NANI, Cesare.
– Nacque a Salussola (ora provincia di Biella) il 28 agosto 1848 da Vincenzo, avvocato, e da Luigia Velasco.
Trasferitosi a Torino, vi conseguì la laurea in giurisprudenza il 3 maggio 1870. Spinto dall'ambiente culturale torinese, indirizzato a sottolineare l’importanza degli aspetti commerciali e industriali per la modernizzazione della società civile, in un primo momento diresse i suoi interessi verso il diritto mercantile; tra i lavori giovanili più importanti sono infatti di particolare rilevanza gli Studi di diritto ferroviario (Bologna 1876-77), opera grazie alla quale il 15 aprile 1874 vinse il concorso come ‘dottore aggregato’ presso la facoltà di giurisprudenza e si mise in evidenza come uno dei migliori ingegni della prestigiosa scuola torinese. Dopo soli quattro anni, nel 1878, ottenne la nomina di professore ordinario di storia del diritto italiano.
La cattedra era stata appena inaugurata (1846) e la disciplina faceva parte, dunque, di uno dei settori in cui l’università sabauda era all’avanguardia rispetto agli altri atenei italiani. Al giovane Nani fu affidato un incarico di peso considerevole, anche perché avrebbe dovuto raccogliere l’eredità di Federigo Sclopis, autore di studi fondamentali e considerato uno dei padri della materia, e di Giuseppe Albini, al quale appunto successe dopo la morte (1877). Al di là del suo ingegno brillante, l’affidamento di un insegnamento di tale importanza a uno studioso appena trentenne rientrava nel programma di svecchiamento della classe docente attraverso la promozione di giovani aggiornati e attivi, messo in atto da Michele Lessona, zoologo e rettore dal 1877 al 1880, e volto a ripristinare in senso moderno la vivacità dell’ateneo, impoverito dalla scomparsa di molti professori che avevano svolto un ruolo chiave per le generazioni precedenti, e dall’abbandono della città sabauda da parte di tanti altri, soprattutto meridionali, che trasferitisi dal 1848 in poi, l’avevano lasciata all’indomani del passaggio della capitale a Firenze nel 1864.
Nella Torino del passaggio di secolo l’università non era che uno dei nuclei intorno ai quali si coagulavano le energie intellettuali, essendo gli altri rappresentati dai salotti e soprattutto dalle accademie e dai cenacoli intellettuali come la Regia deputazione di storia patria del Piemonte – di cui Nani fu socio – e dall’Accademia reale delle scienze che, da poco separatasi da quella delle arti, andava conquistandosi un posto di tutto rispetto nel panorama nazionale ed estero, soprattutto negli studi storici e giuridici. Nani ne fu socio ordinario dal 1880 e segretario per la classe di Scienze morali, storiche e filosofiche dal 29 giugno 1897 fino alla morte, mentre Giuseppe Carle, suo amico e collega, docente di filosofia del diritto, ne fu il presidente. Proprio nell’ambito dell’Accademia delle scienze Nani ebbe modo di precisare i suoi interessi e pubblicare i primi studi di storia del diritto, applicandosi in prevalenza al diritto medievale in area piemontese, dal periodo longobardo ad Amedeo VI. A tale argomento dedicò alcuni dei suoi testi più significativi, come gli Studi di diritto longobardo, in due volumi (Torino 1877-78), nonché alcuni corposi e articolati saggi editi all’interno dei volumi delle Memorie della reale Accademia. Due di questi – Gli Statuti di Pietro II conte di Savoia (1881, s. 2, vol. 33, pp. 73-117), e Gli Statuti dell'anno 1379 di Amedeo VI conte di Savoia (1882, s. 2, vol. 34, pp. 101-160) – rivestirono un’importanza del tutto particolare nell’ambito degli studi di diritto medievale e sono ancora oggi considerati uno strumento e un punto di partenza essenziali per la ricostruzione dell'antica legislazione dei territori sabaudi.
