BARONIO, Cesare
Nacque la notte fra il 30 e il 31 ott. 1538 a Sora, da Camillo Barone (così, o anche Baroni, si firmò e fu chiamato pure il B., ancora, talvolta, nell'anno 1596) e da Porzia Febonia.
Fratello, piuttosto che cugino di Cesare, era, secondo A. Ratti (Pio XI), un Annibale o AnnibaHe, ammogliato con figlio e morto probabilmente già circa il 1599, quando il B. è detto "figlio unico" o forse già nel 1595, anno in cui il B. ne raccomanda la famiglia al cugino G. B. Baldini. Camillo ebbe fratelli Mario, canonico, il capitano Paolo e Marzia. Questa, morto il B., narrò che in età di due anni, ammalato gravemente, egli era stato portato da lei, dalla madre e dalla nonna paterna al santuario di Valdiradice ove, dopo tre giorni di preghiere, guarì.
Il B. fu mandato a scuola a Veroli, quindi a studiare leggi a Napoli, nell'ottobre 1556; un anno dopo, per timore di ripresa della guerra (pur dopo San Quintino e la pace di Cave, nel settembre), si trasferì a Roma, dov'era alla fine di ottobre. L'8 dicembre rassicurava il padre: "non c'è ozio da pensare a vagabondezze, né pan soverchio... ma... altri pensieri, altre faccende, altre considerazioni": non però quelle desiderate dal padre. Non molto istruito né amante dello studio (almeno, del diritto), il B. aveva, per mezzo d'un conterraneo, conosciuto s. Filippo Neri, subendone subito l'influsso, e per mezzo di lui poté, quando il padre gli soppresse l'assegno, entrare in casa di Giovanni Michele Parravicini, precettore dei figli, tra cui era Ottavio, futuro cardinale, di cui fu padrino di cresima, nell'anno 1561.
Ai rimproveri rivolti dal padre, desideroso per lui di una proficua carriera mondana, durante una visita a Roma e per lettera ("mi scrivete cll'io mi sia dato alla vita teatina" - cioè di bigotto - "che non studio") il B. rispondeva (18 marzo 1558 in altra lettera edita dal Calenzio) che lo studio continuava, ma che egli non avrebbe smesso le pratiche di pietà, pronto piuttosto a rinunciare all'eredità, e pensando "di andar a Padua a starmi con il figliuol del Padrone, dove che non mancaria da mangiare, e da bere, e libri per studiare, e mi levaria da tanti tormenti, quali ogni giorni mi date. Sicché pregovi, se mi amate, che non mi diate più fastidio... anzi vogliate ringraziar Dio di tanta comodità che m'ha data, che senza vostro dispendio, e vostra fatica, sto qua molto meglio, ch'a casa nua... se Dio ci darà vita, non andrete cercando il pane nella vostra vecchiezza".
La stessa possibilità di recarsi a Padova o a Bologna il B., per non ritornare a casa, faceva balenare allo zio Mario; ma il progetto fu abbandonato, ed egli, alle pratiche religiose nell'Oratorio e di carità negli ospedali, stava per aggiungere il compito che sarebbe stato suo per la vita. Maturava altresì l'altra risoluzione: rinunciando ad entrare in un Ordine, il B. sarebbe stato prete secolare, nella Congregazione filippina. Durante una visita alla famiglia, mostrò di sottostare alla volontà patema, anche ammogliandosi; ma si confidava alla madre.
Il 16 dic. 1560 annunciò ai genitori la decisione presa dopo tre anni di meditazione, preghiere, consigli del suo padre spirituale: avendo già avuto gli ordini minori, il sabato 21 sarebbe stato ordinato suddiacono, rimanendo a Roma; una volta abile a dir messa, sarebbe ritornato a casa. Il B. stesso segnò poi su un pezzo di pergamena alcune date: il diaconato, il 5 apr. 1561, a 23 anni. Si dimostrava anche figlio ubbidiente conseguendo, il 20 maggio, la laurea in giurisprudenza: alle spese provvide lo zio capìtano. Riconciliato col padre, il B. andò a Sora, ma ritornò presto a Roma per esservi ordinato sacerdote; al padre disse che colà gli sarebbe stato più facile ottenere il privilegio di assolvere dai casi riservati. Ma era ben deciso a non ascoltare altri che s. Filippo. Accettò una commenda nell'ospedale di Santo Spirito in Sora, facendone dare la procura al padre, che esortava a condurre vita più spirituale: ma non seguì il consiglio del vescovo Tommaso Giglio, di dedicarsi alla teologia speculativa, e continuò gli studi cui lo aveva avviato e quasi costretto il Neri. Questi, avendone osservato il carattere, sottopose il B. a dura disciplina, imponendogli atti diretti a renderlo umile e docile, rafforzando in lui la volontà di rimanere nell'Oratorio. Egli rifiutò pertanto un beneficio di Parma ed un canonicato a Sora, pur adoperandosi perché vi s'istituisse l'insegnamento del catechismo.
A colmare lacune della sua cultura lo obbligavano i suoi compiti in casa Parravicini e la predicazione nell'Oratorio. In questa egli preferiva temi cupi, la morte, suo costante pensiero, e il giudizio. San Filippo ne lo volle in parte distogliere; e, fosse ispirazione sua o idea suggerita dalla notizia della imminente, o forse già avvenuta pubblicazione della grande opera storica di apologia del protestantesimo cui attendevano Mattia Flacio (Vlaèié) ed i suoi collaboratori - le Centurie di Magdeburgo - ordinò al B. di esporre oralmente la storia della Chiesa, dagl'inizi al suoi tempi: compito ingrato cui questi tentò di opporsi. Pure, dovette cedere e riprendere quell'esposizione, per ben sette volte. Si venne così familiarizzando con le svariate e numerose fonti, talune del tutto elementari, come risulta da un elenco che il B. ne fece, e il Calenzio ritenne "opera del tutto giovanile", e da aggiunte introdottevi.
