ANGELINI, Cesare
Nacque ad Albuzzano (Pavia) il 2 ag. 1886 da Giovanni e da Maddalena Bosini. Frequentò il seminario di Pavia dove cominciò a formarsi quel solido impianto culturale, in cui confluivano la tradizione cristiana e il patrimonio della tradizione classica della letteratura italiana, che rimase, arricchito negli anni, il sostrato più profondo del suo modo di frequentare la letteratura. Ordinato sacerdote, fu trasferito nel 1910 dal seminario di Pavia a quello di Cesena dove conobbe Renato Serra il quale gli scoprì "una svagata passioncella per le lettere" e lo spinse a collaborare prima alla rivista Romagna quindi a Lirica, che anticipava il gusto letterario che si affermò con la seconda Voce diretta da G. De Robertis (1914-1916), e poi con La Ronda. Collaborò in questi anni, sempre per il tramite di Serra che lo presentò a De Robertis, proprio alla Voce pubblicandovi articoli che manifestano già con chiarezza le sue intenzioni e i suoi orientamenti critici.
Due interventi sono particolarmente indicativi, il primo, Pascoli e Croce (La Voce, VII [1915], n. 13, pp. 815-829), nel quale, prendendo le distanze dal metodo e dai giudizi critici del Croce sulla poesia e sulla poetica pascoliana, esprime quella sua tensione verso una concezione della poesia come "lirica", come "qualità pura" che, in sintonia con De Robertis, Onofri, e altri, manterrà negli anni sia sul versante critico sia su quello direttamente poetico. L'altro articolo è Il primo critico puro (ibid., VII [1915], n. 16, pp. 921-942), scritto in memoria di Renato Serra, caduto al fronte, dove il riferimento a Serra e alla peculiare lettura che della sua scrittura fa l'A., è in funzione dell'affermazione di un metodo, di un costume, di una concezione dell'arte e della letteratura che l'A. praticò senza mutamenti e variazioni nel corso di tutta la sua vita, mantenendo costante il richiamo a Serra e alla sua lezione etica e culturale.
Partecipò alla prima guerra mondiale come cappellano volontario negli alpini; fu ferito sull'altipiano dei Sette Comuni sopra Bassano. Tornato a Pavia, insegnò lettere nel seminario vescovile fino al 1939 quando divenne rettore del Collegio universitario Borromeo, ricoprendo questa funzione fino al 1961. Ritiratosi dall'incarico, per ragioni di età, mantenne i contatti con il collegio e continuò alacremente a scrivere; nel 1964 gli fu conferita la laurea honoris causa dalla facoltà di lettere dell'università di Pavia. Fu anche prelato domestico di Pio XII.
Morì a Pavia il 27 sett. 1976.
L'Associazione alunni dell'Almo Collegio Borromeo di Pavia curò e gli dedicò un volume C. A. e il Borromeo (Pavia 1976) che contiene ricordi, testimonianze, asterischi e note critiche (tra i quali si possono ricordare quelle di F. Flora, L. Caretti, A. Stella, R. Cremante, E. Falqui), oltre a discorsi dell'A., notizie biografiche e bibliografiche.
Collaborò a molti giornali e periodici - anche con lo pseudonimo di Belvento - tra i quali ricordiamo, oltre a quelli già citati del periodo giovanile, Il Convegno, Davide, Corriere d'informazione, L'Italia, Corriere della sera, La Raccolta (diretta da G. Raimondi da cui nacque La Ronda), La Gazzetta del popolo, Il Quotidiano di Roma, Pegaso, Pan, Il Tempo di Milano. Tenne per anni la rubrica letteraria dell'Osservatoreromano; nel periodo del rettorato fondò e curò la redazione e la pubblicazione dei quaderni dell'Almo Collegio Borromeo, Saggi di umanismo cristiano, su cui comparvero scritti di ex allievi del collegio, nonché del collegio Ghislieri e della Normale di Pisa.