Nell’affrontare tali temi Nani non solo portò avanti la tradizione di studi inaugurata dagli scritti di Sclopis, ma ne propose un’analisi più approfondita, mostrando una considerevole erudizione storica e un estremo rigore filologico nel commentare puntualmente i testi degli statuti, sulla base di una lettura diretta degli antichi documenti manoscritti. Nell'esporre i caratteri degli statuti sabaudi, colse e sottolineò lo scopo di tali atti che, alla stregua di documenti consimili redatti nel resto d’Europa nello stesso torno di tempo, intendevano arginare il fenomeno della cosiddetta molteplicità dei diritti e limitare il potere dei signori locali per aumentare l’influenza delle casate più forti sul territorio (in questo caso i Savoia), attraverso un più diretto controllo dei poteri legislativo e giudiziario. Nel condurre la sua analisi Nani sottolineò anche gli aspetti positivi delle norme prescritte dalla casata sabauda, in quanto esse non si limitarono a imporre le decisioni sovrane ma accolsero anche le istanze delle differenti componenti della società civile e furono improntate a criteri di equità e giustizia, nonché caratterizzate dalla volontà di tutelare i più deboli. In tutti gli studi di Nani traluce soprattutto la volontà di dimostrare come le idee giuridiche che muovevano dall' Italia centrale si fossero fatte strada fino in Savoia: per lui, dunque, l’antico diritto sabaudo-piemontese non era un fenomeno isolato ma, al contrario, pienamente inserito all’interno del contesto italiano contemporaneo con il quale condivideva la tendenza a conciliare la concezione romana e quella germanica del diritto. Nani sottolineò ripetutamente i legami tra la cultura giuridica piemontese e quella del resto d’Italia e, pur rilevando le influenze francesi, ne sminuì tuttavia il peso. L’intenzione di rimarcare l’italianità del diritto sabaudo è espressa con nettezza nelle battute finali de Gli Statuti di Pietro II, con l'affermazione che tale diritto non fu mai «straniero alla gran patria italiana» (p. 117). È chiaro che tale atteggiamento da parte del piemontese Nani era determinato anche dalla recente perdita per Torino del titolo di capitale e celava il timore, condiviso da tanti intellettuali suoi conterranei, che la regione sabauda, dapprima centro propulsore dell’Unità e nucleo della neonata nazione, si potesse trasformare in lontana periferia e terra di confine in un paese sempre più orientato verso il centro della penisola.
Nelle Memorie dell’Accademia Reale del 1884 venne anche compreso un saggio di Nani sul piemontese Matteo Gribaldi Mofa (Di un libro di Matteo Gribaldi Mofa, s. 2, vol. 35, pp. 131-161).
In tale scritto, più che ricostruire la figura del Gribaldi nella sua interezza – come provò a fare un trentennio più tardi il suo allievo Francesco Ruffini – Nani prese in esame uno dei testi più noti del giurista rinascimentale, il De methodo ac ratione studendi libri tres, edito a Lione nel 1553, in cui Gribaldi aveva sottolineato l’importanza di una robusta formazione umanistica per lo studio e la comprensione diretta delle fonti, nonché per acquisire conoscenze storiche corrette e adeguate. Nani colse così l’occasione per affrontare il tema dello studio del diritto e della sua docenza, nonché il problema dell’organizzazione dei testi, argomento che nel Rinascimento fu il fulcro del conflitto tra la scuola francese, più sintetica e attenta allo studio del diritto romano, e il cosiddetto mos italicus, rivolto invece piuttosto alla pratica giuridica e all’analisi. Tale tema era di particolare attualità poiché la didattica del diritto era allora al centro del dibattito scientifico non solo in Italia ma anche in Europa.
Sulla natura del diritto privato Nani tornò nella sua breve prolusione Vecchi e nuovi problemi del diritto, recitata presso l’ateneo torinese nel 1886 (edita poi con il titolo Vecchi e nuovi problemi del diritto: discorso letto il 3 novembre 1886 in occasione della solenne apertura degli studi nella R. università di Torino, Torino 1877). Qualche anno più tardi fu autore di una delle opere più significative nel panorama del diritto privato di fine secolo: Il socialismo nel codice civile (ibid. 1892), in cui sposò le teorie della scuola storica di Friedrich Carl von Savigny e Georg Friederich Puchta, opponendosi a Otto von Gierke, Adam Schäffle e Anton Menger tra i tedeschi, e Giuseppe Cimbali e Emanuele Gianturco tra gli italiani. Difese infatti l’attualità del diritto romano, dato per superato da coloro che sottolineavano un' inclinazione sozial del diritto civile.
Nani, per il quale era necessario che il diritto rimanesse incentrato sull’individuo, risulta convincente nel dimostrare la sua tesi grazie alla particolare capacità di considerare gli istituti e i problemi sociali del diritto alla luce delle vicende storiche delle legislazioni e dei costumi giuridici. La sua disapprovazione si estende anche alla nuova maniera di esprimere i concetti giuridici. Proprio in quegli anni, infatti, l’idea del compito sociale dello Stato, pur elaborata in modo diseguale e talvolta approssimativa, stava orientando i giuristi a ricercare nessi con altre scienze sociali, come la sociologia e l’economia, operazione che finì per cambiarne il linguaggio, con risultati particolarmente evidenti in autori come Giuseppe Vadalà Papale ed Emanuele Gianturco. Tale comportamento fu aspramente criticato da Nani che condannò «la nebulosità per non dire l’oscurità del linguaggio di cui si rivestivano attingendo, senza misura, vocaboli e paragoni a scienze estranee alla giurisprudenza» (ibid., p. 20).
