MARSILI, Cesare
MARSILI (Marsigli), Cesare. – Nacque a Bologna il 31 genn. 1592 dal nobile Filippo e da Elisabetta Rossi.
Esponente di una delle più importanti famiglie senatorie della città, fin dalla giovinezza ricoprì prestigiose cariche nelle magistrature cittadine (membro del Consiglio degli anziani, tribuno del Popolo, gonfaloniere di Giustizia). Nel 1622, appena trentenne, fu eletto sovrintendente alle Acque, carica per la quale si richiedevano competenze matematiche e idrauliche che il M. aveva probabilmente appreso da G.A. Magini, professore di matematica e astronomia nello Studio bolognese dal 1588.
Efficiente uomo di governo, colto letterato ed esperto di arti cavalleresche, il M. fu espressione perfetta del modello di gentiluomo diffuso nell’«aristocrazia laboriosa e dinamica» del primo Seicento bolognese (Baffetti, p. 8). Di giostre e tornei fu un vero appassionato. È nota la sua partecipazione a una giostra nella sala del palazzo del podestà nel 1615, a un torneo nella «piazza delle Scuole» nel 1624, a un altro, intitolato Amore prigioniero in Delo, nel 1628. Per lui non c’era soluzione di continuità tra queste esibizioni cavalleresche e l’attiva presenza nelle accademie letterarie della città, tanto da partecipare all’ultimo torneo ricordato con il nome (il Torbido), l’impresa (le Pleiadi) e il motto (Fulgere dat Algol) adottati come membro dell’Accademia dei Gelati, la più prestigiosa della città. Il M. fu membro anche dell’Accademia della Notte e fondatore di quella dei Torbidi.
Nel 1625 il M. fu aggregato all’Accademia dei Lincei. La nomina si dovette all’attiva mediazione del più illustre socio dell’accademia, Galileo Galilei, conosciuto dal M. nel maggio del 1624 a Roma, dove entrambi si erano recati in seguito all’elezione, avvenuta il 6 ag. 1623, del nuovo papa, Urbano VIII.
L’amicizia e la corrispondenza con Galileo fecero del M. un personaggio significativo della cultura scientifica durante il pontificato di Urbano VIII, a Roma come a Bologna, dove diventò l’intermediario principale tra lo scienziato pisano e l’élite politico-culturale locale, caratterizzata tra l’altro da una tradizione di rapporti privilegiati con gli astronomi di area tedesca, da Copernico a Tycho Brahe a Keplero.
Il carteggio tra Galileo e il M., pubblicato integralmente e analiticamente studiato, informa sulla vita privata dei due corrispondenti e mostra una particolare tonalità affettiva, segno del rapporto di simpatia e fiducia che quasi immediatamente si stabilì tra il famoso filosofo e il giovane ma già influente aristocratico. Al ritorno da Roma, il M. trascorse alcuni giorni nella villa di Galileo a Bellosguardo, vicino a Firenze, e una volta a Bologna contraccambiò la cortesia inviando al suo ospite doni in cibarie. La falsa notizia della morte del M. in un torneo cavalleresco fu accolta con dolore da Galileo, come racconta al M. in una lettera scritta dopo aver appreso che era stato solo ferito e si era ripreso dall’incidente. E nel febbraio 1631, quando nacque il secondo figlio del M. e della nobile Elena Ballatini, sposata il 10 nov. 1628, Galileo inviò le sue congratulazioni.
Dalla corrispondenza emergono altresì gli interessi scientifici del M., la sua passione per gli strumenti di misura e gli esperimenti, gli studi a cui si dedicava e le opere che progettava. In un’occasione Galileo contraccambiò i doni alimentari del M. inviandogli le due migliori lenti per telescopio in suo possesso e promettendogli l’imminente spedizione di un microscopio.
Il carteggio del M. con Galileo rappresenta una fonte preziosa per la ricostruzione di vicende cruciali per la storia della scienza moderna, quali il contributo di Galileo alla costruzione del termometro e del telescopio a riflessione, la trattativa per l’attribuzione a Bonaventura Cavalieri della cattedra di matematica e astronomia nello Studio bolognese, i rapporti di Galileo con S. Chiaramonti e soprattutto con G. Keplero. Alcune di queste vicende, inoltre, sono strettamente intrecciate con quelle della stesura del Dialogo sopra i due massimi sistemi e la sua pubblicazione, nel 1632.