Per due volte aveva chiesto dispensa dall'età per il sacerdozio; poi voleva rinunciare; s. Filippo gl'impose di farsì ordinare, il che avvenne il 27 maggio 1564; celebrò la prima messa il 3 giugno. Prenunciò anche i due voti, di povertà e rinuncia a benefici, e dì non ambire né accettare dignità ecclesiastiche. Ricusò dunque ancora il canonicato a Sora ed una abbazia, nel 1568, un invito di s. Carlo Borromeo a Milano e poi, nel 1577, il vescovato di Sora. Voleva rimanere presso il Neri, in severa disciplina ascetica, intensissimo lavoro, opere di carità e mortfflcazione, pratica del confessionale, predicazione. Per questo, evidentemente in seguito a voci malevole (ebbe spesso a soffrire per dicerie di nemici che il carattere suo duro e l'intransigenza contribuirono a suscitare), dovette sostenere un esame innanzi al cardinale vicario Savelli nel 1567. E continuava, come s'è detto, a narrare la storia della Chiesa.
Del resto, pochi avvenimenti appena notevoli: moniti ai famigliari, come la zia Marzia che dissuase da un secondo matrimonio e chiamò poi presso di sé, mentre esortava il padre a curare l'amministrazione dei beni di lei (1567); dopo la Pasqua del 1568, un pellegrinaggio a Loreto, dove nel novembre precedente non aveva voluto andare con parenti, tra i quali donne (era devotissimo alla Vergine, componendo l'emblematica croce con le iniziali di "Caesar Servus Mariae, Mariae Servus Caesar", posta sui suoi libri); il trasloco a S. Maria in Vallicella (agosto 1578), dove s'era trasferito definitivamente (1577) l'Oratorio divenuto Congregazione (1575),e dove ebbe affidata la cura d'anime ch'esercitò sino al 1581; gli umili servigi manuali, specie in cucina; qualche infermità, fin dal 1566, con i mali di stomaco che continuarono ad affliggerlo; la visione, o sogno, del numero LXIX, come degli anni della sua vita, da lui segnato nella sua Bibbia; la morte della madre, il 25 luglio 1580; il confortatorio del bandito Bartolomeo Catena, ch'egli aveva già tentato di convertire nel 1581; la morte del padre, nel 1583 o all'inizio dell'anno seguente; nello stesso anno 1584, l'assistenza all'eretico domenicano Giacomo Massilara, detto il Paleologo.Altri fatti si ricollegano all'attività di studioso. L'essersi accinto ad un'impresa come quella, cui altri pensavano, ma con attività insufficiente, di confutare le ormai famose Centurie,gli procacciava notorietà almeno in taluni ambienti romani. Il cardinale Sirleto e i funzionari della Biblioteca Vaticana dovettero presto notare quel lettore, e aiutarlo, come il B. stesso scriveva al padre nel 1578. Di quest'anno è il memoriale inviato, probabilmente dietro richiesta di lui, a s. Carlo Borromeo, sulla barba dei chierici, con citazioni bibliche e patristiche pro e contro, e conclusione, secondo Clemente Alessandrino, che si eviti così l'affettazione di portarla troppo lunga, come l'effeminatezza. Carlo Sigonio, già ffiustre, dallo Studio di Bologna gli mandò in esame una Historia Ecclesiae,che rinunciò a pubblicare. Nel 1580 il B. presentò a Gregorio XIII una Vita di s. Gregorio Nazianzeno, probabilmente prima stesura di quella che, lasciata da lui inedita, fu pubblicata poi dai bollandísti nel 1680. E il cardinale Felice Peretti (poi Sisto V) lo incaricò nel 1582 di redigere la Vita di s. Ambrogio, da includere nel sesto ed ultimo volume delle Opere:completata nel 1584 e pubblicata, anche a sé, nel 1587.
Ma già in quell'anno il B. s'era reso illustre con la prima, o piuttosto le prime, delle sue opere maggiori. Fin dal 1580 il Sirleto lo aveva indicato a Gregorio XIII come atto a collaborare alla revisione del Martirologio, dopo quella insoddisfacente di P. Galesini (1578), nella commissione di cui facevano parte anche Silvio Antoniano e Roberto Bellarmino; e la maggior parte del lavoro fu compiuta, utilizzando il materiale già raccolto per la sua storia, dal B., che, della pensione offertagli, finì per accettare solo 10 scudi mensili per un amanuense: e ciò gli diede anche modo di soccorrere il padre. Il Martirologio romano "ad novam Kalendarii rationem, et Ecclesiasticae historiae veritatem restitutum" fu pubblicato nel 1583 e, in seconda edizione, "Singulis anni diebus iuxta novam Kalendarii rationem accomodatuin", l'anno seguente. Le Notationes e la Tractatio de Martyrologío Romano auctore C. B.(che egli preparò su questa, e in un'Appendice) apparvero nelle edizioni del 1586 e 1587; altre postille, alla terza edizione vaticana (1589), videro la luce nell'edizione vaticana dei 1630: si tratta di lavori che sarebbe facile e ingiusto criticare in base a ricerche posteriori, anziché giudicare secondo lo stato degli studi e la mentalità di allora (mss. Vallicell. B 13, Q 29, Q 31, Q 32, e Casanat.105).