L’eccellenza dei meriti scientifici consentì a Nani di divenire prima preside della facoltà di giurisprudenza (1897-98) e poi rettore dell’ateneo (1899). Noto tra i cattedratici per la sua chiarezza espositiva, fu particolarmente appassionato nella promozione e nell’incoraggiamento dei suoi studenti, molti dei quali destinati a conquistare, a loro volta, chiara fama nel mondo giuridico e non solo. A tale scopo fu tra i promotori dell’Istituto di esercitazioni nelle scienze giuridiche, sociali e politiche, fondato tra il 1882 e il 1883 presso la stessa facoltà di giurisprudenza torinese, del quale fu il primo direttore. Tra i suoi illustri allievi vi fu Luigi Einaudi che – a cinquant’anni dalla morte – nella Prefazione agli Studi storici di filosofia del diritto di Gioele Solari (Torino 1949) ricordava Nani con grande stima e affetto, come «elegante, facile parlatore capace di far passare la breve mezzora dandoci […] l’illusione di aver visto chiaro nelle tenebre del diritto medievale» (p. XIV).
A testimonianza della sue grandi capacità di docente e del suo interesse per la didattica rimangono le Lezioni di storia del diritto italiano, ricomposte e ordinate da alcuni suoi allievi e pubblicate in varie edizioni, a partire dal 1888.
Dopo una lunga e dolorosa malattia, morì a Torino il 2 giugno 1899.
La scomparsa prematura interruppe l’alacre lavoro al quale Nani si stava applicando da anni allo scopo di approntare un manuale di storia del diritto. Tuttavia, una sua Storia del diritto privato italiano fu pubblicata postuma a cura di Francesco Ruffini (Torino 1902), suo allievo prediletto, il quale venne richiamato dall’Università di Genova, dove insegnava, per succedergli nella cattedra torinese. Secondo quanto afferma lo stesso Ruffini nella prefazione, l’edizione fu resa possibile grazie alla decisiva azione della madre di Cesare, con la quale il giurista aveva un legame particolarmente forte: fu lei a volere che la fatica del figlio non rimanesse sterile e che fosse proprio Ruffini a portarla a termine e non – come aveva ipotizzato in un primo momento Giuseppe Carle – Cesare Gay, nipote di Nani e avviato dallo zio, che gli aveva fatto da secondo padre, agli studi giuridici. Ruffini, spiegando che Nani aveva considerato il lavoro in larga parte poco più di uno schema da riempire via via che sarebbe andato avanti con lo studio delle fonti, dichiarò di avere dovuto fare spesso delle scelte personali, nella speranza di interpretare correttamente la volontà dell'autore. Il testo – suddiviso nei due grandi settori del diritto delle persone e delle cose – si inserisce all’interno dei numerosi manuali editi in quegli anni, tra i quali quelli di Antonio Pertile, Francesco Schupfer e Giuseppe Salvioli, menzionati da Ruffini come espressione di una fase di particolare fervore degli studi della quale anche l’esperimento di Nani era figlio.
Fonti e Bibl.: A. De Gubernatis, Diz. biografico degli scrittori contemporanei, II, Firenze 1880, p. 83; E. Brusa, Necrologio. C. N., in Annuario della regia università di Torino, XXIV (1899-1900), pp. 131-138; G. Carle, Commemorazione del Socio C. N., in Atti della Reale Accademia delle scienze di Torino, XXXIV (1898-99), 14, pp. 674-682; F. Ruffini, Sunti delle lezioni di storia del diritto italiano di C. N., Torino 1888; G.S. Pene Vidari, Cultura giuridica, in Torino città viva: da capitale a metropoli, 1880-1980. Cento anni di vita cittadina: politica, economia, società, cultura, a cura di M. Abrate, Torino 1980, pp. 893-955; P. Beneduce, Culture di giuristi e revisione orlandiana: le immagini della crisi, in I giuristi e la crisi dello stato liberale in Italia fra Otto e Novecento, a cura di A. Mazzacane, Napoli 1986, pp. 57-106; C. Vano, Riflessione giuridica e relazioni industriali: alle origini del contratto collettivo di lavoro, ibid., pp. 125-156; A. D’Orsi, Gruppo di professori (e allievi) in un interno: Achille Loria nella facoltà giuridica torinese, in Achille Loria, a cura di A. D'Orsi, n. monografico di Quaderni di storia dell'Università di Torino, IV (1999), 3, pp. 81-116; Allievi e maestri: l'Università di Torino nell'Otto-Novecento, a cura di A. D'Orsi, Torino 2002, passim (in particolare A. D'Orsi, Alma mater Turinensis. L’università di Torino dall’Unità ai nostri giorni, pp. 14-35).