Le lettere forniscono notizie su esperimenti altrimenti ignoti. Nell’aprile 1626, dopo aver appreso dal M. che «un certo ingegnere» a Bologna aveva costruito un apparecchio che imitava il moto delle maree, Galileo rispose di averne fatto venti anni prima uno simile, ma che non aveva niente a che fare con le maree (Ed. nazionale delle opere di G. Galilei, XIII, pp. 316 s.). La descrizione di Galileo testimonia che egli aveva una chiara idea dei principî del termometro già intorno al 1606-08 e che la priorità dell’invenzione di quello strumento si deve quindi a lui. Un’altra lettera del M., del 7 luglio 1626, riferisce che un artigiano bolognese, «il quale negl’esperimenti e secreti della natura, come nell’ingegno, più che nello studio, era eccellentissimo», aveva costruito uno specchio che poteva produrre gli effetti del telescopio, ma del quale non gli era stato permesso di verificare il funzionamento (ibid., pp. 330 s.). Dai commenti successivi dello scienziato, che mostra grande interesse per queste notizie e cerca di ricostruire il congegno, si deduce che lui e il M. avevano un’intuizione del telescopio a riflessione, idea che sarà di lì a poco sviluppata da Cavalieri.
In quanto esponente di rilievo del ceto dirigente bolognese, il M. svolse un ruolo chiave nella chiamata di Cavalieri alla cattedra primaria di matematica dell’Università, vacante fin dalla morte di Magini, nel 1617.
Non erano mancati i candidati, da G.C. Gloriosi a Chiaramonti a Keplero, il quale tuttavia, giustamente dubbioso sulla libertà di cui un protestante copernicano avrebbe potuto godere nello Stato della Chiesa, cortesemente declinò l’invito giuntogli dall’allievo di Magini, G. Roffeni. Galileo, che anche grazie all’opera di propaganda in suo favore svolta dal M. aveva molti estimatori a Bologna, fu autorevole patrono del giovane gesuato milanese (Cavalieri era nato nel 1598), allievo del suo discepolo Benedetto Castelli, allora docente di matematica a Pisa. Castelli aveva conosciuto il M. nel suo ruolo di sovrintendente alle Acque nel corso di una visita a Bologna come membro di una commissione di esperti inviati dal pontefice a dirimere l’annosa controversia tra Bolognesi e Ferraresi sulla sistemazione idraulica del Po e del Reno, e gli aveva raccomandato Cavalieri. Le trattative si svolsero dal gennaio al settembre 1629. Superate le perplessità del Senato bolognese, pienamente condivise dal M., sulla preparazione in astronomia di Cavalieri – il quale come professore di matematica e astronomia avrebbe dovuto compilare ogni anno il «taccuino astrologico» a uso dei medici e degli astrologi –, il candidato ottenne la cattedra e si affrettò a inviare una lettera di ringraziamento ai senatori e un’altra, piena di gratitudine, al Marsili. Dopo l’arrivo di Cavalieri a Bologna, il M. si avvalse del suo contributo nell’opera di prudente promozione delle idee del comune maestro. Seppe però svolgere anche un ruolo di intelligente mediazione in un momento di grave crisi nei rapporti tra Cavalieri e Galileo, sorta all’annuncio della pubblicazione del libro di Cavalieri Lo specchio ustorio (Bologna 1632) sulle proprietà degli specchi sferici, ellittici, parabolici e iperbolici. In una lettera al M., Galileo manifestò con parole molto aspre il sospetto che Cavalieri avesse fatto passare come proprie, idee e dimostrazioni da lui elaborate sul moto in testi giovanili rimasti fino ad allora manoscritti. Informato di queste accuse dal M., Cavalieri si difese chiarendo che nel libro non aveva mai mancato di attribuire a lui e al Castelli la paternità dei concetti alla base delle sue ricerche sugli specchi, in particolare quelle relative al moto parabolico dei «proietti». Anche grazie all’intervento del M., Galileo si convinse della buona fede dell’allievo.
