BURLAMACCHI, Cesare Nicolò (Nicolao)
Nato a Lucca nella seconda metà del sec. XVII da nobile famiglia, dopo aver passato l'infanzia nella città natale, ove compì i primi studi, fu inviato al collegio dei gesuiti di Parma per seguire i corsi di retorica e filosofia; proseguì quindi il cursus studiorum a Roma, dove nel Collegio romano apprese la teologia raggiungendo la laurea e distinguendosi in alcune applaudite dispute pubbliche. Ma il B. non rimase a lungo fedele all'insegnamento dei suoi maestri gesuiti: ancora giovane, infatti, durante un viaggio a Parigi, subì il fascino dei solitari di Port-Royal, accostandosi alle dottrine giansenistiche. Di queste approfondì, soprattutto, più che i principi dogmatici, gli aspetti morali e, tornato a Lucca, si fece fautore di costumi austeri e rigorosi, divulgando le opere dei moralisti francesi a lui cari. Ciò nonostante godette per molti anni il favore di due vescovi lucchesi, Francesco Buonvisi e Orazio Spada, dal primo dei quali (quindi prima del 1700) ricevette anche il titolo di abate della cattedrale. Ma ben presto il B. si fece conoscere come troppo ardente seguace del rigorismo, pubblicando una serie di traduzioni che inaugurò con le Massime e riflessioni di monsignore Iacopo Benigno Bossuet vescovo di Meaux sopra la comedia tradotte in lingua toscana da un sacerdote lucchese (Lucca 1705).
Si trattava del celebre testo indirizzato dal Bossuet al teatino italiano Caffaro e nettamente avverso a ogni forma teatrale, sia tragica sia comica, giudicata fonte di male morale tanto per gli ecclesiastici quanto per tutto il popolo. Un'opera, perciò, che avrà una notevole fortuna presso i rigoristi italiani nell'aspra disputa settecentesca sulla liceità delle rappresentazioni teatrali (una seconda edizione di questa stessa traduzione sarà pubblicata a Venezia nel 1730), anche se il B. cercava di presentarla come un contributo imparziale teso a moderare i "troppo scrupolosi nel fuggire i Teatri, o poco discreti nel condannarli", pur riconoscendo che essa era diretta "contro gli abusi correnti, tra i quali non è certamente de i meno lagrimevoli la frequenza de i Teatri, oggi non solo tolerati, come indifferenti, ma sino salariati, come profittevoli".
Seguì l'anno dopo la Vita di D. Armando Giovanni Le Bouthillier di Ransé abbate regolare,e riformatore del monastero della Trappa della stretta osservanza di Cistello raccolta da quella che ha scritta in lingua francese il signor abbate di Marsollier canonico della catedrale di Uzes pubblicata nell'idioma italiano dall'abbate Nicolao Burlamacchi... (Lucca 1706), posta all'Indice "donec corrigatur" il 26 nov. 1714. benché il B. avvertisse nella prefazione che gli avvenimenti narrati, non essendo ancora stati approvati né esaminati dalla S. Sede come prova della santità del Bouthillier, venivano presentati soltanto come "istoria, e con fede humana".
Ma destava evidentemente perplessità nelle autorità ecclesiastiche la foga con cui il B. intendeva con tale opera "recare sotto gl'occhi dell'Italia un perfetto esemplare dell'antica penitenza, che sembra oggi pur troppo sconosciuta alla maggior parte de i fedeli", riprovando soprattutto il casismo gesuitico, che, pur condannato dalla Chiesa in alcune manifestazioni paradossali, aveva messo profonde radici nella prassi penitenziale della Chiesa postridentina. Le parole del B. a questo riguardo ("In ciò, che riguarda i Casisti, non posso dire... che io gli creda utili alla Chiesa: essendo così persuaso, come sono presentemente, che le hanno causato gravissimi danni, e che la maggior parte di loro con sottigliezze metafisiche, con discorsi insussistenti, e con invenzioni puramente umane, hanno rese probabili quantità d'opinioni contrarie alla purità de i costumi, e alle verità evangeliche. Hanno insegnato a gli huomini delle dissolutezze, che non conoscevano. Hanno trovato il secreto di soffocare i latrati della coscienza, et hanno dato espedienti, e mezzi di violare senza scrupolo, e senza colpa le leggi più sante della natura, e della Religione": ibid., p. 163) non potevano perciò essere accettate senza aspri dissensi.
Poco dopo vedeva la luce La scienza della salute ristretta in quelle due parole pochi sono gli eletti. Trattato dogmaticointorno alnumero de i Predestinati. Pauci electi. Portato dal francese dall'abbate Nicolao Burlamacchi... (Lucca1707).
