certo
. È di uso piuttosto vasto, sia come aggettivo (o pronome) che come avverbio, nei significati ancora comuni nella lingua moderna.
1. Come aggettivo, riferito a persona, vale " sicuro ", " persuaso " di una cosa: Rime XLIV 9, LXXXIII 17 io son certo... / ch'Amor di sé mi farà grazia; XCIX 13; Cv II VII 6 io era certo... che ella era in cielo; VIII 10, 15 e 16; If III 61, IV 47 per voler esser certo / di quella fede; XXVI 50, Pg XXIII 106, Pd III 4 (dove corretto e certo, corretto dell'errore e convinto dalla dimostrazione data da Beatrice, è riferito ai due momenti della dimostrazione, provando e riprovando [v. 3]), V 34, X 100, XV 118 ciascuna [delle donne di Firenze antica] era certa / de la sua sepultura, " cioè di essere sotterrata alla Chiesa sua, e non avea paura d'esser cacciata di Firenze " (Buti); XIX 46 ciò fa certo che 'l primo superbo / ... cadde acerbo; XXIX 64. Così anche in Fiore XVIII 12, XXIII 11, XLII 4, XLVI 4, LX 12, LXIX 14, CXXI 13 e LXXVI 8, dove il riferimento grammaticale a ‛ cuore ' non toglie che si alluda in effetti a una persona: i' son certan che 'l vostro cuor non crede / com'io dentro dal mio... son crucciato; / ma quando voi m'avrete ben provato, / e' sarà certo di ciò ch'or non vede.
Con valore vicino a quello ora considerato, è detto di cose che danno sicuro affidamento di verità, di cui non si può dubitare, o che sicuramente non mancheranno di avverarsi: Cv II XIII 27 la Geometria... è santa macula d'errore e certissima per sé; IV XV 12 sono molti tanto presuntuosi, che... le non certe cose affermano per certe; If XX 101 i tuoi ragionamenti / mi son si certi... / che li altri mi sarien carboni spenti; Pg XVI 56, Pd VIII 42, XXVI 105, XXV 67 Spene... è uno attender certo / de la gloria futura; Fiore XC 5, CXXXIV 9 quest'è certo. Sostantivato, in Cv II III 2 quel cotanto [delle cose] che l'umana ragione ne vede ha più dilettazione che 'l molto e 'l certo de le cose de le quali si giudica [secondo lo senso]. Particolarmente interessanti, in questo stesso ambito semantico, alcuni casi della Commedia, in cui l'aggettivo accentua con più rilevante decisione questo carattere di concreta realtà, di sicurezza e stabilità: così l'omo certo di If I 66, accostato in alternativa a ombra, indica l'essere " reale " (Lombardi, poi Tommaseo), mentre " l'ombra non è uomo certo o vero, ma in apparenza " (Castelvetro). In un altro passo, l'atteggiamento degl'invidiosi - dice D. - mi provocò una profonda pena, quando fui sì presso di lor giunto, / che li atti loro a me venivan certi (Pg XIII 56), " chiari ", " quod non dubitabam, sicut quando eram a longe " (Benvenuto; analogamente, D. vede certe, " ben distinte ", le meschite, quando si è avvicinato sufficientemente alle mura della città di Dite: If VIII 72). Infine è detta salda e certa la fontana da cui deriva il Lete (Pg XXVIII 124), sorgente che tanto dal voler di Dio riprende, / quant 'ella versa da due parti aperta: è " salda perché non viene meno... e certa perché né cresce né scema " (Landino), " immutabile e durevole " (Casini-Barbi).
Da questo valore si passa a quello di " determinato ", " prefissato ", che risulta con particolare evidenza nel passo di Cv III XV 16 Quando Iddio... con certa legge e con certo giro vallava li abissi, esplicita e fedele traduzione dai Proverbi (8, 27 " quando certa lege et gyro vallabat abyssos "); così ancora in Cv II XI 2 e 6, III III 4 e 9 (due volte), IV XII 4 e 5, XXVII 2 (due volte); If XVII 56 dal collo a ciascun [degli usurai] pendea una tasca / ch'avea certo colore e certo segno; Pg VII 40 Luogo certo non c'è posto; / licito m'è andar suso ed intorno; Pd XXI 42, XXXII 43. Più volte ricorre, nel Convivio, l'espressione ‛ (a) c. termine ': IV IX 2 come ciascuna arte e officio umano da lo imperiale è a certi termini limitato, così questo da Dio a certo termine è finito; IX 3, XIII 7 (due volte), XVII 5; e analogamente, Aristotile... mostra che a certo fine bada la nostra potenza (IV XIII 8; cfr. anche I X 2 de le nuove cose lo fine non è certo).