L’amicizia con il M. si rivelò preziosa per Galileo anche per altri aspetti, direttamente inerenti alle vicende della stesura del Dialogo.
Dopo l’ascesa al soglio pontificio di Maffeo Barberini, Galileo si era deciso a dare finalmente una risposta allo scritto De situ et quiete Terrae contra Copernici Systema disputatio a lui indirizzato da F. Ingoli nel 1616, l’anno della condanna dell’opera di Copernico. A procurargliene una copia fu il M., che presumibilmente partecipò alle conversazioni in cui Galileo e un ristretto gruppo di amici decisero di rilanciare la questione del moto della Terra. Una volta completata la risposta a Ingoli, che conteneva in nuce alcune argomentazioni del futuro Dialogo, Galileo ne inviò una copia manoscritta al M., che si trovò a essere il punto di snodo delle relazioni del maestro con personaggi tra loro assai diversi, come il peripatetico Chiaramonti e Keplero. Galileo si era servito, nel Saggiatore (1623), di alcune argomentazioni contro la natura celeste delle comete sostenuta da Brahe prese dall’Anti Tycho di Chiaramonti e si era così attirato i rimproveri di Keplero espressi nell’Appendix a un’opera in difesa di Tycho, l’Hyperaspistes (Francoforte 1625). Il M. ebbe da Chiaramonti una copia dell’opera kepleriana e la inviò a Galileo insieme con un proprio scritto contro l’ipotesi copernicana. Galileo venne a trovarsi in una situazione imbarazzante, ed espresse al M. il proposito di rispondere nel Dialogo o in altra sede da un lato al Chiaramonti, dal quale desiderava prendere le distanze dopo l’abbaglio preso nel Saggiatore, dall’altro lato a Keplero, al quale, sempre in una lettera al M., rimproverava la «stravaganza dello stile» e l’oscurità dei concetti (Baffetti, p. 11). Non si sa se la risposta a Keplero fu scritta, certo non trovò posto nel Dialogo. Nelle lettere a M. si trovano tuttavia diversi giudizi negativi sull’astronomo tedesco, del quale Galileo criticava soprattutto la difesa di Tycho, che a suo giudizio era solo «un filosofo pratico, un calcolatore» e non un «costruttore di sistemi» o un «astronomo filosofo» (Bucciantini, p. 285). L’idea della superiorità della teoria sulla pratica torna frequentemente nelle lettere di Galileo al M., per esempio nelle argomentazioni a difesa di Cavalieri, del quale il M. lamenta la poca dimestichezza con le kepleriane Tavole Rudolfine (ibid., pp. 283-286).
Il M. era consapevole del rilievo del Dialogo che Galileo stava scrivendo e riuscì a suscitare le aspettative di diversi studiosi bolognesi, anche su posizioni lontane dalle sue (come C. Achillini, poeta, giurista e accademico linceo, il filosofo peripatetico G. Cottunio, i matematici O. Montalbani e C.A. Manzini), e di non pochi esponenti del Senato. Egli mise in atto una strategia di politica culturale «volta tanto a diffondere le teorie scientifiche galileiane […] quanto attenta a evitare uno scontro frontale con i Peripatetici» (Baffetti, pp. 13 s.). Le 32 copie del Dialogo che il M. prenotò per venderle a Bologna sono una controprova dell’efficacia della sua azione di intermediazione e promozione.
