MONTALTI, Cesare
MONTALTI, Cesare. – Nacque il 16 luglio 1770 a Bacciolino, frazione di Mercato Saraceno (Cesena), da Valente e da Maria Guerra.
Manifestò precocemente una spiccata attitudine allo studio e nel 1778 fu mandato al seminario di Faenza, da dove nel 1783 passò a quello di Rimini. Ordinato sacerdote a vent’anni, il M., benché devoto, apprezzò della scelta ecclesiastica soprattutto l’opportunità di una carriera di studioso e insegnante, nonché un sicuro sostentamento. Dando ben presto voce al proprio talento poetico, avviò una incessante attività letteraria, in cui figurano, tra le prime prove, due sonetti (Rimini 1791) dedicati alle principesse Maria Adelaide e Vittoria Luisa, zie del re di Francia Luigi XVI, di passaggio a Rimini perché dirette a Roma per sottrarsi ai pericoli della Rivoluzione. Queste composizioni, ispirate a una concezione antirivoluzionaria in linea con l’orientamento della Chiesa, valsero al M. la cattedra di eloquenza nel seminario riminese, da cui fu trasferito con la stessa qualifica in quello di Assisi (1794). Al di fuori degli impegni scolastici, il M., oltre a dedicarsi all’oratoria sacra, consolidò la sua fama di poeta latino e italiano, della cui produzione, appartenente ai canoni della scuola classica romagnola, fu pubblicata soltanto una minima parte in fogli o raccolte d’occasione.
Durante il triennio giacobino il M. passò tra i sostenitori di Napoleone e, insofferente della disciplina sacerdotale, abbandonò l’abito talare, accettando nel 1797, con l’entrata in vigore della costituzione della Repubblica Cisalpina, la nomina a membro del Corpo legislativo nel Consiglio degli iuniori. Trasferitosi a Milano nel 1798 come segretario del Dipartimento del Rubicone, partecipò assiduamente ai lavori consiliari e redasse una relazione sul Metodo degli studi, documento della sua passione pedagogica, affidatogli sulla scorta del riscontro di una sua orazione in difesa del latino contro la proposta dei giacobini più intransigenti di abolire dalle scuole le materie umanistiche. Durante la permanenza milanese il M. strinse amicizia con diversi letterati, fra i quali U. Foscolo, V. Monti, D. Strocchi e L. Mascheroni, lasciando inoltre, nel poemetto inedito Eloisa (Cesena, Biblioteca comunale), la testimonianza di una sua relazione sentimentale con una giovane deceduta, pare, nel 1798.
Con la caduta della Cisalpina il M., per non incorrere nelle persecuzioni del regime poliziesco istituito a Milano, nel 1799 si recò a Cesena dove, prima che indossasse nuovamente l’abito talare, gli fu imposta la pubblica ritrattazione del giuramento cisalpino, attraverso un manifesto a stampa. Da allora il M. si dispose ad accettare i provvedimenti ecclesiastici, fra cui la mancata assegnazione parrocchiale, preferendo ai rischi della messa al bando la tranquillità degli studi e una libertà superiore a quella degli altri sacerdoti, consentitagli dalla tolleranza di alcuni suoi superiori.
Dopo il ripristino della Repubblica, il M. assunse uffici statali che non lo allontanassero da Cesena e lo mantenessero in accordo con la Chiesa. Fu designato segretario del Comune di Cesena (1802), segretario generale dell’Amministrazione centrale del Rubicone (1803), professore di eloquenza nel ginnasio cesenate, cancelliere distrettuale nel Comune di Mercato Saraceno (1804) e delegato del ministero del Culto nel distretto di Cesena (1808). Sebbene dedito all’esercizio di pubbliche funzioni, che ne evidenziavano le attitudini pratiche, il M. non abbandonò gli interessi letterari, condivisi con altri studiosi legati alla scuola classica romagnola, fra i quali gli amici E. Fabbri, G.A. Roverella e B. Borghesi.
