MANGILI, Cesare
Nacque a Milano il 19 marzo 1850 da Francesco e da Elena Bonacina.
Il padre, possidente, laureato in giurisprudenza, fu consigliere comunale a Milano e diresse come gerente unico la ditta di spedizioni e trasporti di famiglia, la Innocente Mangili & C., costituita nel 1839. Oltre a controllare questa azienda, la famiglia, sin dal 1865, gestiva la navigazione a vapore sui laghi Verbano e Benaco, che aveva rilevato dalla Società ferrovie dell'Alta Italia apportandovi miglioramenti nella qualità dei servizi.
Il M. studiò dapprima in Svizzera e, successivamente, in Francia e in Inghilterra. Rientrato a Milano all'inizio degli anni Settanta, fu associato alla ditta di famiglia, di cui nel 1886, tre anni dopo la scomparsa del padre, divenne gerente unico.
Nello scorcio finale dell'Ottocento il M. consolidò ed estese i legami familiari con il ceto imprenditoriale milanese, sedendo nei massimi organi della locale Camera di commercio e divenendo vicepresidente del comitato per la ferrovia Arona-Gravellona. Sin dai primi anni del secolo seguente stabilì poi relazioni d'affari con la Banca commerciale italiana e, in particolare, con il suo direttore centrale O. Joel. E tali rapporti egli ebbe modo di rinsaldare alcuni anni dopo, quando entrò nel consiglio di amministrazione della banca per diventarne in breve il presidente. Dal 1898, inoltre, fu membro del Consiglio superiore della Banca d'Italia, di cui tenne la presidenza dal 1903 al 1905, quando si dimise in seguito alla nomina a senatore. Sempre nel 1905 fu chiamato a presiedere l'Esposizione internazionale di Milano che si tenne l'anno seguente.
Nel 1907 la ditta Innocente Mangili fu trasformata in società anonima con un capitale sociale di 2,8 milioni di lire. La presidenza venne assunta dal M., che inserì nel consiglio di amministrazione due dei tre figli avuti dalla moglie Bice Vergani, Marco Innocente (segretario) e Francesco Alberto, mentre il terzogenito, Enea, divenne procuratore della sede di Milano. Nel consiglio di amministrazione della società - ormai di rango europeo - entrarono altre figure di spicco dell'imprenditoria milanese d'anteguerra, quali L.V. Bertarelli, l'ingegner E. Breda, il senatore L. Della Torre (gerente della banca privata Zaccaria Pisa), C. Pacchetti e P. Pirelli, figlio di G.B. Pirelli. Il capitale della società fu portato a 3,5 milioni di lire nel 1909 e quindi a 4 milioni nel 1914, tanto da risultare superiore a quello della Fratelli Gondrand, la maggiore società di spedizioni e trasporti allora attiva a Milano. Nel complesso la gestione della Innocente Mangili appare, ai dati di bilancio resi pubblici, anche di gran lunga più stabile, in quegli anni, rispetto a quella del principale concorrente, soggetta di contro a forti oscillazioni nei coefficienti di solidità finanziaria e patrimoniale. Non fu forse a ciò estranea la capacità del M. di tessere robuste relazioni con le banche milanesi, in primo luogo la Banca commerciale e la Zaccaria Pisa, e con le imprese industriali lombarde più inclini ad adottare strategie di internazionalizzazione, come la Pirelli, in linea con la funzione di spedizioniere e trasportatore internazionale della società.
Nell'inverno 1905 G.B. Pirelli offrì al M. di entrare nel consiglio del Credito italiano; ma questi declinò l'offerta avendone ricevuto una analoga in precedenza dalla Banca commerciale, nel cui consiglio entrò in effetti il 24 marzo 1906. Il suo ingresso fu patrocinato da Joel, che in quel torno di tempo intese allargare la rappresentanza italiana in seno all'istituto, aumentando il numero dei consiglieri così da riequilibrare la composizione consiliare in rapporto al mutato peso dei diversi gruppi di azionisti. Alla morte di A. Sanseverino Vimercati, il M. assunse poi la presidenza della banca (25 maggio 1907).
