ALBICINI, Cesare
Uomo politico, nato a Forlì il 27 aprile 1825 da antica famiglia comitale, morto a Bologna il 28 luglio 1891. Cresciuto in mezzo al fermentare gagliardo di idee che nelle terre di Romagna maturavano i tempi nuovi, fu nel 1847 laureato in giurisprudenza nell'università di Bologna. Quivi strinse amicizia, durata per tutta la vita, con Marco Minghetti, col quale ebbe poi comuni i propositi e la fede nel conte di Cavour. L'azione politica dell'A. si svolse specialmente negli anni dal 1859 al 1861. Costituito in Bologna, dopo il 12 giugno 1859, il governo provvisorio, egli fu della commissione che si recò al campo alleato per offrire al re Vittorio Emanuele la dittatura. Deputato di Forlì all'Assemblea delle Romagne, che proclamò la decadenza del potere temporale del papa e l'annessione al Piemonte, fu più tardi, essendo dittatore L. C. Farini, ministro per la pubblica istruzione. Nel quale ufficio l'opera sua va ricordata per due provvedimenti: il riordinamento dell'università di Bologna e la riforma delle opere pie, con-la quale anticipò quegli ordinamenti che furono poi per tutto il regno consacrati dalla legge Crispi del 1890. Proclamato il regno d'Italia, fu deputato di Forlì nel 1861 e nel 1865. Dal 1861 alla sua morte fu professore lodatissimo di diritto costituzionale nell'università bolognese, della quale fu anche rettore dal 1871 al 1874. Eletto consigliere comunale nel 1872, fu al principio del 1873 chiamato ad esercitare, come assessore anziano, le funzioni di sindaco, che tenne degnamente per oltre un anno. Appartenne sino dalla fondazione alla R. Deputazione di storia patria per le Romagne, e vi esercitò per dieci anni l'ufficio di segretario, segnalandosi per operosità e dottrina.
Fu uomo di vivido ingegno e di vastissima cultura storica, giuridica e letteraria, ma la sua multiforme operosità gli lasciò poco tempo per comporre opere: vanno ricordati di lui un volume di scritti pubblicato nel 1890 col titolo Politica e storia, il saggio pieno di sapienza civile sulla rivoluzione del 1831, premesso alle Opere di Carlo Pepoli, e il commentario su Galeazzo Marescotti, pubblicato nell'Archivio storico italiano, "vero gioiello - disse il Carducci - della letteratura storica odierna".