BONTEMPI, Cesare
Nacque a Perugia, presumibilmente intorno al 1470. Era figlio di Giovannello, esponente della fazione cittadina dei popolari e sostenitore, contro i Baglioni e i loro tentativi di insignorirsi di Perugia, della famiglia degli Oddi. Quando questi furono espulsi dalla città, nel 1488, Giovannello Bontempi fu costretto a seguirli nell'esilio, e con lui tutta la famiglia. Il B. visse così lontano dalla patria, partecipando ai tentativi dei fuorusciti di scalzare l'egemonia dei Baglioni e riuscendo a ritornare in Perugia soltanto nel 1506, quando Giulio II costrinse all'ubbidienza e alla sottomissione Giampaolo Baglioni e gli impose di far rientrare in Perugia i fuorusciti.
Fino a che durò di fatto in Perugia il predominio dei Baglioni il B., divenuto il principale esponente della famiglia dopo la morte del padre, il 25 luglio 1509, rimase ai margini della vita politica cittadina, della quale si era fatto diligente e trepidante cronista sin dal giorno stesso del ritorno dall'esilio, il 9 sett. 1506. Bisognerà attendere sino al novembre del 1532 per vederlo partecipare in primo piano alla vita perugina: in quella data egli partecipava alle accoglienze tributate dai principali cittadini a Clemente VII e ospitava nella propria casa un importante personaggio del suo seguito, il primo cameriere B. Montebuona. Questa sua nuova partecipazione alla vita pubblica è confermata, l'anno successivo, dall'incarico di governatore di Norcia. Ma il commento dello stesso B. al suo ritorno da Norcia, dove aveva "fatto buono et onorevole offizio" dal luglio del 1533 al luglio del 1534, dimostra che egli si sentiva poco tagliato per le cariche pubbliche, in quei tempi tempestosi, e che soltanto la necessità politica poteva indurvelo: "me ne tornai con tutte le mie robbe, sano e salvo. L'Altissimo ne sia laudato e ringraziato mille volte" (Ricordi, p. 353). In effetti lo vediamo accettare un'altra pubblica missione soltanto nella gravissima circostanza della sottomissione della città a Paolo III, dopo la sfortunata insurrezione del 1540: nel giugno faceva parte infatti della delegazione di venticinque autorevole cittadini "li quali andarono a Roma per domandar misericordia e venia a sua santità" (ibid., p. 383). A Roma il B. doveva ritornare ancora nel novembre successivo, insieme con Paolo Roscioli, "per supplicare per la povera Città per qualche grazia, massime per riavere, o tutto o in parte, i magistrati; e che si ordinasse qualche forma di vivere, e che ci sia qualche segno di Comunità" (ibid., p. 386). Ma Paolo III, che aveva deciso di portare sino in fondo la propria azione, intesa a eliminare la situazione di parziale autonomia che Perugia conservava ancora nell'ambito dello Stato ecclesiastico, si dimostrò in quella circostanza durissimo, rinviando i due ambasciatori, dopo un mese di umiliante e inutile soggiorno alla corte apostolica, senza aver nulla concesso loro, e confermando così l'infelice città in quella condizione di totale sottomissione alla quale era stata costretta con le armi, senza permetterle per il momento neppure una qualsiasi espressione istituzionale, che potesse in qualche modo garantire una ripresa della vita politica cittadina e difendere i Perugini dalle programmatiche angherie delle autorità ecclesiastiche.
Nuovamente il B. ospitò nella propria casa un importante personaggio del seguito pontificio, in occasione della visita fatta a Perugia da Paolo III nel settembre del 1546. Non si hanno altre notizie relative alla sua partecipaziorie alla vita pubblica perugina e non si sa nemmeno quando morì. Risulta tuttavia che scomparve molto vecchio probabilmente nel 1551, poiché in quell'anno il figlio Marcantonio si assunse l'incarico di continuare la redazione della cronaca.
I Ricordi delle cose di Perugia, parzialmente pubblicati a partire dall'anno 1527, integrano, per i primi decenni dell'età moderna, le cronache perugine di Francesco Matarazzo e di Teseo Alfani e danno un contributo notevole non soltanto alla conoscenza della vita di Perugia nel periodo della storia italiana certamente più convulso, ma arricchiscono la conoscenza di questa storia stessa con una importante testimonianza di come gli sconvolgimenti italiani del tempo fossero accolti, interpretati, riecheggiati in una città in definitiva ai margini del processo storico. Certo il B. era largamente informato degli avvenimenti; le sue stesse relazioni familiari, oltre al ruolo politico non infimo che egli esercitò nella sua città, glielo consentivano: un suo fratello, Federico, era infatti familiare di un personaggio di grande rilievo, il cardinale Ippolito de' Medici, nipote di Clemente VII, e ne godeva "gran favore" (ibid., p. 330); ilB, ricorda come questo suo fratello, inviato a Perugia nel 1529 dal cardinale, per presentare ai priori le bolle pontificie che nominavano il Medici legato perugino, fu minacciato di morte da Malatesta Baglioni per sospetto che egli prendesse accordi segreti con l'emulo Braccio Baglioni; un altro fratello del B., Nicolò, nel 1530 funominato dallo stesso cardinale Ippolito de' Medici suo vicario nell'arcivescovato di Avignone; un terzo familiare del cronista, suo cugino Camillo Bontempi, era gentiluomo del governatore dello Stato di Milano, Alfonso d'Avalos, e, a detta dello stesso cronista, sua "lancia spezzata": presso l'Avalos Camillo Bontempi servì per circa cinque anni e morì nella battaglia di Ceresole, nel 1544. Ma la cronaca del B. ha rilievo soprattutto per gli avvenimenti dei quali egli fu diretto testimone: questo anche se osserva gli avvenimenti, li interpreta e li commenta non tanto in nome di un atteggiamento politico, e sia pure di parte, come le sue stesse vicende politiche personali indurrebbero ad attendersi, quanto in ragione di uno stato d'animo, di un senso di stanchezza per le continue, inestinguibili lotte faziose della sua città, per la minaccia che d'altra parte gli avvenimenti esterni rinnovavano continuamente contro di esse: ed è un atteggiamento che assai spesso lo induce a tradurre in una dimensione moralistica la situazione e quindi gli impedisce di intenderla nei suoi termini reali di scontro di interessi, particolari o generali che fossero, di espressione di una tendenza storica generale, quale forse un atteggiamento di parte avrebbe pure permesso di cogliere.
