttora largamente disponibili, del Canada, dell'America meridionale, dell'Australia, dell'India, ecc. Un incremento attendiamo anche noi dalle terre che la bonifica va sottraendo al padule e alle acque rovinose della montagna; ma prima ancora e soprattutto dobbiamo domandarlo alle nostre vecchie terre a coltura.
Le razze migliorate di cereali, che ormai correntemente si chiamano "elette", vanno recando un largo contributo all'incremento della nostra produzione granaria: nella coltura ricca, che più completamente può utilizzare quelle di più alta produttività, e nella coltura relativamente od anche assolutamente povera. Il miglioramento di razza nei cereali non può vantare nel nostro paese che un trentennio circa di attività. Particolarmente attivo è stato nell'ultimo decennio, anche perché con larghezza di mezzi incitato e sostenuto dal governo e da enti locali. Com'è naturale, si è avuto e si ha principalmente in mira il frumento, del quale abbiamo oggi a disposizione razze d'altissimo valore, che possono ben competere con le migliori straniere. A tutti gli agricoltori italiani, che sempre più largamente li vanno coltivando, sono ormai familiari l'Ardito, il Mentana, il Villaglori, il Novantasei, che sono i grani della coltura più ricca; l'Undici e il Dodici, che quasi completamente possono sfuggire ai gravissimi danni delle ruggini. Si aggiungano non poche altre razze, tratte dalle varietà comuni Gentilrosso, Carosella, Piave, ecc., che egualmente bene risolvono svariati altri problemi della nostra granicoltura. Buone razze si vanno anche costituendo nel mais, nel riso, nell'avena, nell'orzo e nella segale; ma quasi nulla ancora si è fatto nel sorgo e nel saraceno, che pur meritano qualche considerazione, sia anche in linea molto subordinata.
Relativamente ai cereali del gruppo del frumento, ricorderemo che sono presso di noi più estesamente coltivate le varietà e razze a semina preinvernale. Alcune di queste si possono anche adattare a semine ritardate, ma generalmente non oltre il febbraio o i primissimi di marzo. Secondo il Percival i grani primaverili dànno un prodotto che non supera generalmente i 3/4, di quello dei grani vernini; nelle varietà di questi ultimi che si adattano alle semine di febbraio-marzo il prodotto diminuisce del 15-20%, e nelle terre peggiori anche della metà.
Per realizzare nel modo più completo i servigi delle razze elette, condizione sine qua non è l'appropriato loro collocamento, ossia la coltivazione nell'ambiente naturale e agrario a esse più propizio. Alla sicura individuazione di tale ambiente non si può giungere che attraverso una serie di coltivazioni, le "prove di adattamento", nello stesso ambiente che si tratta di definire in relazione a una o più razze date. Si può dire, concludendo, che la razza eletta rappresenta uno dei principali fattori dell'incremento della produzione granaria.
La semente. - È nella tradizione agraria di molti paesi, e anche del nostro, il convincimento dell'utilità, o addirittura della necessità del cambio della semente d'un cereale qualsiasi portato in territori diversi e più o meno lontani da quello d'origine. Questo convincimento e la pratica che ne deriva, con il conseguente inevitabile aggravio del bilancio della coltura, scaturiscono da constatazioni sostanzialmente esatte nelle colture di varietà comuni, comprendenti d'ordinario biotipi più o meno numerosi e di valore differente; e hanno tuttora, indiscutibilmente, ragione d'essere nell'uso di tali varietà. Può avvenire infatti che le riproduzioni di queste nei nuovi territorî, con sementi del luogo, portino a far prevalere nella coltura i biotipi di minor valore. Da ciò quella degenerazione che è spesso anche mescolanza con le meno buone varietà locali e che induce a tornare alla semente d'origine.
Si ha il torto però di applicare la regola anche alle razze elette, geneticamente pure; le quali, essendo costituite da un solo biotipo, si possono invece considerare definitivamente acquisite al nuovo ambiente evitando la reimportazione di semente originaria. Si può obiettare che anche in questo caso si vanno costituendo centri speciali di produzione e distribuzione delle sementi. Ma questi non contraddicono il principio, in quanto che essi hanno soltanto in mira di assicurare quella conservazione delle razze che l'esperienza dimostra impossibile da realizzare nella coltura corrente; nella quale esse hanno mille occasioni all'inquinamento, che, dopo averle di più in più deformate, in breve volgere di tempo le disperde.
Nella riproduzione della razza assunta in coltura, molta importanza, e da molti si attribuisce ancora all'uso dei semi migliori, quali vengono generalmente ritenuti i più grossi. Anche questa norma si può fondamentalmente accettare nel caso delle comuni varietà impure; ma non bisogna esagerare la portata della sua applicazione né in questo caso né tanto meno in quello delle razze elette. Giova, relativamente a queste, ricordare che le caratteristiche di razza passano anche nei semi più modesti, purché completi e normali. È ovvio che il seme migliore, più largamente provvisto di sostanze alimentari per l'embrione, darà origine a una piantina più robusta, la quale farà in migliori condizioni i primi passi della sua vita. E però chi ha sperimentato in piccolo - pianta da seme grosso contro pianta da seme minuto - ha sempre concluso, com'era facilmente prevedibile, in favore del più grosso. Ma prove più recenti e meglio inquadrate nella pratica corrente, che pone problemi molto più complessi in relazione all'esito della coltura e non soltanto a un promettente inizio, hanno condotto a risultati che autorizzano la riserva sopraesposta. Particolarmente nel grano e nei cereali affini non mancano casi d'utilizzazione soltanto parziale delle riserve del seme nel corso della germinazione; casi d'incremento lievissimo, appena apprezzabili, nel prodotto, a favore dei semi più grossi e perfino di differenze, sempre lievi, nel senso opposto.
La semente migliore, nel caso particolarmente di razze elette, non può dunque assumersi che tra i fattori secondarissimi d'un modesto ed eventuale incremento della produzione. Non ha pertanto alcun serio motivo d'applicazione la regola del terzo medio della spiga, usata nel mais, nel grano, ecc. per l'acquisizione dei semi preferibili come materiale riproduttivo. I quali semi, per quel poco o molto che possono dare, è possibile trarre dalla massa dei granelli, con fatica e dispendio molto minori, facendo uso d'un qualsiasi vaglio cernitore opportunamente calibrato.
Terreno. - In uno stesso ambiente meteorico variazioni più o meno rilevanti possono verificarsi nella produzione dei cereali, se in modo differente il terreno, considerato come stanza, esplica le, proprie funzioni, in armonia o in contrasto con quelle del clima, che si concretano ogni anno nel particolare decorso stagionale. Astraendo dalla giacitura, dall'inclinazione, ecc., giova qui particolarmente considerare le condizioni di tessitura, o impasto, del terreno. Ricordate le differenze non piccole di capacità e attitudini produttive legate al differente spessore, esuberante o appena sufficiente, dello strato detritico, può stabilirsi che, come tutte le piante agrarie in genere, i cereali trovano la stanza migliore nelle terre di medio impasto. Le quali dispensano pertanto dalle indagini minute, insistenti e spesso non facili che si rendono necessarie nelle terre volgenti ai tipi estremi, cioè, al compatto, o al tipo soverchiamente sciolto, per la migliore assegnazione del più conveniente posto di lavoro alle singole specie, prima ancora che alle varietà e razze. Ma, con particolare riferimento al grano, può aggiungersi che questi estremi di tessitura del suolo la tecnica moderna tende di più in più a ravvicinarli, valendosi di strumenti aratorî più efficienti, d'una più larga disponibilità qualitativa e quantitativa di fertilizzanti e delle attuali meno incomplete conoscenze sul buon uso dei medesimi. E proprio in quelle terre volgenti al tipo sabbioso, ritenute fino a ieri del tutto negate al grano, sembra ora potersi condurre questo cereale alle sue più alte rese unitarie.
Rotazione. - Tutti i cereali di cui qui brevemente ci occupiamo possono consentire la coltivazione ripetuta per tempo indefinito su uno stesso terreno. La pratica corrente non si vale di questa possibilità e preferisce invece, come regola, il cambiamento di stanza ogni anno. Ciò porta alla rotazione agraria; la quale consente fra altro, se attuata con la necessaria oculatezza, di assicurare in uno stesso terreno condizioni di vita fondamentalmente buone, e quindi accettabili ai fini della produzione, a due o più cereali differenti, cui corrispondono bensì esigenze diverse ma non mai comunque tanto rigide da portare a un terreno d'elezione per ciascuno di essi.
Conviene assumere in prima linea i cereali del gruppo A (grano, che comprende anche la segale, l'orzo e l'avena), e in relazione a questi ricercare le colture che più vantaggiosamente possono precederli. Buoni precedenti immediati del grano e cereali affini sono i cereali del gruppo B (mais, che comprende anche il sorgo) e le altre specie di grande coltura, come canapa, bietole, ecc. che esigono, al pari di essi, lavori di rinnovo e sarchiature; il riso, anche in quella coltura del grano "in strepola" dei Mantovani, che si limita alla semina nel suolo ancora fangoso della risaia e può assumere particolare importanza nella produzione dei grani da semente. Buoni precedenti sono costituiti infine dai prati, non esclusi quelli di più lunga durata, cui può assimilarsi il terreno che nella coltura più estensiva dopo lungo riposo, cioè nelle stesse condizioni del prato naturale, si offre al grano, portatovi dalla lenta e quanto mai efficace opera del maggese nudo.
Grande valore come precedente immediato del grano è giustamente attribuito dagli agricoltori di tutti i paesi particolarmente al prato di leguminose, che può forse rappresentare il fattore indiretto della massima efficienza, specie presso di noi. Può anche ricordarsi che qualche leguminosa prativa, come la sulla nell'Abruzzo, ha potuto creare la stessa possibilità d'una coltura proficua del grano in terreni del tutto o quasi improduttivi.
E giova infine qui richiamare quella preziosa acquisizione ai precedenti immediati del grano rappresentata dai prati delle leguminose più vivaci, particolarmente da quelli di erba medica. È frutto dell'abbreviato ciclo colturale della leguminosa, di larghe appropriate concimazioni minerali sulla leguminosa stessa e sul grano chiamato a seguirla; ma all'acquisizione predetta ha soprattutto contribuito, e sempre più largamente contribuisce da qualche anno, il diffondersi dei grani detti, con qualche esagerazione, inallettabili.
