Beccaria, Cesare
Giurista, filosofo, economista e letterato (Milano 1738 - ivi 1794), B. rappresenta la tipica espressione di una nobiltà milanese animata da grandi ideali, anche se afflitta da una modesta capacità realizzativa. La sua fu una famiglia di banchieri di successo che, negli anni intorno alla sua nascita, entrò nel patriziato della città. Ribelle per amore, sposò giovanissimo la sedicenne T. Blasco. Dal matrimonio nacque Giulia B. che, nel 1785, avrebbe dato alla luce A. Manzoni. B. aderì all’Accademia dei Pugni, fondata e diretta a Milano da P. Verri. Frutto dell’ambiente dei Pugni, fu l’operetta che gli diede notorietà mondiale: Dei delitti e delle pene (1764), una incisiva critica della tortura e della pena capitale. B., che aveva già trattato diverse questioni economiche, in questo testo adottò una concezione interamente utilitaristica, intenta a perseguire la felicità pubblica. Egli ricercava, nella pena, il risarcimento che la società richiede a chi le ha provocato un danno attraverso il proprio comportamento. Di qui scaturì la sua critica radicale e rivoluzionaria alle crudeli istituzioni dell’epoca, asservite al criterio emotivo di provocare spavento e, dunque, incapaci di far proprio il principio scientifico che insegna a proporzionare la pena al crimine. L’opposizione alla tortura e alla pena capitale in B. non era dettata da alcun sentimento umanitario, ma da puro calcolo economico di natura utilitaristica. Applaudito dai progressisti, ebbe in realtà ben pochi discepoli capaci di mettere in pratica il suo insegnamento, che rimane ancora molto attuale. Chiamato, nel 1769, a ricoprire la nuova cattedra di scienze camerali presso le Scuole Palatine di Milano, B. diventò così tra i primi docenti titolari di una cattedra di economia politica al mondo. Notevole fu anche la sua attività di pubblico amministratore, come testimonia il lascito delle sue numerose Consulte.