Nel 1810, avendo percepito l’ostilità di una parte del clero locale, si dimise dall’incarico scolastico e nel 1811 ripartì per Milano, dove, intento alle lettere, alla bibliofilia e all’erudizione, incontrò diversi amici, fra i quali V. Monti, a cui sottopose le sue traduzioni dal greco, successivamente pubblicate (Europa. Idillio di Mosco, Faenza 1835; Epitalamio di Achille e di Deidamia. Frammento di Bione Smirneo, Forlì s.a.). Il M. dedicò grandi cure all’attività di traduttore, basata sui criteri del classicismo montiano, cimentandosi anche nella versione latina di componimenti di D. Alighieri, F. Petrarca e V. Monti.
Rientrato a Cesena nel 1815, il M., benché poco gradito al governo pontificio, potè tornare alla segreteria comunale e all’insegnamento ginnasiale per intercessione del cardinale N. Riganti, zio di E. Fabbri. Nel 1825, coinvolto nel processo che, dopo i moti del 1820-21, produsse numerose condanne emesse dal cardinale A. Rivarola, si salvò grazie allo stato sacerdotale e all’estraneità alla carboneria, ma perse ogni incarico pubblico. Ottenne però nel 1826 un posto di professore di eloquenza presso il collegio Belluzzi, nella Repubblica di San Marino, alla cui cittadinanza era stato ammesso nel 1819 per interessamento di B. Borghesi.
Tornato a Bacciolino nel 1830 per la precaria salute e i debiti dovuti ai suoi sconsiderati acquisti di accanito bibliofilo, il M., latinista e letterato ormai celebre, prolifico e richiestissimo autore di componimenti d'occasione in prosa e in versi, si spostò a Firenze, dove fu chiamato a insegnare, con più cospicua retribuzione, presso l’Istituto Relliniano. Presto però i restrittivi provvedimenti emanati da Leopolo II di Toscana dopo i moti del 1831 lo costrinsero a tornare a Cesena con la nomina a membro della commissione direttrice delle scuole pubbliche e l’incarico di segretario comunale che conservò fino al 1833.
Nel 1832 prese a dedicarsi al progetto di un’antologia delle sue opere italiane e latine, delle quali aveva dato alle stampe soltanto la raccolta Latinorum carminum specimen (Arimini 1825). Le alterne vicende editoriali dell’antologia portarono unicamente alla pubblicazione dell’autobiografia del M. (in L’Imparziale, n. 25, 1835, pp. 10 s.), poiché le sue difficoltà economiche e il ricovero a Bologna per l’asportazione di un carcinoma (1837) ne impedirono definitivamente la realizzazione.
Il M. morì a Bacciolino il 14 ag. 1840, quando aveva da poco dato alle stampe un’elegia per la defunta sorella Marianna, In funere Mariannae valentis F. Montaltiae (Arimini 1840), considerata la sua miglior composizione in latino.
Tra gli altri scritti si ricordano: Saggio di epigrammi greci volgarizzati da C. M., Forlì 1833; Ode epitalamica, Cesena 1833; Lettere inedite di C. M. cesenate a Francesco Maria Ferri di Longiano, s.l. 1872; Elegia inedita, Rimini 1895.
Fonti e Bibl.: Fiori poetici donati alla tomba di C. M., Rimini 1842; G. Bellucci, Lettera al sig. G. Bertozzi, in Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti, 1856, n. 142, pp. 75-78; Id., In difesa delle poesie italiane di C. M., Roma 1888; O. Fattori, Vita e scritti di don C. M., in La Romagna, 1908, febbraio, pp. 83-94; marzo, pp. 155-169; aprile-maggio, pp. 217-238; P. Franciosi, Ricordi in Repubblica dell’abate C. M., ibid., 1924, settembre, pp. 384-403; V. Monti, Epistolario, a cura di A. Bertoldi, I, Firenze 1928, p. 2; VI, Ibid. 1931, p. 174; G.G. Biondi, Osservazioni in margine al M. latino, in Scuola classica romagnola. Atti del convegno. Faenza ... 1984, Modena 1988, pp. 107-119; G. Lelli Mami, C. M. e F. Mami, in Il Lettore di provincia, dicembre 1993, pp. 95-103; A. Luzi, Un prete ribelle in Romagna: C. M., in Études ispano-italiennes, III (1989), pp. 221-228; G. Maroni, C. M. Storia e poesia di un prete inquieto, Cesena 2000; Catal. dei libri italiani dell’Ottocento (CLIO), IV, p. 3093.