FRESIA, Cesare
, Appartenente a una famiglia originaria di Prazzo, piccolo centro della Val Maira, nacque a Saluzzo, presso Cuneo, intorno al 1570 da Maurizio (morto dopo il 1623) e da Fiorenza Racca.
Il padre, dopo il passaggio del Marchesato di Saluzzo a casa Savoia nel 1601, era entrato al servizio dei Della Chiesa - la più importante famiglia del patriziato saluzzese - e aveva percorso una rapida e brillante carriera in virtù di prestiti al duca Carlo Emanuele I, divenendo gabelliere dei sali negli anni 1604-06. Il 15 dic. 1606, il F. venne nominato "consigliere ricevitore del denaro di S.A. nelle province di Saluzzo, Mondovì, Cuneo e terre al di là de Po". Nel 1607, probabilmente con l'intenzione di provvedere all'appena iniziata carriera del figlio, Maurizio giunse a un accordo con Orlando Fresia di Oddalengo, medico personale di Carlo Emanuele I. Pur non essendo le due famiglie imparentate, egli convinse il Fresia d'Oddalengo ad appoggiare la richiesta d'aggregazione al proprio casato. Il 10 febbr. 1607 il duca concesse pertanto patenti di nobiltà ai Fresia di Prazzo.
Venti giorni dopo la concessione delle patenti, il 30 febbr. 1607, il F. venne nominato tesoriere di Saluzzo e nel 1608 gli fu concessa una pensione di 200 scudi. La vera svolta nella sua carriera avvenne però nel 1614: nominato consigliere mastro uditore nella Camera dei conti, nel marzo di quello stesso anno venne deciso il suo invio a Parigi quale agente del principe di Piemonte Vittorio Amedeo.
L'attività diplomatica costrinse il F. a lasciare la carica di tesoriere di Saluzzo, sebbene questa rimanesse alla sua famiglia: nel 1614 passando al figlio Francesco Vincenzo e poi, dal 1622, al fratello del F., Costanzo.
Giunto nella capitale francese ai primi di maggio, il F. vi si stabilì definitivamente dal 7 luglio. Incaricato d'ottenere informazioni sul partito dei principi e di sondare il terreno in merito alla questione del Monferrato, compì frequenti missioni a Tours presso la reggente Maria de' Medici. Dopo la stipulazione con la Spagna degli accordi di Vercelli (1° dic. 1614) rientrò in Piemonte per un breve periodo e fece ritorno in Francia il 10 genn. 1615. Il rifiuto del governatore di Milano di riconoscere gli accordi di Vercelli, intanto, aveva aperto una fase di convulse trattative fra lo Stato sabaudo e la Francia nelle quali il F. svolse un ruolo importante.
Poiché la sua permanenza all'estero incideva considerevolmente sul patrimonio della famiglia, il 10 dic. 1615 il duca lo nominò presidente della Camera dei conti. In questa stessa data il F. acquistò per 16.000 ducatoni diversi mulini a Dronero nella Val Maira. Così come l'anno precedente, anche nel dicembre 1615 rientrò in Piemonte rimanendovi quasi due mesi.
Tornato in Francia al principio del febbraio 1616, il F. ebbe l'ordine di spostarsi a Loudun ove erano iniziate le conferenze di pace fra la reggente e il principe H. de Condé, e fu rappresentante presso quest'ultimo degli interessi ducali. È da ascrivere a suo merito se negli accordi, raggiunti il 3 maggio, il Condé, in cambio dell'abbandono dell'alleanza con gli ugonotti, pretese l'impegno della reggente per l'esecuzione del trattato di Asti.
Dopo gli accordi di Loudun, tuttavia, la situazione interna francese non accennò a pacificarsi e le nuove istruzioni per il F. (10 ag. 1616) prevedevano che questi convincesse il Condé a non trasferirsi a Parigi e che gli prospettasse due diverse linee di condotta politica: o "muovere di nuovo la guerra in Francia" (ma in realtà sconsigliandolo a far ciò), o patrocinare il matrimonio del principe di Piemonte, Vittorio Amedeo, con una principessa francese (possibilmente Cristina di Francia, sorella di Luigi XIII).
