FEDERICI, Cesare
Viaggiatore italiano del sec. XVI. Nato a Venezia da famiglia a quel che pare dedita per lunga tradizione ai commerci, prese parte anch'egli per ragioni di mercatura a una spedizione diretta in Oriente nel 1562. Per Cipro e Tripoli di Siria si condusse in Aleppo, e di qui, insieme con una carovana di mercanti armeni, si diresse al Golfo Persico, con l'intenzione di navigare alle Indie Orientali. Visitate Babilonia, Baghdād e Bassora, si fermò alcun tempo in Hormūz, allora centro principale del traffico tra l'Occidente e la Persia. Approdato poi in India, vi percorse gli stabilimenti commerciali di recente fissativi dai Portoghesi, raccogliendo preziose notizie non solo su quanto formava oggetto dei suoi traffici, ma sulle condizioni, i costumi e le abitudini di quei popoli. Fu a Ceylon, e di lì a Sumatra; quindi si portò a Malacca, e, caricata una nave di spezierie, volse al Pegù (la parte meridionale dell'odierna Birmania), dove risalì per circa 200 km. entro terra, per andare a trafficare. Nel 1569, essendo riuscito a raccogliere un buon gruzzolo, si disponeva a rimpatriare, ma varie disavventure lo ridussero a mal partito e gli fecero perdere quasi tutto quello che aveva guadagnato. Senza smarrirsi d'animo, il F. riprese i suoi negozî, tornando una volta ancora al Pegù dove si trattenne fintanto che la sorte gli fu propizia, e poté così rifarsi, diventando anzi più ricco di prima. Messosi quindi in cammino per rientrare per la via di Aleppo, Gerusalemme e Tripoli a Venezia, vi giunse felicemente nel novembre del 1581.
Di questi viaggi il F. ci ha lasciato una relazione che è fra le più interessanti del suo tempo; ricchissima di notizie, rappresenta una fonte di prim'ordine, e come tale ampiamente utilizzata nel sec. XVI e nel successivo; è fresca e colorita, precisa e veritiera come poche, sebbene naturalmente senza alcuna pretesa letteraria. Edita per la prima volta a Venezia da A. Muschio nel 1587, fu tradotta l'anno dipoi in inglese da T. Hitchoock. R. Hakluyt e G.B. Ramusio la compresero nelle loro raccolte; per quest'ultimo però è da vedere l'edizione postuma del 1606 (voll. 3), nella quale figura per la prima volta.