ARICI, Cesare
Di nobile famiglia, nato a Brescia il 2 luglio 1782 da Agostino e da Caterina Brozzoni, fu educato nella casa patema fino ai dieci anni, poi nell'Accademia, di S. Luigi, un collegio per nobili, dove si, dedicò allo, studio dei classici italiani e latini. L'esiguità del patrimonio familiare lo indusse ad abbracciare una carriera rapida: perciò, nel 1802, terminati a Bologna gli studi di legge, - entrò come attuario criminale nella Corte di appello di Brescia e vi rimase sino al 1807-, Dal 1807 al 180 8 fu commesso di seconda classe presso la Corte civile e criminale del dipartimento del Mella. Pur attendendo al suo ufficio, l'A. nonrinunziò alle sue ambizioni letterarie; sebbene dapprima non si fosse mostrato favorevole ai Francesi, dietro l'esempio del Monti, e nella speranza di cambiare la propria condizione, ottenne di recitare, in occasione dell'incoronazione di Napoleone, un'ode, Le vittorie, che ne celebrava la gloria. Compose in questo periodo anche altri versi di occasione per la nascita del re di Roma, e per la viceregina d'Italia, Amalia Augusta, e una. Prosopopea delle arti, che imitava la Prosopopea di Pericle del Monti. Come sotto i Francesi aveva celebrato Napoleone ed Eugenio di Beauhamais, sotto gli Austriaci celebrò l'arciduca Ranieri. La sua adesione al potere si configurò in termini di disponibilità oratoria, mai in termini politici, perché dalla politica lo tenevano lontano, prima di tutto., il suo temperamento e il suo amore del quieto vivere;, non riusci pertanto sgradito a nessun governo. Infatti, dopo che era salito in fama in seguito alla pubblicazione del suo primo poemetto didascalico La coltivazione degli ulivi, soprattutto grazie al giudizio favorevole espresso dal Monti, e abbandonando finalmente l'impiego precedente, aveva occupato nel 1809 la cattedra di eloquenza lasciata vacante da A. Anelli nel liceo di Brescia; ritornati gli Austriaci, l'A. fu confermato nell'incarico. Al successo del suo poemetto fu. dovuta anche la nomina a membro dell'Ateneo di Brescia nel 1809, e con l'appoggio del Monti ebbe pure la carica di segretario per la sezione di Verona dell'Istituto italiano. Aveva raggiunto in questo modo quella tranquillità che gli consentì di dedicarsi alla sua attività di poeta e di letterato, interrotta solo dalla morte, a Brescia, il 2 luglio 1836.
L'A. viene considerato, fra i cultori del genere didascalico, l'ultimo che abbia raggiunto un decoro di stile. La sua cultura e il suo spirito appartengono al periodo napoleonico, nel quale era vivissimo il gusto per il mondo classico; i suoi poemi, del resto, seguono rigorosamente le regole dell'accademismo classico del genere. Egli tuttavia si tenne a metà strada fra i due principali tipi di poemi dìdascali ci: il poema georgico virgiliano della rinascenza e il poema scientifico che aveva il suo modello in Lucrezio ed ebbe massima fortuna nel Settecento. La coltivazione degli ulivi, infatti, uscito, sembra, nel 1805 e poi, riveduto, nel 1808, in versi sciolti, semplice nella struttura e misurato nelle digressioni mitologiche, ripete quei luoghi delle Georgiche che furono sempre variamente imitati. A Virgilio l'A. dedicò soprattutto la sua opera di traduttore: nel 1811 terminò la traduzione delle Georgiche, e dal 1818 al 1822 curò la stampa della traduzione delle altre opere virgiliane. Per quanto fredde e accademiche, le sue traduzioni ebbero molto successo, e per quella delle Georgiche ottenne anche un premio dall'Ateneo di Brescia. Tradusse ancora da Catullo Le nozze di Peleo e Teti, passi delle opere latine dei Petrarca, e lasciò incompiuta una traduzione dal francese degli Essais di Montaigne. Alla sua abilità d'imitatore e traduttore dei classici si deve anche la pubblicazione di quel volumetto intitolato Inni di Bachillide (1815), che volle far credere fosse la traduzione da un originale greco, mentre erano versi laboriosamente costruiti, di terza mano, sui componimenti di Dionigi Strocchi, ben più profondo conoscitore della letteratura greca. Nei 1808 l'A. aveva pubblicato un carme, In morte di Giuseppe Trenti, nel quale era evidente l'imitazione dei versi manzoniani In morte di Carlo Imbonati.Unarticolo sugli Annali di scienze e lettere, diretti da G. Rasori, lo accusò di contraffazione poetica. L'articolo, che fu creduto dei Foscolo, mentre, com'è stato accertato, era del Borsieri, fornì al Monti un pretesto per rompere con il Foscolo. Nel 1810 l'A. pubblicò Il corallo, che non ebbe molta fortuna perché, abbandonata la tradizionale derivazione virgiliana, seguiva l'imitazione dei poemetti scientifici di L. Mascheroni e dei padre G. B. Roberti; il Foscolo ne rilevava l'assenza di passione, la sproporzione fra le parti e la mancanza d'invenzione. Dopo l'insuccesso del Corallo, l'A. ritornò nel solco della tradizione classica virgiliana con La pastorizia (1814), dove raggiunse, impiegando il verso sciolto anche recentemente usato dal Parini, dal Monti, dal Foscolo e dal Pindemonte, i vertici dell'eleganza formale e del virtuosismo, piuttosto vacuo, che è di tutte le sue opere. Perciò si può dire, a ragione, che egli eccelse soprattutto come tradutt.re. Si dedicò anche alla composizione di drammi, un giovanile Cromwello, una Calliroe nel 1809 e, per la visita dell'imperatore d'Austria, nel 1816, un'azione drammatica intitolata Egeria.Tentò anche un poema epico, La Gerusalemme distrutta, che, secondo quanto aveva dichiarato in un suo discorso letto a Padova nel 1814, doveva essere composto di ventiquattro canti, ma che fu poi ridotto: nel 1819 uscì in sei libri, e alla morte se ne trovarono undici canti.