Distinguendosi dal suo predecessore (anche perché poté contare su un gruppo di azionisti italiani più ampio di quello presente fino a quel momento nella proprietà della Banca commerciale), il M. esercitò un ruolo attivo di indirizzo e, non di rado, di partecipazione ai processi gestionali dell'istituto a stretto contatto con la direzione. Del resto, le sue capacità di banchiere vennero messe alla prova già pochi mesi dopo l'assunzione dell'incarico. Quando, nella tarda estate e agli inizi dell'autunno 1907, la crisi delle borse italiane mise in tensione il sistema bancario, ampiamente esposto in alcuni segmenti speculativi, il M. fu chiamato infatti a partecipare ai colloqui, sovente a distanza, tra la Banca d'Italia di B. Stringher e le maggiori banche del Paese. L'idea di Della Torre di concertare un intervento di sostegno dei mercati e degli istituti più esposti mediante la formazione di un consorzio bancario coordinato dalla Banca d'Italia incontrò il favore del M., che fece proprio l'impianto consortile studiato da Della Torre malgrado la Banca commerciale non fosse tradizionalmente propensa ad assecondare le politiche del maggiore istituto di emissione. L'adesione al piano di intervento fu importante anche perché egli aveva da poco assunto la vicepresidenza della Bastogi, l'ex società ferroviaria divenuta, dopo il 1906, la maggiore società finanziaria italiana dell'epoca. Tale società era stata chiamata, insieme con la Cassa di risparmio delle province lombarde, a costituire il fulcro di un consorzio che, se si presentava poco redditizio, era al tempo stesso di fondamentale importanza per evitare la generalizzazione di una crisi finanziaria da cui muovevano effetti drammatici sulla stabilità dell'intero sistema bancario italiano. Alla fine dell'ottobre 1907, mentre la crisi ormai precipitava, il M. condusse trattative dirette con il ministro del Tesoro P. Carcano affinché si rendesse possibile la partecipazione della Bastogi al consorzio, ma senza che ciò implicasse un aggravio dell'esposizione diretta della Banca d'Italia. Nei giorni difficili delle trattative a distanza con le autorità monetarie centrali il M. quasi incalzò Stringher e Carcano, con il piglio del practitioner di razza, rammentando loro quanto fossero rilevanti la tempestività dell'intervento sui mercati e la capacità di creare fiducia presso gli operatori.
Lo stile di lavoro del M. alla Banca commerciale fu improntato a un'attiva presenza negli uffici della direzione. Sin dai primi mesi della sua presidenza egli insistette con Joel affinché la direzione della banca avesse un carattere di collegialità, evitando che si creassero tensioni e squilibri tra personalità. Dal carteggio con quest'ultimo traspaiono preoccupazioni circa la qualità della prassi di valutazione del merito di credito seguita dal direttore G. Toeplitz, il quale, secondo il M., non procedeva ai riscontri necessari propendendo contemporaneamente ad amplificare i "rumori" sulla piazza, con effetti non positivi sulla reputazione dell'istituto. Il M. era invece convinto che la direzione dovesse adottare metodi e strumenti di lavoro che consentissero di approfondire la posizione effettiva della clientela affidata attraverso un vaglio scrupoloso dei conti delle imprese. Nelle lettere scambiate con Joel si legge in filigrana la contrarietà del M. verso lo stile di lavoro di Toeplitz e, in particolare, la propensione a intraprendere affari e partecipare a "combinazioni" dai contorni incerti, come potevano essere quelle con il finanziere italo-austriaco C. Castiglioni. In alcuni casi, tra il 1907 e il 1909, il M. intervenne per tentare di ripristinare condizioni di normalità all'interno della compagine direttiva della Banca commerciale, allora scossa dai contrasti tra Joel e il direttore F. Weil. Tuttavia, nonostante si pervenisse a definire un accordo tra i due alla fine del 1908, gli accesi contrasti e la serrata competizione all'interno della direzione centrale non cessarono negli anni seguenti. Questo attivo ruolo di mediatore e la funzione di forza di riequilibrio da lui assunta diedero comunque modo al M. di esercitare con vigore i poteri di indirizzo assegnati alla presidenza.