Così la sua ostilità ai Baglioni, i persecutori della sua famiglia, i negatori, nel tentativo di egemonia instancabilmente anche se sfortunatamente perseguita, dell'antico equilibrio oligarchico, cui erano legate le fortune politiche dei Bontempi, non dipende da un atteggiamento politico alternativo, ma dal ritenerli i maggiori responsabili delle cruente vicende perugine, i principali nemici cioè di quell'impotente sogno di pace che il cronista instancabilmente e dolorosamente coltiva. Perciò, mentre politicamente il dominio della Chiesa sulla città costituisce la rivalsa dell'antica oligarchia spodestata contro la famiglia egemone, il B. rinnova contro di esso il suo malcontento, accusa quasi ad ogni pagina "il mal governo di questi nostri superiori presenti", proprio perché il governo ecclesiastico non garantisce la tranquillità anelata. L'accusa, sebbene il B. si mostri religiosissimo, si estende volentieri al capo stesso della Chiesa, al clero in generale, tanto da indurlo ad accogliere la communis opinio che il sacco di Roma, pur "la maggior cosa che sia nata al tempo de' Cristiani..., sia stato un giudizio di Dio per gastigare li preti, li quali erano intollerabili e pieni di tutti i vizi che sia possibile immaginare. Dio ci doni grazia non abbiamo a patire noi insiem con loro" (ibid., pp. XXXI s.). In questa luce va pertanto inteso qualche giudizio del B. che fa singolare contrasto con altre sue ripetute affermazioni di simpatia per questo o quel personaggio, per questo o quel programma politico. Così egli, che per ragioni familiari si dimostra assai incline ai Medici, di cui auspica e vede con simpatia la restaurazione in Firenze, è indotto a dare un giudizio positivo dell'assassinio del duca Alessandro interpretandolo in chiave di tirannicidio, proprio perché egli è portato a vedere nel tiranno il nemico principale della pace e del benessere del popolo.
Così tutta la vicenda della lotta franco-imperiale si uniforma nella cronaca del B. a questo monocorde criterio interpretativo, diventa una travagliata, lunghissima, contorta marcia di avvicinamento alla pace; ogni avvenimento, per quanto remoto, è temuto per le conseguenze che ne possono derivare alla pace perugina e con un appello all'aiuto divino si concludono allo stesso modo i resoconti della sconfitta navale napoletana degli Spagnoli nel 1528, o della ritirata turca in Ungheria nel 1532, o della guerra in Lombardia, o delle trattative per il concilio di Trento.
A maggior ragione sono viste in questa chiave di trepidante attesa, di inappagate speranze di pace, di deprecazione per la pravità degli uomini le vicende perugine, le ultime sanguinose contese faziose, le guerre, le carestie, la peste, fino alla conclusione rovinosa della guerra del sale ed alla fine dell'autonomia cittadina, quando il B. esprime la sua protesta contro "la grande ingiustizia che il papa fa a questa città" (ibid., p. 377):ultimo sussulto di fierezza civica, subito estinto nella rassegnata accettazione del governo dispotico.
La cronaca si chiude, per la parte scritta dal B., alla data del 7 febbr. 1550, allorché giunse la notizia in Perugia dell'esaltazione al soglio pontificio del cardinale Del Monte, papa Giulio III.
Il figlio del B., Marcantonio, proseguì i Ricordi sino al 1563, con note scheletriche e riservate agli avvenimenti più importanti, in definitiva di scarsa utilità, se non per qualche notizia relativa al nuovo assetto istituzionale imposto alla città da Giulio III. Di lui si sa che fu due volte priore delle Arti, ed egli stesso accenna nella cronaca agli uffici pubblici sostenuti: il 15 febbraio 1562 aveva l'ufficio di priore e l'11 novembre 1563 era console.
Fonti e Bibl.: Ricordi della città di Perugia dal 1527 al 1550 di Cesare di Giovannello Bontempi contin. sino al 1563 da Marcantonio Bontempi, a c. di F. Bonaini, A. Fabretti, F. Polidori, in Archivio storico italiano, XVI (1851), n. 2, pp. XXIX, XXXIII, 321-401.