Cesare L. Musatti
Cesare Musatti è stato l’esponente più rappresentativo della psicologia e della psicoanalisi italiana. Nel corso della sua lunga vita egli poté partecipare personalmente all’evoluzione di queste discipline in un contesto storico e ideologico che le aveva ostacolate durante il primo Novecento, partecipando poi attivamente, nel secondo dopoguerra, alla loro ripresa e diffusione sia come docente universitario sia come didatta di molti futuri psicoanalisti. Musatti fu uno studioso impegnato nella vita politica e uno scrittore brillante, un fine interprete delle arti visive e del cinema.
Cesare (Luigi Eugenio) Musatti nacque a Mira presso Dolo (Venezia) il 21 settembre 1897. Il padre, Elia, appartenente a una delle più importanti famiglie ebree di Venezia, era un avvocato, primo deputato socialista della regione, eletto dal 1909 al 1929. La madre, Emma Leanza, napoletana, era cattolica non praticante. Dopo aver studiato a casa sotto la guida della madre, nel 1907 entrò al liceo Foscarini di Venezia, diplomandosi nel 1915. Si iscrisse quindi alla facoltà di Scienze dell’Università di Padova per dedicarsi alla matematica. Tuttavia trovò più interessanti le lezioni del corso di filosofia teoretica tenuto da Antonio Aliotta (1881-1964), centrato sui problemi epistemologici della psicologia (Aliotta si era formato a Firenze nel Laboratorio di psicologia sperimentale fondato da Francesco De Sarlo).
Nel 1916 Musatti interruppe gli studi per assolvere al servizio militare e partire per il fronte. Al ritorno dalla guerra, Aliotta gli consigliò di spostarsi dalla matematica alla filosofia e gli assegnò la tesi di laurea sull’argomento Geometrie non-euclidee e problema della conoscenza. Dopo il trasferimento di Aliotta all’Università di Napoli nel 1919, Musatti fu seguito ai fini del conseguimento della laurea da Vittorio Benussi (1878-1927), al quale era stato assegnato l’insegnamento di psicologia sperimentale in quello stesso anno. Musatti, dopo essersi laureato il 3 novembre 1921, seguì le lezioni di Benussi che, nel frattempo, oltre a proseguire le sue ricerche sulla percezione, stava studiando i principi della psicoanalisi in un’ottica sperimentale. Dopo il suicidio di Benussi (24 novembre 1927), fu affidato a Musatti, che nel frattempo ne era divenuto uno stretto collaboratore, il compito di dirigere l’Istituto di psicologia di Padova.
Negli anni Trenta egli si dedicò sia alla sperimentazione sui fenomeni percettivi nella prospettiva gestaltista, sia all’approfondimento della teoria psicoanalitica. A seguito delle leggi razziali del 1938, dovette lasciare l’insegnamento universitario e passare all’insegnamento nei licei, da ultimo al Parini di Milano.
Scoppiata la Seconda guerra mondiale, fu richiamato per un breve periodo sul fronte. Rientrato a Milano, per sfuggire alla persecuzione razziale dovette rifugiarsi a Ivrea, presso la fabbrica Olivetti, di cui conosceva il direttore Adriano Olivetti, e presso la quale avviò un Centro di psicologia. Finita la guerra, nel 1947 ottenne la cattedra di psicologia all’Università statale di Milano, dove insegnò fino al 1967. Riprese anche l’attività politica prima nel Partito socialista, poi nel Partito socialista italiano di unità proletaria.
Nell’ultimo decennio della sua vita (morì a Milano il 20 marzo 1989), si dedicò alla scrittura di testi letterari, in cui le sue riflessioni sociali e politiche si intrecciano con le sue esperienze di profondo studioso della psiche umana. Una di queste opere, Il pronipote di Giulio Cesare (1979), vinse il premio Viareggio.
Con una piena consapevolezza dei problemi epistemologici della scienza moderna, maturata nel corso della preparazione della sua tesi di laurea sulle geometrie non euclidee e con lo studio della teoria della relatività di Albert Einstein (Reichmann 1998), Musatti affrontò nel 1924, nel suo articolo La psicologia come scienza, un problema che era allora dibattuto tra i filosofi e gli psicologi. Egli distinse tra «valore» della conoscenza scientifica, una questione propria della filosofia, e il fine conoscitivo della scienza stessa che consiste in una organizzazione in schemi razionali della realtà fenomenica assunta come oggetto di pensiero […], ma così assunta solo in via metodologica, senza che sussista la necessità di affermare quella realtà come oggetto in senso ontologico, e senza che sia necessaria cioè una posizione di realismo definitivo ed assoluto, ossia filosofico (La psicologia come scienza, 1924, p. 19).
