NEBBIA, Cesare
NEBBIA (del Nebbia, Nebula), Cesare. – Nacque a Orvieto da Tommaso, di piccola nobiltà locale, nei primi anni Quaranta del XVI secolo (come si ricava da una lettera alla Fabbrica di S. Pietro del 1610-11, in cui si dichiara settantenne; Eitel-Porter, 2009, p. 322).
Nel 1555 incontrò a Orvieto il suo futuro maestro, Girolamo Muziano, con cui strinse un sodalizio artistico durato tutta la vita. Nel 1559 firmò il primo dipinto noto, Cristo che mostra il fanciullo, che un’iscrizione autografa dedica a Taddeo Zuccari, presente a Orvieto in quell’anno. La fitta corrispondenza intrattenuta con la Fabbrica del duomo di Orvieto offre molte informazioni sulla sua attività per la cattedrale cittadina – in quegli anni sottoposta a un rinnovamento degli altari nello spirito post-tridentino – con un ciclo di pale ispirate alla vita di Cristo. Nel 1562, quando già dichiarava di lavorare a Roma in casa di Muziano, si offrì alla Fabbrica per eseguire l’ancona che Hendrik van den Broeck tardava a consegnare: pur non essendo riuscito nell’impresa, si vide però allogare nel 1563 dodici dipinti per il tabernacolo del Sacramento, eseguito da Ippolito Scalza su disegni di Raffaello da Montelupo. Nel 1566-67 fu incaricato degli affreschi e del dipinto con le Nozze di Cana della prima cappella a sinistra (appartenente alla famiglia Bianchelli): la pala, precocemente rovinata, venne replicata nel 1569-72.
Dopo un passaggio a Fano, nel 1568-70 l’artista affiancò Muziano nella decorazione della residenza del cardinale Girolamo Simoncelli a Torre Sansevero (Orvieto), affrescando le Storie di Minerva nel salone della Caminata e le due stanze di Mosè e Giuseppe. Potrebbe essere Nebbia il «Cesaro pittore» menzionato già nei primi anni Sessanta nei documenti delle residenze del cardinale Ippolito II d’Este a Montecavallo e Monte Giordano (Tosini, 2005, p. 56): è poi sicuramente registrato nel 1569 tra gli artisti che nella villa d’Este a Tivoli lavoravano nell’appartamento del piano nobile. Nel 1573 rientrò in Umbria, realizzando la Pentecoste per la cappella Oradini nella cattedrale di Perugia. È pertanto probabile che in quegli anni fosse di stanza a Orvieto, tornando a lavorare per il duomo, nei pressi del quale, nel quartiere di Serancia, nel 1570 era la casa dove abitava coi fratelli Alessandro e Vincenzo; la sua famiglia era censita nella parrocchia dei Ss. Apostoli.
Nel 1573 fu incaricato di eseguire alcune ‘historiette’ del miracolo dell’Ostia per la chiesa di S. Cristina a Bolsena. Nel 1574 dipinse per la cattedrale di Orvieto la pala della Crocifissione e gli affreschi dell’omonima cappella e nel 1575 quella dell’Ecce Homo; nel 1574-75 si recò a Loreto, su istanza di Muziano, per dipingere la cappella Altoviti nella Santa Casa.