Ma Gregorio XIII non stimò nel B. soltanto l'erudito. All'inizio dell'anno 1583 lo incaricò d'una speciale e segreta nlàssione presso un eretico, a Napoli; e iví il B. avviò la fondazione dell'Oratorio con cui mantenne poi cordialissimi rapporti. Nella Congregazione filippina stessa, esonerato dalla cura d'anime alla Vallicella, il B. ebbe incarichi oltre alla predicazione e alle lezioni della storia. Tra il 12 maggio e il 5 novembre 1580 aveva cominciato a commentare i primi cinque capitoli degli Atti degli Apostoli (Commentaria in Acta Apostolorum, ms. Q 36, della Biblioteca Vallicelliana); nell'anno 1583 fu proposto per la riforma della Congregazione; nel 1584 fu bibliotecario della Vallicelliana (creata nel 1581, con i libri lasciati a s. Filippo da Achille Stazio), prefetto et diputato" o membro del Consiglio direttivo accanto al Neri per un biennio. Ma già stava avviandosi a maturazione - ritardata dal lavoro per il Martirologio - l'opera maggiore, e nel marzo 1582 gli fu dato come aiutante, per la revisione, T. Bozio. Sisto V, in luogo dei 10 scudi, volle dare al B. una pensione, ch'egli prima rifiutò, poi accettò, per quello scopo preciso. Perciò s'irritò quando s. Filippo pretese che la versasse alla Congregazione; ma se ne pentì, e il Neri, che continuava a trattarlo come ai suoi inizi, rispose che non altro pretendeva da lui, se non ubbidienza.
Della grande opera, che avrebbe dovuto intitolarsi Historia ecclesiastica controversa (lettera del B. al padre, 25 apr. 1579) e poi si chiamò Annales Ecclesiastici, auctore Caesare Baronio Sorano, Congregationis Oratorii Presbytero,si parlava da tempo; ed egli stesso l'aveva annunciata nelle Note al Martirologio.Ma, conscio della responsabilità di metter fuori quella che veniva ormai considerata come la risposta pressoché ufficiale della Chiesa cattolica al protestantesimo, il B. esitava. Sisto V volle rompere gl'indugi e dispose che fosse stampata nella Tipografia Vaticana. Così il primo volume fu presentato al pontefice dal B. e dal cardinale Carafa tra il giugno e il luglio 1588. E da allora la vita di lui non fu soltanto ordinata alla composizione e pubblicazione degli Annali,ma ne dipese; e da narratore il B. divenne attore di storia.
In quel medesimo 1588 andò, con il cardinale Federigo Borromeo, cui era già legato da viva amicizia, a Montecassino; e già s'innalzava attorno a lui il coro degli elogi. Gli fu offerto il vescovato di Teano, che rifiutò, come poi, nel 1591, sotto Gregorio XIV, quello di Sinigaglia; gli si preconizzava già il cardinalato e s. Filippo ne scherzava con lui. Egli chiedeva soltanto d'essere esonerato dal confessare e da altri compiti, come'nella Compagnia di Gesù, il suo amico Bellarmino; ma s. Filippo non accondiscese. Costretto a lavorare di notte, con fatica degli occhi e perdita di sonno, ottenne di portare a casa volumi della Vaticana. Aveva intanto chiamato presso di sé la vecchia zia Marzia.
Nel giugno 1593 fu eletto rettore e il Neri, che lo aveva già voluto come confessore, nel luglio, avendo deciso di lasciare il governo della Congregazione, lo designò a succedergli, onde all'unanimità venne eletto preposto generale, dopo aver ripetutamente chiesto d'esseme esonerato.
Sotto Sisto V il B. fu impiegato anche m lavori per la Congregazione dei riti, come appare da certi appunti suoi. Innocenzo IX gli regalò, nel novembre 1591, 300 scudi. Era ormai in rapporti con dotti di tutta Europa, da Giusto Lipsio a Fronton du Duc che gli mandava testi e collazioni di manoscritti.
Clemente VIII conferì al B. una pensione di 200 scudi e nel 1594 10 scelse quale confessore: ed il B., avendogli il papa dato da esaminare vari scritti intorno all'opportunità di concedere o negare a Enrico IV la richiesta assoluzione, contro la quale si adoperava il partito spagnolo, con scritti (tra cui un "Apologetico": ms. Vallicell. M 13) e con l'opera, conformente al pensiero di s. Filippo, indusse il papa a concederla, il 17 sett. 1595 .
Il Neri era morto il 26 maggio: ed il B. si adoperò perché la Congregazione rimanesse tale quale l'aveva voluta il suo fondatore, occupandosi d'introdurre il processo di canonizzazione; come preposto dovette accudire anche alla costruzione della chiesa della Vallicella. Ma il papa, che già aveva in animo di promuovere il B., lo nominò intanto protonotario apostolico il 21 nov. 1595. Egli resistette: una lettera al suo confratello Talpa, del 3 dicembre, narra com'egli dapprima tentasse di dissuadere il papa, il quale per due volte gl'ingiunse di accettare, poi diede ordine che lo vestissero; e ci volle la forza. Dovette però accettare e, poco dopo, acconciarsi anche a portare abiti prelatizi.