Secondo questo tipo di impostazione, continuava, di conseguenza la psicologia come scienza […] si accontenta di constatare la sussistenza di rapporti di funzionalità fra determinati fatti fisici e determinate modificazioni di coscienza, ed a determinare quei singoli rapporti (come ad esempio in tutta la psicologia della percezione) senza per altri porsi il problema (filosofico) della natura dei fatti psichici in confronto di quelli fisici, e della natura del rapporto fra questi e quelli (p. 20).
La psicologia doveva essere una «pura fenomenologia dei fatti di coscienza», senza aspirare a costituire il fondamento dell’indagine filosofica sull’oggettività o il valore della conoscenza, come era stato, per es., nelle intenzioni di De Sarlo, suscitando le reazioni critiche di Benedetto Croce nel 1907. Musatti concludeva che, da una parte, «un filosofo quindi che affermasse la sua filosofia come fondata sulla scienza [in questo caso, la psicologia], sarebbe vittima di un’illusione» e, dall’altra, per lo psicologo sarebbe stato altrettanto illusorio ritenere che essendo naturalmente quegli che fa la filosofia, e in generale che conosce, un soggetto cosciente, l’analisi delle forme della coscienza possa portar luce su quel filosofare e su quel conoscere, e quindi fornire elementi alla risoluzione del problema della conoscenza: giacché il soggetto cosciente è presupposto anche dalla psicologia (pp. 20 e 21).
Nel libro Analisi del concetto di realtà empirica (1926) Musatti precisò ulteriormente l’ambito di indagine della psicologia rispetto a quello proprio delle altre scienze: il primo relativo alla realtà interna, e il secondo alla realtà esterna al soggetto. Per entrambi i tipi di indagine egli distinse quattro forme del «processo razionalizzatore della molteplicità fenomenica» dei dati empirici, da quelli frammentati della vita quotidiana fino ai dati organizzati in una «realtà ordinata», qual è quella descritta e studiata dalla scienza.
Musatti svolse le prime ricerche sperimentali nel settore della percezione, il processo psichico a cui il suo maestro Benussi aveva dedicato gran parte della propria opera. Nella comunicazione al congresso nazionale di psicologia del 1923 a Firenze, Musatti illustrò i suoi esperimenti sui fenomeni stereocinetici (osservati quando un oggetto bidimensionale, come un disco su cui sono disegnati punti, linee o figure piane, una volta messo in movimento, produce la percezione di oggetti tridimensionali). Rispetto a Benussi, che aveva sostanzialmente aderito alla «teoria degli oggetti» (Gegenstandtheorie) di Alexius von Meinong (1853-1920), nella quale si distingueva tra oggetti di ordine inferiore costituiti dai dati sensoriali e oggetti di ordine superiore costituiti da «complessi» e «relazioni», nelle sue interpretazioni Musatti introdusse i principi della «teoria della forma» (Gestalttheorie) elaborata a partire dagli anni Dieci del Novecento da Max Wertheimer, Wolfgang Köhler e Kurt Koffka. In questa nuova prospettiva la produzione del mondo fenomenico (ciò che è percepito senza una mediazione introspettiva o riflessiva) è immediata, senza una differenziazione tra piani sensoriali e cognitivi. Tuttavia Musatti sostenne che nella formazione del percetto intervenivano anche «fattori empirici» legati all’esperienza passata individuale, intesi come sistemi che agiscono direttamente al livello del processo di strutturazione e non si sovrappongono «in un secondo tempo sulla base di un campo percettivo già formato per l’azione di quegli altri e primitivi fattori naturali» descritti dalla teoria della forma (Forma e assimilazione, 1931, poi in Condizioni dell’esperienza e fondazione della psicologia, 1964, p. 227).