Nel 1576 era rientrato stabilmente a Roma e gli anni centrali del pontificato di Gregorio XIII furono densi di prestigiose attività, spesso intermediate dal maestro bresciano: probabilmente intorno al 1575-80 fu incaricato da Ciriaco Mattei dei primi progetti per la cappella di famiglia nella chiesa dell’Aracoeli; nel 1576-77 realizzò due affreschi – Ecce Homo e Coronazione di spine – per l’oratorio del Gonfalone; nel 1578-81 due pale per i nuovi altari della Chiesa Nuova, una Pentecoste (perduta) e un’Adorazione dei Magi; nel 1579 il Noli me tangere della cappella Alveri in S. Maria degli Angeli; entro il 1580 la Vocazione di Pietro e Andrea in S. Maria della Consolazione; nel 1581 la decorazione della cappella di Marcantonio Fiorenzi in S. Silvestro al Quirinale. Nel 1579-82 prese parte agli affreschi dell’oratorio del Ss. Crocifisso di S. Marcello, con l’Entrata di Eraclio a Gerusalemme, su commissione di Federico Cesi. Sono del 1582 gli affreschi della cappella Sforza in S. Maria Maggiore; verso il 1584 realizzò la perduta Resurrezione per la cappella Fonseca in S. Giacomo degli Spagnoli e allo scorcio dell’età Boncompagni appartiene forse anche il Martirio di s. Stefano in S. Stefano del Cacco. Nel 1577 fu iscritto alla Congregazione dei Virtuosi al Pantheon e dal 1579 il suo nome compare regolarmente in quella della Compagnia di S. Luca.
Nel 1576 si sposò una prima volta con Marzia Tutia di Castel della Pieve, ma già il 15 maggio 1578 Cesare e suo fratello Vincenzo contraevano nuovi patti matrimoniali rispettivamente con le sorelle orvietane Leonzia e Orsella Orienti. Nel 1578 permutava la casa dotale di Castel della Pieve con una in Orvieto, già appartenente al suo allievo Ferdinando Sermei.
A partire dalla fine degli anni Settanta, assunse un ruolo sempre più incisivo nella bottega di Muziano che, a causa dei moltissimi e impegnativi lavori, si ritagliò spesso la funzione di supervisore, lasciando al fidato collaboratore la progettazione grafica e la gestione delle maestranze. Così avvenne per gli affreschi delle sale dei Foconi in Vaticano (1578-80) e per la cappella Gregoriana nella basilica di S. Pietro (1578-82), dove Nebbia assistette il maestro per la messa in opera dei mosaici; anche nella Galleria delle carte geografiche in Vaticano (1581-83) spettò a lui l’esecuzione di tutti i disegni per gli episodi sulla volta, poi affrescati da artisti diversi.
In una lettera del maggio 1582 al camerlengo dell’Opera del duomo di Orvieto (Tosini, 2008, p. 541), rivelò di essere stato ricercato da Filippo II per recarsi in Spagna, probabilmente per la decorazione dell’Escorial, ed essere pronto a partire: la cosa però non andò a buon fine.
Negli anni 1582-83 tornò a lavorare per committenze orvietane, realizzando la pala della Nascita della Vergine per l’altare Monaldeschi in cattedrale e affiancando Giovan Battista Lombardelli nel vasto ciclo affrescato del palazzo Buzi (1584-85); nel 1584-1587, forte dell’esperienza maturata nella cappella Gregoriana, lavorò anche ai cartoni per i mosaici della facciata del duomo (il Battesimo e la Resurrezione di Cristo: di quest’ultimo, sostituito a metà Ottocento, rimane un modello preparatorio nel Museo dell’Opera del duomo).
Il pontificato di Sisto V (1585-90) fu il momento di massima affermazione di Nebbia, investito insieme a Giovanni Guerra dell’organizzazione delle équipes di pittori attivi nelle principali opere artistiche del periodo: nacquero così i grandi cicli della cappella Sistina in S. Maria Maggiore (1586-87), della Scala Santa e della loggia delle Benedizioni in S. Giovanni in Laterano (1587-88), del palazzo lateranense (1587-90), della Biblioteca Vaticana (1588-89), della villa Peretti Montalto (1588-90; distrutti), del palazzo del Quirinale (1590; distrutti), per cui Nebbia eseguì numerosissimi elaborati grafici, messi poi in opera da eclettiche maestranze. In questi anni il pittore si dichiarò (Masetti Zannini, 1974, p. 68) dimorante in Roma, presso S. Nicola dei Cesarini.
