ARBES (d'Arbes, Darbes, Derbes), Cesare
Figlio del direttore delle poste del Friuli, nacque a Venezia intorno al 1710 (secondo il Bartoli nel 1708) ed esercitò per un certo tempo l'arte dello specchiaro. Preso però dalla passione per il teatro e fuggito di casa, si diede all'arte comica. Nel 1747 era il Pantalone della compagnia Medebac che recitava a Livorno, e quivi scommise 100 ducati col direttore della compagnia che sarebbe riuscito a strappare al Goldoni, allora a Pisa dove esercitava l'avvocatura, la promessa di scrivere una commedia per lui.
L'A., diversamente dagli altri componenti la compagnia Medebac, che provenivano quasi tutti dalla compagnia di funamboli di Gasparo Raffi, aveva già una larga esperienza teatrale, tanto che il Goldoni, il primo a dare un profilo preciso della sua personalità, ne parlò subito come di "comico valoroso".
Il Goldoni, che nei Mémoires e nelle prefazioni alle commedie presenta l'A. con una forte carica di simpatia, si lasciò incantare dalla personalità del comico: questi, profittando di questa buona disposizione, gli chiese subito un sonetto (o forse due) con cui concludere la rappresentazione dello scenario Pantalone paroncino che la compagnia Medebac stava presentando a Livorno, e, cosa assai più iinportante, lo invitò insistentemente a scrivere una commedia nuova.
La commedia nuova fu Tonin bella grazia, rappresentata per la prima volta nel 1747 a Livorno e poi a Venezia, con tale insuccesso da dover essere ritirata a metà rappresentazione. Se si considera l'entusiasmo con cui l'A. si era impegnato per la migliore riuscita della commedia, e lo stesso successo ottenuto fra i compagni d'arte durante le prove, si capisce quanto grande dovette essere la sua delusione.
Il Goldoni, addossandosi generosamente tutta la responsabilità dell'insuccesso, scrisse subito dopo per l'A. una seconda commedia, che dai Mémoires risulterebbe essere L'uomo prudente, mentre dalle prefazioni alle commedie risulta che al Tonin bella grazia (poirimaneggiato e pubblicato col titolo Il frappatore) seguì I due gemelli veneziani, rappresentata per la prima volta a Pisa nel 1747.
I due gemelli veneziani, ispirata ad un antichissimo motivo assai comune nella commedia dell'arte, costituì a lungo il cavallo di battaglia dell'A., che vi aveva una parte assolutamente dominante. Il Goldoni la scrisse su misura per l'A. puntando sulla sua capacità di rappresentare contemporaneamente i due caratteri opposti del furbo e dello sciocco. A detta dello stesso Goldoni, la commedia fu rappresentata con grande successo al teatro S. Angelo nell'autunno dei 1748 e nel corso dell'anno successivo, per un complesso di ventitré sere, oltre che a Venezia, a Firenze, a Mantova e in altre città italiane.
La terza commedia scritta dal Goldoni per l'A. fu dunque L'uomo prudente, rappresentata per la prima volta a Mantova nella primavera del 1748.
In tutte le commedie scritte dal Goldoni fino al principio del 1750, anno in cui l'A. si allontanò dalla compagnia Medebac, il grande comico sostenne sempre la parte di Pantalone, la quale però, non più stilizzata nella formula consueta della commedia dell'arte, veniva perdendo quei caratteri fissi che costringevano l'attore a identificarsi col personaggio, acquistando maggiore umanità e aderenza alla realtà.
Invitato a Dresda dal ministro di Sassonia e Polonia presso la Serenissima, l'A. accettò subito, mettendo, con la sua improvvisa partenza, in grande imbarazzo il Goldoni e il Medebac. Sul suo soggiorno a Dresda non si hanno molte notizie: H suo nome compare solo nel cartellone dell'opera di Caliusac e Rameau, Zoroastro, ridotta da G. Casanova e rappresentata il 7 febbr. 1752 con la musica di Johann Adam (di Rameau erano rimasti solo la sinfonia e il primo coro). L'A. vi sostenne la parte del sacerdote Zopiro. Il Bartoli c'informa che l'A. ebbe a Dresda anche la sopraintendenza dei giochi d'azzardo, "onde poté farvi qualche fortuna". Si presume che l'A. sia rimasto a Dresda fino alla chiusura del teatro italiano, avvenuta nel 1756 in conseguenza dell'inizio della guerra dei Sette anni. Forse nello stesso anno entrò nella compagnia del celebre Truffaldino Antonio Sacchi, reduce dal Portogallo dopo il famoso terremoto di Lisbona. Con questa recitò in varie città italiane e straniere, finché rientrò a Venezia.