Nonostante i numerosi tentativi operati presso il Condé, il F. non riuscì a convincerlo dell'opportunità di seguire i consigli del duca e altresì di guardarsi dalla reggente e soprattutto dal potente favorito C. Concini. Le preoccupazioni del F. non si dimostrarono eccessive: infatti, poco dopo il suo rientro a corte il Condé fu arrestato. In novembre, mentre l'azione diplomatica sabauda a Parigi presso Luigi XIII era affidata a C. Solaro della Moretta, il F. compì frequenti viaggi a Grenoble, ove era acquartierato il maresciallo Fr. de Bonne, duca di Lesdiguières. Da questo ottenne la duplice promessa di portarsi presto con le armate in Piemonte - al fine di garantire l'esecuzione del trattato di Asti - e d'interporre i suoi buoni uffici per il matrimonio francese del principe Vittorio Amedeo.
Assente da Parigi dal febbraio 1617 (era forse rientrato a Torino), al momento dell'assassinio del Concini (24 aprile) si trovava a Grenoble e tornò nella capitale il 4 maggio. Sebbene la missione ufficiale del F. fosse di ottenere la stipulazione del contratto di matrimonio fra il principe di Piemonte e Cristina di Francia, il suo vero incarico era di tenere i rapporti fra il principe Vittorio Amedeo e l'ex reggente, confinata da Luigi XIII nel castello di Blois.
Gli stretti legami del F. con Maria de' Medici (di cui divenne uno dei confidenti più ascoltati) gli resero in breve ostili tutti i ministri di Luigi XIII, in particolare Ch. de Luynes, e quando - nella notte fra il 21 e il 22 febbr. 1619 - la regina madre fuggì da Blois, essi lo ritennero responsabile dell'accaduto, intimando al duca di Savoia ch'egli fosse richiamato a Torino.
Il 16 giugno il nunzio Guido Bentivoglio scriveva a Roma che la presenza del F. non era più gradita e che si era scritto a Torino perché il duca lo richiamasse. Il nunzio non solo approvava tale posizione, ma definiva il F. "uno spirito fraudolentissimo, di natura pessima e un veleno di questa corte".
Le pressioni esercitate dal Luynes sul conte A. Scaglia di Verrua, ambasciatore sabaudo a Parigi, aumentarono sempre più rendendo la posizione del F. insostenibile. Il 15 febbr. 1620 (la partenza era però già stata annunciata il mese precedente) lasciò Parigi per Torino e, sebbene partendo avesse manifestato l'intenzione di tornare, era opinione diffusa che ciò non sarebbe avvenuto. Nonostante il rientro a Torino, il Luynes non era ancora soddisfatto e nei mesi successivi la posizione del F. s'aggravò.
Il 3 maggio venne imprigionato alla Bastiglia un certo Drion, imputato di aver composto delle satire a stampa contro i favoriti del re. In breve si diffuse la voce che il Drion fosse stato amico del F. e che al momento dell'arresto gli avessero trovato addosso alcune sue lettere. Secondo quanto racconta l'ambasciatore veneto Angelo Contarini, dopo essere stato condannato al supplizio della ruota per ingiurie al sovrano, il Drion aveva confessato di avere scritto le satire su suggerimento del F., il quale gli aveva confidato che a tirare i fili della macchinazione era lo stesso duca di Savoia. Quest'ultimo allora aveva cercato d'intervenire, inviando 100 doppie al conte di Verrua perché corrompesse il segretario incaricato di decifrare i dispacci, ma tutto era stato inutile. Va detto, peraltro - come ha sostenuto anche il Ricotti - che il duca non era affatto privo di responsabilità nella stesura delle satire: il F., in definitiva, costituiva solo l'anello più debole d'una macchinazione che partiva dai vertici dello Stato sabaudo.
L'8 giugno l'ambasciatore francese H. Marossan si recò a Torino per portare al duca la sentenza del Parlamento di Parigi contro il Drion. Sulla base di quella e d'altri documenti (che peraltro si rifiutò di esibire, offrendo solo la parola d'onore del re a garanzia della loro esistenza) chiese che il F. venisse processato. Per dare soddisfazione alle richieste francesi il duca rispose che avrebbe tenuto il F. confinato finché Luigi XIII non avesse risposto alla giustificazione consegnata allo stesso ambasciatore (giustificazione che peraltro questo non volle nemmeno leggere). Nonostante il 30 luglio il Verrua rispondesse punto per punto alle accuse del Drion, la posizione francese fu irremovibile.