La concimazione. - Sembra potersi presentare come il più potente fattore d'incremento della produzione granaria. Non ha mancato, questa, d'avvantaggiarsi, direttamente nel gruppo B e di riflesso nel gruppo A, della letamazione sempre più larga nelle colture sarchiate e, più di recente, del largo impiego di fertilizzanti minerali in queste e nelle altre colture che precedono il grano. Ma quest'ultimo - che è, ripetiamo, al centro della nostra produzione granaria - deve alla concimazione minerale diretta, prima quasi timidamente praticata, le ultime e più cospicue sue realizzazioni.
La concimazione del grano e specie affini, e così si dica anche del riso, è oggi regolata in modo che questi cereali, entro i limiti delle loro possibilità d'assorbimento e di elaborazione, riescano a utilizzare il più completamente possibile i residui della coltura precedente traendo, anche a questo fine, il necessario aiuto dai fertilizzanti complementari che vengono ad essi direttamente sommimstrati. In terreni di alta produttività, freschi, profondi, di buon impasto, ecc., e nelle più prospere condizioni economiche dell'azienda, può essere attuata la più ricca coltivazione; la quale porta all'impiego di fertilizzanti complementari nelle più alte dosi e alla preferenza, o meglio esclusiva assunzione, delle razze capaci d'una più larga e attiva elaborazione. In condizioni più modeste di economia e terreno, modesti del pari sono i supplementi, limitati ora più spesso ai soli concimi fosfatici, ma più libera resta la scelta fra le razze, poiché quasi tutte possono esservi ammesse.
Come ultima sicura acquisizione della nostra tecnica, e a giusto vanto di questa, vogliamo qui segnalare la concimazione forzata del riso, a base principalmente di sali azotati, e più ancora quella del grano. Il riso ha potuto, per essa, quasi raddoppiare le produzioni unitarie di 40-50 quintali che si reputavano pressoché insuperabili, e il frumento raggiungere anche presso di noi quelle altissime produzioni, di 50-60 quintali per ha., che ricorrono come eccezione, sebbene non rara, nei paesi più tipicamente granarî: nei paesi cioè meno caldi del nostro, a piogge più abbondanti e soprattutto meglio distribuite nel corso della vegetazione postinvernale dei grani.
È tuttora da accertare sperimentalmente se, come taluno asserisce, queste produzioni tanto cospicue del grano impongano sempre e dovunque - in tutte le condizioni di terreno e successione - concimazioni straordinariamente ricche, così da rendere necessaria una somministrazione frazionata e ripetuta dei fertilizzanti azotati; da accertare anche se le produzioni stesse costituiscano una prerogativa legata esclusivamente ai grani precoci. I risultati di qualche indagine preliminare pongono fuori d'ogni dubbio la possibilità di assumere proficuamente anche gl'inallettabili moderatamente tardivi in questa coltura forzata. E tendono a dimostrare che nelle terre di medio impasto o volgenti al tipo argilloso, a potere d'imbibizione e potere capillare sufficientemente attivi, produzioni del pari molto elevate possono ottenersi da grani inallettabili - precoci e non precoci - con dosi assai più moderate di fertilizzanti salini - azotati, ma anche fosfatici e potassici - alla semina e nel corso dello sviluppo preinvernale.
Semina e operazioni colturali. - Ai varî processi di semina è intimamente collegato il particolare quadro dei servigi, indicati come cure di coltivazione, che i cereali domandano all'agricoltore nel corso della non lunga loro vita. Giova qui richiamare un carattere di sviluppo comune a tutti i cereali della famiglia delle Graminacee, che si deve avere presente in relazione soprattutto alla profondità dell'interrimento dei semi e in rapporto altresì alle prime cure colturali. È l'esistenza di due differenti apparati radicali: uno, per cosi dire preliminare, a servizio della piantina fino al termine della germinazione; l'altro, definitivo o permanente, di cui la pianta usa nel rimanente e più lungo periodo della propria vita. Il primo ha origine dalla stessa radichetta dell'embrione; il secondo, rappresentato da radici avventizie, si sviluppa, sempre a fior di terra, dai primi nodi del fusticino embrionale, da cui, simultaneamente e anche poco di poi nel corso di qualche settimana, si sviluppano altresì quei culmi secondarî detti d'accestimento. Questi, insieme con il primo culmo, formano il caratteristico cespo del grano e cereali affini e del riso, eccezionalmente anche del mais e del sorgo. Una profondità eccessiva può impedire al fusticino di emergere dal suolo o, quanto meno, di farlo giungere alla luce senza stento: donde, rispettivamente, la mancata nascita o il radicamento e accestimento limitati e stentati. Può mancare addirittura la germinazione, in caso d'interrimento non sufficiente. La rincalzatura, correntemente praticata su mais e sorgo, di nessun valore evidentemente per il riso, può avvantaggiare non poco anche il grano e gli altri cereali dello stesso gruppo, determinando una più ricca emissione di radici avventizie e di culmi d'accestimento, oltre che un più vigoroso sviluppo generale.
Rappresenta dovunque la regola, in Italia e fuori, la semina a righe dei cereali del gruppo B. Era invece tradizionale e non è purtroppo del tutto abbandonata la semina a spaglio dei cereali del gruppo A e del riso. Un cospicuo incremento globale ha potuto realizzare la tecnica moderna nella produzione granaria con la semina a righe del grano e cereali affini e del riso; più ancora, rispetto a quest'ultimo, col trapianto. Oltre al beneficio diretto che si riflette sulla produzione dei granelli, la semina a righe, in relazione anche all'economia della coltura, ha il merito di rendere le fondamentali cure di coltivazione (sarchiature, rincalzature e scerbature) più agevoli e più efficaci, e anche meno dispendiose, con l'aprire il seminato all'impiego di appropriati strumenti meccanici.
Vogliamo qui ricordare la possibilità, che non pare dubbia, di assicurare almeno in gran parte i servigi della rincalzatura ai seminati a spaglio di grano, segale, orzo e avena, che sono ancora numerosi anche fuori delle terre troppo acclivi, dove l'uso della seminatrice non è consentito. Si tratterebbe di assolcare i seminati a spaglio quando, in novembre o dicembre, nei cereali predetti l'accestimento è al suo inizio o comunque poco avanzato. La rincalzatura delle piantine rimaste nel campo sarebbe operata da piccoli rastrelli, portati dallo stesso assolcatore, i quali distribuirebbero in uno straterello di spessore uniforme la terra sollevata nell'apertura dei solchetti. A quello della rincalzatura si aggiungerebbero i vantaggi, proprî della semina su porche, derivanti da un migliore assetto della superficie in relazione al deflusso di acque pluviali esuberanti e dallo sfollamento della coltura.
Dovunque sia possibile, conviene seminare in file, semplici, oppure doppie o triple molto ravvicinate fra loro e in ogni caso sufficientemente spaziate in modo da consentire l'esecuzione delle sarchiature, e soprattutto poi della rincalzatura, con strumenti meccanici e non soltanto con i comuni arnesi manuali, il cui uso implica una spesa notevolmente maggiore. Il frumento e le specie affini possono trarre dalla rincalzatura vantaggi di sviluppo e produzione forse di poco inferiori, se non pure eguali, a quelli che trarrebbero dal trapianto; il quale ebbe un posto d'onore in quel miracolismo, generalmente innocuo, che, com'era prevedibile, la battaglia del grano non ha mancato, al suo inizio, di suscitare. Disgraziatamente l'attuazione della rincalzatura, nel momento suindicato di massima efficienza, incontra difficoltà non di rado insuperabili in molta parte del nostro territorio ad autunno frequentemente piovoso e a terre argillose che si prosciugano molto lentamente.
In particolare considerazione si dovrebbe prendere nei nostri territorî più aridi la semina nel fondo di solchetti. Spianando al momento opportuno la superficie del suolo, si compie quella che noi diciamo rincalzatura a rovescio, la quale reca i medesimi vantaggi dell'altra; ma, a differenza di questa, limita anziché estendere la superficie evaporante del suolo stesso. Nella coltura in collegamento col maggese nudo dei territori predetti, gioverebbe altresi sperimentare quei particolari processi di semina e coltivazione (file molto distanziate, anche 100-120 cm., e sarchiature pressoché ininterrotte nell'ampia interfila, naturalmente con strumenti meccanici) che hanno reso possibile una granicoltura proficua in ambienti estremamente aridi e caldi, della Spagna, dell'Algeria, della Tunisia, ecc., nei quali invano si era tentata con gli usuali processi, antichi e recenti, la coltivazione del grano.
Ricorderemo infine, fra le altre operazioni colturali, la cimatura e la rullatura. A una parziale cimatura abbiamo già accennato come pratica attinente alla produzione di sementi ibride nel mais. Per trarne foraggio, questo è altresì correntemente, a pieno campo, cimato nella quasi totalità delle nostre colture non irrigue, con danno sicuro e non piccolo della produzione dei granelli; specie nei casi, più frequenti, in cui la cimatura viene poco dopo seguita dalla totale defogliazione. Si tratta dunque di operazione colturale inopportuna, anzi dannosa. Anche sul grano, nelle zone a coltivazione più ricca, la cimatura è ancora troppo largamente usata a prevenire o ad attenuare, ritardandolo, l'allettamento. La pratica era per l'addietro da accettarsi quasi come male necessario poiché riusciva effettivamente ad assicurare prodotti ancora rimunerativi in colture che allettando molto per tempo - per effetto, il più spesso, di eccessiva fittezza e di esuberanza d'azoto nel suolo - avrebbero dato raccolti assai meschini: poco grano e di qualità scadentissima. Tende ora a sparire, in quanto che il più largo impiego di concimi fosfatici e potassici, che controbattono la dannosa esuberanza dell'azoto, la semina a righe sufficientemente distanziate e soprattutto la sostituzione di grani a culmo robusto e non troppo alto a quelli dei tipi Rieti, Gentilrosso, Cologna, ecc., hanno potuto fondamentalmente risolvere il problema dell'allettamento: problema poderoso ritenuto fino a ieri pressoché insolubile. Quando il rigoglio del grano si manifesta nella primissima fase dello sviluppo, la pratica tradizionale della nostra coltura estensiva offre i seminati in pascolo agli ovini, avendo cura di non farli troppo a lungo sostare.
Ricorrenza ancora troppo limitata ha presso di noi la pratica, del tutto ignorata dalla grande maggioranza dei nostri agricoltori, della rullatura o cilindratura dei seminati. Nei paesi d'oltralpe la rullatura è invece largamente e da tempo praticata: subito dopo le semine in terre leggiere, sabbiose o umifere, per assicurare la nascita delle piantine; all'uscir dall'inverno nei seminati in cui i cereali, specie se poco accestiti, per effetto del gelo e disgelo hanno perduto il necessario pieno possesso del suolo; nei seminati in cui il primo sviluppo erbaceo troppo rigoglioso può far temere un precoce allettamento. È evidente, in quest'ultimo caso, che la rullatura può mettere un freno al rigoglio provocando nelle piantine lesioni analoghe a quelle determinate dalla cimatura e limitando nel suolo, con la diminuita penetrazione d'aria, l'attività dei batteri nitrificanti, il che significa limitare al grano la disponibilità di azoto assimilabile.
