MUSSINI, Cesare
– Nacque a Berlino il 9 giugno 1804 da Natale, compositore bergamasco di origini modenesi, al tempo maestro di cappella alla corte di Prussia, e da Giuliana Sarti, figlia del musicista faentino Giuseppe.
Fratello maggiore del più conosciuto Luigi, anch’egli pittore, studiò dapprima violino sotto la guida del padre e di Pierre Rode, loro vicino di casa; si iscrisse poi, nel 1820, all’Accademia di belle arti di Firenze, dove la famiglia si era trasferita due anni prima, divenendo allievo di Pietro Benvenuti. I profitti nello studio della pittura sono testimoniati dai premi conseguiti all’Accademia: nel 1823 per l’acquerello, l’anno successivo per il bozzetto a olio e infine nel 1825 per il bozzetto in creta e per il disegno. Nel 1828 si aggiudicò, grazie al Leonardo da Vinci che vecchio e mortalmente infermo spira tra le braccia di Francesco I (Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti), il premio di pensionato e si trasferì a Roma, dove frequentò soprattutto il circolo degli intellettuali e degli artisti francesi, fra i quali l’allora ambasciatore François-René de Chateubriand e Horace Vernet, direttore dell’Accademia di Francia dal 1829. All’arrivo di Felix Mendelssohn a Roma, nel 1830, strinse con lui una solida amicizia: «appena aveva composto un pezzo voleva che si provasse col violino e lui al piano, e non disprezzava le mie povere osservazioni che facevo sull’opere sue» (La vita di Cesare Mussini..., p. 19). Dai saggi annuali inviati a Firenze si evince con chiarezza il passaggio dall’impostazione neoclassicista derivata da Benvenuti agli orientamenti romantici che pervasero lo stile di Mussini, dettandone la scelta dei soggetti. Se, infatti, il primo olio spedito da Roma a Firenze nel 1829 raffigurava Eco di fronte a Narciso (ubicazione ignota), quello dell’anno successivo con La morte di Atala (Firenze, Galleria dell’Accademia) spostava decisamente il baricentro dalla tradizione classica alla letteratura contemporanea, avendo trovato la propria fonte d’ispirazione nel romanzo Atala di Chateaubriand. Medesima atmosfera romantica, ma ambientazione affatto diversa, si ritrova nel saggio del 1831 Il Tasso in atto di leggere i suoi versi alla duchessa Eleonora d’Este (Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti), accolto con gran favore all’Accademia di Firenze e replicato in numerosi esemplari di formati diversi nel corso degli anni successivi.
Tornato a Firenze nel giugno 1832, ricevette numerose commissioni per ritratti da parte di un’altolocata clientela internazionale e, a partire dall’ottobre 1834, prese a insegnare all’Accademia di belle arti. Nel medesimo anno affrescò con soggetti allegorici la casa in piazza S. Maria Novella di Raffaello Finzi Morelli, che acquistò anche la grande tela con La congiura dei Pazzi(ubicazione ignota), esposta nel 1835 all’Accademia con un certo successo, sebbene ad alcuni (Selvatico, 1863) apparisse una costruzione troppo teatrale. Tra i più noti dipinti di quegli anni, tutti di evidente afflato romantico, il Raffaello e la Fornarina e il Francesco I e la bella Ferronière realizzati, rispettivamente nel 1837 e nel 1842, per il marchese Filippo Ala Ponzoni e Il principe Stanislao Poniatowski che dà la libertà ai suoi schiavi, eseguito nel 1839 per Giuseppe Poniatowski (Catalogo dei quadri..., ad annum).
In seguito alla morte del padre, avvenuta il 20 luglio 1837, si recò a Berlino per ottenere dal re di Prussia Federico Guglielmo III il trasferimento del vitalizio di cui egli godeva alla madre. Partì nel novembre dello stesso anno ma si trattenne a Milano per sei mesi, stringendo forte amicizia con il marchese Filippo Ala Ponzoni. A Berlinò coronò con successo la sua missione, espose alcuni quadri all’Accademia di belle arti – il Ganimede (La vita di Cesare Mussini..., p. 31) fu acquistato dal re – conobbe Alexander von Humboldt e Peter Cornelius e si fidanzò con Elise, figlia di Ludwig Blesson, ufficiale del genio e antico amico del padre. Tornò a Berlino per sposare, il 15 luglio 1840, Elise, dalla quale ebbe cinque figli: Arturo (1841-1903), Olga (1843-1929), Costanza (1845-1878), Fanny (1852-1914) e, nel 1858, Maria che sopravvisse solo pochi mesi.
Attorno al 1840 mise a punto un particolare metodo di preparazione dei colori con resine naturali «senz’olio e senza cera» (ibid., p. 54) e se ne servì ininterrottamente lungo la sua carriera, sia per le pitture su tela, sia per quelle murali. Intensità e durata nel tempo sono tra le caratteristiche principali dei colori così ottenuti, la cui formula si aggiudicò lusinghieri riconoscimenti nelle esposizioni internazionali di Londra (1851, 1862) e Genova (1854) venendo poi venduta, nel 1875, a Hermann van der Moblen, imprenditore di Geldern che ne avviò la fabbricazione, dopo poco passata alla Schmincke che ancora oggi produce e commercializza i celebri tubetti col marchio «Mussini».
