COCCHI, Cesare
Nacque a Firenze il 13 nov. 1893 da Guglielmo e da Augusta Castelli. Compiuti gli studi secondari, si iscrisse alla facoltà di medicina e chirurgia dell'allora R. Istituto superiore di studi pratici e di perfezionamento (dal 1924 università) di Firenze. Studente del secondo anno allo scoppio della prima guerra mondiale, venne chiamato alle armi nell'agosto 1915: prestò inizialmente servizio come soldato portaferiti, quindi divenne ufficiale di sanità presso il 7º reggimento bersaglieri, ricevendo la croce di guerra per il suo comportamento al fronte.
Laureatosi in medicina e chirurgia a pieni voti nel marzo 1920, iniziò la sua carriera universitaria presso la clinica pediatrica fiorentina, diretta da C. Comba: allievo interno subito dopo la laurea, fu nominato assistente volontario nel 1922, assistente incaricato l'anno seguente, assistente ordinario nel 1925. Conseguita la libera docenza in clinica pediatrica il 19 apr. 1928, venne nominato aiuto ordinario presso la clinica pediatrica dell'università di Firenze nel 1931, incarico che conservò fino al 1ºdic. 1937 allorché, avendo vinto il relativo concorso, diventò professore di clinica pediatrica all'università di Sassari. Nel 1939 gli venne affidata la direzione della clinica pediatrica dell'università di Parma e due anni dopo la facoltà di medicina e chirurgia dell'università di Firenze lo chiamò a succedere al suo maestro, C. Comba, nella direzione della clinica pediatrica, allora allogata presso l'ospedale pediatrico A. Meyer.
L'attività scientifica del C. abbracciò numerosi campi della patologia e clinica pediatrica e della puericoltura. Egli fu autore di interessanti ricerche sull'amilasi nella saliva del lattante, sull'importanza biologica dell'irradiazione con raggi ultravioletti del principio antirachitico, sulla terapia medica dell'empiema del lattante mediante introduzione di soluzioni di taurocolato di sodio nel cavo pleurico; e ancora, sulla possibilità di conservare gli alimenti a bassissime temperature, sull'albuminuria e l'ipotensione ortostatiche, sulla paralisi del nervo frenico nel neonato, sul beri-beri, oltre alle ricerche sulle malattie dell'apparato digerente comprendenti quelle sulla terapia della gastroenterite coleriforme e sulla stenosi pilorica del lattante. Un cenno particolare merita un suo studio sull'alimentazione del lattante, recentemente tornato di attualità (Uso del latte umanizzato nell'alimentazione del lattante, in Gazz. san., II [1929], pp. 3-16).
Il nome del C. è legato al trattamento, da lui proposto e attuato, della meningite tubercolare, che gli assicurò prestigio e notorietà internazionali.
La streptomicina, di recente scoperta (A. Schatz-E. S. Bugie-S. A. Waksman, Streptomycin,a substance exhibiting antibiotic activity against Gram-positive and Gram-negative bacteria, in Proc. of the Soc. for exp. Biol. and Med. [New York], LV [1944] pp. 66-69), si era subito rivelata come un mezzo specifico ed efficacissimo nella terapia della tubercolosi (H. C. Hinshaw-W. H. Feldman, Streptomycin in treatment of clinical tubercolosis: preliminary report, in Proceedings of the staff meetings of the Mayo clin., XX [1945], pp. 313-318). Tuttavia i primi risultati ottenuti dal suo impiego nel trattamento della localizzazione meningea dell'affezione si erano rivelati molto poco incoraggianti: infatti l'uso di alte dosi (1-2grammi al giorno) raccomandato da autori americani aveva provocate - specie se ne veniva praticata l'inoculazione endorachidea - gravi alterazioni al sistema nervoso centrale (sordità, cecità, paralisi) e persino la morte dei pazienti, per cui si ventilava l'ipotesi di sospendere o addirittura di vietare l'uso dell'antibiotico. Alla fine del 1946 il C. cominciò a trattare i primi casi di meningite tubercolare all'ospedale Meyer. Persuaso che l'alta tossicità del farmaco dipendesse dall'uso di dosi troppo elevate (0,1 g/kg di peso corporeo pro die per via intramuscolare e 5 mg/kg di peso corporeo pro die per via endorachidea), sulla scorta di dati del Waksman, che dimostravano l'alta sensibilità del bacillo di Koch alla streptomicina, impiegò dosi ridotte, rispettivamente fino a 0,01 g/kg e 1 mg/kg, che triplicava nei lattanti e raddoppiava nei bambini di 2-4 anni. Insisté altresì sull'inefficacia della sola via intramuscolare, prescrivendo punture lombari giornaliere per l'introduzione endorachidea dell'antibiotico, da proseguirsi fino alla guarigione clinica.