A metà agosto giunse a Parigi il conte Solaro della Moretta, il quale venne inviato dal duca di Savoia per cercare un accomodamento. Egli però si scontrò con la determinazione dei "favoriti", in particolare Puysieux, di punire il F. e la sua missione si risolse in un nulla di fatto. Il 23 sett. 1620, infine, giunse a Torino il Lesdiguières che, fra gli scopi della sua missione, aveva quello d'ottenere che il duca punisse esemplarmente il Fresia. Seguirono nuove convulse trattative e alla fine dell'anno il padre G. Monod, inviato in Francia ad affiancare il Verrua, riuscì abilmente a comporre la situazione. Dopo il matrimonio di Vittorio Amedeo con la sorella di Luigi XIII non parve più il caso di insistere su una vicenda che avrebbe potuto colpire il principe.
Cessate le pressioni francesi, il F., che nel frattempo era stato incarcerato, venne dichiarato innocente da un tribunale appositamente convocato. Liberato si ritirò a Saluzzo ove morì poco dopo, il 9 luglio 1621.
Dal matrimonio con Margherita Comba ebbe cinque figli. Delle due femmine, Fiorenza sposò il conte Francesco Tapparelli di Genola e, rimasta vedova nel 1652, si ritirò a Fossano, ove fondò il monastero di S. Chiara. Francesca, la minore, divenne anch'essa monaca. Dei figli maschi, il primogenito Francesco Vincenzo (morto il 24 maggio 1678), proseguì la carriera a corte e, nel 1665, acquistò parte di Genola col titolo comitale. Il secondogenito Carlo abbracciò la carriera delle armi, mentre Cesare, il più giovane, entrato nella Compagnia di Gesù, fu autore di alcuni panegirici, fra cui: Il cielo lagrimante nel funerale del ser. principe Tommaso di Savoia Carignano e Il trionfo delle virtù e delle scienze in Cristina regina di Svezia, entrambi stampati a Torino nel 1656.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Corte, Lettere ministri, Francia, mazzi 14 (1614-15); 15 (1616); 16 (1617); 17 (1618); 18 (1619-20); Negoziazioni, Francia, mazzi 7, inss. 49, 56, 57; 8, inss. 1 e 40; Negoziazioni, Spagna, mazzi 2, ins. 31; Matrimoni, mazzo 26, ins. 2; Ibid., Camera dei conti, PatentiControllo Finanze, regg. 1606 in 1607, 1607 in 1608, 1608 in 1610, 1611 in 1612, 1614, 1614 in 1615 1, 1614 in 1615 2, 1616 in 1617, 1618 in 1619, 1673 in 1674. Sul figlio Francesco Vincenzo: Ibid., Arch. di Corte, Lettere particolari "F", mazzo 62; Ibid., Senato di Piemonte, Testamenti pubblicati, vol. XIII, p. 218 (6 nov. 1676); art. 217, Conti dei tesorieri della Real Casa, reg. 1620. Sulla famiglia (poi Fresia di Oglianico) Roma, Bibl. dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, A. Manno, Il patriziato subalpino (datt.), vol. Ferrau-Fusn, pp. 437-442; E. Stumpo, Finanza e Stato moderno nel Piemonte del Seicento, Roma 1979, p. 195. Alcune notizie sul F., viziate dalle contrapposizioni politiche degli autori, si possono trovare nelle relazioni e nei dispacci degli ambasciatori a Parigi di altri Stati italiani, in particolare: La nunziatura di Francia del cardinal G. Bentivoglio… Lettere a Scipione Borghese tratte dagli originali…, a cura di L. De Steffani, I-IV, Firenze 1863-70, e A. Contarini, in Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, VI, Francia, a cura di L. Firpo, Torino 1975, pp. 126 s. Si vedano inoltre: D. Carutti, Storia della diplomazia della corte di Savoia, II, Torino 1876, pp. 175, 188, 227 s.; E. Ricotti, Storia della monarchia piemontese, IV, Firenze 1865, pp. 48 s., 68, 85 s., 96 s., 141, 153 s., 159; G. Claretta, Storia della reggenza di Cristina di Francia, I, Torino 1868, p. 6; M. Rossi, La politica di Carlo Emanuele I all'inizio della guerra dei trent'anni (secondo docum. ined.), in Nuova Riv. stor., XX (1936), pp. 467-500.