Nel 1931 Musatti pubblicò il libro Elementi di psicologia della testimonianza, derivato da un corso tenuto su invito dell’eminente giurista e avvocato Francesco Carnelutti (1879-1965), professore nell’Università di Padova. Musatti illustrò tutti i tipi di variabili che possono invalidare la testimonianza, dalle distorsioni della percezione alle deformazioni della memoria e alle influenze emotive. Si trattava di un argomento che era già stato trattato da vari psicologi, tra cui Benussi e Wertheimer, perché oltre alle implicazioni giudiziarie metteva in evidenza i problemi metodologici della stessa ricerca sperimentale in psicologia.
A metà degli anni Quaranta, Musatti si interessò anche di psicologia del lavoro, dirigendo il Centro di psicologia fondato da Olivetti nel suo complesso industriale di Ivrea. La collaborazione di Musatti durò pochi anni, ma contribuì allo sviluppo di uno dei più importanti gruppi italiani di ricerca psicologica nel campo del lavoro. I risultati di queste ricerche, comprese quelle cui partecipò lo stesso Musatti, furono pubblicati solo nel 1980.
Insediatosi sulla cattedra di psicologia alla Statale di Milano, Musatti organizzò un laboratorio di psicologia sperimentale, coadiuvato da numerosi allievi, e riprese la sperimentazione sulla percezione, concentrandosi sui fenomeni del contrasto simultaneo, della costanza cromatica e della stereocinesi. Nell’ultima parte della sua vita dedicò molti saggi anche alle arti visive e in particolare al cinema, sia come fenomeno percettivo, sia come strumento di evasione e identificazione da parte dello spettatore.
Anche l’interesse per la psicoanalisi prese avvio dai lavori di Benussi sulla suggestione, l’ipnosi e la stessa teoria freudiana. Tuttavia Musatti ampliò il progetto del maestro sotto due aspetti principali: in primo luogo, uno studio completo e sistematico di tutta l’opera freudiana, dalle tecniche di indagine alla metapsicologia; in secondo luogo, un confronto e un’integrazione con i principi e i concetti di altre teorie psicologiche contemporanee. Questo approfondimento fu svolto in occasione delle lezioni sulla psicoanalisi tenute a Padova negli anni 1933-34 e 1934-35, trascritte in due dispense pubblicate nel 1934 e nel 1935, e si tradusse anche in un paio di saggi sulla funzione del sogno e sul simbolismo onirico, apparsi nel 1933 e 1936. Le dispense furono riviste e completate per costituire il grande Trattato di psicanalisi, uscito in 2 volumi nel 1949 (il termine psicanalisi fu modificato in psicoanalisi nelle edizioni successive).
Articolato in sei sezioni (Le origini della psicoanalisi, La teoria psicoanalitica del sogno, Le disfunzioni momentanee della vita comune, I prodotti della fantasia e le raffigurazioni dell’arte, La dottrina degli istinti, La struttura della personalità umana), il Trattato esponeva la teoria psicoanalitica con grande rigore, integrando il pensiero di Sigmund Freud (tutti i testi freudiani furono tradotti dallo stesso Musatti dalle edizioni originali tedesche) con il materiale proveniente dalla propria esperienza analitica. Quest’opera diventò il testo di riferimento della psicoanalisi italiana e consacrò Musatti come il suo leader (nel 1946 aveva ricostituito la Società psicoanalitica italiana di cui divenne presidente, e nel 1955 fece riprendere la pubblicazione della «Rivista di psicoanalisi», soppressa dalle autorità fasciste nel 1934).
A metà degli anni Sessanta, Musatti intraprese l’edizione delle Opere di Freud, orientandone e rivedendone le traduzioni (si impose così una terminologia in parte nuova per la letteratura psicoanalitica italiana) e curando le introduzioni storiche a ciascun volume (il primo volume uscì nel 1967, il dodicesimo e ultimo nel 1980).
Va considerato, infine, un aspetto caratteristico della produzione di Musatti: la sua difesa della psicologia e della psicoanalisi dai ripetuti attacchi provenienti da vari ambienti culturali, scientifici e ideologici sia in Italia sia all’estero.