La consociazione. - I ben noti vantaggi di un'appropriata consociazione si possono realizzare anche nella coltivazione di alcuni dei cereali di cui trattiamo. Nel caso, che più c'interessa, del mais consociato in file alterne, semplici o doppie ai fagioli nani, alla soia, alle bietole da foraggio, ecc., resta a buona altezza il prodotto del cereale e si ha in più il prodotto della specie consociata, cosicché la produzione globale nell'unità di superficie supera di regola quella di entrambe le specie in cultura monofita. Nel gruppo del frumento, per tacere delle consociazioni ormai quasi scomparse del grano con la segale o con la veccia, dell'Alto Appennino, legate all'agricoltura familiare nelle più povere sue attuazioni, merita di essere particolarmente ricordata e raccomandata la consociazione di razze. Si limita generalmente a due, e nei casi più fortunati può accrescere anche di 2-3 quintali per ha. il prodotto in granelli. Con esito quasi sempre positivo si è anche sperimentata nel Bolognese questa consociazione di razze che è nella pratica corrente in Francia e altrove. Si è provato con due nostre razze semiaristate, la Quarantotto e la Novantasei, chiamando quest'ultima a portare nell'associazione, a difesa contro l'allettamento, il contributo dei suoi culmi vigorosi. La statura più alta consente alla razza Quarantotto di portare in un primo piano, per così dire, le proprie spighe senza premere dannosamente su quelle della Novantasei; cosicché in profondità piuttosto che in superficie può elevarsi nel metro quadrato quel numero di spighe che è tra i fattori più decisivi dell'elevato prodotto unitario.
Il raccolto. - Nulla di nuovo, che ormai già non sia nella pratica corrente, si può qui inserire relativamente al raccolto dei cereali. Tutti sanno, e del resto era noto da tempo remotissimo, che i cereali cominciano "a morire da piede", e quindi vi è la possibilità di staccarli dal suolo anche un poco prima del completo indurimento delle cariossidi. Di questa possibilità l'agricoltore si vale nel caso degli orzi, in cui a maturità troppo avanzata la rachide può facilmente troncarsi; nel caso della segale e di non pochi frumenti il più spesso fra i teneri che a piena maturazione lasciano cadere i granelli; in ogni caso poi nei cereali fortemente colpiti dalle ruggini. Nessuna preoccupazione desta invece il mais che sì validamente protegge i propri granelli; i quali, anche in caso di raccolto a piena maturità, sembrano avvantaggiarsi da una lunga permanenza sul tutolo.
Se tutto ciò non è nuovo, note veramente clamorose ha portato la modernità per tutto quanto concerne il modo di fare il raccolto dei cereali. La falce armata o messoria si sostituisce all'antichissimo falciolo, s'introducono le mietitrici, poi la mietitrice-legatrice, da ultimo la colossale mietitrice-battitrice, se pure, per ovvie ragioni, destinata a non uscire dai campi sterminati della granicoltura americana, estensiva e sommaria. Non più per la trebbiatura il vecchio correggiato, non il lungo calpestio di equini e bovini sotto il sole canicolare; ma poderose trebbiatrici a grande lavoro sulle vaste aie del piano, altre più modeste ma del pari efficienti nel colle e nella montagna.
Sono altrettante realizzazioni della scienza e della tecnica che oggi come non mai anche alla nostra granicoltura conferiscono possibilità sempre nuove e più late, da cui la nazione sicuramente trarrà, in un prossimo futuro, quanto ancora manca alla propria indipendenza alimentare, della quale il pane è la base.
Bibl.: C. Ridolfi, Lezioni orali di agricoltura, Firenze 1868; P. Cuppari, Lezioni di agricoltura, Pisa 1869; E. Risler, Physiologie et culture du blé, Parigi 1887; C. V. Garola, Les céréales, Parigi 1894; A. Novacki, Getreidebau, 7ª ed., Berlino 1920; M. De Arana y Franco, Nuevos métodos de cultivo en secano, Madrid 1925; F. Todaro, Lezioni di agric., 3ª ed., Casalmonferrato 1925; F. Todaro e M. Bonvicini, La coltiv. del grano, Roma 1929.
Produzione e commercio.
Cenno storico. - I dati delle fonti letterarie ed epigrafiche non permettono calcoli sicuri e completi sulla produzione dei cereali nelle varie regioni della Grecia (che computi recenti tenderebbero a fissare attorno a una media di 8-12 ettolitri l'ettaro per il frumento, e 16-20 per l'orzo), e c'informano solo con una maggior precisione sulle condizioni dell'Attica (fondamentale per questo l'iscrizione sulle ἀπαρχαί di orzo e frumento versate ai santuarî di Eleusi nel 329 a. C.), rivelandoci una coltivazione limitata, nel complesso insufficiente ai bisogni del paese. Lo stato ateniese è infatti approvvigionato in buona parte con grani d'importazione, provenienti in epoca classica dai fertili terreni della Crimea e del Ponto, in epoca ellenistica dall'Egitto, che, con lo sviluppo della grande politica marittima dei Tolomei, assume un'importanza primaria per l'esportazione del grano, prima verso la Grecia e poi verso l'Italia.
Il commercio dei cereali, come del resto la maggior parte del commercio greco, si svolge per mare, e dai dati che possediamo sui prezzi correnti in località di puro consumo, come Delo (per es. 4 1/2-10 dr. a medimno per il frumento, 4-5 dr. per l'orzo, sec. III. a. C.), possiamo, raffrontandoli ai prezzi medî dei luoghi di produzione, formarci anche un'idea del valore dei noli.
La penisola italica, già nota e celebrata come alma parens frugum, in seguito a una complessa evoluzione economico-politica, perdette relativamente presto (secoli III-II a. C.) tale ricchezza, sostituita soprattutto dalla coltura della vite. Ridotta così anch'essa all'importazione, ricorse in epoca repubblicana alla Sardegna e soprattutto alla Sicilia, il granaio di Roma", la cui annua produzione granaria è stata valutata, per i tempi migliori a 6-7 milioni di medimni. Alla Sicilia, troppo intensamente sfruttata e decaduta sul finire della repubblica da paese a regime agricolo a paese di pastorizia, succedono in epoca imperiale, come approvvigionatrici di Roma, le provincie d'Africa e d'Egitto. Di qui l'Italia, sinché ebbe sicuro e incontrastato il dominio del mare, trasse l'alimento fondamentale, al punto che a Genserico bastò tagliare le comunicazioni marittime per affamare senz'altro la penisola. Per maggiori particolari, v. annona; commercio; agrarie, leggi.
Con la divisione dell'Impero romano, il commercio dei cereali perdette gran parte della sua importanza in Occidente, dove gli scambî finirono col limitarsi a pochi prodotti di lusso e la produzione agricola fu destinata al consumo locale; continuò floridissimo in Oriente, dove gl'imperatori conservavano la tradizione di distribuire gratuitamente le derrate alla popolazione. Costantinopoli divenne così un grande centro d'importazione di grani dall'Egitto e tale si conservò fino all'invasione degli Arabi e alle crociate.
Dopo il Mille, con lo sviluppo dei Comuni, si riattiva in occidente un commercio di grani, ma limitato, salvo gli anni di grande abbondanza, agli scambî fra contado e città. La campagna infatti, in quest'epoca, è assolutamente dipendente dal comune e solo con questo può sviluppare i suoi traffici. Ciò determina difficoltà d' approvvigionamento tra regione e regione, e dà luogo a gravi carestie, per evitare le quali i comuni sviluppano una politica di controllo della produzione e del commercio. Sorgono così ufficiali speciali dell'annona o dell'abbondanza, che disciplinano il mercato e puniscono con gravi pene le operazioni d' incetta, e la cui esistenza si protrae fino ai primordî del secolo scorso.
Solo Venezìa e le città anseatiche sviluppano in quell'epoca un discreto traffico marittimo di cereali. Venezia importa grano, per il consumo interno o per riesportazione, dalla Sicilia e dalla Puglia prima, dalla Crimea, dal litorale del Mar Nero e dal nord dell'Africa poi; le città anseatiche lo importano invece dalla Polonia, che era diventata un centro importante di produzione, attraverso il porto di Danzica. Degna di nota in questo periodo l'istituzione in Venezia della Camera del frumento, organismo che di anno in anno, sulla base di un censimento approssimativo della popolazione, calcolava il fabbisogno di grano, le disponibilità, e provvedeva all'approvvigionamento.
Un vero risveglio del traffico internazionale dei cereali si ha soltanto nei secoli XVII e XVIII, a opera degli Olandesi. Questi, per sopperire alle necessità di consumo del loro paese, e della Francia, Inghilterra e Spagna, iniziano e sviluppano l'importazione di rilevanti quantità di cereali dal Baltico, attraverso il porto di Danzica. Il movimento raggiunge talvolta le 400 mila tonn. e ha per centro d'importazione e rispedizione Amsterdam, il grande emporio commerciale d'allora.
Di cereali del Baltico anzitutto la Spagna assorbe grandi quantitativi. In questo paese, infatti, dopo le conquiste coloniali, l'agricoltura era andata decadendo e le necessità di rifornirsi dall'estero si erano fatte più urgenti. D'altra parte, le difficoltà di trasporto interno rendevano meno costose le importazioni dall'Europa settentrionale che -dall'una all'altra regione della penisola.
I grani baltici vengono anche assorbiti dalla Francia e dall'Inghilterra, paesi nei quali però l'importazione e l'esportazione, da gran tempo, dipendeva dall'andamento dei raccolti più che da un'assoluta deficienza o eccedenza di disponibilità. In Francia si ricordano i provvedimenti del Colbert dopo la carestia del 1661-63, diretti a disciplinare, second0 l'andamento del raccolto, il movimento d'importazione e d'esportazione. In Inghilterra l'esportazione fu in un primo tempo permessa fino a che il prezzo non salisse a un certo livello. L'importazione fino al 1670 fu libera, poi permessa soltanto al di là di un certo prezzo e gravata di dazio. Con l'ascesa al trono di Guglielmo III si stimolò l'esportazione mediante premî, ma dopo la pace di Parigi del 1763, il rapido incremento della popolazione e delle industrie portò a favorire invece l'importazione. Fra alterne vicende si arriva al 1791, anno in cui la forte concorrenza estera e lo stato di crisi dell'agricoltura portano a misure restrittive nei riguardi dell'importazione. Queste misure furono aggravate con le leggi del 1826 e l'importazione fu proibita quando il prezzo fosse inferiore a 120 lire il quintale. Ma nel 1846 l'annata agraria pessima e la formidabile campagna dei liberisti di Manchester portano all'abolizione delle leggi protettive sul grano (corn laws) e alla completa apertura del mercato inglese alle esportazioni russe, danubiane e transoceaniche. Ha modo così di svilupparsi quel vasto commercio internazionale di cereali che contraddistingue l'età contemporanea.