L'ammirazione incondizionata per Serra che l'A. professò in ogni occasione (gli dedicò Notizia di Renato Serra, Padova 1968) è un punto di riferimento costante e profondamente fissato nell'atteggiamento dell'A. verso la letteratura e la cultura più in generale; poggia sulla affermazione di una affinità ideale e culturale per una pratica aristocratica della letteratura, risolta interamente nell'esercizio dell'attività critica come essenziale capacità di lettura, di gusto, di riconoscimento di forme e impressioni ricavate dagli autori e dai testi con i quali si realizza una sintonia spirituale ed etica. È una concezione della letteratura, della pratica e della critica letteraria che, nel nome di una certa interpretazione di Serra, ha percorso il panorama letterario tra le due guerre, ispirando e sostenendo episodi di rilievo quali la poetica del frammentismo, l'ermetismo e la nascita del gruppo raccolto attorno alla Ronda, e la ripresa di un genere desueto come la prosa d'arte che proprio in quei decenni dominò la scena letteraria italiana.
A questo tipo di tendenze l'A. aderì in modo spesso critico (come nel caso dell'ermetismo), ma contribuendo comunque al loro affermarsi, immettendovi in più una componente cattolica e mistica che si manifesta pienamente nei suoi scritti di argomento direttamente religioso, ma che è ben presente anche nei saggi critici come nei volumi di prose e poesie. È una distinzione questa, peraltro, non sempre facilmente verificabile nella produzione dell'A., data la natura compatta e immutabile delle sue tematiche, intrecciate e composte in variazioni di stili, di linguaggio, di modi espressivi che rimandano al saggio critico come alla contemplazione lirica, all'evocazione come alla raffinata composizione letteraria di quadri figurativi. Tratto comune e impronta dello stile angeliniano, accanto al gusto per la ricchezza lessicale e la liricità della costruzione espressiva, è la sempre presente intenzione moralistica e pedagogica che, a volte, diviene dominante; in particolare, naturalmente, negli scritti di argomento religioso che corrono in parallelo con quelli più squisitamente letterari e critici per tutto l'arco della sua attività.
Sono scritti di argomento religioso: Conversazioni sul Vangelo, Brescia 1930; Idoni del Signore, Pistoia 1930 (divagazioni, meditazioni, pagine edificanti); La vita di Gesù, Torino 1934, Leggendario di santi, ibid. 1935; Invito inTerrasanta, Pavia 1937; Contardo Ferrini o la passione ricevuta dal cielo, Milano 1948; Il regno dei cieli, ibid. 1950 (contiene cinquantuno brevi omelie evangeliche); Parabolee fatti nel Vangelo, Assisi 1955; Quattro santie un libro, Brescia 1957, e altri ancora. A questi vanno aggiunte la traduzione dal latino del Cantico dei cantici, Milano 1963, e la traduzione e cura dell'Apocalisse per l'editore Einaudi (Torino 1973), lavori entrambi di alto rigore filologico e dottrinale.
Da una ispirazione così fortemente orientata tra religione e letteratura, confluenti in una visione univoca e pacatamente lirica della vita come dei fatti letterari, nasce conseguentemente il profondo e continuo interesse dell'A. per Alessandro Manzoni che meglio di ogni altro gli si presenta modello spirituale e culturale. Sono specificamente scritti di critica manzoniana Il dono del Manzoni, Firenze 1924, sulla produzione poetica e narrativa di Manzoni e sulla sua formazione; Invito al Manzoni, Brescia 1936; Manzoni, Torino 1942; Commento ai Promessi sposi, Milano 1963; Capitoli sul Manzoni vecchi e nuovi, ibid. 1966, che contiene la ristampa di molti scritti precedenti con l'aggiunta di capitoli inediti sulla lingua e la formazione manzoniana (con questo libro l'A. vinse il premio Emilio Cecchi della critica nel 1968); Variazioni manzoniane, ibid. 1974. Tuttavia note e spunti critici, divagazioni e riflessioni sul Manzoni sono sparse nelle varie raccolte di scritti critici dell'A. che proprio attorno alla figura del Manzoni fa ruotare tutti gli autori e i testi notevoli del nostro Ottocento letterario.