Aveva sollevato varie obiezioni all'Indice del 1593, il che indusse il papa a ritirarlo e far preparare quello poi pubblicato il 27 marzo 1596. Il 25 maggio fu rieletto preposto dell'Oratorio per un triennio. Intanto si preparava una nuova creazione di cardinali, e, sentendosi preconizzato, suggerì al papa di nominare il Tarugi, vescovo di Avignone, pensando che non avrebbe fatto cardinali due oratoriani. Quando ricevette l'annurizio della promozione, fece ancora quanto poteva per evitarla, rivolgendosi a Clemente VIII; ma il papa gl'impose il silenzio e l'obbedienza, minacciandolo anche di scomunica; e così venne creato nel concistoro del 5 giugno 1596. Come titolo, chiese quello dei SS. Nereo e Achilleo; la chiesa era in stato di abbandono, ed egli la fece riparare, trasferendovi solennemente i corpi di Flavia Domitilla e dei due martiri, nel 1597, e affidando la chiesa ai padri dell'Oratorio. Continuò infatti a partecipare alla vita della congregazione, e soprattutto continuò a lavorare agli Annali. Nel maggio 1597 divenne bibliotecario di S. R. Chiesa, ma abbandonò l'ufficio di confessore del pontefice. Mantenne tuttavia una grande influenza presso Clemente VIII: mentre da un lato lo consigliava a non sacrificare i diritti della S. Sede su Ferrara, dall'altra il pericolo di una guerra lo angustiava. A ciò si attribuisce il proposito, da lui manifestato nel dicembre, di rinunciare al cardinalato. Risolta pacificamente la questione, fu scelto dal papa a far parte del se-w guito con cui si recò a prender possesso della città (aprile-maggio 1598). Di lì fece un breve viaggio a Venezia, ritornando a Roma col papa, dopo una breve sosta a Loreto, nel dicembre.
L'anno seguente si adoperò perché fossero nominati cardinali Silvio Antoniano e Roberto Bellarmino (3 marzo 1599). Ma ebbe anche il primo dissidio con il cardinale nipote Pietro Aldobrandini. Il B. non esitò infatti ad informare il papa delle reali condizioni di Roma durante la carestia; l'Aldobrandini, rimproverato, se ne risentì e accusò d'ingratitudine, dopo i benefici ricevuti, il B., che si dichiarò subito pronto a dimettersi da cardinale.
Amico del Bellarmino, ammiratore e devoto di s. Ignazio, non esitò tuttavia a far conoscere il giudizio sfavorevole che dava della Concordia di Luís de Molina e ad aiutare e sostenere il Calasanzio. A lui si rivolgeva, per conservare il titolo di re cristianissimo, Enrico IV che, avendogli il B. dedicato il volume IX degli Annali,gli donò preziosi arredi d'argento, ch'egli destinò alla Vallicella.
Alla fine del 1600 un "profluvio di sangue fu forse il primo segno di gravità del male che si manifestava da tempo con disturbi della digestione. In quegli anni, furono graditissimo segno del successo degli Annali le conversioni, avvenute in seguito alla lettura di questi, di due dotti protestanti, Caspar Schoppe, nel 1599, e di Giusto Calvino, professore a Heidelberg, nel 1600. Questi si rivolse al B. che lo accolse in Roma, ove gli fu conferita la cresima dal papa, padrino il B., di cui Giusto volle assumere il cognome.
Nonostante preoccupazioni, dispiaceri (anche per il distacco dell'Oratorio napoletano dal romano, 1602, e gl'indugi del processo di canonizzazione del Neri, a causa dei nipoti) e occupazioni (come protettore dei chierici regolari della Madre di Dio,, dal 1603; nelle Congregazioni dei Riti, dell'Indice, della Stamperia; nella commissione per la revisione del Messale del 1604; tra le discussioni intorno al molinisino nelle Congregazioni de auxiliis;per consultazioni richieste dal papa, come la risposta alla Memoria del Bellarmino circa la provvisione di chiese vacanti, nomine a benefici, ecc.) continuava il lavoro degli Annali. Attorno ai quali, con le traduzioni e i riassunti, si accendevano discussioni: contro i benedettini, offesi perché il B. aveva negato che s. Gregorio Magno avesse appartenuto al loro ordine, il B. si difese con un'Apologia pubblicata sotto il nome dell'oratoriano Antonio Gallonio (1604). Ma più grave e ardente disputa suscitò, negando, nel tomo XI degli Annali (ma sbagliava) l'autenticità della bolla di tTrbano II (1098) che conferiva a Ruggiero I conte di Sicilia la qualità di legato apostolico per l'isola (cosiddetta "legazia apostolica" o "monarchia sicula"): rivendicata dai re di Spagna e motivo di difficili trattative. Si accrebbe pertanto l'irritazione che contro il B. (suddito di quel re, essendo nato nel Regno di Napoli) già si provava in Spagna, per avere egli, tra l'altro, sostenuto Enrico IV e negato che s. Giacomo fosse mai stato in Spagna; e che s'era manifestata con un tentativo di deferire gli Annali all'Inquisizione e col non avere Filippo II mostrato di gradire la dedica del III volume. Si ebbero polemiche (tra cui un Iudicium del cardinale Ascanio Colonna e relativa Responsio apolegetica del B.), si ebbero proteste diplomatiche; la circolazione del volume fu vietata negli Stati della corona di Spagna.