Nel 1844 si recò a San Pietroburgo dove soggiornò quasi due anni, realizzando per l’imperatore Nicola I un Gesù Cristo che benedice il popolo e un Lorenzo il Magnifico moribondo che fa rivivere il poema di Dante nella sua villa di Careggi (La vita di Cesare Mussini..., p. 50) oltre ai bozzetti per i sei grandi quadri commissionatigli per l’erigenda cattedrale di S. Isacco. Le tele, raffiguranti l’Annunciazione, la Natività, la Circoncisione di Gesù, la Presentazione al tempio, il Battesimo di Cristo, la Trasfigurazione, furono eseguite a Firenze e installate tre anni più tardi alla presenza dell’artista che tornò a San Pietroburgo nella seconda metà del 1849 trattenendovisi per circa un anno.
Negli anni Cinquanta, a parte un viaggio di due mesi a Parigi nell’autunno del 1858 in compagnia di Ala Ponzoni, rimase perlopiù a Firenze e lavorò a numerosi ritratti e dipinti di storia. Fra questi ultimi si deve ricordare il Giorgio Rhodios uccide Demetria sua moglie per toglierla alla persecuzione turca, anche noto col titolo Saremo liberi (Torino, Palazzo Reale), datato dall’artista al 1849 ma iniziato nel 1841 e compiuto nel 1851 (ibid., p. 59), la tela del 1857 con Filippo Augusto re di Francia, per placare il papa, riprende sua moglie la regina Ingherburga che aveva rinchiusa nel convento di Nostra Donna a Soissons (Catalogo dei quadri..., ad annum) e la pittura murale rappresentante Luisa Strozzi con vari invitati è ricevuta al cancello della villa da Michelangelo realizzata l’anno successivo nella villa Strozzi diFirenze.
Nel 1860 fu chiamato a replicare la sua celebre composizione La congiura dei Pazzi su un soffitto di Palazzo Pitti, a secco, e due anni più tardi completò, in un altro soffitto del medesimo palazzo, il dipinto murale con L’Italia che con la corona d’alloro in mano, chiama alla palestra tutti gli italiani, avendo intorno la pittura, la scultura e l’architettura, che intendeva celebrare l’Esposizione nazionale di Firenze del 1861.
Deliberato il trasferimento della capitale d’Italia a Firenze nel 1864, venne individuata nel palazzo in via S. Sebastiano, dove la famiglia Mussini abitava dal 1818 e Cesare aveva l’ampio e luminoso studio, la sede del ministero della Guerra. Le traversie legate al repentino e doloroso sfratto, unite alla morte di Luigia Giovanna Piaggio, moglie del fratello Luigi, furono sopportate a fatica da Mussini che smise di dipingere per tre anni ed ebbe un nuovo studio solo a partire dal 1867.
Nel giugno 1870 compì l’ultimo lungo viaggio, diretto a Wiesbaden, dove espose alcune opere e vendette al museo della città un quadro storico di ambientazione veneziana: Marino Faliero medita la vendetta contro Steno (ibid., ad annum).
La produzione estrema di Mussini si concentrò in particolare sui ritratti (il proprio, del 1870, fu donato agli Uffizi) ma non mancarono i prediletti quadri di storia, né i soggetti religiosi come un S. Giovanni Evangelista del 1876 e un Ecce Homo del 1878, entrambi transitati sul mercato (Prato, Farsetti, 11 novembre 2006).
Morì a Barga (Lucca) il 24 maggio 1879.
Negli ultimi anni di vita scrisse, su richiesta del figlio Arturo, un’autobiografia (La vita di Cesare Mussini pittore di storia, 1876-77) molto dettagliata, nella quale rivelò, se non proprio doti letterarie, almeno un gusto vivissimo del racconto, e redasse un catalogo cronologico delle proprie opere di pittura (Catalogo dei quadri fatti da me Cesare Mussini principiando dal 1824, 1877).
Entrambi i manoscritti sono stati acquisiti per donazione dalla Biblioteca comunale degli Intronati di Siena nel 2001, assieme a una parte del carteggio e ad altri documenti appartenuti a Cesare e a Luigi Mussini (costituendo il Fondo Mussini).
Fonti e Bibl.: Grafofilo, Sopra un quadro del prof. C. M., rappresentante un fatto della congiura dei Pazzi, Firenze 1835; Catalogo cronologico dei quadri fatti dal prof. C. M. pittore fiorentino, inBullettino delle arti del disegno, I (1854), 19, pp. 148 s.; 20, pp. 157-159; 21, pp. 167 s.; C. Scartabelli, Alle arti. In occasione del quadro la congiura de’ Pazzi dipinto da C. M., Firenze 1856; P. Selvatico, Arte ed artisti, Padova 1863, pp. 34 s.; Epistolario artistico di Luigi Mussini colla vita di lui scritta da Luisa Anzoletti, Siena 1893, p. 1 e passim; C. Nuzzi, in Cultura neoclassica e romantica nella Toscana granducale (catal.), a cura di S. Pinto, Firenze 1972, pp. 79 s. e passim; L. Luciani - F. Luciani, M., C., in Dizionario dei pittori italiani dell’Ottocento, Firenze 1974, pp. 299 s.; C. Nuzzi, in Romanticismo storico (catal.), a cura di S. Pinto, Firenze 1974, pp. 371, 388 s.; G.L. Marini, M., C., in Diz. encicl. Bolaffi dei pittori …, Torino 1975, pp. 60-61; E. Spalletti, La pittura dell’Ottocento in Toscana, in La pittura in Italia. L’Ottocento, Milano 1991, I, pp. 314, 317; L. Bassignana, ibid., II, p. 935; Nel segno di Ingres. Luigi Mussini e l’Accademia in Europa nell’Ottocento (catal., Siena), a cura di C. Sisi - E. Spalletti, Cinisello Balsamo 2007, pp. 27 e passim; D. Murphy Corella et al., Un olio su tela di C. M., in Kermes, aprile-giugno 2011, n. 82, pp. 25-39; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXV, p. 294.