CABELLA, Cesare
Nacque a Genova il 2 febbr. 1807 da Giovanni, commerciante di stoffe, e da Vittorina Parodi, figlia di Cesare Parodi, avvocato e docente di diritto commerciale nell'ateneo genovese. Compiuti i primi studi presso lo scolopio De Gregori, nello stesso periodo in cui questi curava l'educazione di Mazzini, il C. entrò nel Collegio Reale, donde, nel 1823, passò all'ateneo cittadino per iscriversi a giurisprudenza. Si laureò nel 1828, con un anno di ritardo per una malattia polmonare che nel 1826 lo aveva costretto a disertare lezioni ed esami e che lo afflisse fino al 1831.
Nel 1831 il mazziniano F. Grillenzoni presentò a Piacenza il C. a Pietro Giordani. L'amicizia durò fino al 1839, anno a cui risalgono gli ultimi brani di una fittissima corrispondenza, della quale, però, possediamo soltanto le 142 lettere del Giordani, ciò che ostacola la piena comprensione di questa amicizia.
È certo che il Giordani vide nel C. una ricca spiritualità pur se ancora incapace di darsi un indirizzo, e cercò di esercitare su di lui una guida, facendo leva sulla non comune elevatezza di sentimenti. Romanticamente dibattuto tra l'aspirazione a ideali culturalmente più nobili e la realtà delle oscure occupazioni forensi, il C. confessava all'amico tutte le sue incertezze e le sue confusioni; e il Giordani lo spingeva a nobilitare anche quegli aridi studi con la volontà di sollevarsi sopra la media degli uomini, sollecitando la sua tensione spirituale. Nel 1832 lo presentò al Vieusseux, a cui il C. dovette promettere una collaborazione che questi avrebbe atteso invano, tanto da lamentarsene più volte con lo stesso Giordani. Questi a sua volta nel 1840 confessava al Vieusseux di aver troncato ogni rapporto col C. proprio per la sua scarsa puntualità a ottemperare agli impegni. In effetti, il C. fino al 1839 fu afflitto da una inquietudine di cui la nevrastenia rappresentava l'aspetto clinico, ma che trovava radici profonde nel sempre risorgente conflitto interiore, tradottosi sia in una violenta crisi religiosa sia nella maturazione di una coscienza politica anticonformista.Nel 1832 il C. era stato espulso da Piacenza perché sospettato di essere in relazione con gli ambienti mazziniani. L'anno seguente accettava di difendere il sottotenente G. Thappaz che, per il possesso di un opuscolo sulle istruzioni per gli affratellati della Giovine Italia, era stato coinvolto nella repressione attuata nel regno sardo da Carlo Alberto. Riuscì a evitargli la pena capitale, e identico successo conseguì con il medico A. Orsini, condannato come il Thappaz a vent'anni di carcere. Terminato il processo, anche in conseguenza di pressioni esercitate sul padre dalle autorità il C. si trasferì in Sicilia, con l'incarico di curare gli interessi di una istituzione filantropica genovese titolare, ad Acireale, di un Monte che aveva in appalto l'esazione della imposta municipale. La permanenza in Sicilia consentì al C. di approfondire gli studi giuridici ed economici e di entrare in rapporto con uomini come F. Ferrara e, a Napoli, sulla via del ritorno, con G. Ricciardi e P. S. Mancini. Infatti nel luglio 1835, morto il padre, il C. aveva ottenuto di essere rilevato dall'incarico, e sul finire dell'anno ritornava a Genova. Qui, pur ancora soggetto a periodiche crisi nervose, si diede tutto all'avvocatura sì da divenire in breve uno dei più rinomati professionisti. La fine dell'amicizia col Giordani coincideva anche con la fine del lungo travaglio interiore degli anni giovanili.
Le speranze suscitate dall'ansia di rinnovamento che sembrava aver pervaso la monarchia sabauda attenuarono il suo antipiemontesismo, diffuso in Liguria e per lui divenuto quasi fatto personale coi processi del 1833, e ne ridestarono l'interesse alla politica. Appoggiò quindi le iniziative antiaustriache del Piemonte, criticò gli sterili rivoluzionarismi e partecipò con passione al dibattito sull'andamento della guerra.