Il C., inoltre, mise in evidenza l'importanza della necessità di praticare l'inoculazione della streptomicina a livelli rachidei sempre più alti nei casi accertati di non completa funzionalità della circolazione liquorale e di conseguente impossibilità della diffusione del farmaco, iniettato a livello lombare, negli spazi aracnoidei della volta e della base cranica. Alla fine del 1947 il C. introdusse nella pratica medica e pediatrica la puntura sotto-occipitale, fino ad allora riservata ai chirurghi, che rappresenta la terapia locale più specifica e ad azione più rapida; tale via di inoculazione raccomandò che fosse sempre combinata con la puntura lombare ad azione più lenta, in grado tuttavia di assicurare la diffusione del farmaco dopo l'esaurimento dell'inoculazione sotto-occipitale. Nella successiva evoluzione terapeutica il C. giunse, in caso di grave deficit del circolo liquorale, a iniettare l'antibiotico nei ventricoli cerebrali attraverso le suture ancora pervie del piccolo lattante, o mediante trapanazione del cranio in soggetti più grandi. Il metodo terapeutico introdotto dal C., basato sull'associazione dell'inoculazione giornaliera di streptomicina in piccole dosi per via intramuscolare e per via endorachidea il più vicino possibile alla sede della lesione, conseguì brillanti risultati: la sua rigorosa applicazione permise di ridurre drasticamente la percentuale di morti per meningite tubercolare. Nel periodo 1947-51 i casi trattati dalla clinica pediatrica di Firenze furono oltre 600, con percentuali di guariti che dal 35%, nel 1947 salirono al 71,1% nel 1950 (81% in soggetti di età superiore a quattordici anni).
La gravissima localizzazione dell'infezione tubercolare, così frequente nei bambini, era pertanto divenuta curabile e guaribile alla stregua delle altre meningiti batteriche (Meningite tubercolare, in E. Carlinfanti-F. Magrassi, Trattato delle malattie infettive, III, Napoli 1951-52, pp. 447-476).
I risultati, comunicati dal C. fin dall'ottobre 1947 ai congressi medici (Pisa, Viareggio, Stresa), suscitarono grande speranza, non senza qualche polemica, specie riguardo alle ricadute o alle modalità del trattamento, giudicando i più critici troppo basse le dosi raccomandate. Il C. venne invitato a Parigi, Cuba, Washington; scienziati della fondazione Rockfeller si recarono a Firenze per assistere alla presentazione di casi di malati guariti.
In seguito, l'introduzione del P.A.S. (acido para-aminosalicilico) nel 1948-49 e quella dell'isoniazide nel 1952 consentirono di ampliare ulteriormente i limiti e le possibilità di guarigione completa, senza postumi neurologici, riducendo la stessa durata della malattia.
Il C. dedicò il suo interesse anche alla malattia reumatica, per cui consigliò la terapia antibiotica in associazione con i cortisonici, e, negli ultimi anni, alle possibilità di curare le leucemie.
Nel 1959 venne nominato alto consulente dell'Istituto di medicina preventiva dell'infanzia dell'E.N.P.A.S. (Ente naz. di previdenza e assistenza per i dipendenti statali), per la cui creazione si era tanto adoperato e il cui sviluppo seguì con molta cura. Poco dopo aver lasciato la direzione della clinica pediatrica di Firenze per raggiunti limiti d'età, il C. morì il 12 dic. 1964 nella sua abitazione fiorentina.
L'università di Firenze gli conferì la medaglia d'oro alla memoria.
Fonti e Bibl.: Necrol. in Riv. di clin. ped., LXXV (1965), pp. I-IV; in La Pediatria, LXXII (1964), p. 1382; in Il Lattante, XXXVI (1965), p. 184; V. Monaldi-A. Blasi, Meningiti tubercolari, in F. Magrassi, Trattato di malattie infettive, Napoli 1964, IV, pp. 355-416; P. Prosperi, C.C., in Univ. degli studi di Firenze,Annuario 1964-65, Firenze 1967, pp. 37-39; N. Latronico, Storia della pediatria, Torino 1977, pp. 672-674; Enc. med. it., VI, coll. 539-42 sub voce Meningite tubercolare, Terapia.