Quell'ostilità si manifestò nel conclave seguito alla morte (3 marzo 1605) di Clemente VIII, che ancora poco prima aveva difeso il B. in concistoro. L'elezione del nuovo papa si presentava difficile, appunto per le divisioni tra i cardinali dei diversi partiti; ma un inabile intervento spagnolo finì per giovare al B., che godeva delle simpatie del maggior numero, sebbene l'ostilità del gruppo favorevole alla Spagna si mostrasse irriducibile e il card. Pietro Aldobrandini si adoperasse in segreto contro di lui. Ma il B. stesso non desiderava l'elezione: e cercò fin dall'inizio di favorire il cardinale Alessandro de' Medici. Il B. ottenne Così 23, poi 27, 31, 30, finalmente 32 voti. Allora fu messo innanzi quello che in realtà era il primo candidato dei Francesi, il Medici; l'Aldobrandini dovette cedere e quegli, che il mattino del 10 aprile aveva ottenuto 13 voti (e il B. ne aveva avuti 28), la sera dello stesso giorno venne eletto, come Leone XI. Più drammatico ancora, un mese dopo, il nuovo conclave. Anche in questo, il B. era desiderato da molti ed arrivò ad ottenere 22 voti, nonostante si schermisse in ogni modo; ma il Toschi, alla cui elezione aveva consentito l'Aldobrandini, ne ebbe 38, mancandogliene così 2 soli. Allora il B., che s'era opposto a quell'elezione, ribadì la sua opposizione al Toschi, ed il Peretti, il quale vi si era adattato a mala pena, propose dì n utovo il Baronio. Seguì una divisione, tra il gruppo dei cardinali che con il B., sempre recalcitrante, s'erano recati nella Cappella Paolina e gli altri nella Sistina: finché si venne al compromesso, concluso con l'elezione di Camillo Borghese, Paolo V.
Dal complesso delle testùnom*anze, sue e d'altri, è chiaro che il B. non voleva diventare papa. Già doveva rincrescergli il cardinalato, accettato come sappiamo; e si può in parte accogliere la tesi di F. Rufini, secondo cui il B. si sentiva ormai talmente legato alla sua grande opera, da avere come principalissima cura quella "di subordinare e di sacrificare gli atti e gli interessi tutti della sua esistenza terrena agli ideali tratti e al prestigio di quell'altra sua più duratura esistenza avvenire, di autore degli Annali". Ma dovevano avere gran peso per lui le parole di s. Filippo, che gli aveva preannunciato la dignità cardinalizia, aggiungendo che per il suo carattere troppo severo, fiero e intransigente non sarebbe stato papa: doveva cioè il B. sentire che gli mancavano alcune delle doti necessarie e che troppe diffìcoltà avrebbe causato alla Chiesa la sua elezione, tanto sgradita alla Spagna. E appunto perciò egli fece di tutto per alimentare, anziché sedare, quell'avversione, e insieme mise innanzi ogni altro motivo - la sua umile origine, tra l'altro, ch'egli forse anche esagerò, e le condizioni dei suoi famigliari, cui egli non aveva però voluto procurare vantaggi - che valesse a farlo escludere dai cardinali; mentre di vero e proprio esercizio d'un diritto di esclusiva formale nel senso di un veto da parte della Spagna non si può parlare.
Eletto il nuovo pontefice, il B. si sentì più libero di rivolgersi direttamente a Filippo III con la lettera del 13 giugno 1605, in cui fa presente al re che della "monarchia sicula" egli si era dovuto occupare estesamente per ordine di Clemente VIII, desideroso di conoscere pienamente lo stato di una questione che era oggetto di trattative; che il papa si era convinto della fondatezza degli argomenti di lui B.; che egli stesso non era venuto mai meno ai suoi doveri di suddito fedele, anche da cardinale; ma che come tale aveva il dovere di difendere gli interessi e l'autorità della Chiesa cattolica e del sommo pontefice. Ciò non distolse il governo spagnolo dal vietare il volume XI degli Annali. Sotto il nuovo papa, grande rimase l'autorità del B., minore tuttavia l'influenza. Paolo V lo incluse tra i revisori del Rituale, ma il B. era ormai tutto preso dalla pubblicazione del volume XII degli Annali.Ebbe tuttavia una parte principale nel conflitto con Venezia: nel concistoro del 17 apr. 1606, in cui Paolo V annuncio di voler scagliare l'interdetto, il B. pronunciò un Voto, che, pubblicato, diede adito a una polemica; ma già egli aveva esortato il papa ad essere inflessibile * si rallegrava di vedere alla testa della Chiesa un nuovo Gregorio VII. Ma voleva anche persuadere: e a tal fine redasse l'esortazione, Paraenesis ad Rem Publicam Venetam, redarguendo i laici che osavano emanare leggi su materie ecclesiastiche; è notevole che il B. ricorra anche qui ad un'argomentazione tratta dalla storia, per ribadire la suprema potestà del pontefice romano e deplorare che la lettera del Senato contenga "sententiam plane dignam non religiosissimo vestro Senatu Veneto, sed Anglicano conventu".
Lo scritto del B. provocò diverse risposte polemiche e fu divulgato a Parigi dal nunzio, il che spinse ad un'azione dell'ambasciatore Priuli ed impressionò il Leschassier, a cui il Sarpi ne scrisse, confutando il B. anche dal punto di vista storico (cfr. P. Sarpi, Lettere ai Gallicani, a cura di B. Ulianich, Wiesbaden 196 1, passim). Ma durante l'interdetto, essendosi vari monasteri ed altre persone rivolte per istruzioni al cardinale Borromeo, questi ne scrisse al B. che gli rispose con una serie dí istruzioni "fatte per ordine e autorità di Sua Beatitudine". Tuttavia il B. si adoperò per la riconciliazione, affiancando l'azione dei cardinali francesi.