Dopo aver inneggiato nel novembre 1847alla concessione della libertà di stampa, nel gennaio 1848era membro di una deputazione genovese inviata a Torino per chiedere - invano - al re l'espulsione dei gesuiti e l'istituzione della guardia civica. Scoppiata la guerra, cooperava all'organizzazione dei corpi volontari ed era magna pars della Associazione dell'ordine (dal 3 aprile Circolo nazionale); nel momento però in cui si dava per possibile una sua nomina a ministro, il C. scriveva a L. Pareto che l'accettazione dell'incarico sarebbe stata subordinata a una modifica dello Statuto sulla base delle stesse obiezioni formulate dagli esponenti della Sinistra. Come presidente del Circolo nazionale (era successo a Cesare Leopoldo Bixio), il C. porgeva il 22 maggio il saluto degli associati al Gioberti, invitandolo a rivolgere al papa la preghiera di non tradire la causa italiana. Quanto alla condotta della guerra, mentre il 20 giugno inviava al re un indirizzo per sollecitare la sostituzione dei capi dell'esercito ritenuti imbelli e retrogradi, e il 25 giugno si recava a Torino per chiedere la fusione coi Lombardi secondo le modalità da questi proposte, il 21 luglio, in un proclama agli altri Circoli nazionali d'Italia, esprimeva la necessità d'appoggiare incondizionatamente lo sforzo bellico del Piemonte.
L'armistizio del 9 agosto ebbe sul C. l'effetto di una doccia gelata: le prime reazioni furono di indignata protesta, che pero non assunse i toni aspri dei democratici; anzi, scrivendo nel gennaio 1849 al ministro degli Interni Sinco, il C. disapprovava l'operato del Buffa, regio commissario a Genova, giudicato troppo tollerante nei confronti dei democratici e del loro Circolo italiano (che da qualche mese aveva preso il posto del Circolonazionale). Quando poi il Buffa decretò lo scioglimento del Circolo italiano (13 febbraio 1849), il C., che tra l'ottobre e il novembre del 1848 era stato eletto deputato a Voltri e Lavagna, e aveva optato per Voltri, che lo avrebbe rieletto anche per la seconda e terza legislatura, difese alla Camera la costituzionalità del provvedimento. Relatore quindi della risposta al discorso della Corona, il 22 febbraio, dopo aver espresso a Carlo Alberto la riconoscenza della nazione, lo esortava alla ripresa della guerra assicurandogli il sostegno del popolo.
Alla notizia della sconfitta di Novara (23 marzo 1849), Genova si sollevava: lo stato d'assedio proclamato da La Marmora segnava la fine dell'armonia precariamente raggiunta da genovesi e torinesi in occasione della guerra, e riportava in vita quel municipalismo che anche per il C. fu, fino al conseguimento dell'Unità, il principale punto di riferimento ma insieme il limite massimo della sua azione politica. Dai banchi della Sinistra costituzionale il C. prese larga parte ai lavori parlamentari, talvolta come relatore di progetti di legge - quello, ad esempio, sul prestito di cinquanta milioni approvato il 15 marzo 1849 - e membro di commissioni, più spesso come oppositore della politica governativa, prima nella discussione sul trattato di pace con l'Austria, quindi nella difesa degli interessi della sua città. In questa attività il C. usò un'oratoria che, sfrondata delle ridondanze giovanili, aveva acquistato in incisività e forza di persuasione, tanto da farlo apparire a Cavour come il più efficace dei deputati liguri.
I rapporti tra Cavour e il C. sono ricostruibili sulla base di poche fonti. Il primo stimava il secondo ma dopo aver sondato nel 1849 la possibilità di portarlo al governo, si arrese di fronte alla sua intransigenza e, giudicandolo troppo municipalista, lasciò che gravitasse nella corrente di Rattazzi. L'azione politica del C. d'altronde fu tale da rafforzare codesta convinzione. Dopo avere nell'agosto 1849 accarezzato l'idea di dar vita a un giornale, per il quale aveva richiesto la collaborazione di Cattaneo, nel '50 - coi deputati Barella, Depretis, Pescatore, Tecchio e col sacerdote Robecchi - entrava nel consiglio di direzione del torinese Progresso, l'organo di quella parte della Sinistra che si era staccata da Valerio. Nel '51, quando, persa una figlia, aveva rinunciato al mandato parlamentare (era stato eletto nella quarta legislatura dal quarto collegio di Genova), era stato nominato console della Società di tiro a segno, costituitasi a Genova per iniziativa degli elementi politicamente più avanzati. Tra il '53 e il '55 difendeva, in una serie di processi, i giornali genovesi Italia e popolo,La maga,Il povero, incorsi nelle ire del fisco; nel febbraio del '55 parlava alla Camera, cui era tornato nel '53, ancora eletto nel quarto collegio di Genova, contro la conclusione dell'alleanza di Crimea, opponendole la soluzione della neutralità armata; nel maggio del '57 criticava il trasferimento della Marina militare da Genova a La Spezia, attribuendo ai governanti piemontesi la precisa volontà di danneggiare e soprattutto umiliare il capoluogo ligure; e infine nel 1858 faceva parte del collegio di difesa nei processi per i moti genovesi dell'anno precedente, quello stesso '57 nelle cui elezioni del novembre per la sesta legislatura era stato battuto dal suocero C. Parodi, portato dal partito clericale. Al Cavour il C. si accostò solo nel 1859 quando, fiducioso che egli stesse perseguendo una politica non più dinastica ma nazionale, volle inviargli consigli sulla utilizzazione dei volontari e garantirgli il suo appoggio. Pure del '59 è una lettera del C. che, amareggiato per la sconfitta patita nelle elezioni municipali del '58, scrisse al Cavour proponendo l'obbligatorietà del voto per gli aventi diritto.