In Italia, durante tutta la prima metà del sec. XIX, si sviluppò un certo commercio di transito dei cereali russi e danubiani, specialmente attraverso il porto di Genova. Col libero commercio inglese, però, questa attività perdette gran parte della sua importanza. È nteressante notare infine come nel Medioevo e nell'età moderna i prezzi del grano siano serviti a misurare le variazioni nel potere d'acquisto dei metalli preziosi. Nella tabella seguente si riportano alcune medie di prezzi calcolati dall'anno 1200 al secolo in corso.
Bibl.: I. W. Gilbart, Lezioni sulla storia e sui principi del commercio presso gli antichi, in Biblioteca dell'economia, s. 2ª, IV, Torino 1864; H. Scherer, Storia del commercio di tutte le nazioni dai tempi antichi fino ai nostri giorni, ibidem; W. Roscher, Sul commercio dei grani, in Biblioteca dell'economia, s. 2ª, VIII, Torino 1866; J. E. T. Rogers, History of agriculture and prices, voll. 7, Londra 1902; G. Beloch, La popolazione antica della Sicilia, Palermo 1889, pp. 27-34; G. D'Avenel, Histoire économique de la propriété, des salaires, ecc., Parigi 1894-98; P. Bonfante, Storia del commercio, voll. 2, Roma 1924; A. Jardé, Les céréales dans l'antiquité greque, Parigi 1925; Fr. Heichelheim, Wirtschaftliche Schwankungen der Zeit von Alexander bis Augustus, Jena 1930, pp. 51-52 e passim.
Produzione. - Una valutazione quantitativa della produzione cerealicola mondiale dovrebbe estendersi, oltre che al frammento, alla segale, all'orzo, all'avena, al granturco, anche al riso e ai cereali minori, come il miglio, il sorgo, ecc. Ma è da notare che, mentre per il primo gruppo di cereali esistono ottime statistiche, per il riso si hanno dati largamente approssimativi e per i cereali minori pochissimi particolari accertamenti. D'altra parte il riso ha il suo principale centro di produzione e consumo in Asia e dà luogo a un traffico intercontinentale di non molta importanza e con caratteristiche organizzative sue proprie, onde va meglio trattato a sé (v. riso), mentre i cereali minori hanno addirittura scarsissimo rilievo commerciale.
Trascurando pertanto questi, la produzione mondiale dei cereali maggiori poteva valutarsi, nel 1926-29, in 3831 milioni di quintali, di cui il 31% di frumento, il 29,1% di granturco, il 18,1% di avena, l'11,8% di segale, il 10% di orzo.
Fra tutti i cereali, il frumento ha la maggiore diffusione nel mondo: questo cereale è infatti prodotto per il 30,5% in Europa, per il 29.7% nell'America del Nord, per il 18.5% nell'U.R.S.S.; per l'8.2% in Asia; per il 6.7% nell'America del Sud, per il 3,4%, in Oceania, per il 2,7% in Africa e per trascurabili quantitativi nell'America centrale.
La coltivazione del granturco è concentrata invece nei grandi paesi allevatori di bestiame, specialmente nell'America del Nord che ne produce il 62,3% del totale, in Europa col 12,7% e nell'America del Sud col 10,6%. L'avena è pure molto concentrata: è prodotta per il 39,5% in Europa, per il 35,4% nell'America del Nord e per il 22,3%, nell'U.R.S.S. La segale è prodotta nei territorî in cui è utilizzata per l'alimentazione umana: U.R.S.S. col 48,3%, Europa col 47,9%. L'orzo ha una più larga diffusione: è prodotto per il 41,3% in Europa, per il 22,1% nell'America del Nord, per il 14,8% nell'U.R.S.S., per il 13,4% in Asia e per il 5,9% in Oceania.
Nel complesso però i maggiori centri cerealicoli del mondo sono l'America del Nord (36,3% della produzione mondiale) l'Europa (30,1%), l'U.R.S.S. (20,5%). Nelle altre grandi zone territoriali la cerealicoltura acquista importanza o in pochi stati (Argentina, India) o per qualcuno dei cereali considerati (frumento in Australia, frumento, orzo, granturco nell'Africa settentrionale, granturco nell'Africa meridionale), e talvolta più per scopi di esportazione o industriali che di consumo diretto interno, essendo questo ancora limitato e di lenta estensione.
La grande diffusione della coltura nell'America del Nord, in Europa, nell'U.R.S.S. è, invece, in stretta relazione con le abitudini alimentari caratteristiche delle popolazioni, abitudini che determinano o un consumo diretto. dei cereali o la loro utilizzazione da parte di alcune industrie connesse col regime alimentare (allevamento degli animali, fabbricazione della birra). Si calcola, in proposito, che nell'America del Nord 1/3 della produzione cerealicola e in Europa 2/3 siano destinati all'alimentazione diretta dell'uomo, ché il resto va alle industrie nominate e ad altre minori.
La produzione cerealicola, che dagl'inizî della colonizzazione transoceanica all'immediato anteguerra, attraverso un sempre più regolare suo sviluppo nei paesi aventi convenienza alla coltura, si era andata stabilizzando sulla base delle esigenze normali dei mercati di consumo, ha subito la fortissima influenza della guerra e degli avvenimenti politici ed economici che da essa maturarono, avviandosi verso una fase di forti squilibrî.
La produzione mondiale, che era di 3561 milioni di quintali nel 1909-13, scendeva a cifre molto basse durante la guerra, per risalire a 3368 milioni nel 1921-25, mantenendosi però ancora inferiore alle cifre prebelliche. Solo nel 1926-29 si ha un aumento di 270 milioni di quintali (7,60%) sulla produzione prebellica, ma questo aumento rimane certo inferiore a quello della popolazione. Secondo calcoli recenti riíeriti ai due periodi 1909-13 e 1925-28, la disponibilltà mondiale di cereali per abitante sarebbe diminuita dell'8,9% (da 242,2 kg. a 220,5), e poiché in effetto il mercato dei cereali ha mostrato negli ultimi anni una crisi di sovraproduzione, questa minore disponibilità sarebbe in relazione a un vero e proprio minor consumo. La contrazione del consumo individuale si valuta minima per il frumento (4,1%) e il granturco (6,7%), massima per la segale, l'orzo e l'avena (rispettivamente 22,8%, 15,6%, 10,5%).
Trattandosi di un complesso troppo vasto di popolazioni e territorî, questi dati relativi al consumo mondiale non possono essere uniformemente apprezzati: si vedrà però, nella trattazione relativa al commercio, come nei paesi già fin dall'anteguerra a regime alimentare più ricco, in cui il consumo delle carni, dei latticinî e delle frutta ha avuto, in questi ultimi dieci anni, un fortissimo impulso (Stati Uniti, Canada, Argentina, Inghilterra, Francia, Germania), il consumo del frumento sia notevolmente diminuito, indicando un ulteriore miglioramento alimentare, e sia aumentato invece nei paesi a regime alimentare più povero (paesi dell'Europa orientale, Giappone, India, ecc.), anche in sostituzione di cereali di minor pregio. Per quanto riguarda poi i cereali foraggeri, e specialmente l'orzo e l'avena, la contrazione del consumo è dovuta sia al progressivo sviluppo dei trasporti meccanici che ha ridotto il campo di utilizzazione di certe specie di animali, sia alla sostituzione di questi cereali con altre sostanze di maggior valore alimentare nell'allevamento animale. Il granturco soltanto segna una percentuale di riduzione modesta, ma questo cereale, oltre che avere ancora discreta importanza nell'alimentazione umana, è largamente richiesto dalla grande industria di allevamento di animali d'ingrasso e si presta inoltre a molteplici impieghi industriali.
Ma ancora più interessanti aspetti presenta la situazione cerealicola nell'ultimo ventennio dal punto di vista della distribuzione geografica della produzione. Il conflitto europeo determinava non solo la riduzione o la sospensione delle colture in Europa e nella Russia, a vantaggio degli altri centri cerealicoli, nel corso del suo svolgimento, ma difficoltà di sistemazioni agrarie per una lunga serie di anni. Le tappe della ricostruzione cerealicola in Europa e in Russia e gli sviluppi della produzione transoceanica possono essere rilevati dalle seguenti cifre:
Il deficit cerealicolo dell'Europa era ancora notevole nel 1921-1925, ma veniva largamente coperto dalla maggiore produzione transoceanica. La Russia invece segnava una riduzione assoluta di disponibilità, poiché non si approvvigionava che per scarsissimi quantitativi sui mercati esteri. Nel 1926-29 il deficit europeo si riduce di molto e la Russia supera, a quanto risulta dai dati ufficiali, la produzione prebellica; ma anche i mercati transoceanici segnano un ulteriore progresso. È da prevedere tuttavia che la ricostruzione cerealicola europea e russa, e la contrazione di consumo già rilevata, finiranno con l'arrestare il ritmo di sviluppo della produzione transoceanica.
Fra le zone di produzione extraeuropee, i maggiori sviluppi sono stati segnati dall'America del Nord e del Sud: frumento, orzo e avena nella prima; frumento e granturco nella seconda. Però dal 1921-25 al 1926-29, il progresso produttivo dell'America del Nord si arresta e quello dell'America del Sud si accelera fortemente. Le scarse produzioni nord-americane del 1929 che hanno depresso la media, la crisi del mercato e le maggiori potenzialità di concorrenza del mercato argentino spiegano queste variazioni.
Commercio. - Il commercio internazionale dei cereali, già sviluppatosi fin dal sec. XVIII, si andò configurando però nelle sue grandi linee attuali soltanto verso la metà del secolo seguente. È nel 1846, infatti, che l'Inghilterra abolisce le leggi protettive sul grano (corn laws) e apre completamente il mercato interno alla concorrenza mondiale, principalmente alle esportazioni degli Stati Uniti, della Russia, dei paesi danubiani.