Da parte di taluni critici si è voluta vedere una influenza delle idee romantiche nell'opera dell'A., e segnatamente nell'Origine delle fonti, comparso nel 1833 quando il poemetto scientifico tramontava; il poemetto fu accolto senza entusiasmo, mentre l'Accademia della Crusca nominava il poeta suo socio onorario e gli inviava una lettera lusinghiera dicendo finalmente rinnovati i tempi dell'Alamanni e del Rucellai. L'A. scrisse ancora I fiori di serra, Flora, e infine, nel 1835, per celebrare Maria Luisa d'Austria e riprendere un suo vecchio proposito, il poemetto L'elettrico, che la morte gli impedì di terminare.
Opere: Poesie e prose di C. A., voll. 6, Brescia 1818-19 contengono: Inni di Bachillide, La coltivazione degli ulivi, Il corallo, ...e La Gerusalemme distrutta; Opere di P. Virgilio Marone, traduzione di C. A., Brescia 1822; Alcune poesie di C. A., Milano 1827 (contiene: Il viaggi malinconico, Sirmione, Il camposanto di Brescia, Brescia romana,...); L'origine delle fonti, poema inedito e altre poesie scelte di C. A., Milano 1833; Poesie e prose inedite di C. A., Brescia 1838 (contiene: L'elettrico, I Parganiotti, Flora, Fiori di serra, La Notte dei morti,...). Quasi tutte le opere dell'A. sono raccolte, infine, in Opere di C. A., precedute da un elogio di G. B. Niccolini, Padova 1858; Poesie scelte, a cura di Z. Bicchierai, Firenze, 1874; Poemetti di C. A., Torino 1888.
Bibl.: V. Monti, Epistolario, III, Firenze 1929, pp. 153, 228, 238, 240 e passim; Lettere di vari illustri italiani e stranieri, III, Reggio 1841, pp. 12 ss.; P. Giordani, Opere, I, Firenze 1846, p. 390; G. Leopardi, Studi filologici, Firenze 1853, pp. 177, 178; Id., Epistolario, Firenze 1934, I, pp. 240-243, 320; G. A. Martinetti, Delle guerre letterarie contro U. Foscolo, Torino 1880, pp. 18 ss.; Id., Da lettere di C. A. e U. Lampredi a V. Monti, in Giornale storico della letteratura staliana, XXIX(1897), pp. 392 ss.; A. Zanelli, Della vita e delle opere di C. A., Bologna 1884; G. Quadri, Annibal Caro e C. A. nella traduzione dell'Eneide, Brescia 1884; G. Zaccovich, C. A., della vita e delle opere, Padova 1888; A. Bertoldi, P. Giordani e altri personaggi del suo tempo, in Prose critiche di storia e d'arte, Firenze 1900, pp. 149, 185; L. Gerevini, C. A. poeta didascalico, Brescia 1904; G. P. Clerici, Come nacque il poemetto "L'Elettrico" di C. A., in Il Risorg. ital., I(1908), pp. 639 ss.;I. Noventa, Notizie biografiche su C. A., in Studi di storia e di critica dedicati a P. C. Falletti, Bologna 1915, pp. 479, 489; A.Sannoner, L'ultimo cultore del genere didascalico: C. A., Brescia 1932; G. Mazzoni, L'Ottocento, Milano1934, pp. 51, 52, 403, 504 e passim;A.Frugoni, Note sul teatro di C. A., Brescia1936.