Qui l'A., seguendo le sorti della compagnia Sacchi, si legò a Carlo Gozzi, del cui teatro fu per circa nove anni interprete felice e fortunato. Il 25 genn. 1761 partecipò alla prima rappresentazione della fiaba L'amore delle tre melarance, avvenuta al teatro S. Samuele con grande successo. A questa prima seguirono numerose altre fiabe e commedie romanzesche alle cui rappresentazioni l'A. portò l'inestimabile contributo della sua grande esperienza.
Dopo un primo successo determinato in gran parte dal gusto del meraviglioso e del fiabesco così forte nel teatro gozziano, l'interesse del pubblico veneziano pian piano decrebbe, finché il Sacchi, abilissimo uomo d'affari oltre che grande comico, pensò di abbandonare il teatro S. Angelo per il più centrale S. Salvatore. Al momento di tale trasferimento, alla fine del carnevale del 1770, l'A., "dopo quattordici e più anni d'armonica unione", lasciò la compagnia gozziana del Sacchi, per unirsi alla compagnia di Giuseppe Lapy scacciata dal teatro S. Salvatore e rifugiatasi al S. Angelo. Il Gozzi commentò stizzosamente la defezione dei "valentissimo" comico, nelle sue Memorie inutili. Nella compagnia Lapy l'A., a detta del polemico Bartoli, se "migliorò gl'interessi della sua famiglia... fu di pregiudizio alla sua abilità", essendo in quella compagnia il Pantalone poco importante.
Dopo cinque anni di "pigrizia" col Lapy, l'A. passò nella compagnia vagante di Vincenzo Bugani, e nel 1776, a Venezia, al teatro S. Giovanni Grisostomo con la compagnia di Maddalena Battaglia, ebbe modo di mostrare ancora una volta la sua grande abilità di comico consumato. L'anno dopo, ammalatosi gravemente, rimase a Bologna "in ordinata cura" per alcuni mesi; poi, impaziente di tornare a calcare le scene, rientrò a Venezia non ancora guarito e di lì a poco morì, il 24 febbr. 1778.
L'attività teatrale dell'A., con tutte le sue caratteristiche oscillazioni, risentì profondamente della situazione generale in cui si trovava il teatro veneziano in quel delicatissimo momento che vedeva il passaggio dalla commedia dell'arte al teatro realistico e borghese del più maturo Goldoni.
L'A., che ebbe il grande merito di riportare dèfinitivamente il Goldoni al teatro, partecipò con impegno al suoi primi tentativi intesi a rinnovare gli schemi tradizionali della commedia dell'arte, offrendogli spunti e stimoli estremamente fruttuosi. Presto però si staccò dal Goldoni, lasciandosi prendere dall'andazzo dei tempo e dal desiderio di realizzare maggiori e più facili guadagni. Il suo soggiorno a Dresda lo escluse dallo sviluppo della riforma goldoniana,cosicché al suo ritorno a Venezia si trovò tagliato fuori dal nuovo teatro goldoniano, ormai solidamente impiantato su una tecnica di recitazione sempre più lontana da quella tradizionale nella commedia dell'arte. Proprio negli anni dei rientro dell'A. cade infatti la composizione di opere come I rusteghi o il Sior Todero brontolon, commedie di ambiente borghese e di ispirazione schiettamente realistica.
Incapace di inserirsi nella nuova realtà del teatro goldoniano, l'A. preferì restare nella compagnia Sacchi, dove poté riprendere tranqullamente l'abituale maschera di Pantalone e ritrovare gli antichi successi, favorendo il Gozzi nella sua polemica antigoldoniana per un teatro tradizionalista e conservatore. I Veneziani così, come osservò il Baretti, "applaudirono con entusiasmo alle Tre melarance", dove l'A. dileggiava gustosamente quel Goldoni, del quale era stato un tempo attivo collaboratore e intelligente ispiratore.