Più tardi le correnti commerciali s'intensificano e si estendono. La Germania, la Francia, l'Italia, il Belgio cominciano a segnare forti deficienze granarie. Ha inizio e verso la fine del secolo si sviluppa l'esportazione dall'Argentina, che fra il'70 e l'80 dà prodigioso incremento alla coltura nelle pampas, dall'Australia, dall'India, dal Canada, aiutata anche dalla ripresa dei prezzi che frattanto si era andata delineando.
Lo sviluppo industriale, anticipato dall'Inghilterra, l'orientamento dell'agricoltura verso forme di sfruttamento intensivo, il rapido aumento della p0p0lazione sono state le cause più importanti dell'accresciuta domanda europea di cereali; la colonizzazione di nuovi vasti territorî, la facilità di acquisto di terreni, la convenienza della coltura estensiva, progressivamente abbandonata in Europa, sono state le cause dello sviluppo cerealicolo transoceanico.
Naturalmente, però, i limiti di convenienza della coltura transoceanica erano determinati e regolati in genere dalle trasformazioni agrarie europee, e quindi da un lento processo di evoluzione che non poteva produrre rapidi e vasti squilibrî sul mercato dei cereali. E perciò, nonostante il grande sviluppo della cerealicoltura nei nuovi paesi, un importantissimo posto nel commercio dei cereali fu tenuto fino alla guerra dalla Russia, cui si aggregavano, per caratteristiche similari di produzione, i paesi cosiddetti danubiani (gli attuali stati di Romania, Bulgaria, Ungheria, Iugoslavia). La Russia e questi altri paesi infatti conservavano alla loro agricoltura un carattere estensivo, e trovavano maggiore convenienza che non gli altri paesi europei nella coltura dei cereali.
D'altra parte la Russia si giovava della sua vicinanza ad alcuni mercati di consumo e soprattutto dell'ottima qualità dei suoi prodotti. I frumenti teneri, sia nelle belle varietà invernali Azima (ozimaja) sia in qualcuna estiva Ulca o Ghirca (girka), risultavano particolarmente adatti alla miscela con grani deboli. I grani duri erano anch'essi preferiti. Ottimi grani del tipo russo si ottenevano e si ottengono nel Canada (Manitoba, ricca di un glutine più espansivo di quello delle Azima), in Argentina (Hard) e in alcune zone degli Stati Uniti (Hard Red Winter Wheat e Hard Red Spring Wheat), ma discreta parte dell'esportazione transoceanica era ed è costituita da grani di scarso pregio, più ricchi in amido che in glutine, e quindi lontani dalla bontà del prodotto russo.
Nel quinquennio precedente alla guerra (1909-13), la situazione commerciale si poteva così riassumere: l'esportazione dai principali paesi (tab. 2) raggiungeva i 329,6 milioni di quintali (poco meno di 1/10 della produzione), di cui il 54,21% costituiti da frumento (compresa la farina) e il 19,62% da granturco, i due prodotti di gran lunga più importanti del commercio; seguivano l'orzo col 14,92%, l'avena col 7,18%, la segale col 4,08%. A questa esportazione la Russia partecipava col 32,73%, i paesi danubiani col 19, 14%, l'Argentina col 18,71%, gli Stati Uniti col 12,41%, il Canada con l'8,34%, l'India e l'Australia insieme con circa l'8,67%.
Con la guerra, come si è visto, la situazione cerealicola subì radicali mutamenti. Il mercato russo segnò una contrazione notevolissima delle colture e perdette gran parte della sua importanza. Così i mercati danubiani, e di molti altri paesi d'Europa. In queste condizioni, i mercati transoceanici potevano sviluppare notevolmente la loro esportazione, e non solo durante la guerra, ma anche dopo; solo l'esportazione dell'India, a chiusura della guerra, tornò a declinare, in dipendenza di quella tendenza al maggior assorbimento locale della produzione, che si era già manifestata nell'anteguerra. Questo sviluppo fu anche facilitato, oltre che dagli effetti della guerra in sé, dalle riforme agrarie che in Russia e nei paesi danubiani seguirono alle rivoluzioni politiche, ritardando il processo di riassestamento agrario.
Il carattere definitivo di questo nuovo orientamento commerciale è condizionato però sempre all'indirizzo che assumeranno, nell'immediato avvenire, l'agricoltura europea e la russa. Già gli aspetti del mercato cerealicolo sono diversi dal quinquennio 1921-25, in cui ancora si risentono le influenze della guerra e la produzione europea e russa è molto ridotta, al quadriennio 1926-29, in cui il riassestamento delle colture sulle basi di anteguerra si può dire quasi compiuto in Europa e superato in Russia:
Nel 1921-25, l'esportazione totale dai maggiori mercati rifornitori è ancora inferiore di 27,2 milioni di quintali (8,11% circa) a quella d'anteguerra; ma la contrazione dell'esportazione russa e dei paesi danubiani è di molto superiore a questa cifra (140,2 milioni di quintali) e ha potuto trovare compenso soltanto nell'aumento di esportazione dei paesi transoceanici (113,4 milioni di quintali). L'Europa ha potuto rivolgersi ad altri centri di rifornimento; ma il consumo vi è rimasto inferiore a quello di anteguerra per la deficienza di produzione interna, oltre che per la riduzione d'importazione totale. Fra i mercati transoceanici il maggior incremento è segnato dal Canada, dagli Stati Uniti e dall'Australia.
Nel 1926-29 l'esportazione segna già un aumento del 7,49% sulle cifre prebelliche, nonostante il contemporaneo aumento della produzione europea, russa e di alcuni mercati esportatori dell'Africa. L'aumento però riguarda il frumento, il cui traffico assorbe il 59,50% del totale rispetto al 54,21 del 1909-13, e il granturco col 23,12% in confronto al 19,62 di anteguerra. Il commercio dei cereali minori, che rappresentava il 26, 18% nell'anteguerra, scende al 17,38%, per le ragioni cui si è già accennato.
Fra i varî mercati esportatori, la Russia, benché abbia superato la produzione di anteguerra, continua a partecipare in misura trascurabile al traffico. I paesi danubiani aumentano invece dal 1921-25 al 1926-29 la loro esportazione di circa 13,6 milioni di quintali, il Canada di 16,8, l'Argentina di 45,2 e solo gli Stati Uniti segnano un regresso di 21,8 milioni di quintali. L'India accresce le sue importazioni.
Come si vede, nel 1926-29 la concorrenza fra i varî paesi esportatori si è fatta più attiva: ma le condizioni del mercato cerealicolo, specialmente del granario, appunto per questo notevole sviluppo produttivo-commerciale dei mercati esportatori, contemporaneamente al riassestamento produttivo europeo e russo, si sono fatte difficili e nel quadriennio si cominciano a manifestare i segni di quella crisi di sovraproduzione che nel 1930 assumerà aspetti più gravi.
A partire dal 1926 cominciano a ripiegare i prezzi del grano, mentre quelli degli altri cereali, che nel 1926 avevano raggiunto un basso livello, riescono a segnare ancora degli aumenti. Ma col 1° semestre 1930 tutti i prezzi cadono (Numeri indici Ist. Int. di Agr.):
D'altra parte cominciano a formarsi nel quadriennio, in quasi tutti i paesi esportatori, forti scorte granarie. Per il solo frumento esse sono state valutate nella misura seguente:
La formazione e l'accrescimento delle scorte è veramente notevole, e se nel Canada e ultimamente negli Stati Uniti trova anche giustificazione nella politica di controllo delle vendite e dei prezzi seguita rispettivamente dal Pool e dal Farm Board (v. sotto), non vi è dubbio che questa politica sia stata determinata da difficoltà di collocamento del prodotto a prezzo rimunerativo.
Questa situazione, che le grandi vendite della Russia, iniziate con l'abbondante raccolto del 1929-30, hanno reso più difficile, si ritiene non possa trovare sbocco in un immediato aumento di consumo. La pressione di disponibilità invendute e la caduta dei prezzi si sono manifestate infatti ancor prima che il consumo mondiale dei cereali tornasse sulle basi di anteguerra (v. sopra). Esse coincidono quindi con una tendenza al minor consumo dei cereali, che è stata già genericamente apprezzata, e che può ora meglio valutarsi, con riguardo ad alcuni centri di produzione e consumo, e più specialmente all'Europa nel suo complesso.
L'aumento complessivo di consumo è poco rilevante, se comparato all'aumento di popolazione, che fra i due periodi, può valutarsi del 6,40%.
Il solo consumo di frumento ha superato le basi prebelliche, essendo aumentato dell'11,42%, in una misura, cioè, superiore all'aumento della popolazíone. Ma anche per il frumento si hanno sensibili variazioni da paese a paese europeo, poiché se alcuni hanno segnato un aumento di consumo, altri hanno segnato una diminuzione, e spesso notevole.
D'altra parte, dovesse o non aumentare il consumo europeo, la politica di protezione della cerealicoltura nazionale che i grandi paesi importatori europei seguono da qualche tempo, sia attraverso l'istituzione di dazî doganali, sia attraverso provvidenze diverse di ordine tecnico e finanziario, determinerà uno sviluppo e una maggiore facilità di vendita della produzione locale a svantaggio della produzione transoceanica.
Fuori d'Europa, in alcuni mercati importatori il consumo dei cereali è aumentato. Ciò si rileva dalle seguenti cifre relative all'importazione netta di frumento e farina di frumento ridotta in grani:
Sono aumentate specialmente le importazioni del Brasile, del Giappone, dell'India, che da mercato esportatore si va trasformando in mercato importatore, della Cina, dell'Unione Sudafricana. Ma questo aumento di consumi è ancora contenuto in limiti quantitativi troppo modesti perché possa dare sfogo alla crisi di sovraproduzione che colpisce attuamente la cerealicoltura. Tanto più che il consumo del frumento è diminuito, oltre che in alcuni paesi d'Europa, anche nei grandi mercati esportatori: così nel Canada, in cui il consumo di frumento per abitante è sceso da kg. 314 nel 1909-13 a 218 nel 1925-28, negli Stati Uniti da 147 a 126, nell'Argentina da 171 a 145, in Australia da 160 a 155.
L'andamento dei consumi fa apparire, quindi, improbabile un assorbimento immediato delle eccedenze. D'altra parte il ritmo della produzione è tale che neanche prossime annate di scarso raccolto potrebbero dare un completo equilibrio al mercato. Perciò alcuni dei maggiori dirigenti della politica agraria dei mercati transoceanici hanno recentemente insistito sulla necessità di una riduzione di quelle colture cerealicole. Ma la politica di sostegno dei prezzi che in quei mercati si persegue e la difficoltà di trovare un sostitutivo alla coltivazione di cereali in territori orientati verso la monocoltura estensiva rendono difficile prevedere come questa riduzione di colture possa attuarsi.