Dotato di una solida cultura economica di carattere essenzialmente pratico, il M. fu in grado di condurre l'istituto attraverso le incertezze delle crisi e dei rallentamenti che si susseguirono dal 1907 sino alla Grande Guerra, ma non sempre mostrò capacità di giudizio sulla natura di talune fasi dell'economia italiana. Nell'ottobre 1907, per esempio, si dimostrò tanto abile nelle trattative con le autorità monetarie e pronto a suggerire i provvedimenti più idonei a contenere gli effetti della crisi, quanto rivelò un eccesso di ottimismo nella valutazione iniziale della portata della crisi stessa.
Nel dialogo a distanza con E. Noetzlin della Banque de Paris et des Pays-Bas (Paribas) appaiono non del tutto adeguati i suoi giudizi sulle condizioni dell'industria italiana e, soprattutto, sugli squilibri provocati dall'onda di investimenti degli anni precedenti sulla capacità produttiva di molti settori in rapporto alla dimensione del mercato interno. Sino al 1911 egli si fece sostenitore di una politica espansiva degli impieghi, che alimentasse con forza gli investimenti delle imprese. L'operazione di salvataggio e riorganizzazione della siderurgia promossa e diretta dalla Banca d'Italia mediante lo strumento consortile dovette però influire sul ridimensionamento della politica degli impieghi. Ancora una volta Noetzlin intervenne sul M. e su Joel al fine di indurre la Banca commerciale ad adottare una politica di maggiore liquidità, che evitasse pericolosi immobilizzi. A tali raccomandazioni il M. dovette infine attenersi, quanto meno a giudicare dalle dichiarazioni rese alla riconferma del mandato nel giugno 1912, allorché sostenne l'opportunità di "ricondurre gli industriali ed i commercianti alle sane pratiche bancarie".
Negli anni della presidenza della Banca commerciale il M. coltivò strette relazioni con l'ampia rete dei banchieri europei di rango, robustamente rappresentata nel consiglio dell'istituto milanese: E. Noetzlin e H. Finaly di Paribas, L. Dapples e A. Turrettini della Banque française et italienne pour l'Amérique du Sud (Sudameris), E. Odier di Ginevra, A. Oppenheim di Colonia, H. Schwabach, H. Wallich e M. Winterfeldt di Berlino. Nel suo carteggio non manca la corrispondenza con uomini di finanza come M. Ballin, l'influente consigliere dell'imperatore di Germania Guglielmo II. Negli stessi anni il M. entrò nei consigli di amministrazione della Società italiana per i prodotti chimici e coloniali Candiani Girardi e Berni (presidente), della Società commissionaria di esportazioni (presidente), della Fondiaria incendi di Firenze (vicepresidente), della Società del linoleum (vicepresidente), della Società italiana dei cementi e delle calci idrauliche di Bergamo (vicepresidente), della Società generale Edison e della AEG Thomson Houston.
In gran parte al M. si deve l'accordo che nel 1911 permise di aumentare il capitale della Banca commerciale con "denaro ed uomini di Francia"; a lui si dovette la fissazione del principio che la vicepresidenza della stessa banca dovesse essere affidata a un italiano. Per suo impulso furono costituite la Sudameris (di cui il M. fu vicepresidente dal 1911 al 1917) e la filiale di Londra della Banca commerciale nel 1910-11. Fin dal 1906 egli promosse e sostenne la strategia di espansione all'estero della Banca commerciale, sia per cogliere le opportunità di reddito offerte da alcuni flussi commerciali e migratori (verso il Sudamerica), sia per elevare e consolidare lo standing dell'istituto sulle piazze finanziarie internazionali. Nel carteggio con L. Luzzatti il nesso funzionale tra Sudameris e la filiale londinese della Banca commerciale fu esplicitamente evidenziato dal M., durante la cui presidenza furono gettate le basi dell'estesa rete estera dell'istituto, destinata a essere sviluppata soprattutto nei primi anni Venti da Toeplitz.