Il B. aveva anche favorito la riunione degli Oratori di Napoli e di Roma, conclusa solo tre giorni prima della sua morte: e non duratura.
Da tempo ormai la sua salute declinava; il male di stomaco s'era nuovamente manifestato con gravità fin dall'inizio del 1606; il 17 febbr. 1607 scriveva al Talpa che da otto mesi non poteva ingerire se non alimenti liquidi. Lasciò l'appartamento del Vaticano per l'infermeria di S. Onofrio, poi per la casa varie volte già cedutagli dal Borromeo in piazza Navona, quindi per la Vallicella; e ancora per la casetta modestissima che s'era fatta in Frascati, con la famosa scritta "morituro satis" di fronte alla magnifica villa Aldobrandini; ma si fece riportare a Roma e, dopo aver chiuso con un secondo codice 110 (26 maggio 1607) il testamento preparato dal 4 genn. 1606, tra gravi sofferenze, morì fra i suoi confrateui, il 30 giugno 1607.
Aveva appena terminato, in data 22 maggio, la dedica a Paolo V del volume XII (anni 1100-iigg) degli Annali. Voleva essere sepolto da povero nella sua chiesa dei SS. Nereo e Achilleo: fu invece deposto a sinistra dell'altar maggiore della Chiesa nuova, nella sepoltura comune degli oratoriani.
Così uscì postumo, nel 1607, quel volume XII degli Annali, in cui il B. negava l'autenticità della cosiddetta donazione di Costantino, a cui Paolo V credeva ancora, onde volle su ciò consultare il Bellarmino, che concordava in questo col B., e rassicurò il papa. Il primo volume era uscito, come s'è visto, nel 1588 dedicato a Sisto V; il secondo (anni 100-306), dedicato pure a Sisto V, nel 1590; il terzo (fino al 361) nel 1592; il quarto (361-395) nel 1593; il quinto (395-440) nel 1594; il sesto (440-518) nel 1595; il settimo (518-590) nel 1596; l'ottavo (590-714) nel 1599; il nono (714-842) nel 1600; il decimo (843-1000) nel 1602; l'undicesimo (1000-1099) nel 1605. I primi due furono stampati nella Tipografia Vaticana, e così gli altri, dal settimo in poi; il terzo, dal Tornieri; il quarto, quinto e sesto, nella tipografia dell'Oratorio o "Vallicelliana" del Bosa, già stampatore vaticano. Il terzo è dedicato a Filippo II di Spagna; il quarto, quinto, sesto, settimo e ottavo a Clemente VIII; il nono, come si è detto, a Enrico IV; il decimo a Rodolfo d'Asburgo; l'undicesimo a Sigismondo III di Polonia. Nei primi volumi vi è una lettera dedicatoria a un cardinale, che il B. omise dopo essere stato creato egli stesso, sostituendola però nell'ottavo con la commossa invocazione a s. Filippo Neri.
Il B. è un cospicuo rappresentante dell'intransigenza controriformistica, della generazione chiamata ad applicare e completare le misure del concilio di Trento; intransigenza temperata in lui, discepolo del Neri e seguace e ammiratore di s. Carlo e amico di Federigo Borromeo, da profonda umiltà, accompagnata da purezza di vita, rettitudine d'intenzioni, indefettibile amore alla verità. Tutto ciò appare evidente al lettore degli Annali, opera di apologetica e di controversia non meno che di erudizione. Il titolo stesso (e l'aver scelto definitivamente questo, in luogo di quello dapprima pensato) lo dimostra. Non fu semplice adeguarsi a norme retoriche, bensì meditata risoluzione quel suo attenersi alla tradizione antica, per cui s'intitolavano Historia le narrazioni di eventi contemporanei all'autore, e Annali quelle di fatti più antichi: ché nelle prime l'autore giudicava non solo ciò ch'era accaduto, "sed et qua ratione quove consilio". Il B. si trovava di fronte a una storiografia di questo tipo: che teneva conto di interessi e di impulsi. Perciò egli non vuole introdurre discorsi, che Wuminino, secondo il pensiero dell'autore, le intenzioni, l'amino dei protagonisti. Non voue, né poteva, far ciò: perché non voleva né poteva fare della storia ecclesiastica una storia politica e tutta umana; voleva e doveva invece, anche nello stile, far sì "ut Ecclesiastica Ecclesiastice pertractemus".
E con scrupoloso rispetto della verità: per cui, a chi lo assisteva nella revisione, doveva inculcare che l'alterare anche minimamente un testo, era addirittura sacrilegio. Ma da ciò, e dall'andamento annalistico, deriva oltre a quello, comunemente osservato, del frantumarsi del racconto (nonostante riprese e ripetizioni), l'altro difetto, pure già osservato, dell'eccesso di precisione, o meglio, di vera ansia di precisione, nella cronologia.