Dopo Villafranca il C. ritornò su posizioni antigovernative, affrontando ancora una volta il rischio di affiancarsi ai repubblicani per attuare un programma monarchico in funzione anticavouriana. Perciò agli inizi del '60, d'intesa con Bertani, creò come contraltare alla Società nazionale un'organizzazione destinata a raccogliere fondi per il movimento garibaldino e la chiamò "La Nazione", ma se ne dimise il 3 agosto quando si accorse di essere stato scavalcato a sinistra. In Parlamento dove tornò nella settima legislatura per il primo collegio di Genova, dopo aver sconfitto il Bixio nelle elezioni del marzo '60, si allineò sulle posizioni di Rattazzi, e come lui si astenne nel voto per la cessione di Nizza e della Savoia. L'atteggiamento poco chiaro di Cavour verso la spedizione dei Mille e, più tardi, le voci di una probabile cessione alla Francia della Liguria e della Sardegna, causarono un ulteriore irrigidimento del C., e fu lo stesso Cavour a scrivergli il 3 agosto per dichiarare infondati i suoi timori. Quando infine, sconfitto nelle elezioni del '61, prima a Genova dal Bixio e poi a Milano, il C. accusava il Cavour di aver favorito i suoi competitori, questi opponeva un'immediata smentita, pur riconoscendo che il successo di Bixio l'aveva liberato da un avversario pericoloso.
La delusione per la mancata rielezione fu solo in parte compensata dall'inizio di una brillante carriera universitaria: professore di diritto civile dal '65, cinque anni dopo fu nominato, ad onta del parere contrario del prefetto, rettore dell'università genovese, per la quale nel 1885 avrebbe ottenuto il pareggiamento giuridico con i maggiori atenei italiani. Alla vita politica attiva tornò nel '70 allorché il re, su proposta del Lanza, lo nominò senatore; in precedenza era stato membro delle commissioni per la revisione del codice civile (1860), per l'unificazione legislativa del regno (1865) e per la compilazione del nuovo codice di commercio (1869).
L'età avanzata non gli impedì di prendere parte alle maggiori discussioni parlamentari, presentando per esempio nel 1875 numerosi emendamenti alla legge sulle società ed associazioni commerciali, criticando nell'estate dello stesso anno la legge sui provvedimenti straordinari di pubblica sicurezza, da lui definita discriminante nei confronti delle popolazioni meridionali, e sostenendo nel 1876 con una fiera battaglia la legge sui depositi franchi, approvata dopo interminabili discussioni. Sul piano umano risulta notevole la corrispondenza che il C. intrattenne dal 1870 al 1878 con Giovanni Ruffini, l'antico esule che, da lui difeso con successo in una lunga vertenza giudiziaria, poté trovare nella sua amicizia conforto alle sofferenze della vecchiaia.Il nuovo corso aperto dall'avvento della Sinistra, e che il C. inizialmente approvò, lo lasciò presto disilluso, e lo spinse ad avviare una violentissima critica ai metodi del Depretis. Il 22 luglio del 1881 così, amaramente, egli scriveva allo Zanardelli: "Presso alla fine dei miei giorni il mio dolore è di lasciare l'Italia nella putredine di una vecchiezza anticipata: e forse quel che a me pare putredine e vecchiezza è gioventù e vita. Forse l'avvenire del mondo è preconizzato dagli Stati Uniti d'America. Esso non sta nella moralità e nella virtù, ma nell'affarismo e nel denaro". Al Mancini, al quale nel 1881 si era offerto come mediatore per una composizione del dissidio italo-francese, non nascondeva il suo dispiacere per aver questi associato il suo nome alla politica di Depretis (lettere del 22 giugno 1881 e del 7 luglio 1885, in Museo centrale d. Risorgimento, Carte Mancini, b. 672, c. 41). Nel 1883 lo Zanardelli, nel dar vita alla "pentarchia" come tentativo di creare un'alternativa di sinistra alla linea della maggioranza, chiese al C. una collaborazione che per la sua tarda età dovette essere molto limitata; allo stesso modo motivi di salute non permisero al C. di accettare l'invito rivoltogli dal Mancini nel 1883 per una missione diplomatica in Cile.