Numerosi anche i casi, quasi esclusivamente della prosa, in cui c. assume valore di aggettivo (o pronome) indefinito: " qualche ", " taluno " (da notare tuttavia che non sempre è possibile distinguere nettamente questo valore da quello di " determinato "): Vn V 4 feci per lei certe cosette per rima; VII 2, VIII 12, XII 6 e 7,
XV 3, XVIII 1, XXIII 4 (due volte), 29 e 30, XXIV 6 e 10, XXV 3, XXXIV 1 e 5; Cv I 17, II II 7, IV 3, XIII 10 (tre volte), III II 15, III 4, IV 9, VII 3, VII 117, XII 10, XV 6, 7 e 10, IV VII 6, XII 12, XVI 3, XIX 1, 2 e 8, XXIV 2 e 10, XXIX 8. Come pronome, in Vn XVIII 3, Cv II IV 13, III III 4 (due volte) e 9, VII 4 (tre volte) e 9, VIII 17, XII 18 (due volte); If XVII 52 nel viso a certi [usurai] li occhi porsi; Pg XXVI 14 Poi verso me... / certi si feron.
2. Come avverbio ha lo stesso significato di ‛ certamente ' (v.), in Rime L 20, LXXX 17, come le espressioni avverbiali ‛ di c. ' o ‛ per c. ' presenti in Cv IV Le dolci rime 145, XIII 13, XIV 15, If VII 117, XXVIII 4, Pg XXVII 25, Pd IV 94, Fiore III 11, LXXII 8.
L'uso dell'avverbio è però variato dal punto di vista stilistico, a seconda del contesto in cui si viene a trovare. Nella Vita Nuova per es. il valore di c. non è propriamente asseverativo; esso piuttosto ha la funzione di rallentare il discorso, di insistervi e fissarlo nella mente del lettore, con quella lentezza incantata che è caratteristica di tutta l'operetta; così in II 8 certo di lei si potea dire; XVIII 3, XXI 3 Certo ella piange, XXIV 2, XXXVI 2, XL 10 10; sempre nella Vita Nuova l'occorrenza di XIX 22 ha invece valore stilistico diverso, servendo a rafforzare fin dall'inizio, dandogli un valore forte e categorico, il discorso polemico verso coloro che necessitano di troppe spiegazioni per capire una poesia: certo io temo d'avere a troppi comunicato lo suo intendimento..., e prima aveva detto: chi non è di tanto ingegno che... la possa intendere, a me non dispiace se la mi lascia stare.
Vicine al valore stilistico di quest'ultima citazione sono le occorrenze di c. nel Convivio; non tanto la prima, che ha valore puramente asseverativo, di III Amor che ne la mente 9 E certo e' mi conven lasciare in pria (e il verso è ripreso in II 1, IV 2) o quella di III vili 2; quanto piuttosto le moltissime del trattato IV, in particolare quelle del capitolo v: Certo maggiormente di te [Catone] parlare non si può (§ 16); Certo e manifesto esser dee... e manifesto esser dee (§ 17), e le occorrenze che rispondono alla ripetuta domanda E non punse Iddio le mani...? Certo sì... (§§ 18-19); Certo di ferma sono oppinione che... (§ 20); così in IV VII 4 e 12, XI 13 e 14, XII 6 e 10, XIII 13, XIV 12, XIX 6 (due volte), XXVII 15, XXVIII 8 e 15.
Le occorrenze della Commedia, come quelle di Rime LX 5 e LXXII 11, hanno in genere valore puramente rafforzativo del discorso che si sta svolgendo: If X 89 né certo / santa cagion con li altri sarei mosso; XII 37 Ma certo poco pria... / che venisse colui; XVI 44, XIX 93, XX 25 Certo io piangea (e infatti io piangevo); XXVII 69, XXVIII 118, XXIX 123, XXXI 49, Pg IV 76, VIII 21, XVIII 109, XX 130, XXIV 60, Pd II 55 e 61, XXVI 22, XXX 20, XXXI 41. Vi sono però due occorrenze in cui l'avverbio dà alla proposizione una sfumatura concessiva: If XIV 133 In tutte tue question certo mi piaci / ... ma..., e Pd XIX 82 Certo a colui che meco s'assottiglia / ... da dubitar sarebbe: cioè, a colui che medita attorno alla giustizia, potrebbero venire dei dubbi.