Con lo stesso taglio di lettore finissimo e sensibile stilista, l'A. dedicò saggi e riflessioni critiche ad altri autori, scelti sempre sulla base di quel senso di affinità che sostiene non solo le sue scelte di lettore, ma anche le sue prove di scrittore. Sono quindi Leopardi, Foscolo, Monti, Pascoli a tornare spesso nei suoi articoli e nei suoi libri, accanto a D'Annunzio, Dossi, Papini, Soffici, Croce, Carducci, ecc., a cominciare dal primo libro, del 1923, edito a Milano, dal titolo emblematico Il lettore provveduto, che è appunto una sorta di galleria di ritratti in cui l'A. sperimenta già con piena maturità quel suo modo di disegnare profili e tratti critici che parte e torna insistentemente sui testi, sulla parola, sullo stile letterario e culturale degli autori che esamina. Così nei volumi successivi: Testimonianze cattoliche, Pavia 1928 (saggi su Papini, D'Amico, Novaro, ecc.); Notizie di poeti, Firenze 1942 (su Foscolo, Monti, Leopardi, D'Annunzio, ecc.); Carta, penna e calamaio, Milano 1944, che è un esemplare esercizio di scrittura su divagazioni, associazioni, fantasie ("Che è lo scrivere? È il pensiero che si sgomitola dolce e, senza rompere il filo, tesse la sua tela immaginosa", p. IX); Vivere con i poeti, ibid. 1956 (è una raccolta di articoli e trasmissioni radiofoniche su Manzoni, Papini, Serra, De Robertis, Croce, Dante); L'osteria della luna piena, ibid. 1962 (su Foscolo, Manzoni, Cattaneo, Panzini, ecc.); Nostro Ottocento, Bologna 1970 (raccolta di scritti già apparsi su riviste e giornali, o in volume, su Foscolo, Monti, Leopardi, Cattaneo, Carducci, ecc.); Cronachette di letteratura contemporanea (1919-1971), ibid. 1971 (sono ritratti di squisita finezza critica su Pascoli, D'Annunzio, Verga, Dossi, Serra, Soffici, Croce, ecc., anche questi già pubblicati in precedenza); Altro Ottocento (e un po' di Novecento), ibid. 1973.
Più ancora che alle pagine critiche, comunque, il nome e lo stile dell'A. restano legati alle prose raccolte in Commenti alle cose, Milano 1925, divagazioni e meditazioni religiose sulla natura, le stagioni, gli animali; Santi e poeti (e paesi), ibid. 1939, dove sono mescolati, come dal titolo, ritratti di santi, divagazioni sul paesaggio lombardo e note sui poeti; Acquerelli, ibid. 1948; Iframmenti del sabato, ibid. 1951 ("le mie tenui bucoliche"); Cinque terre (e una Certosa), Padova 1960; Quattro lombardi (e la Brianza), Milano 1961 (su Dossi, Lucini, Linati e paesaggi brianzoli); De Profundis per il pittore, ibid. 1964; Questa mia bassa (e altre terre), ibid. 1970, e altri ancora.