Ma soprattutto, la verità per lui era data: non vi poteva essere minimamente contrasto tra verità storica e verità teologica: se lo scopo dichiarato era di difendere - non direi neppure "provare" - questa mediante quella, il processo mentale in realtà era l'opposto: poiché da certe premesse non potevano trarsi che determinate conclusioni, conformi alla fede liberamente e fermamente creduta. Se dunque gli eretici erano nell'errore teologico, anche le loro asserzioni in sede storica non potevano essere che erronee, anzi menzognere: "mendacia coacervantes... perinde ac si adversus veritatem iunctis armis bellum iurassent". Nemici di quella Chiesa di Dio del cui volto negli Annali veniva indicata la "germana illa ac sincera... imago", gli eretici attaccavano, accusandolo di aver corrotto la Chiesa e la fede, il papato. E il B. non ricorderà soltanto "ipsa Christianae Religionis fundamenta primitus iacta, divinas leges, pias functiones, sacra ConcWa, editos canones"; egli dimostrerà "Catholicae Ecclesiae visibilem monarchiam a Christo Domino institutam, super Petrum fundatam, ac per eius legitimos verosque successores, Romanos nimiruin Pontifices, inviolate conservatam, religiose custoditam, neque unquam interruptam vel intermissam, sed perpetuo continuatam, semperque huius mystici corporis Christi, quod est Ecclesia, unum caput visibile, cui pareant membra cetera, esse cognitum et observatuni" (I, prefazione).
Perciò certe cose sono impossibili. Impossibile che Urbano II conferisse tali poteri ad un sovrano laico; impossibile che Sinesio di Cirene professasse certe dottrine, perché, altrimenti, come Teofilo lo avrebbe consacrato? Onde si deve dedurre che Sinesio fingesse, per sfuggire, umibnente, l'episcopato (e qui sembra di cogliere una nota personale). Non manca dunque al B. lo spirito critico, anzi talvolta, come in quel caso, ipercritico. La verità è la verità, i fatti sono fatti, quando non se ne possa dubitare. Ma vanno spiegati: è certo che il papa Liberio entrò in comunione con gli ariani e ratificò la condanna di s. Atanasio: ma lo si potrà, dire eretico per questo? o Minime gentium. Attende lector: licet enim per Syrtes et scopulos navigationi vela pandisse oratio videatur, erit tamen ut tuto ad veritatis portum magno gaudio (si veritatis es cupidus) perveliaris". E così via. Il B. non è un succubo delle sue fonti, e le controlla sempre: ma i sospetti, la diffidenza vanno verso gli eretici (e cosi ad Eusebio); in qualche caso imbarazzante lo si è accusato di ricorrere al comodo "sistema della sordina" o della preterizione. Ma l'eccesso di sottigliezza, quell'ingarbugliare talvolta le questioni, quel moltiplicare inutilmente testimomanze, quei ragionamenti a volte contorti, non sono difetti suoi: appartengono bensì alla mentalità e a tutta la cultura del suo tempo. Sta di fatto ch'egli non aveva davanti a sé alcun modello, tranne quelle stesse Centurie che doveva combattere e di cui non si fidava, ch'egli compì un autentico lavoro di pioniere e che gli Annali rimangono ancora un utile strumento di lavoro, da usare bensì con cautela: non soltanto a causa di numerosi, inevitabili, errori particolari (gliene rimproverò, con superiore perizia di filologo, che occorre riconoscere, il Casaubon, pure stimolandolo), ma proprio perché era inevitabile che il pioniere, nella selva, talvolta si smarrisse.
Né va dimenticato il momento storico in cui il B. scrisse. Era, come si è notato, il momento della controversia, della inevitabile intransigenza da ambo le parti. Ma non senza, nel B., spirito di carità. Egli si rivolge anche al lettore extra Catholicam. Certo, il suo linguaggio è severo: e dopo aver detto di appellare da lui "mente turbatum" a íui stesso "puro mentis obtutu cuncta exactius disquirentem", dicendosi certo che qualora fosse tornato "ad rectae rationis... ordinem" avrebbe dato causa vinta ai cattolici, augura che Dio faccia che egli lo possa abbracciare come fratello, mentre per il momento non può neppure salutarlo "prohibente apostolo" (II Ioh., ii: lo stesso passo è citato dal B. altre volte), il che tuttavia non gl'impedisce di pregare per lui.
Degli Annali, il Plantin di Anversa chiese subito di poter pubblicare una nuova edizione in veste più bella; e il B., che aveva ottenuto da Sisto V un privilegio per cui l'opera non si sarebbe potuta ripubblicare per dieci anni senza il consenso dell'autore, lo concesse (Plantin, 1589-1609; Moretus, 1597-1610; e ancora 1612 ss.). Dei primi volumi si ebbero ristampe ben presto (I, Roma 1591; 1-111, ibid. 1593-94; IV, ibid. 1600). Come prototipo il B. indicò l'edizione di Magonza (voll. 11, 1601-1608) da lui riveduta, riprodotta a Venezia (voll. 12, 1601-1612) e Colonia (1624); seguirono varie altre fino a quella di Bar-le-Duc (1860-67). Si ebbero presto anche compendi in latino (di K. Schulting, Thesaurus Antiquitatum Ecclesiasticarum, dai primi 7 v011., Colonia 1601; G. G. Brisciola, Venezia 1602-1603; G. F. Bordini, Parigi 1604; A. Bzowski, Colonia 1617; L. Aureli, Perugia 1634, Roma 1635-36; H. de Sponde, Parigi 1613 con varie ristampe; G. Saccarelli, Roma 1771-1794) e traduzioni (compendiate): di F. Panigarola (per i primi 100 anni), Roma 1590; O. Rinaldi, Roma 1641-43 e ristampe, ecc., in italiano, nonché in tedesco (M. Fugger, Ingolstadt 1594) e francese (A. Tod, Parigi 1614), entrambe del solo vol. I; in polacco (P. Skarga, compendio dei voll. I-X, Cracovia 1603); in arabo (F. Brice de Rennes, 1653-1671).
