Beccaria, Cesare
Giurista ed economista (Milano 1738-ivi 1794). Fu uno dei massimi rappresentanti dell’illuminismo italiano. Figlio del marchese Giovanni Saverio Beccaria Bonesana, fu educato a Parma dai gesuiti e si laureò in giurisprudenza nell’università di Pavia. A 22 anni, in seguito alla lettura delle Lettres persanes di Montesquieu, si entusiasmò per i problemi filosofici e sociali e presto D’Alembert, Diderot, Elvezio e Buffon divennero i suoi autori preferiti. Entrato nel cenacolo di casa Verri e spronato a dedicarsi agli studi di scienza politica ed economica, scrisse, dietro consiglio di Pietro Verri, il saggio Del disordine e de’ rimedi delle monete nello stato di Milano nel 1762 (1762). In casa di Pietro, sede della redazione del Caffè, essendosi discusso del problema dello stato deplorevole del diritto e della procedura penale (errori giudiziari, irregolarità dei processi, sproporzione e crudeltà delle pene, abuso della tortura, incertezza delle prove e degli indizi), B. fu designato a trattare questo argomento e scrisse, in casa stessa del conte Verri, il famoso Dei delitti e delle pene, pubblicato anonimo a Livorno nel 1764. Il successo del libro fu immenso: in agosto la prima edizione era già esaurita e nel 1765 si arrivò alla terza. Ma ancora maggiore fu l’entusiasmo destato in Francia, dove la traduzione del Morellet fu stampata due volte nello stesso anno (1766): D’Alembert, d’Holbach, Diderot, Elvezio, Buffon colmarono di lodi l’autore; Voltaire scrisse un commento del libro. Non mancarono le critiche, tra cui quelle di A. Facchinei, monaco vallombrosano, che nelle sue Note ed osservazioni sul libro intitolato Dei delitti e delle pene accusò esplicitamente l’autore di aver offeso la religione e l’autorità sovrana. B. ne rimase atterrito, temendo un processo per eresia o per ribellione alle autorità pubbliche, ma i Verri lo confortarono e in pochi giorni (dal 15 al 21 gennaio 1765) scrissero la Risposta ad uno scritto che s’intitola: Note ed osservazioni sul libro Dei delitti e delle pene, pubblicata anonima a Lugano e poi erroneamente attribuita allo stesso Beccaria. Nel 1766 gli enciclopedisti lo invitarono a Parigi e B., dopo molte esitazioni, decise di andarvi in compagnia di Alessandro Verri; giunto a Parigi, vi fu accolto trionfalmente, tuttavia la lontananza dalla patria e dalla famiglia lo fecero decidere a ritornare improvvisamente a Milano. Intanto i meriti di B. ebbero pubblico riconoscimento anche in Italia: nel 1768 fu creata per lui la cattedra di economia politica (detta allora di scienze camerali) nelle Scuole palatine di Milano (le Lezioni, o Elementi di economia pubblica, furono pubblicate solo nel 1804). Nel 1771 fu eletto consigliere del Supremo consiglio dell’economia e finalmente nel 1791 entrò nella Giunta per la riforma del sistema giudiziario civile e criminale. La sua fama resta legata all’opera Dei delitti e delle pene, che pose le fondamenta della moderna storia del diritto penale e della scienza criminalistica, poiché in essa si trova il primo tentativo sistematico di ricondurre la molteplicità delle norme giuridiche a un criterio informatore preciso. I criteri per la misura dei delitti e la proporzione delle pene sono individuati da B. sulla base dei postulati della filosofia illuministica e soprattutto della teoria contrattualistica e utilitaristica: il delitto è inteso come violazione dell’ordine sociale (e del primitivo «contratto» per cui gli uomini tengono uniti i loro interessi particolari) e il diritto di punire come una difesa di questo, senza alcun abuso. Di qui la polemica contro la pena di morte «né utile né necessaria» e in contraddizione con il principio contrattualistico. Di qui anche la lucida critica ai metodi giudiziari del tempo (per es. la tortura), dominati dall’arbitrio e non rispondenti ai loro stessi fini. Quanto alla pena che doveva colpire il reo, essa doveva essere commisurata alla gravità del delitto, doveva tendere al recupero del colpevole e doveva essere comminata dopo un processo il più possibile rapido. I legislatori non vi rimasero indifferenti, in particolar modo in Francia e in alcuni Stati italiani: in particolare, il Granduca di Toscana, Pietro Leopoldo, influenzato dal pensiero di B., emanò nel 1786 la riforma criminale toscana o leopoldina, che fece del suo Stato il primo ad abolire la pena di morte. Perfino Caterina II di Russia promosse una riforma del codice penale nettamente ispirata all’opera di Beccaria. In economia, B. seguì l’indirizzo dei fisiocratici, ma sentì pure, per quanto in polemica, l’influenza dei colbertisti. Egli vide nella libera concorrenza il principio fondamentale di una buona economia, ma non rigidamente, anzi talvolta se ne scostò, soprattutto in materia di commercio internazionale. Altra opera interessante sono le Ricerche intorno alla natura dello stile (1770), in cui sostenne doversi abbandonare, nell’esame dello stile, il criterio dell’aderenza a norme fisse tradizionali, dedotte dalle opere del passato, per sostituire a esso un’indagine filosofica sull’essenza dell’attività artistica.
Nasce a Milano
Entra nella redazione del Caffè di Pietro Verri
Scrive Dei delitti e delle pene
Eletto consigliere del Supremo consiglio dell’economia
Entra nella Giunta per la riforma del sistema giudiziario civile e criminale
Muore a Milano