La prima polemica scoppiò nel secondo dopoguerra, proprio quando si auspicava una ripresa delle scienze psicologiche. Il filosofo Antonio Banfi (1886-1957), uno degli intellettuali più autorevoli del Partito comunista, scrisse un articolo nell’edizione milanese dell’«Unità» (3 agosto 1950), intitolato Psicologia in guardia!, in cui si sosteneva che la psicologia e la psicoanalisi pretendevano infondatamente di essere delle scienze, mentre non erano che l’espressione della società borghese che di esse si avvaleva per mascherare pseudoscientificamente il controllo esercitato sulla psiche individuale (con il fine di «oscurare i veri obiettivi […] e sottrarli al giudizio etico-storico e ad una concreta reazione pratica»).
Musatti rispose subito con l’articolo In guardia?, rivendicando l’autonomia della psicologia da ogni vincolo di natura ideologica e politica: gli psicologi sono uomini, vivono nell’età loro e sono quindi dominati da certi interessi spirituali che sono in stretta relazione col divenire del mondo […]; niente dunque torre eburnea degli scienziati, che dall’alto e dal chiuso del loro castello, estraniati dai problemi e dalle lotte che dilaniano il mondo, enunciano una verità valevole in eterno. Ma neppure una scienza fascista, o cristiana, o liberale, o socialista; e neanche borghese o proletaria (In guardia?, «Psiche», 1950, 3, p. 530).
Il dibattito continuò tra il 1956 e il 1957 su «Rinascita», la rivista del Partito comunista, e su «Società», un altro periodico espressione della cultura comunista e di sinistra. Mentre Banfi non aveva contrapposto alla psicoanalisi altre teorie psicologiche, lo psichiatra comunista Felice Piersanti presentò la psicologia di indirizzo pavloviano, praticata nei laboratori sovietici, come l’approccio che rispondeva ai canoni della scientificità nello studio dei processi psichici umani. Musatti replicò insistendo sulla necessità di scindere la componente scientifica da quella ideologica nella valutazione della psicoanalisi. In quest’ottica ogni giudizio sulla scientificità della psicoanalisi doveva essere avanzato da studiosi competenti della materia e non essere l’appannaggio di filosofi, politici o medici che non ne avessero una conoscenza diretta e adeguata.
L’altra nota discussione in difesa della psicoanalisi si aprì nel 1959 sulla «Rivista di psicoanalisi», quando vi fu tradotto un articolo del neurologo e psichiatra Filipp V. Bassin (1905-1992), La teoria di Freud alla luce delle attuali discussioni scientifiche, seguito dalla replica di Musatti. Bassin sostenne che lo studio dei processi psichici inconsci poteva essere condotto con criteri scientifici integrando i principi e i metodi della scuola pavloviana con i concetti della scuola georgiana di psicologia, fondata da Dmitrij N. Uznadze (1886-1950), relativi al ruolo di un’organizzazione inconscia che guida il comportamento umano (una nozione vicina a ciò che attualmente è denominato inconscio cognitivo).
Musatti fu più generoso nei confronti di Bassin rispetto ai colleghi italiani conoscendo le difficoltà che poteva incontrare uno studioso sovietico interessato alla psicoanalisi in quegli anni, ma non poté non mettere in evidenza che a tutte le teorie alternative proposte (e questo rilievo avrebbe riguardato anche i critici connazionali) sfuggiva la centralità della dinamica relazionale posta in evidenza da Freud sia nello sviluppo psichico infantile, sia nel rapporto analista-paziente.
A un livello di maggiore complessità teorica si pose infine la discussione nel 1950 tra Agostino Gemelli e Musatti, tra il padre francescano e l’intellettuale laico, sulla libertà dell’uomo conquistata per il primo attraverso il cammino spirituale verso l’Altro da sé, e per il secondo tramite il personale scavo interiore nella propria anima. Gemelli sostenne che la psicoanalisi deresponsabilizzava l’individuo rispetto al suo comportamento perché lo si concepiva come determinato da pulsioni incontrollabili, negando così che l’individuo fosse libero di pianificare e governare le proprie azioni. Musatti sostenne invece che proprio nel riconoscimento dell’inevitabile dialettica tra la servitù dello spirito e la coscienza dei suoi vincoli si riaffermava la libertà, ciò che costituisce l’«essenza umana»:
Sì, noi siamo fragili ed in balia delle cose, e i fili che guidano i nostri atti sono tenuti da mani altrui; consumiamo la nostra vita a perseguire fini che ci sembrano grandi e santi e liberamente eletti, e scopriamo che oscuri fattori agiscono in noi e ci guidano nella scelta di quei fini; ci esaltiamo e ci disperiamo, e dobbiamo riconoscere che nella nostra esaltazione e disperazione non facciamo che eseguire un comando che ci proviene da quella che è la nostra natura, quella nostra natura che noi stessi dobbiamo subire. Ma siamo pur sempre consapevoli. Se la nostra vita interiore si risolve in un gioco di forze naturali, noi siamo tuttavia gli spettatori di tale gioco; e fuori da quel gioco c’è ancora posto per noi; e la nostra essenza, ciò che propriamente siamo, risiede in questo esser fuori da quel gioco, e cioè nella nostra soggettività (Libertà e servitù dello spirito, 1971, pp. 19-20).