A continuare gli Annali provvidero: A. Bzowski, o Bzovio, per gli anni 1198-1572, Roma 1616-72, vol. 9; H. De Sponde' fino al 1646, Parigi 1659, voll. 2; G. Laderchi, dal 1566 al 157" Roma 1728-37, voll. 3, considerata come l'autentica continuazione, dopo quella del Rinaldi in 10 voll., Roma 1646-77, sino al 1564 e prima di quella di A. Theiner, Roma 1856, voll. 3 fino al 1585, e quella iniziata da questo a Bar-le-Duc nel 1864 e proseguita da altri a Parigi sino al 1883. Particolare importanza ha l'edizione di Lucca, 173859, vOll. 38 (iq per gli Annali del B., 15 per la continuazione, i di prefazione, 3 di indici) a cura e con annotazioni critico-cronologiche di A. Pagi e note del Mansi.
Fonti e Bibl.: Fondamentali rimangono, dopo l'edizione di Epistolae et opuscola, con una "Vita", di R. Alberici, Romae 1759-1770, V011. 3, e i documenti pubblicati da H. Laemmer, Analecta Romana, Schaffhausen 1861; Melematum Romanarum Mantissa, Ratisbonae 1875, per ricchezza di dati e indicazioni di fonti (specie il più cospìcuo fondo di mss. della Vallicelliana), l'opera dell'oratoriano G. Calenzio, La vita e gli scritti del cardinale C. B. della Congregazione dell'Oratorio, Roma 1907 (nonostante noti difetti e ingenuità), e la miscellanea Per C. B., scritti vari nel terzo centenario della sua morte, Roma 1911, in Particolare A. Capecelatro, S. Filippo Neri e gli Annali del B., pp.1-7; L. v. Pastor, Giudizi tedeschi intorno al B., pp.14-16; A. Cauchie, Témoignages d'estime rendus en Belgique au cardinal B., pp.1725; A. Magnanelli-L. Salvatorelli, Gli autografi di C. B. esistenti in Roma, pp. 27-83; G. Mercati, Per la storia della Biblioteca Apostolica, bibliotecario C. B.,pp. 8,5-178; A. Ratti [Pio XII, Opuscolo inedito e sconosciuto del card. C. B. con dodici sue lettere inedite ed altri documenti che lo riguardano, pp.179-254; G. Tomassetti, Il cardinal B. a Frascati, pp. 255-259; N. Festa, Note per un capitolo della biografia d'Isacco Casaubon, pp.261294; V. Simoncelli, C. B.,pp. 295-308; F. Filomusi Guelfi, Su alcuni punti delle dottrine filosofiche e giuridiche del cardinale C. B.,pp. 309322; P. Del Giudice, A Proposito della controversia sulla legazia apostolica in Sicilia, pp. 323-329; B. Santoro, Eusebio giudicato dal B.,pp. 331-353; F. Ruffini, Perché C. B. non fu Papa. Contributo alla storia della "Monarchia sicula" e del "Ius exclusivae", pp. 355-430; D. Santoro, Sora negli Annali del B.,PD. 431-469; L. Cantarelli, Le regioni suburbicarie e una polemica del secolo XVII,pp. 471-487. Cfr. inoltre, tra le fonti, F. Ferraironi, C. B. e l'Ordine della Madre di Dio.Roma 1940; Il primo processo per A. Filippo Neri, a cura di G. Incisa della Rocchetta e N. Vian, 4 voll., Città del Vaticano 1957-1963, ad Indicem. Rimane da compiere una ricerca di lettere del B. (oltre a quelle in epistolari editi) a dotti stranieri, in varie biblioteche e archivi. Utile il catalogo della Mostra Per il IV centenario della nascita del card. C. B., Roma 1938; da vedere: A. Kerr, The life of C. card. B. of the Roman Oratory, London 1898; H. Laemmer, De Caesaris Baromi literarum commercio diatriba, Fribourgi 1903; L. v. Pastor, Storia dei papi, IX-XII, Roma 1929-1930; L. Ponnelle-L. Bordet, S. Filippo Neri e la società romana del suo tempo, Firenze 1931, passim; P.Brezzi, Ritratto del B., in Studium, LIV (1958), pp. 380-393; M. Morganti, Il cardinale B. e la città di Sora,Sora 1961; A. Roncalli [Giovanni XXIII], Il cardinale C. B. Conferenza [1907], Roma 1961. Divulgativo, G. De Libero, C. B., Roma 1938. Per il Martirologio, P. Paschini, La Riforma gregoriana del Martirologio romano, in Scuola Cattolica, LI (1923), pp. 198-211, 27484. Per gli Annali, E. Fueter, Storia della storiogr. moderna, tr. it., I, Napoli 1943, pp. 316-18; W. Nigg, Geschichte der Kirchengeschichtsschreibung, München 1934, pp. 65-74; A. Walz, Studi storiografici,Roma 1940; A. Frugoni, Incontri nel Rinascimento, Brescia 1954, pp. 191-204; R. Picchio, Gli annali del Baronio-Skarga e la Storia di Pat-S1-1Hilendarski, in Ricerche Slavistiche, III, Roma 1954. Mentre si conclude questa nota, è annunciato un volume: A C. B., scritti vari (di cui è pubblicato, in estratto, E. Vaccaro, Contributo alla bibliografia di C. B., Sora 1963), con scritti di vari autori, illustranti aspetti della vita, della pietà, dell'attività, e delle relazioni epistolari del Baronio. Non si hanno notizie ufficiali circa il processo di beatificazione.