GIARRATANO, Cesare
Nacque a Popoli (Pescara) il 24 luglio 1880 da Salvatore e da Ida Carradori.
La famiglia doveva essere agiata, perché risulta che una certa larghezza di mezzi consentiva al G. di soddisfare la sua passione per i libri e per le ricerche senza troppo impegnarsi nella carriera.
Nulla si sa dei primi studi, salvo che egli svolse una parte di quelli medi nel liceo Machiavelli di Lucca. In seguito si iscrisse all'Università di Napoli, nella facoltà di lettere e filosofia.
Qui ebbe come maestri B. Zumbini per la letteratura italiana, M. Kerbaker per la storia comparata delle lingue classiche, F. D'Ovidio per la storia comparata delle lingue e letterature neolatine, G. De Petra per l'archeologia, e F. Masci per la filosofia teoretica, tutti docenti qualificati nei loro ambiti, ma non specificamente versati agli studi di filologia classica, cui si volgevano già da allora gli interessi preminenti del Giarratano. Il suo principale referente in questa fase degli studi fu E. Cocchia, professore di letteratura latina, uomo di vasta cultura, ma anch'egli inadatto a fornire un insegnamento propriamente indirizzato alla filologia. Per lui il G. concepì un affetto e una riconoscenza che si protrassero negli anni, sebbene della ricca produzione del Cocchia non si riscontri neppure la più piccola influenza sui lavori del G., a parte l'argomento della tesi di laurea discussa nel 1903, "De vita et scriptis Valerii Flacci", giudicata, peraltro, dalla critica "tenue cosa".
Sempre nel 1903, a dimostrazione di una formazione più avanzata e di un ampliamento d'interessi, il G. diede alle stampe a Napoli un lavoro di storia della filosofia (sul quale aleggia l'influsso del Masci), Il pensiero di Francesco Sanchez, in cui già si affaccia quell'indipendenza di spirito che doveva poi sempre mantenere. Un successivo saggio su ciò che resta dell'opera di Ermesianatte (Fragmenta, Palermo 1905) fornisce solo un esempio di ottimo stile latino, mentre già in altre opere giovanili compaiono l'inclinazione forte del G. all'esame critico dei testi, il raro spirito analitico, la coscienziosa scrupolosità nel lavoro e nella ricerca del particolare minuzioso (a volte perfino eccessiva, come nell'edizione del poema di Valerio Flacco, Argonauticon libri octo, ibid. 1904).
Negli anni successivi vi fu una pressoché totale interruzione delle pubblicazioni, dovuta in principio alla preparazione al concorso per l'insegnamento del latino e del greco, quindi ai primi impegni didattici. Iniziò come professore nel liceo-ginnasio di Cosenza, per passare al liceo Umberto I di Palermo e, infine, al Machiavelli di Lucca, dove egli stesso aveva studiato. Dal 1916 cominciò per lui in Toscana un periodo di più qualificata, organizzata e disciplinata attività scientifica: il tranquillo ambiente lucchese, la vicinanza di Pisa e Firenze, con le loro istituzioni, gli archivi e le biblioteche che offrivano tanto materiale per gli studi di filologia classica (cui il G. si era ormai seriamente dedicato), rappresentavano le circostanze ideali per un proficuo lavoro.
Già dal 1920, per il suo lavoro sull'opera di Asconio Pediano (Commentarii, Roma 1920, rielaborazione di alcuni studi giovanili), egli poté servirsi dei codici fiorentini; divenne quindi uno zelante e assiduo ricercatore e raccoglitore dei testi e delle varianti delle opere di Apicio (C. Apicii librorum X qui dicuntur "De re coquinaria" quae extant, Lipsiae 1922, per il quale ebbe l'onore di collaborare col celebre F. Vollmer), e di quelle di Calpurnio e Nemesiano (T. Calpurnii et A. Nemesiani Bucolica, Einsidlensia quae dicuntur carmina adiecit, Augustae Taurinorum 1924 - nuova ediz. di quella da lui precedentemente pubblicata, Neapoli 1910), delle quali riuscì anche a ottenere prestiti di codici da altri archivi e biblioteche italiane e straniere. Contemporaneamente, però, egli aveva pubblicato anche testi collegati alla sua attività d'insegnamento: traduzioni e commenti di molti autori classici, specialmente di Tacito, da lui prediletto.
Il G. ottenne abbastanza tardi riconoscimenti accademici, dopo aver conseguito nel 1926 a Pisa la libera docenza, mentre già insegnava al liceo Galilei di quella città. Nel 1927 venne nominato professore straordinario di letteratura latina nell'Università di Cagliari, dove peraltro rimase per un solo anno accademico, perché già nel successivo 1927-28 fu chiamato a succedere a V. Ussani sulla cattedra della stessa disciplina presso la facoltà di lettere dell'Università di Pisa.
