CERERE (Ceres, Cerĕris)
Divinità romana della vegetazione e dei campi, appartenente alla cerchia degli antichi di indigetes. affine e connessa nel culto con la dea Tellure, personificazione divina del terreno coltivato; come è dimostrato dal fatto che le feste di Cerere (Cerialia) erano divise dalle feste di Tellure (Fordicidia) da quell'intervallo di quattro giorni (rispettivamente 10 aprile e 15 aprile) che ordinariamente si riscontra, nell'antico calendario romano, fra le feste appartenenti allo stesso ciclo. Come ogni antica divinità del Lazio, anche Cerere faceva parte d'una coppia divina, il cui rappresentante maschio fu Cerus, ricordato ancora in qualche iscrizione arcaica e nel Carme Saliare, come duonus Cerus e Cerus manos, presto però obliterato. Ebbe un sacerdote suo proprio, il flamine Ceriale, la cui esistenza è testimoniata ancora per l'età imperiale.
Troviamo C. riunita a Tellure in due caratteristiche feste latine della vita dei campi; nelle feriae sementivae, che si celebravano in gennaio, alla fine della sementa, offrendo a Tellure una scrofa gravida e a Cerere spighe di spelta; e nel sacrificio della porca praecidanea, al principio della raccolta, il quale, in origine, aveva anche il valore di rito espiatorio per tutte quelle trasgressioni e omissioni che alcuno avesse eventualmente compiuto nei doveri di pietà verso i morti (qui mortuo iusta non fecisset). In progresso di tempo, questo significato del sacrificio, che si riferiva specialmente a Tellure, andò dimenticato, e lo si riferì quasi esclusivamente a Cerere, alla quale, oltre alla porca praecidanea si offrivano le primizie del raccolto (il rito è descritto da Catone, De agric., 134).
Oltre che a Roma e nel Lazio, troviamo C. venerata in altre regioni dell'Italia centrale; l'etimologia del nome è incerta, benché non sia da respingere quella, già supposta dagli antichi, da creare.
Ma la figura e il culto di questa dea subirono un rinvigorimento e, al tempo stesso, una trasformazione notevole, quando sulla romana C. venne a innestarsi la dea greca Demetra. Ciò accadde nei primi anni della repubblica: nelle distrette d'una grave carestia, i libri sibillini, all'uopo interrogati, suggerirono di placare gli dei greci Demetra, Dioniso e Core, ai quali il dittatore Aulo Postumio votò, nell'anno 496 a. C., un tempio, che sorse presso il Circo Massimo, e fu poi dedicato tre anni più tardi, e alla cui decorazione lavorarono due artisti greci, Damofilo e Gorgaso. Distrutto questo tempio dal fuoco nell'anno 31 a. C., fu sostituito con un altro, fatto costruire da Augusto e terminato al tempo di Tiberio, nel 17 d. C. Come luogo di provenienza del nuovo culto i Romani indicavano più tardi l'antico tempio di Demetra e Core a Enna di Sicilia; considerando però la data molto antica della erezione di esso (496 a. C.), sembra più probabile che sia arrivato a Roma attraverso alle città della Magna Grecia; tanto più che è noto essere stati i culti di Demetra e di Dioniso fiorenti assai nella Campania, e che dalla Campania, e precisamente da Napoli e da Velia, si facevano venire di preferenza le sacerdotesse, per celebrare in Roma i misteri di C.
Entrò così nella religione romana una nuova triade divina, d'origine greca, i cui membri non mantennero però il loro nome originario (come accade, per es., per Apollo, per Ercole, per Esculapio), ma assunsero senz'altro il nome e la figura di quelle divinità indigeti, alle quali sembravano più somiglianti: sicché Demetra fu identificata con C., Dioniso e Core con Libero e Libera, divinità anche queste dell'antico Lazio; il tempio comune si chiamò ufficialmente aedes Cereris Liberi Leraeque; più semplicemente, aedes Cereris, giacché C. prese subito il posto principale nella nuova triade. Perciò, la festa anniversaria della dedicazione del tempio fu assegnata al giorno delle Cerialia (19 aprile), e i giochi relativi furono detti ludi Ceriales, e le sacerdotesse addette al culto della triade designate come sacerdotes publicae Cereris populi Romani Quiritium.