Le dimissioni dalla presidenza della Banca commerciale, dopo alcuni mesi di incerte condizioni di salute, furono rassegnate dopo dodici anni di attiva presenza ai vertici dell'istituto, il 25 marzo 1916. Nella commemorazione tenutasi presso la banca a pochi giorni dalla sua scomparsa, le sue precarie condizioni di salute si disse fossero state aggravate dalle "immeritate amarezze" suscitate dagli attacchi feroci (e spesso strumentali) portati dal nazionalista G. Preziosi contro la Banca commerciale per i legami con la finanza tedesca, che pure si erano notevolmente allentati negli anni precendenti la guerra. Le sue dimissioni, rassegnate insieme con quelle dei due fondatori Joel e Weil, furono dettate dalla stringente opportunità, se non dalla necessità, di non offrire motivi di sorta agli accesi detrattori della banca, verso la quale, con l'inizio della guerra, gli attacchi si erano inaspriti sino ad avere "assunto carattere personale al punto da far dubitare - disse il M. in consiglio per motivare la propria rinuncia alla carica - se, continuando, non avrebbero potuto danneggiare lo splendido avviamento della nostra azienda che è ormai così importante fattore dell'economia nazionale". La campagna di stampa condotta tra il 1915 e il 1916 contro la Banca commerciale e contro il M. fu in particolare alimentata dalla scoperta, nei depositi della ditta di spedizioni di famiglia, di merce proveniente dall'Austria e dalla Germania da parte delle autorità doganali italiane.
Il M. morì a Milano il 18 giugno 1917.
Fonti e Bibl.: Milano, Arch. stor. Banca Intesa, Banca commerciale italiana, fondo Mangili, cart. 1, f. 1; fondo Membri, cart. 5 Mangili Cesare; fondo Otto Joel, cart. 10, f. 4 (lettera del 17 ag. 1908). Riferimenti al M. in: Banca commerciale e Paese. Situazione ambigua, in Il Secolo XIX, 24 marzo 1916; Credito italiano, Notizie statistiche sulle principali società italiane per azioni, Roma 1916, p. 236; G.C. Zimolo, Canali e navigazione interna nell'Età moderna, in Storia di Milano, XIV, Milano 1960, p. 854; F. Bonelli, La crisi del 1907. Una tappa dello sviluppo industriale in Italia, Torino 1971, pp. 110 s., 128 s., 133; R.A. Webster, L'imperialismo industriale italiano: 1908-1915, Torino 1974, ad ind.; A. Confalonieri, Banca e industria in Italia (1894-1906), III, L'esperienza della Banca commerciale italiana, Milano 1976, ad ind.; Id., Banca e industria in Italia dalla crisi del 1907 all'agosto 1914, I-II, Milano 1982, ad ind.; G. Piluso, Lo speculatore, i banchieri e lo Stato. La Bastogi da Max Bondi ad Alberto Beneduce (1918-1933), in Annali di storia dell'impresa, VII (1991), pp. 319-373; A. Gottarelli, Esperienze formative e itinerario biografico di Alfonso Sanseverino-Vimercati, primo presidente della Banca commerciale italiana, in Storia in Lombardia, 1996, n. 3, pp. 111-131; G. Piluso, Le banche miste in Sud America: organizzazioni, strategie, mercati (1905-1921), in Archivi e imprese, n.s., 1996, n. 13, pp. 245-251; M. D'Alessandro, L'organizzazione delle reti estere. Comit e Credit nei centri finanziari internazionali (1910-1935), ibid., 1998, n. 18, pp. 245-251; Id., Managing multinational banking networks. The case of two leading Italian banks (1910s-1930s), in Transnational companies (19th-20th centuries), testi raccolti da H. Bonin et al., Paris 2002, pp. 419-436.