Proprio perché cosciente dell’importanza dell’opera in gestazione, il M. desiderava che il suo nome vi fosse menzionato con onore, e nella lettera del 17 marzo 1631 ne fece esplicita richiesta a Galileo, comunicandogli contemporaneamente di avere scoperto che la meridiana in marmo tracciata circa cinque decenni prima da Ignazio Danti nella chiesa di S. Petronio non corrispondeva alla linea equinoziale quale risultava dalle sue osservazioni. Chiedeva a Galileo di controllare i suoi dati sulla meridiana tracciata dal Danti in S. Maria Novella e accludeva alla lettera la sua spiegazione di questo fenomeno e di una serie di altri casi di discrepanze tra dati astronomici moderni, dati riscontrati da Tolomeo e in altri antichi. Cavalieri, che pure aveva aiutato il M. nei calcoli, in una lettera a Galileo non nascose di non condividere la sua ipotesi che la meridiana «si muova, cioè che si muova il polo del mondo e perciò si varii la longitudine e latitudine delle città […] e che da questo naschi la precessione degli equinotii». A differenza di Copernico, che sostiene che l’asse terrestre «si muove intorno al polo dell’eclittica, ma vol che il polo della rivolution diurna stia nel medesimo luogo in terra», il M. «pretende che quello muti luogo in terra (Ed. naz. delle opere di G. Galilei, XIV, pp. 226 s.; Favaro, 1904, pp. 427 s.). Nonostante questi dubbi, in una lettera successiva Cavalieri tornò sull’argomento per farsi portavoce del desiderio del M. di essere citato nel Dialogo. E in effetti, qualunque fosse il suo giudizio sulla congettura del M., Galileo ne accolse la richiesta. Nella «Giornata quarta» del dialogo, nel quadro di una discussione sulle «attestazioni a favor del sistema Copernicano», dopo che tra Sagredo e lui ne sono state elencate quattro, Salviati afferma: «Giunge di presente una quinta novità, dalla quale si possa arguir mobilità del moto terrestre, mediante quello che sottilissimamente va scoprendo l’Illustrissimo signor Cesare della nobilissima famiglia de i Marsilii di Bologna, pur Accademico Linceo, il quale in una dottissima scrittura va esponendo come ha osservato una continua mutazione, benché tardissima, nella linea meridiana; della quale scrittura, da me ultimamente con stupore veduta, spero che doverà farne copia a tutti gli studiosi delle meraviglie della natura». Sagredo si associa dicendo di aver sentito parlare della «esquisitissima dottrina di questo Signore e di quanto egli si mostri ansioso protettor di tutti i litterati» e di essere certo che «se questa o altra opera [del M.] uscirà in luce, già possiamo esser sicuri che sia per esser cosa insigne» (Ed. naz.…, VII, p. 487; Favaro, 1904, p. 431).
Lo scritto annunciato del M. non è rintracciabile e sembra non sia mai stato pubblicato, come del resto gli altri scritti a lui attribuiti dai biografi settecenteschi.
Le Tavole astronomiche ricordate da Orlandi e da Fantuzzi dovrebbero essere quelle delle effemeridi di Marte del Magini, che all’inizio della loro amicizia il M. inviò a Galileo chiedendone il giudizio e comunicandogli di averne scritto «un poco d’introduttione per pubblicarle» (Ed. naz.…, XIII, pp. 234 s.). Tale introduzione non fu mai inviata a Galileo, malgrado le sue ripetute sollecitazioni. Quanto poi a un Trattato del flusso, e riflusso del mare che il M. lasciò tra gli altri suoi manoscritti (cfr. Fantuzzi, p. 279), si tratta probabilmente, come ipotizza Favaro, di una copia dell’omonimo discorso mai stampato di Galileo, da questo inviato al M. e in seguito scambiato per un lavoro del M. stesso. Sempre senza fondamento, secondo Favaro, Predieri attribuisce al M. anche un’opera sugli specchi ustori, dalla quale Galilei e Cavalieri avrebbero tratto ispirazione per i loro scritti su questo tema (Favaro, 1904, pp. 432-435).
I meriti culturali del M., dunque, non vanno cercati sulle sue supposte opere, forse solo progettate e annunciate contestualmente alle richieste di ammissione ai Lincei, prima, e in una menzione nel Dialogo galileiano, poi. Il posto di rilievo che gli è riconosciuto nella storia della scienza moderna si deve infatti al generoso contributo dato alla promozione nella sua città della nuova cultura sperimentale e, più rischiosamente, all’affermazione dell’astronomia copernicana. Lo stesso Galileo, per bocca di Sagredo, mentre tributa un riconoscimento alla dottrina del nobile bolognese, ne esalta soprattutto il ruolo di «protettor di tutti i litterati» (Ed. naz.…, VII, p. 487).