Sui nuovi sviluppi del culto di C. in Roma, dopo la sua assimilazione con la greca Demetra, abbiamo le seguenti notizie: nell'anno 217 a. C., per la prima volta sappiamo che fu compresa in un lettisternio di dodici dei e appaiata, in questo rito, con Mercurio; da allora si tennero ripetutamente nel suo tempio supplicazioni, per suggerimento dei libri sibillini. Press'a poco negli stessi anni, fu introdotta nel culto romano di C. una cerimonia propria del rito greco di Demetra, il sacrum anniversarium Cereris: scopo principale della festa era una rievocazione delle nozze di Persefone e di Plutone, con i relativi episodî del ratto e del ritorno di Persefone; alla cerimonia, che si celebrava secondo il rito greco dei misteri, partecipavano le matrone romane, in abito bianco e con particolare acconciatura del capo, accompagnate e presiedute dalle sacerdotesse della dea, che, come abbiamo detto, si facevano venire dalle città della Magna Grecia. Per tutta la durata della festa, che cadeva in agosto, probabilmente intorno al 10, così le matrone romane come le sacerdotesse dovevano astenersi da qualunque rapporto sessuale e rimanere perciò separate dai loro mariti, ed evitare pure di mangiare pane; il rito vietava anche libagioni di vino. I ludi Ceriales ci sono testimoniati come feste a data fissa per la prima volta nell'anno 202: duravano otto giorni, dal 12 al 19 aprile, e consistevano in divertimenti di vario genere, di cui era parte principale una caccia alla volpe, nella quale si facevano correre gli animali con fastelli in fiamme legati alla coda; l'ultimo giorno era riserbato ai giochi del circo. Finalmente, nell'anno 191 a. C., fu introdotta, sempre dietro indicazione dei libri sibillini, un'altra festa: lo ieiunium Cereris, cioè un digiuno in onore di questa dea, a espiazione di sinistri prodigi verificatisi. Fu prima quinquennale; dal tempo di Augusto in poi annuale, e ricorreva il 10 ottobre.
La dea Cerere, così trasformata dall'influsso della greca Demetra, venne in nuovi rapporti con Tellure, e, talora, la sostituì, in certe attribuzioni per le quali la Tellure romana somigliava piuttosto a Demetra che non alla originaria C.: così troviamo C., quale dea romana delle nozze, al posto dell'antica Tellure, per influsso della greca Demetra Θεσμοϕόρος (legifera Ceres, in Virg., Aen., IV, 58); a essa è rivolta più tardi, invece che a Tellure, nel rito funebre, l'offerta della porca praesentanea, e l'ingresso nell'oltretomba si chiama mundus Cereris, mentre in origine la dea romana rappresentante dell'oltretomba non era stata C., ma Tellure.
Va infine ricordata la peculiare e stretta relazione in cui il santuario di C. venne a trovarsi, fin dai primi decennî del sec. V a. C., con la plebe e con i suoi edili: sicché non pare possa mettersi in dubbio che questi magistrati plebei abbiano avuto il loro nome dal tempio, sia che questo si dicesse l'aedes per antonomasia o che quelli sí chiamassero aedilei Cereris (poi semplicemente aediles), come mostrerebbe la denominazione di aediles plebei Ceriales, introdotta da Cesare (vedi edili). Forse, a parte la tradizione sopra riferita, il tempio fu edificato, nel corso del secolo V, da qualche plebeo o dalla plebe stessa: certo è che là si conservava, sotto la sorveglianza dei due edili, l'archivio della plebe e anche il suo tesoro, costituito dall'ammontare delle multe imposte dai magistrati plebei. E del resto la plebe festeggiava, in modo speciale, con riunioni e conviti le Cerialia.
Nei secoli dell'Impero, C. fu riguardata specificamente come la dea della coltura e dell'importazione del frumento; e, in tale funzione, ebbe a compagna e satellite Annona (v.). Fra le provincie, quella che più vide fiorire il culto di C. fu l'Africa, in grazia appunto della sua ricca produzione di cereali; ivi spesso, al posto del nome della dea, troviamo il plurale Cereres, con evidente allusione a C. e Proserpina, in dipendenza, probabilmente, del culto siciliano di Demetra e Core (v. Toutain, Les cultes païens dans l'Empire rom., I,1, 345 segg)
Dato quanto abbiamo sopra esposto, s'intende facilmente che sarebbe vano ricercare, fra i monumenti dell'arte antica, rappresentazioni dell'antica C. italica: tutte quelle che possediamo raffigurano infatti la dea, dopo avvenuta la sua identificazione con la greca Demetra, e spettano perciò piuttosto all'iconografia di questa divinità. Fra le rappresentazioni romane e italiche di C.-Demetra, possiamo ricordare una moneta di Nerone (v. Cohen, Med. imp., 2ª ediz., Nerone, n. 14 segg., con figura; cfr. Overbeck, Kunst mythologie, II, 496 seg.), ove la dea è accompagnata dalla sua seguace Annona; e una serie di pitture parietali, specialmente pompeiane, nelle quali la dea è raffigurata ordinariamente col capo adorno di una corona di spighe e di fiori (v. Overbeck, op. cit., II, 522 segg.): come quella ben nota della "Casa del Naviglio" a Pompei (v. figura nella pagina precedente).
Bibl.: Th. Birt, in Roscher, Lexikon der griech. und röm. Mythol., I, coll. 859-866; G. Wissowa, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III, coll. 1970-1979; A. Pestalozza e G. Chiesa, art. Ceres, in De Ruggiero, Dizionario epigrafico di antichità rom., II, p. 204 segg.; Preller-Jordan, Römische Mythologie, II, Berlino 1883, p. 1 segg.; U. Pestalozza, I caratteri indigeni di Cerere, Milano 1897; G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, 2ª ed., Monaco 1912, p. 191 segg.