In questa fase la sua produzione rimane legata all'insegnamento con l'illustrazione dei giambi di Orazio (Il libro degli Epodi, Torino 1930), dove profuse un suo personale contributo esegetico; seguirono due manuali, una grammatica e una sintassi latine (Grammatica latina ad uso delle scuole medie, e Sintassi latina ad uso delle scuole medie, ambedue Firenze 1933, con varie riedizioni) in cui, rifuggendo dall'uso corrente di fornire testi "facili", segue una linea di rigorosa precisione, "dimostrando una penetrazione non comune dei fatti grammaticali nella loro definizione teoretica e nella loro evoluzione storica" (Mancini, p. III). Lavorò anche per anni a un suo vocabolario della lingua latina, che però non risulta aver mai visto la luce. "Tutta l'attività del Giarratano, salda tempra di filologo, muove dallo studio dei testi ed in esso si risolve; tutte le sue edizioni hanno il pregio della diligenza e della disciplina metodica: la ricostruzione della tradizione è fatta per quanto possibile con ogni cura, e lo spoglio delle varianti tradizionali e degli emendamenti può dirsi completo, talora forse anche superiore all'utilità" (ibid.); assai raramente egli azzarda congetture personali, e rari sono i suoi personali contributi alla emendatio, sottoponendo però anche testi già codificati da studiosi illustri a una nuova analisi de integro.
Nell'Università di Pisa rimase come professore fuori ruolo, amato dagli studenti per la sua disponibilità, fino al pensionamento avvenuto nel 1950. Era stato attivo collaboratore della collezione curata da E. Bignone "Problemi e orientamenti critici di lingua e di letteratura classica" e degli "Studi italiani di filologia classica" di G. Vitelli.
Già socio ordinario dell'Accademia di Lucca e socio corrispondente dell'Istituto lombardo di scienze, lettere ed arti, il 15 luglio 1948 fu accolto come socio corrispondente all'Accademia nazionale dei Lincei, nella classe di scienze morali, storiche e filologiche. Fu anche direttore dell'Istituto di filologia classica di Pisa, e nel 1942 ricevette un premio dall'Accademia d'Italia. Collaborò sin dal primo volume (fino alla Prima Appendice) alla Enciclopedia Italiana con voci di letteratura latina.
Non esiste una bibliografia delle numerosissime pubblicazioni del G.; si fornisce qui di seguito un elenco di quanto si è potuto reperire dei lavori da lui editi, annotati e curati: De M. Valerii Martialis re metrica, Neapoli 1903; Tirteo e i suoi carmi, ibid. 1905; Commentationes Dracontianae, ibid. 1906; Due codici di Asconio Pediano, il Forteguerri e il madrileno, Firenze 1906; I codici fiorentini di Asconio Pediano, ibid. 1906; Il codice fabroniano di Asconio Pediano, Torino 1906; B.E. Draconzio, Orestes, Palermo 1906; M.T. Cicerone, Orazione in difesa di T. Annio Milone, Milano 1906; P.C. Tacito, Gli annali. Libro I, Città di Castello 1914; Id., La Germania, Palermo 1914; Asconio Q. Pediano, Commentarii, Romae 1920; P.C. Tacito, Opere minori (Dialogo degli oratori, Vita di Agricola, Germania), Firenze 1922; Plutarco, Temistocle e Camillo, Bologna 1924; P.C. Tacito, Le storie, Firenze 1929; L. Apuleio, Metamorphoseon libri XI, Augustae Taurinorum 1929; L'undecimo libro dell'Eneide, in Studi virgiliani, II (1932), pp. 255-282; T. Livio, Ab urbe condita libri XLI-XLV, Romae 1933; Fabio, Marcello e Scipione secondo Livio, in G.M. Columba et alii, Studi Liviani, Roma 1934, pp. 159-183; T. Petronio Arbitro, Cena Trimalchionis, Pisis 1937; P.C. Tacito, Historiarum libri I-V, Romae 1939; Apuleio, Cupido e Psiche, Roma 1942; M.V. Marziale, Epigrammaton libri XIV, Augustae Taurinorum 1944 (le edizioni parziali erano uscite a partire dal 1920). Fu inoltre curatore di alcuni dialoghi platonici: Timeo. Crizia. Minosse, Bari 1918.
Il G. diede alle stampe anche due saggi sugli autori romani da lui prediletti: Tito Livio, Roma 1937 (2ª ediz., con prefazione di V. Ussani, ibid. 1943), e Cornelio Tacito, ibid. 1941.
Il G. morì a Lucca il 9 luglio 1953.
Fonti e Bibl.: Necr. in Annuario dell'Università degli studi di Pisa per l'a.a. 1952-53, p. 615 (v. anche pp. 56, 61, 138); Atti dell'Accademia nazionale dei Lincei - Rendiconti della classe di scienze morali, storiche e filologiche - Appendici - Necrologi dei soci defunti nel decennio 1945-55, fasc. II, Roma 1957; J. Marouzeau, Dix années de bibliographie classique… 1914-24, Paris 1927-28, I, pp. 20 bis, 46, 240, 285, 367; II, pp. 652, 721; A. Mancini, C. G., in Annali della Scuola normale superiore di Pisa - Lettere, storia, filosofia, s. 2, XXIII (1954), 1-2, pp. I-IV; F. Giordano, Filologi e fascismo. Gli studi di letteratura latina nell'"Enciclopedia Italiana", Palermo 1993, ad ind.; Annuario dell'Accademia nazionale dei Lincei, Roma 1996, p. 352; Chi è? 1931, e 1945, s.v.; Dizionario enciclopedico italiano, V, p. 359; British Museum general catalogue - Compact edition, X, pp. 444 s.