Un'ultima oscillazione, determinata forse anche dagli sviluppi del teatro gozziano e che in definitiva attesta sempre meglio la sostanziale natura di comico dell'arte dell'A., curioso e intelligente certo, ma ancora lontano dall'attore in senso modemo, è nel suo passaggio alla compagnia Lapy che aveva m cartellone un repertorio eclettico e scarsamente impegnativo. In tal modo l'A. usciva definititivamente dalla scena delle grandi contese teatrali veneziane.
L'A. sposò (1747 circa) una Rosalia, già moglie di un saltatore tedesco e valente attrice, da cui ebbe due figlie: Antonia e Maria.
Antonia ebbe un'educazione musicale piuttosto accurata, e riferisce il Bartoli che era valente suonatrice di clavicembalo. Cantava inoltre "con molta grazia" nelle opere buffe, come risulta dai cartelloni del teatro S. Samuele di Venezia. Nell'autunno del 1771 partecipò alle rappresentazioni delle opere giocose Calandrano di G. Bertati e G. Gazzaniga, sostenendovi la parte di Lazzarina, e L'inimico delle donne di G. Bertati e B. Galuppi, sostenendovi la parte di Zyda.Nel carnevale del 1772 fu Angelica nell'opera buffa L'astratto, ovvero il giocatore fortunato di G. Petrosellini e N. Piccinni, e Rosina in Gli intrighi amorosi di G. Petrosellini e B. Galuppi. Fra il 1772 e il 1774 sposò Tommaso Grandi, detto il Pettinaro, amoroso della compagnia Lapy, ed in seguito a tale matrimonio si diede all'arte comica, ottenendo particolari successi negli intermezzi, come appare dalla rappresentazione (Padova, gennaio 1774) di due opere buffe, date anche come intermezzi alle conunedie, cioè L'amore in caricatura di L. Ciampi e Il vecchio deluso di P. Guglielmi.
Recatasi a Napoli nel 1778, ebbe un grande successo, al teatro reale di Caserta, come Galatea nel Pigmalione di J.-J. Rousseau, già rappresentato con lo stesso successo a Venezia nel 1776. Morì a Napoli improvvisamente al principio dell'estate del 1779, in giovane età.
Maria, seconda figlia dell'A., fu istruita dal padre nell'arte comica, riuscendo una brava servetta. Sposò "un giovane parmigiano di civile estrazione", e insieme a lui pare ottenesse particolari successi a Palermo nel 1782.
Fonti e Bibl.: Per l'A. e le figlie in generale, cfr. A. Piazza, Il teatro ovvero fatti di una veneziana che lo fanno conoscere, II, Venezia 1777, p. 20; F. Bartoli, Notizie istoriche de' comici italiani, I, Padova 1782, pp. 45-50; Mémoires de M. Goldoni, in Opere complete di Carlo Goldoni edite dal municipio di Venezia nel secondo centenario della nascita, Venezia 1936, pp. 248-251, 264, 267, 285; Commedie di Carlo Goldoni, ibid., II, Venezia 1908, pp. 17, 85, 87; C. Gozzi, Memorie inutili, a cura di G. Prezzolini, I, Bari 1910, pp. 246, 279-280 e passim; F. A. O. Byrn, Giovanna Casanova und die comici italiani am polnische-sächsischen Hofe, in Neues Archiv für sächsische Geschichte und Altertumskunde, I(1880), p. 309; L. Rasi, I comici italiani, I, Firenze 1897, pp. 191-198; H. C. Chatfield-Taylor, Goldoni, Bari 1927, pp. 88 s., 92, 232; N. Leonelli, Attori tragici, attori comici, Milano 1940, p. 275; A. Gentile, Carlo Goldoni e gli attori, Trieste 1951, pp. 25-28 e passim; I. Sanesi, La commedia, Milano 1954, I, pp. 548, 550; II, pp. 96 s., 98; Encicl. d. Spettacolo, IV, coll. 170-171. Per Antonia in particolare, cfr. T. Wiel, I teatri musicali veneziani del Settecento, Venezia 1897, pp. 287, 292, 293; B. Brunelli, I teatri di Padova, Padova 1921, p. 171; B. Croce, I teatri di Napoli, Bari 1916, p. 232.