Rimane certo, tuttavia, che la crisi incombente sulla cerealicoltura ha ormai chiuso il ciclo degli sviluppi produttivi transoceanici conseguenti alla guerra, aprendo un periodo di riassestamento dei mercati che dovrà, per molti aspetti, riallacciarsi alla situazione precedente alla guerra e considerarsi uno sviluppo più normale di essa.
Organizzazione internazionale. - Come si è visto, di tutti i cereali prodotti, più del 10%, cioè 40 milioni di tonnellate all'incirca, costituiscono oggetto di traffico internazionale. Questa enorme massa di prodotti, che segue per importanza quantitativa il carbone e il petrolio e impegna una larghissima parte del tonnellaggio navale, dà luogo a vasti problemi tecnici e commerciali e a forme organizzative molto complesse.
La contrattazione internazionale dei cereali è intanto regolata da alcuni grandi mercati, attraverso particolari istituzioni dette appunto Borse cereali. Vi sono mercati di paesi esportatori e di paesi importatori: fra i primi si possono ricordare Chicago e Winnipeg, di gran lunga i più importanti, e poi Kansas City, Buenos Aires, Sydney, ecc.; fra i secondi, Liverpool, Londra, Anversa, Rotterdam, Amburgo, Genova. Alcuni mercati, come quello di Chicago, superano di molto per volume di affari le cifre della produzione mondiale, attraverso un giro rapidissimo di partite da contraente a contraente.
Questi mercati, con la contrattazione internazionale, regolano anche, sia direttamente sia indirettamente, la contrattazione interna, per la stretta dipendenza che nel commercio dei cereali esiste fra produzione e prezzi locali e produzione e prezzi internazionali e per l'influenza che i mercati maggiori dei cereali esercitano sui mercati minori. Divergenze di prezzi e situazioni particolari possono sorgere su questo o quel mercato, in dipendenza di condizioni locali, ma le operazioni di arbitraggio (v.) tendono, fin dove è possibile, a eliminarle e a dare unità al mercato mondiale. L'atteggiamento di questi mercati è influenzato non solo dalle informazioni sui raccolti complessivi mondiali e di questo o quel paese e da notizie e previsioni sull'andamento della campagna cerealicola, e da prodotti similari (patate, ad es.), ma da tutti gli avvenimenti economici e spesso anche politici dei paesi a coltura granaria. Limitatamente poi al traffico marittimo di cereali, il collegamento fra questi mercati e quello dei noli è strettissimo.
La contrattazione suole avvenire: a) in effettivo o per disponibile (cash market); b) per consegna differita (to arrive market); c) a termine (future market). Il mercato effettivo si svolge per la maggior parte nei locali delle borse cereali ed è per questo che molti fanno confusione tra queste operazioni che si svolgono in borsa con le operazioni veramente di borsa. Le operazioni di borsa che hanno una grande importanza per il commercio cerealicolo, tanto nazionale quanto internazionale, sono quelle conosciute con il nome generico di operazioni a termine. Esse si svolgono esclusivamente nelle borse organizzate, in ore ben stabilite, sempre alle grida; si riferiscono a merce tipo e per consegna da effettuarsi dopo quattro e anche sei mesi.
Nel mercato dei cereali la contrattazione a termine è di larghissimo uso, per quanto in molti paesi si sia tentato di abolirla (per es. legge tedesca del 1896) o di limitarla, ritenendola, ciò che in effetti non è, almeno in via assoluta, contrattazione meramente speculativa. E vi si ricorre soprattutto come mezzo di copertura di operazioni in effettivo, ciò che in inglese si chiama hedging (per maggiori particolari v. commercio).
Il commercio internazionale dei cereali è esercitato o da imprese proprie di ciascun mercato di esportazione che si dedicano esclusivamente, o quasi, a questa forma di attività o da grandi case commerciali europee, aventi agenzie di acquisto o rappresentanze sui mercati di esportazione. Negli stati in cui esistono organizzazioni cooperative di produttori (Canada, Stati Uniti, Australia) il commercio internazionale viene spesso esercitato da loro speciali agenzie di esportazione senza intermediazione di imprese private.
Il numero delle imprese di esportazione è molto limitato, occorrendo per l'esercizio di un tale commercio una vastissima organizzazione finanziaria e tecnica. Così per es. sul mercato argentino due sole imprese, una belga e una francese, trattano dal 60 al 70% dell'esportazione. Particolarmente interessante è l'ordinamento di alcune grandi case commerciali europee che hanno rappresentanze o agenzie in tutti i grandi mercati esportatori e importatori; esse seguono l'andamento della produzione e dei prezzi dî questi mercati, e dànno ordini di acquisto e di vendita nell'uno o nell'altro secondo la particolare convenienza che presentano a un certo momento, compiendo vastissime operazioni di arbitraggio e riequilibrando effettivamente le condizioni del mercato mondiale.
L'impresa di esportazione suole generalmente trattare prima la vendita sui mercati importatori per consegna differita e procedere quindi agli acquisti, oppure procedere senz'altro ad acquisti, costituirsi degli stocks o dei carichi viaggianti e trattare la vendita successivamente. A seconda del tempo che intercorre fra acquisto e vendita in effettivo e delle condizioni del mercato, può convenire all'impresa di compiere operazioni di copertura nell'a termine.
La vendita sui mercati importatori vien fatta o a grandi commercianti intermediarî o direttamente alle imprese molitorie. Il contratto si stipula generalmente cif (costo + assicurazione + nolo) con riferimento a un determinato porto di sbarco; ciò pone a carico delle imprese di esportazione la negoziazione dei noli e delle assicurazioni marittime e le rende garanti dell'epoca d'imbarco o posizione della marca, della qualità imbarcata e del peso a destino. Questo tipo di contrattazione rende particolarmente complesso il commercio dei cereali. Un'astratta connessione si stabilisce fra mercato dei cereali, dei noli marittimi, delle assicurazioni e dei cambî, e solo da una rigorosa valutazione di tutti questi elementi, deriva la possibilità di un esercizio proficuo e intenso del commercio da parte dell'impresa di esportazione.
Le vendite cif di cereali vengono generalmente concluse, per quanto riguarda le clausole di qualità, peso, consegna, ecc., sulla base di speciali contratti-tipo elaborati, attraverso una lunga esperienza di affari, da alcune grandi associazioni di commercianti in cereali. Gli schemi più diffusi di contratto-tipo sono quelli elaborati dalla London Corn Trade Association, organizzazione sorta nel 1878 appunto con lo scopo di stabilire regole uniformi per il commercio dei cereali, e che conta attualmente come membri le più importanti case commerciali e imprese molitorie del mondo. I contratti-tipo della London Corn Trade Association sono numerosi, distinti secondo il paese di provenienza, i tipi di cereali e le più importanti clausole in uso. La destinazione della zona in tali contratti è però sempre prevista per uno dei porti d'Europa, come quella che ha la massima, se non esclusiva importanza.
Accanto ai contratti della London Association, sono da segnalare quelli della Chambre arbitrale et de conciliation pour grains et graines d'Anvers, del Verein der Getreidhändler der Hamburger Börse e dell'Associazione del commercio dei cereali e semi di Genova. Non differiscono notevolmente da quelli della London, ma soltanto tengono presenti alcune consuetudini locali e alcuni particolari paesi di provenienza.
In relazione all'uso di questi schemi di contratto-tipo e alle divergenze che possono sorgere in ordine alla loro interpretazione ed esecuzione, le stesse associazioni sogliono predisporre dei collegi arbitrali, al cui giudizio è fatto obbligo di ricorrere in caso di contestazioni.
Organizzazione interna. - In quasi tutti i paesi produttori la prima e più semplice forma di organizzazione commerciale interna è consistita nella pratica dell'incetta del raccolto da parte di piccoli speculatori di campagna. Questi curavano poi la vendita del prodotto alle grandi imprese di speculazione dei mercati di concentrazione oppure direttamente alle imprese molitorie o di esportazione. Il trasporto veniva fatto in sacchi e attraverso i mezzi comuni a tutte le merci; il deposito o all'aperto sotto tettoia, o in ordinarî magazzini sprovvisti di impianti meccanici.
Questa prima forma organizzativa ha subito però in molti paesi un lungo e vario processo di evoluzione e si è conservata soltanto, sempre entro limiti relativi, nei paesi a più lento sviluppo economico. Progressi notevoli sono stati realizzati soprattutto nel campo dell'organizzazione tecnica del commercio e ciò principalmente con l'adozione di sistemi più razionali di deposito, trasporto, pulitura essiccazione e miscela dei cereali; ma vi hanno anche contribuito nuove particolari forme di determinazione e di controllo delle qualità ai fini della contrattazione.
Tecnicamente l'organizzazione più perfetta è quella dell'America Settentrionale. E contraddistinta da un sistema combinato di silos di campagna (country elevators), che sorgono nei centri rurali di spedizione e sono forniti di mezzi meccanici sufficienti a una prima razionale condizionatura dei cereali, e di silos terminali (terminal elevators), immense costruzioni siti nei grandi mercati di concentrazione (terminal markets) e fornite di macchinarî complessi per la pulitura, vagliatura, essiccazione, rinfrescamento, imbianchimento, miscelazione razionale dei cereali e risanamento di quelli guasti (hospital elevators). Il collegamento fra silos di campagna e silos terminali è assicurato da un ottimo sistema di trasporti ferroviarî, fluviali e lacustri, con utilizzazione di mezzi meccanici di carico e scarico.
I vaniaggi di questa organizzazione sono evidenti. I silos, costituiti da un complesso di costruzioní in cui la merce è immessa dall'alto, consentono il deposito in massa dei cereali, evitando gl'inconvenienti e il costo dell'ammucchiamento in sacchi su superficie orizzontali vastissime, com'è praticato nei comuni magazzini di deposito; inoltre consentono il travaso meccanico del grano da una cella all'altra, per la pulizia e le operazioni connesse, senza ricorrere al vecchio sistema della spalatura; infine rendono possibile la confusione di grani della stessa qualità, facilitando la circolazione dei titoli rappresentativi della merce. D'altra parte lo stretto collegamento fra mezzi di deposito e mezzi di trasporto risolve nel miglior modo il problema dell'immissione di grandi quantità di cereali nei mercati di concentrazione entro pochi mesi dal raccolto. Anche per quanto riguarda la determinazione delle qualità commerciali dei cereali, il sistema più progredito è quello dell'America del Nord. Sia nel Canada sia negli Stati Uniti, la legge dà una classificazione ufficiale dei grani; esiste poi un servizio governativo di controllo che sui mercati terminali, e talvolta nei porti di esportazione, ispeziona le partite, attribuisce loro una classifica ufficiale e rilascia certificati di qualità. La legislazione più recente in materia è costituita per gli Stati Uniti dal Grain Standard Act del 1916 (applicato al granturco nello stesso anno, al grano nel 1917; all'avena nel 1919, alla segale nel 1923, all'orzo nel 1926) e per il Canada dal Grain Act del 1925. Particolare importanza hanno le classificazioni del Hard Red Spring, del Durum e del Hard Red Winter per gli Stati Uniti e del Manitoba per il Canada (classificazione dell'ovest).