Anche le committenze ecclesiastiche private proseguirono fino alla fine del secolo con ritmo incalzante: nel 1590 circa eseguì la decorazione della cappella Borghese in Trinità dei Monti; nel 1594-95 ornò la cappella Amici in S. Spirito in Sassia; nel 1595-97 partecipò al rinnovamento pittorico del presbiterio di S. Susanna, voluto dal cardinale Girolamo Rusticucci; nel 1596-97 affrescò la cappella della Ss. Annunziata nella chiesa della Minerva e in vista dell’anno santo 1600 sovrintese alla decorazione della cupola di S. Maria dei Monti e realizzò gli affreschi (distrutti) nell’abside di S. Marco per il cardinale Agostino Valier. Sullo scorcio del secolo, lasciò alcune testimonianze pittoriche a Viterbo: la Deposizione di Cristo per la chiesa della Trinità, l’Incoronazione della Vergine per l’Episcopio, la Probatica Piscina per la cappella dello Spedale Grande (1594-95) e gli affreschi dei Dodici Apostoli nel chiostro della Madonna della Quercia (1601).
Durante il pontificato di Clemente VIII fu ancora attivo in opere ufficiali, anche se surclassato nel ruolo direttivo dal Cavalier d’Arpino: eseguì i cartoni per gli Evangelisti Matteo e Marco nei pennacchi a mosaico della cupola di S. Pietro e gli fu concessa una parte negli affreschi del transetto lateranense, decorato per il giubileo del 1600.
Dopo questa data potrebbe essere rientrato in patria, poiché in una lettera del 1602 si dichiarava impegnato ad alcune tavole per Orvieto; di lì a poco, però, si trasferì a Pavia su istanza del cardinale Federico Borromeo, per eseguire gli affreschi dedicati alla vita di s. Carlo nel salone dell’omonimo collegio (1603-04), completati poi da Federico Zuccari. Si trattenne in Lombardia fino al 1605, ospite di Borromeo: in questi mesi visitò la regione e il Lago Maggiore, lasciando affreschi nella collegiata di Arona, oggi scomparsi.
Dopo il soggiorno lombardo, rientrò a Orvieto, per attendere ad altri lavori per il duomo (1610-14), tra cui una serie di tele per le navate con altri episodi della vita di Cristo. Nei primi due decenni del Seicento, inoltre, numerose pale d’altare per chiese di Orvieto e dintorni furono realizzate con il contributo della sua bottega.
Protagonista della vita accademica del centro Italia (principe dell’Accademia di s. Luca a Roma nel 1597), si dedicò anche alla poesia, con il manoscritto Dell’Eccellenza della Pittura. Visione di Cesare Nebbii (1594; Milano, Bibl. Ambrosiana, N 333 sup.), dedicato a Carlo Borromeo, e con la raccolta La compunzione del vecchio, sonetti morali di Cesare Nebia pittore cittadino orvietano (Orvieto 1620), dedicata ad Alessandro Cesarini, in cui si dichiara vecchio e malato. Fu inoltre in amicizia con Pietro Martire Romani, che gli dedicò un sonetto nel 1618 e nella Pentalitologia (1622) lo fa dialogare sulla «poesia christiana», modello di artista devoto, aderente a una visione rigorosamente controriformata della pittura.
Un atto notarile del 1° dicembre 1622 (Archivio di Stato di Orvieto, Notarile, I versamento, vol. 2302, atti Belisario Sanvitani, cc. 645-649) registra il pittore ancora vivente, posticipando la sua scomparsa almeno di otto anni rispetto a quanto finora ritenuto sulla base di Giovanni Baglione, che lo ricorda morto a 78 anni sotto Paolo V (1605-21).
È possibile che il Girolamo Nebbia pittore, aiuto in più occasioni di Cesare, fosse un suo nipote, figlio del fratello Vincenzo, battezzato nel duomo di Orvieto il 2 dicembre 1579 (Ibid., Libri parrocchiali, 137, c. 133, n. 1353). Difatti nella lettera del 1611 alla Fabbrica di S. Pietro, Nebbia si dichiarava di «famiglia inutile» (Eitel-Porter, 2009, p. 322), probabilmente a indicare di non avere figli maschi in grado di sostentarlo.
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