Si tratta di divagazioni paesaggistiche, quadretti, ricordi, o anche elzeviri, quel particolare genere di scrittura giornalistica e saggistica che segnò almeno due decenni di cultura italiana. Lo scritto muove da spunti e motivi i più diversi, dal ritratto d'ambiente alla evocazione di figure e paesaggi, alla contemplazione incantata della natura, delle "cose", alla meditazione su fatti e personaggi della letteratura, con quella attitudine moralistica, lirica e di perenne meraviglia che ha fatto parlare per l'A. di "misticismo estetico". Sul filo di tenui emozioni, di serene meditazioni e di delicate impressioni è costruita la prosa dell'A., come anche i sonetti compresi, assieme a sedici prose, in Autunno (e le altre stagioni), Cittadella 1959; una prosa e una poesia che si legano a una precisa stagione letteraria italiana, nella quale quel modo di scrivere diventò anche un vero e proprio progetto letterario. Non a caso alcuni brani dell'A. risultano antologizzati in Scrittori nuovi, un volume che Falqui e Vittorini pubblicarono nel 1930 per l'editore Carabba di Lanciano (pp. 17-25), con una prefazione di G. B. Angioletti che sottolineava il senso forte di progetto culturale dell'operazione, nell'intenzione esplicita di proporre un nuovo modello di scrittura, staccato dalla tradizione come dall'avanguardia, e aderente pienamente all'Italia degli anni Venti e Trenta. A distanza di qualche anno, ancora Falqui selezionò alcune prose dell'A. per la sua antologia Capitoli. Per una storia della nostra prosa d'arte, Milano 1938 (pp. 271-275), inserendo a pieno titolo la scrittura angeliniana nella stagione letteraria dominante negli anni Trenta.
L'A. partecipò pienamente a quel clima e a quegli orientamenti, rimanendo tuttavia sempre un po' ai margini e continuando a praticare anche fuori stagione il suo esercizio letterario in modo tanto assoluto, astorico, "puro", da non far rintracciare sensibili segnali di modificazioni nella sua produzione di mezzo secolo, ancorato costantemente a uno stile e a un gusto in cui alcuni trovarono, accanto all'intelligenza e alla raffinatezza del lettore, qualche traccia di quei modi leziosi e virtuosistici (ben visibili, per esempio, nei titoli dei suoi libri), che suggerivano a Falqui il termine di "angelinismo", allusivo di una certa riserva critica. Rimane certamente dell'A. critico la lezione di lettore finissimo e aristocratico, un lettore nutrito di una compatta cultura classica, unita a un impianto intellettuale ed erudito di stampo solidamente umanistico; e dello scrittore, la predilezione per i toni smorzati, tenui, elegiaci, che ne fanno una delle ultime incarnazioni del letterato italiano nel senso più tradizionale, ossia più fortemente ancorato a una tradizione letteraria, culturale e civile che, già negli anni Trenta, era stata da altri posta decisamente in crisi irreversibile.
Fonti e Bibl.: Dell'A. fu pubblicato postumo l'epistolario: I doni della vita, Lettere 1913-1976, Milano 1985. Su di luivedi: C. Pellizzi, Le lettere italiane del nostro secolo, Milano 1929, pp. 23, 425; G. Ravegnani, I contemporanei, Torino 1930, pp. 105, 235, 271 s., 376; F. Casnati, Prose di A., in Lotta coll'angelo, Milano 1942, pp. 408-420; E. Fenu, I doni di C. A., in Incontri letterari, Milano 1943, pp. 1-14; E. Falqui, Prosatori e narratori del Novecento italiano, Torino 1950, pp. 109-117; C. Martini, La Voce, Pisa 1956, pp. 28, 46, 62, 75, 97 s., 108 s., 114, 117, 135; Id., C. A., Padova 1955; Id., C. A. e la letteratura contemporanea, Padova 1956; G. De Robertis, Scrittori del Novecento, Firenze 1958, pp. 363, 386-388; E. Falqui, Novecento letterario, VIII, Firenze 1966, pp. 299-303; G. Scalia, La cultura italiana del Novecento attraverso le riviste, IV, "Lacerba" - "La Voce" (1914-16), Torino1961, pp. 84 s.; G. De Robertis, Lestagioni di C. A., in Altro Novecento, Firenze 1962, pp. 179-183; C. Bo, Il sacerdote C. A., in L'Approdo letterario, XXIII (1977), pp. 3-17; G. Grana, in Letteratura italiana. Il Novecento. I contemporanei, VI, Milano 1979, pp. 5715 s.