Il sistema nord-americano di organizzazione tecnica del commercio non è attuato con uguale completezza in nessun altro paese produttore. Silos esistono, in genere, nei grandi mercati di concentrazione e nei porti di esportazione e importazione interessati al commercio dei cereali, mancano, però, la rete di elevatori di campagna e il controllo delle qualità, che contraddistinguono il mercato nord-americano. Provvidenze e facilitazioni governative sono state di recente promosse o sono allo studio in Australia, Russia, Romania, Germania e più specialmente in Argentina per una soluzione totale dei problemi tecnici cui si è accennato.
Anche la pratica dell'incetta del raccolto da parte di piccoli speculatori di campagna tende rapidamente in molti paesi a scomparire. Oggi l'acquisto dei cereali nelle campagne è fatto, più specialmente, da impiegati di grandi imprese commerciali di speculazione che hanno sede nei principali mercati di contrattazione.
D'altra parte in alcuni paesi, specialmente in quelli che alimentano forti correnti di esportazione, i conflitti d'interesse fra produttori e speculatori, soprattutto per i prezzi d'incetta del prodotto, e per i profitti dell'intermediazione commerciale, hanno dato luogo a movimenti di reazione dei primi, concretatisi sia nei tentativi di assunzione diretta, sotto forma cooperativa, dell'impresa commerciale e di acquisizione dei profitti relativi, sia in una pressione politica sullo stato perché intervenisse a disciplinare la speculazione sui grani, e più recentemente, nel periodo di crisi cerealicola, perché assicurasse i mezzi per stabilizzare il mercato e fermare i prezzi a un livello rimunerativo.
Le cooperative di produttori, là dove sono sorte, sono entrate in concorrenza, attraverso varie forme di organizzazione giuridica ed economica, con le imprese di speculazione, sul mercato d'incetta in campagna e sui mercati di concentrazione e di esportazione, e si sono sviluppate talvolta fino ad assumere atteggiamento monopolistico o quasi monopolistico. Lo stato, da parte sua, è intervenuto in vario senso, aiutando il movimento cooperativo nel suo sorgere, nonostante l'ostilità dei commercianti, e facilitandone il finanziamento, disciplinando tutto lo svolgersi del commercio granario, costituendo organismi centrali per la contrattazione dei grani e istituendo talvolta anche premî all'esportazione.
Da questo punto di vista, interessanti aspetti presentano gli Stati Uniti, il Canada e l'Australia con la loro ricca legislazione granaria e i loro varî tentativi cooperativistici, nonché l'U.R.S.S., che, col suo monopolio dei cereali, si presenta addirittura sui mercati di consumo come unico venditore dei grani del paese.
Negli Stati Uniti, il movimento cooperativo segnò il suo primo sviluppo verso la fine del secolo scorso, quando le imprese che esercivano i silos di campagna, per eliminare la concorrenza e deprimere i prezzi da pagare agli agricoltori, si accordarono per regolare gli acquisti. I produttori, per reazione, costituirono cooperative per la gestione di silos di campagna e commerciarono con i mercati di concentrazione in concorrenza con le imprese private.
Questo movimento però, sino alla costituzione del Farm Board, rimase d'importanza locale, rurale quasi, né pervenne a costituire forti organismi. Solo la Pacific Northest Wheat Growers' Association riuscì a riunire numerosi produttori della zona del Pacifico.
Con la costituzione del Federal Farm Board prevista dall'Agricultural Marketing Act del 15 giugno 1929, allo scopo d'incoraggiare la vendita diretta dei prodotti da parte dell'agricoltore, diminuire la speculazione e controllare e stabilizzare il mercato, il movimento cooperativo ha ricevuto negli Stati Uniti un forte impulso. Il Farm Board, infatti, provvisto d'un capitale circolante di 500 milioni di dollari per i necessarî finanziamenti, promosse la costituzione di una Farmers' National Grain Corporation (registrata il 29 ottobre 1929), come agenzia centrale di vendita per le cooperative di cereali degli Stati Uniti, con facoltà di agire sui mercati terminali e d'esportazione, e di alcune forti organizzazioni locali. In seguito promosse ancora la Grain Stabilization Corporation, altra organizzazione centrale, fornita di forte capitale, chiamata a stabilizzare le condizioni del mercato rilevando dalle cooperative, ai prezzi fissati dal Board, tutte le partite di cereali invendute. Le operazioni di stabilizzazione furono dalla Corporation condotte su vasta scala (anticipi per 80 milioni di dollari al 30 settembre 1930), ma l'attiva concorrenza estera ha reso molto discussa la possibilità di successo di tale politica e ha dato luogo, negli stessi Stati Uniti, a molte critiche.
Nel Canada il movimento cooperativo ebbe inizio nel 1906, dopo una lunga lotta politica degli agricoltori contro i commercianti e le compagnie ferroviarie che godevano di condizioni di privilegio. In quell'anno fu costituita la Grain Growers' Grain Company che però, a differenza delle prime cooperative degli Stati Uniti, iniziò la sua attività sui mercati terminali, vendendo in conto commissione i cereali ricevuti dalla campagna.
Nel 1919, dopo una serie interessantissima di vicende, due forti organizzazioni si erano saldamente affermate nel commercio dei cereali: la Saskatchewan Cooperative Elevator Company e la United Growers Ltd.; ambedue ordinate sulla base d'una profit organization, cioè d'una società ordinaria per azioni. Ma nella campagna 1919-20, per necessità di guerra, il governo canadese decretò la vendita collettiva obbligatoria del grano attraverso un ufficio governativo, il Wheat Board, e questa vendita fu favorevolissima per gli agricoltori. Ciò portò a creare, accanto alle cooperative, un'organizzazione di produttori ordinata sulle stesse basi del Wheat Board (on a patronage basis), che non facesse cioè profitti proprî da distribuire agli azionisti, ma pagasse ai consegnatarî della merce l'intero prezzo realizzato, dedotte le spese d'amministrazione.
Furono costituiti così i pools provinciali, in Alberta prima (1923) nelle altre due provincie occidentali dopo (1924), e un'agenzia centrale, di vendita: The Canadian Cooperative Wheat Producers Ltd. Il produttore che voleva partecipare al pool si obbligava a consegnare ad esso tutti i cereali prodotti, salvo pochi quantitativi destinati a sementi, ecc., ricevendo un anticipo di prezzo e un certificato di partecipazione da liquidare anche in diverse rate, nel corso della campagna. Per vendite o consegne non fatte al pool era stabilita una penale di 25 cents per bushel.
I pools canadesi hanno potuto siti dall'inizio sviluppare un intenso commercio. Ereditando dalle vecchie organizzaziodi cooperativistiche, essi potevano già trattare, nel 1924, il 38,1% della produzione di frumento delle tre provincie occidentali. Nel 1928-29 trattavano il 51,3% della produzione di frumento oltre a grandi quantità di cereali minori; esportavano direttamente poi, attraverso l'agenzia centrale di vendita, che ha uffici nei maggiori paesi importatori, quasi la metà del frumento ricevuto in consegna. Sulla fine del 1929, i p00ls contavano più di 140 mila membri, gestivano 1600 elevatori di campagna e 12 elevatori terminali della capacità di 38.317.210 bushels.
Le ultime campagne dei pools, specialmente quelle del 1929 e del 1930, sono state però molto difficili e per affrontare il ribasso dei prezzi e la forte pressione delle partite invendute, essi hanno dovuto costituirsi forti scorte di merce (nel 1929, il 20% circa del irumento ricevuto in consegna).
In Australia, fu lo stato a organizzare durante la guerra cooperative obbligatorie per la vendita del grano. Cessato questo regime col raccolto del 1921, sorsero nella Nuova Galles del Sud, Victoria, Australia meridionale e occidentale cooperative libere organizzate sotto forma di pools, più tardi finanziate dalla Banca federale. Poiché, però, a differenza dei pools canadesi, queste cooperative non fanno obbligo di consegna esclusiva, la loro attività è molto discontinua. Nel 1928-29 il pool della Nuova Galles del Sud non esplicò attività alcuna; quello di Victoria trattò il 28% della produzione locale; quelli dell'Australia Meridionale e dell'Australia Occidentale il 44 e 58% rispettivamente. Il governo federale ha posto periodicamente a referendum la costituzione di un pool obbligatorio interstatale, ma finora con esito negativo.
In Argentina, il movimento cooperativo è finora scarso. Verso la metà del 1930 sembra sia stata promossa la costituzione di un pool fra le cooperative agricole esistenti, ma si tratta di un'iniziativa im corso di svolgimento, di cui non si può prevedere ancora l'importanza definitiva.
Nell'U.R.S.S.. l'esportazione di cereali è controllata dalla società statale Sojuzchleb, coadiuvata da altre grandi cooperative con sede nello stato e da società con capitale sovietico o misto all'estero (The Russo-British Grain Export Co, Ltd., in Inghilterra, che controlla tutta l'esportazione per quel mercato e per l'Irlanda). L'incetta è condotta da un apposito comitato costituito presso il Commissariato del commercio, ai prezzi fissati dal Commissariato stesso.
Nei paesi produttori importatori, particolare importanza ha assunto invece il problema della difesa della cerealicoltura nazionale contro la concorrenza dei paesi esportatori, che producono a minor costo di produzione. Abbandonata da molti paesi la politica liberista, che aveva trionfato in Inghilterra verso la metà del secolo scorso, si è fatto sempre più largo ricorso ai dazî protettivi e, più recentemente, a gestioni monopolistiche statali del commercio dei grani-esteri e nazionali o dei soli grani nazionali, a leggi vincolanti le imprese molitorie, all'acquisto di determinate quantità di grani nazionali, al sistema dei buoni d'importazione, del drawback e ad altre forme protettive. La politica di controllo del mercato cerealicolo, quasi generalmente adottata dagli stati durante la guerra, ha contribuito a diffondere questi nuovi sistemi di protezione.
Forti dazî doganali sui cereali esistono in Germania, Francia, Italia, Svizzera, Spagna, Portogallo e altri stati minori. In Germania il dazio sul frumento è aumentato, dal 1913 al luglio 1930, da 6,79 a 18,52 franchi oro; in Francia da 7 a 16,24; in Italia da 7,50 a 16,50. Aumenti minori si hanno invece per gli altri cereali.