Costretto progressivamente a disertare i lavori parlamentari, il C. trascorse gli ultimi anni tra gli studi e gli affetti familiari. Morì a Genova il 2 apr. 1888.
Fonti e Bibl.: La biografia di F. Ridella (La vita e i tempi di C. C., Genova 1923), esaurientissima seppure limitata dalla impostazione agiografica, pubblica un gran numero di fonti, a integrare le quali si possono citare, tra quelle inedite, alcune lettere custodite presso il Museo centrale del Risorgimento (b. 175, c. 35 e b. 688, cc. 2 e 3, insieme con la già citata b. 672, c. 41) e il fascicolo conservato all'Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione,Personale,ad nomen, contenente documenti sulla carriera universitaria e 9 lettere. Tra le fonti edite, si vedano Atti del Parlamento Subalpino, a cura di P. Trompeo, Camera,Discussioni, legislature IV, V e VII, ad Indices, e Atti parlamentari,Senato,Discussioni, legislature XI-XVI, ad Indices; gliarticoli di G. P. Clerici, Una bella raccolta inedita di lettere giordaniane e Nuove lettere giordaniane, entrambi in Nuova antologia, 16 giugno 1916, pp. 399-414, e 16 febbr. 1917, pp. 434-463; F. Guardione, Pietro Giordani e il Risorgimento italiano, in Rass. stor. d. Ris., XV (1928), pp. 239-320, passim (lettere a G. P. Vieusseux); A. Luzio, I carteggi cavouriani…, L'avvocato C. a Cavour, in Nuova antologia, 16 genn. 1930, pp. 158-169; Epistolario di Carlo Cattaneo, a cura di R. Caddeo, I-IV, Firenze 1949-56, ad Indicem; Le carte di Agostino Bertani, Milano 1962, ad Indicem. Per aspetti particolari della vita del C. si vedano: sull'adolescenza, A. Codignola, La giovinezza di Mazzini, Firenze 1926, ad Indicem;sulla difesa di G. Thappaz e A. Orsini, G. Faldella, I fratelli Ruffini. Storia della Giovine Italia, Torino 1895-97, pp. 650-652, 679, e A. Luzio, Carlo Alberto e Giuseppe Mazzini, Torino 1923, pp. 147, 203-205; sull'espulsione da Piacenza, E. Passamonti, Nuova luce sui processi del 1833 in Piemonte, Firenze 1930, p. 415; sui rapporti con Vieusseux R. Ciampini, Gian Pietro Vieusseux..., Torino 1953, ad Indicem;sulla attività politica dal 1849 al 1860, L'emigrazione politica dal 1849al 1857,Fonti e memorie, I-III, Modena 1957, ad Indicem;B. Montale, Antonio Mosto. Battaglie e cospirazioni mazziniane (1848-1870), Pisa 1960, ad Indicem;G. Oreste, Note per uno studio dell'opinione pubblica in Genova,1853-60, in Genova e l'impresa dei Mille, Roma 1961, I, pp. 72, 76, 106, 112, 114 s.; G. Talamo, La formazione politica di A. Depretis, Milano 1970; sulla sconfitta elettorale del 1861, E. Morelli, L'opera politica di Nino Bixiò, Roma 1967, pp. 119-121 (dispensa universitaria); sulla sua opera di deputato, C. Benso di Cavour, Discorsi parlamentari, I-II, ad Indices, e G. Sardo, Storia del Parlamento italiano, Palermo 1963, II-IV, ad Indices. Notizie generali, infine, si leggono in P. E. Bensa, Biografia e commemorazione di C. C., in Annuario della R. Università di Genova, Genova 1889-90, pp. 105-120; in Diz. d. Risorgimento naz., II, ad nomen, e in F. Ercole, Gli uomini politici, I, Roma 1941, ad vocem.