CERO
. Grossa candela di cera (v. candela).
Cero votivo. - L'espressione designa tanto il cero comune, il torticcio, il dop. piere cereo, quanto il cero artistico che per voto o per ringraziamento si suole offrire a un santo o alla divinità. Offerte di ceri si trovano nelle consuetudini religiose d'ogni regione dell'Italia, della Spagna, della Francia e d'altri paesi, fin da lontani tempi. Per antica devozione i re di Sicilia, a cominciare dagli Svevi, solevano dare all'Assunta, nella cattedrale di Salerno e nel giorno della festa, una determinata quantità di cera. Ogni quartiere e ogni maestranza aveva il proprio cero, onde il titolo di "festa di li cilii" (festa dei ceri) dato alla solennità, la quale, iniziata nel 1385, scompare nel 1820. Nell'anno 1380 i componenti della confraternita di S. Maria della Pietà, in Aquila, offersero a S. Massimo, protettore della città, un gran cero ciascuno. In S. Marino l'indipendenza della repubblica, dopo l'usurpazione del cardinale Alberoni (24 ottobre 1739-5 febbraio 1740), è celebrata con l'offerta di ceri di tre once l'uno, portati in processione da schiere di fanciulle e di giovani. In Catania, il 4 febbraio, vigilia della festa di S. Agatȧ, i devoti portano in giro le candele, onde il nome di "Cannilora" dato alla processione. Un tempo venivano offerti torcioni di cera, sostituiti poi da bastoni di legno sormontati da globetti di vetro con dentro un lume.
Il sentimento religioso dei devoti non sempre si appaga offrendo al patrono un cero comune; spesso si dispongono costruzioni monumentali, che portano il nome di ceri, e sono veri e proprî carri sacri o candelabri votivi (v. carro e candelabro).
Bibl.: F. Polese, Le feste pop. cristiane in Italia, in Atti I° congr. di etnogr. ital., Perugia 1912, pp. 21-114; G. Pitrè, Spettacoli e feste pop. siciliane, Palermo 1881, p. 346 segg.; id., Feste patronali in Sicilia, Palermo 1900, pp. 219-220; O. Brizi, Alcuni usi e costumi sammarinesi, Arezzo 1856.