In Norvegia, vige il monopolio statale del commercio dei cereali, organizzato durante la guerra (ottobre 1917): lo stato acquista direttamente i cereali panificabili nazionali ed esteri e li rivende ai molitori; l'acquisto dei cereali nazionali è fatto, su per giù, con un premio di 4 corone al quintale sul prezzo cif d'importazione; la vendita a un prezzo compensato, cioè al prezzo medio fra quello interno più il premio e quello estero; lo stato ha infine il diritto, se necessario, di espropriare i molini.
In Svizzera, l'idea del monopolio nacque molto tempo prima della guerra (iniziative del 1878 e del 1908), ma senza pratico successo. Allo scoppio della guerra, invece, la situazione particolarmente delicata del paese rese necessario il monopolio del grano, delle farine e delle materie foraggere (9 gennaio 1915). Questo regime fu soppresso il 3 novembre 1922, e sostituito con la Régie fédérale des bolés. Più tardi la regia fu soppressa e un voto popolare approvava, invece, un progetto di legge per una forma più attenuata d'intervento dello stato nel commercio dei cereali. Con il nuovo ordinamento lo stato acquista i cereali nazionali con un premio sul prezzo mondiale, si pone a carico inoltre le spese di trasporto, controlla l'importazione e la grava di dazî sufficienti a consentirgli, col gettito, il pagamento del premio.
In Germania, è stato fatto obbligo invece alle imprese molitorie di miscelare quantità di grano estero con uguali quantità di grano vnazionale, ciò che equivale a un'indiretta protezione della cerealicoltura nazionale oltre alla protezione diretta data dal dazio. Si è istituito poi un particolare sistema di buoni all'importazione.
In Spagna, col decreto reale del 15 luglio 1929, si è stabilito un prezzo minimo e massimo per gli acquisti di frumento nazionale (da 46-48 a 53 pesetas per quintale).
Misure del genere sono state adottate in molti altri paesi.
Questa breve rassegna sull'organizzazione interna del commercio dei cereali mostra come la politica granaria dei paesi esportatori e dei paesi importatori tenda attualmente ad assumere un carattere strettamente unitario e monopolistico. Nei mercati esportatori, il primo sviluppo delle organizzazioni collettive, libere e obbligatorie, a tenclenza monopolistica, fu giustificato dalla necessita di eliminare le imprese intermediarie speculative del commercio, ma a questo fine attualmente se n'è aggiunto un altro ben più importante dal punto di vista dei rapporti economici internazionali: quello di controllare la contrattazione e i prezzi, mantenendo questi ultimi a un livello rimunerativo per il produttore.. Le difficoltà di realizzare questo fine sono ritenute però molto gravi. Per la forte concorrenza che esiste sul mercato internazionale, non basta una salda organizzazione collettiva interna ad assicurare il controllo, ma occorre poter disciplinare la produzione e soprattutto poter procedere ad accordi internazionali. Ora, senza dire delle difficoltà di controllo della produzione, la libera organizzazione commerciale che ancora prevale sul mercato argentino, la politica di concorrenza della Russia e di altri minori mercati non rendono probabili gli accordi suddetti.. D'altra parte, i mercati esportatori dell'Europa orientale non mostrano grande interesse a una tale politica; essi propendono piuttosto a crearsi una forte. organizzazione collettiva locale e a ottenere condizioni di preferenza sui mercati europei, sfruttando le tendenze politiche per un ordinamento economico unitario (movimiento paneuropeo). Le conferenze di Štrbské Pleso del giugno 1930 (Romania, Iugoslavia, Cecoslovacchia), di Bucarest del luglio (Romania, Iugoslavia, Ungheria), di Sinaia dei primi di agosto (Unione doganale romeno-iugoslava), di Varsavia di fine agosto (Romania, Iugoslavia, Cecoslovacchia, Ungheria, Bulgaria, Polonia, Lettonia, Estonia) e di Eucarest dell'ottobre 1930 (all'incirca gli stessi paesi) nelle quali si è discusso di tariffe preferenziali, cartelli e contingentamenti per il commercio dei cereali, si possono considerare le tappe attraverso cui si è andata precisando la politica agraria dell'Europa orientale. Infine, la politica degli stessi paesi importatori toglie ai paesi esportatori ogni probabilità di successo nei loro tentativi di stabilizzazione e controllo del mercato. Infatti, come si è visto, la tendenza dei primi è di dare sviluppo e incremento alla produzione nazionale, difendendola con misure protettive dalla concorrenza estera.
Nei mercati importatori i fini connessi alle nuove organizzazioni monopolistiche sono evidenti: non solo stretta difesa contro la concorrenza, difesa che il sistema dei dazî assicurava, ma eliminazione dell'intermediazione commerciale, e, soprattutto, contemperamento dell'interesse del produttore e del consumatore. Infatti, col monopolio è possibile procedere a quella vendita a prezzi compensati dei cereali che riduce l'incidenza unitaria della protezione. Non mancano però forti critiche: pesantezza burocratica, incapacità ad acquistare al miglior prezzo come il commercio privato e, soprattutto, completa instabilità del sistema, poiché la protezione tende ad allargare la produzione, e, quindi, a ridurre le possibilità di compensazione fra prezzi interni ed esteri.
Quale che sia, tuttavia, l'apprezzamento sulle tendenze attuali della politica granaria, è da osservare che queste in sé non possono portare ad alcuna definitiva conclusione. La crisi che incombe sulla produzione eccede di tanto il campo della cerealicoltura, che non potrà non ripercuotersi su questa e determinarne nuovi aspetti, riguardo ai quali ogni previsione sarebbe prematura.
Produzione e commercio in Italia. - Nel quadriennio 1889-93, poco tempo dopo l'aumento del dazio sul grano da 1,40 a 5 lire (21 aprile 1887), la situazione cerealicola italiana, con riguardo al frumento e al granturco, si presentava così: produzione rispettivamente 34,9 e 19,5 milioni di quintali; importazione 7,4 e 0,9 milioni di quintali; disponibilità complessiva 42,3 e 20,4 milioni di quintali; esportazione di farine e paste alimentari 0,2 milioni di quintali circa; popolazione media 30,5 milioni.
Questa situazione si modificava rapidamente negli anni seguenti: alla vigilia della guerra le disponibilità per produzione e importazione si potevano dire aumentate di circa il 50%; l'esportazione di farine e paste alimentari di circa il 65%, e la popolazione soltanto del 13%. L'aumento di consumo appare evidente. Ulteriori importanti variazioni si manifestano dalla guerra in poi, come può rilevarsi dal seguente prospetto:
Di fronte a un aumento di popolazione, fra i due periodi, del 17,54%, le disponibilità dei cereali minori rimangono all'incirca costanti, mentre quelle del frumento aumentano del 28,40%. Il consumo m questo cereale, al netto delle sementi e dell'esportazione di farine e paste alimentari, sale da 167 kg. nel 1909-13 a 189 nel 1926-29; aumenta ulteriormente nell'Italia settentrionale, a scapito del granturco, che è sempre più largamente destinato all'alimentazione animale, ma più specialmente nell'Italia meridionale fra i contadini e le classi meno abbienti in genere.
All'aumento di disponibilità granarie hanno contribuito sia la produzione sia l'importazione: la prima soprattutto in questi ultimi anni, attraverso l'opera di propulsione tecnico-economica che va sotto il nome di battaglia del grano e che ebbe inizio con la campagna 1925-26. Fra le varie regioni, il maggior contributo attuale alla produzione è dato dalla Sicilia e dall'Emilia (7-8 milioni circa di quintali). Quote rilevanti (milioni 3 1/2 a 5 1/2 di quintali) dànno anche la Toscana, il Piemonte e la Lombardia. Da rilevare che, nel complesso delle regioni, il rendimento medio è aumentato da 10,5 quintali nel 1909-13 a 12,4 nel 1926-29.
L'importazione ha segnato anch'essa un notevole incremento. Sono variate però, rispetto all'anteguerra, le provenienze. I rifornimenti dalla Russia sono diminuiti da 8,9 a 0,5 milioni di quintali, dalla Romania da 2,9 a 0,4; quelli dagli Stati Uniti sono aumentati invece da 0,8 a 8,i milioni di quintali, dal Canada da poche migliaia di quintali a 5,8 milioni, dall'Argentina da 1,6 a 4,3, dall'Australia da 0,7 a 2,2 milioni di quintali. La contrazione dei rifornimenti russi ha avuto una certa ripercussione sull'industria delle paste alimentari, che si avvaleva di quei grani duri per la fabbricazione delle qualità migliori. Oggi quest'industria utilizza, preferibilmente, i Manitoba, ma l'esportazione, da essa praticata largamente nell'anteguerra, si è a,data riducendo.
La produzione del granturco è, fra i due periodi, diminuita. È aumentata invece l'importazione, ma il consumo rispetto all'anteguerra si è contratto. Fra le provenienze, si è annullata la russa che era di 0,2 milioni di quintali, è diminuita di poco la romena (da 1,6 milioni a 1,4), e si è invece accresciuta notevolmente l'Argentina (da 1,8 a 4,1 milioni di quintali). Per i cereali minori, il commercio ha scarsa importanza.
I porti che ricevono le maggiori quantità di cereali sono: Genova (nel 1929: 10,3 milioni di q.), Napoli (3,7 milioni di q.), Venezia (3,i milioni di q.). Essi sono provvisti di grandi silos.
Borse merci ove si trattano cereali esistono a Genova, Napoli e Trieste. A Genova e Milano esistono inoltre mercati a termine per il grano e granturco (a Milano si quota anche il riso). Sono ammessi alla eonsegna, in queste borse, i grani teneri dei raccolti dell'Argentina, dell'Uruguay, degli Stati Uniti d'America, del Canada, e quelli provenienti dal Danubio, dal Mar Nero, dal mare d'Azov e dai paesi europei, nonché i grani teneri provenienti dal raccolto italiano. Il frumento deve essere buono, mercantile, atto alla molitura, di peso non inferiore ai kg. 76 per ettolitro (con abbuono) e con non più del 3%, di corpi estranei; il granturco di tipo giallo o rosso con non più del 5% di granturco bianco. L'unità di contratto (lotto) è di 100 tonnellate, e talvolta di 50, per il frumento e il granturco (per altri particolari v. borse di commercio; commercio a termine). Mercati minori, d'una certa importanza per il raccolto nazionale, si hanno anche qua e là nell'Italia settentrionale.
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V. tavv. CCXI-CCXIV.