Oltre agli episodi accennati, il M. promosse la pubblicazione della lunga lettera di adesione al sistema copernicano indirizzata, nel 1631, a Galileo da G. Gaufrido, gentiluomo provenzale vissuto per un certo periodo a Bologna. Il M. fu costretto a curarne anche una ristampa al fine di espungere dal testo il nome di Cottunio, lettore nello Studio bolognese, che stava lavorando a uno scritto in difesa della stabilità della Terra e non aveva gradito l’imbarazzante menzione del suo nome in un testo pro copernicano.
Dopo la pubblicazione del Dialogo galileiano (1632), il M. fece in tempo a rendersi conto della gravità della repressione che stava per abbattersi sui sostenitori del copernicanesimo e in primis su Galileo, ma gli fu risparmiato di assistere alla condanna dell’opera e del suo autore.
Il M. morì a Bologna il 22 marzo 1633 e fu sepolto nella cappella di famiglia in S. Petronio. Almeno una parte delle copie da lui prenotate del Dialogo arrivò certamente a Bologna e probabilmente fu distribuita.
Fonti e Bibl.: Amore prigioniero in Delo. Torneo fatto da’ signori accademici Torbidi in Bologna li XX di marzo MDCXXVIII…, Bologna s.d., pp. 40-43; Ed. nazionale delle opere di G. Galilei, a cura di A. Favaro, Firenze 1890-1909, VII, XIII, XIV, ad indices; B. Cavalieri, Carteggio, a cura di G. Baroncelli, Firenze 1987, pp. 50-67; [V. Zani], Memorie, imprese, e ritratti de’ Signori Accademici Gelati di Bologna, Bologna 1672, pp. 122-125; P.A. Orlandi, Notizie degli scrittori bolognesi e dell’opere loro stampate e manoscritte, Bologna 1714, p. 86; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, V, Bologna 1786, pp. 278-280; P. Predieri, Della vita e della corrispondenza letteraria di C. M. con Galileo Galilei e con padre Bonaventura Cavalieri, in Memorie dell’Acc. delle scienze dell’Ist. di Bologna, III (1851), pp. 113-143; Id., Dei nuovi autografi di Galileo Galilei e del padre Bonaventura Cavalieri recentemente scoperti in Bologna, in Nuovi Annali delle scienze naturali e rendiconto dei lavori dell’Acc. delle scienze dell’Ist. di Bologna, s. 3, III (1851), pp. 9-21, 123-207, 367 s.; A. Favaro, Gli autografi Galileiani nell’Arch. Marsigli in Bologna, in Bull. di bibl. e di storia delle scienze matematiche e fisiche, XV (1882), pp. 581-592; R. Caverni, Storia del metodo sperimentale in Italia, I, Firenze 1891, p. 135; II, ibid. 1892, p. 454; IV, ibid. 1895, pp. 527-533; A. Favaro, Amici e corrispondenti di Galileo Galilei, XI, C. M., in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per la Romagna, s. 3, XII (1904), pp. 399-468; P.E. Ariotti, An overlooked autograph letter of Galileo on the thermometer, in Annals of science, XXXI (1974), 5, pp. 457-462; Id., Cavalieri, Mersenne, and the reflecting telescope, in Isis, LXVI (1975), pp. 305-307; G.L. Betti, Nel mondo di Galileo. Le carte Marsili della Biblioteca comunale di Bologna e altri documenti inediti, in L’Archiginnasio, LXXXI (1986), pp. 325-344; G. Baffetti, C. M.: un cauto galileiano nell’aristotelismo barocco bolognese, in Il Carrobbio, XVII (1992), pp. 5-16; D. Aricò, Giovanni Antonio Roffeni: un astrologo bolognese amico di Galileo, ibid., XXIV (1998), pp. 67-93; S. Drake, Galileo. Una biografia scientifica, Bologna 1988, pp. 63, 387, 392-398, 404-406, 418, 431-438, 444-447; M. Bucciantini, Galileo e Keplero. Filosofia, cosmologia e teologia nell’età della Controriforma, Torino 2003, pp. 43, 283-286; M. Camerota, Galileo Galilei e la cultura scientifica nell’età della Controriforma, Roma 2004, passim.