La psicologia come scienza, «Rivista di psicologia», 1924, 20, pp. 15-22.
Sui fenomeni stereocinetici, «Archivio italiano di psicologia», 1924, 3, 2, pp. 105-20.
Analisi del concetto di realtà empirica, Città di Castello 1926 (rist. in Condizioni dell’esperienza e fondazione della psicologia, Firenze 1964, pp. 13-175).
Funzione logica dell’irrazionale, «Logos», 1927, 10, 4, pp. 3-36 (rist. in Condizioni dell’esperienza e fondazione della psicologia, Firenze 1964, pp. 179-212).
La psicologia della forma, «Rivista di filosofia», 1929, 4, pp. 329-57.
Elementi di psicologia della testimonianza, prefazione di F. Carnelutti, Padova 1931, Milano 1991.
Forma e assimilazione (Contributo alla teoria della percezione), «Archivio italiano di psicologia», 1931, 9, 1-2, pp. 61-156 (rist. in Condizioni dell’esperienza e fondazione della psicologia, Firenze 1964, pp. 213-69).
Elementi di psicologia della forma, Padova 1938.
Freud, Firenze 1949, Torino 1959.
Trattato di psicanalisi, 2 voll., Torino 1949 (con il titolo Trattato di psicoanalisi nelle edizioni successive).
In guardia?, «Psiche», 1950, 3, pp. 530-47 (rist. in Psicoanalisi e vita contemporanea, Torino 1960, pp. 125-43).
La stereocinesi e il problema della struttura dello spazio visibile, «Rivista di psicologia», 1955, 40, 2, pp. 3-57 (rist. in «Rivista di psicologia», nuova serie, 1989, 74, 2, pp. 32-80).
Paesi del socialismo e problemi della democrazia, Firenze 1957.
Psicoanalisi e vita contemporanea, Torino 1960.
Condizioni dell’esperienza e fondazione della psicologia, Firenze 1964.
Libertà e servitù dello spirito, Torino 1971.
Riflessioni sul pensiero psicoanalitico e incursioni nel mondo delle immagini, Torino 1976.
Il pronipote di Giulio Cesare, Mondadori 1979.
C. Musatti, G. Baussano, F. Novara, R.A. Rozzi, Psicologi in fabbrica. La psicologia del lavoro negli stabilimenti Olivetti, Torino 1980.
Mia sorella gemella la psicoanalisi, Roma 1982.
Questa notte ho fatto un sogno, Roma 1983.
I girasoli, Roma 1984.
Chi ha paura del lupo cattivo?, Roma 1987.
Curar nevrotici con la propria autoanalisi, Roma 1987.
Leggere Freud, Torino 1989 (raccolta delle introduzioni ai 12 volumi delle Opere di S. Freud).
Ebraismo e psicoanalisi. Il pensiero politico sociale di Freud, Pordenone 1994.
Uno psicoanalista fuori dalle regole, Roma-Bari 1997.
Scritti sul cinema, a cura di D.F. Romano, Torino 2000.
Sulla psicoanalisi, a cura di A. Ferruta e M. Monguzzi, Torino 2012.
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Cesare Musatti, commemorazione tenuta il 15 aprile 1989 da E. Funari e A.A. Semi, Venezia 1989.
Dal mondo fantasmatico al mondo percettivo. Suggestioni e attualità del pensiero di Cesare L. Musatti, a cura di C. Cornoldi, E. Funari, Padova 1992.
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