La traduzione, approvata dal teologo P. E. Imberti che l'aveva esaminata per ordine del vicario generale diocesano monsignor Vincenzo Torre, era dedicata dal B. al cardinale Lorenzo Casoni. Le prime persecuzioni degli avversari, se portano il B. a ironizzare amaramente sul proprio "cattivo genio", sul proprio non facile destino che lo spinge ad "andar cogliendo l'erbe più pungenti, e più salvatiche fino di là da i monti per distillarle poi su le labbra Italiane", non lo distolgono da quella che egli ritiene la sua missione: far conoscere la "vera" dottrina cristiana fondata sulla Scrittura e sui Padri. Il quadro che il B. fa dell'umanità, e dei cattolici in particolare, per dimostrare l'universale corruzione, è veramente desolante: e anzitutto il clero non sfugge all'accusa di cecità e depravazione. In sostanza nell'opera è accolta l'interpretazione agostiniana più restrittiva dei passi evangelici che trattano il tema del numero degli eletti (Matteo, VII, XIX e XXII; Luca, XIII): tutti gli infedeli si dannano, ma pochi sono anche i cattolici che si salvano. Unica medicina è il rigore morale, che deve essere instillato nei penitenti dai confessori, ai quali si raccomanda la massima severità perché non è mai lecito "dare le cose Sante a i Cani", né "spargere il Sangue di Gesù Cristo sopra quei peccatori, i quali a guisa di Cani, sono ritornati cento volte a i loro vomiti senza dare alcun segno di conversione, e di penitenza" (ibid., p. 211).
L'importanza che assegnava alla funzione dei confessori nel risanamento della vita cristiana portò il B. a comporre un trattato che aveva già promesso nell'introduzione della Scienza della salute, cioè i Disinganni del confessore riconosciuti nella letturadella Sacra Scrittura,ne' sacri canoni,e negli scritti de' SS.Padri e Dottoridella Chiesa Cattolica,opera teologico-moraled'Abramo Villacconchi,prete e dottore di Sacra Teologia. Quest'opera fu altamente apprezzata dal domenicano Giacinto Serry, che voleva farla stampare a Venezia ma trovò l'opposizione dei riformatori dello Studio di Padova; in seguito fu lo stesso B. a distogliere il Serry da altri tentativi di pubblicazione del manoscritto (che rimase inedito nella biblioteca del convento di S. Domenico a Lucca). Ma è indubbiamente interessante per una storia del primo giansenismo italiano scoprire questi contatti tra l'ortodosso Serry e l'appellante B., il quale, come dimostra anche nella Dichiarazione parafrastica delle Epistole di s. Paolo con alcune osservazioni dommatiche e morali (ms. in Arch. di Stato di Lucca, Archivio Arnolfini, 211), mostra più di una consonanza con il teologo domenicano: l'austero rigorismo, l'avversione al casismo, la convinzione che nel Vangelo siano da trovare i principi della morale cristiana, il rifiuto dell'attrizionismo. Ma un legame ancora più stretto con i domenicani il B. mostra in quell'interpretazione "agostiniana" della dottrina tomistica, veduta come sicura custode del pensiero tradizionale della Chiesa, comune a gran parte del filogiansenismo italiano del primo Settecento, che appare soprattutto nella Somma teologicadell'angelico dottore s. Tomaso,distribuita in discorsi toscanidall'abate Nicolao Burlamacchi...(Ibid., 209-210), dedicata al padre Antonio Cloche maestro generale dell'Ordine dei predicatori.
La posizione del B. a Lucca, già vacillante, divenne insostenibile quando, dopo il 1713, egli non solamente avversò pubblicamente la bolla Unigenitus, ma prese a far circolare in una propria traduzione manoscritta le già condannate Réflexions morales del Quesnel. Accusato di giansenismo e denunciato nel 1720 al tribunale del S. Uffizio di Roma, il B. preferì andare in esilio a Marsiglia, ove entrò prima in un convento dei carmelitani scalzi, quindi si ritirò presso i certosini che raccolsero con rispetto senza mai criticare la sua accanita opposizione all' Unigenitus. Ivi il B. morì nel gennaio 1732.
Secondo il Lucchesini - evidentemente più preoccupato di salvare l'ortodossia del B. che la verità dei fatti - egli, in punto di morte, avrebbe ritrattato le proprie convinzioni, accettando "puramente e semplicemente l'Unigenitus e rifiutando tutto quanto poteva aver scritto e detto contro la purezza della fede e la Santa Sede"; ma più credibile è la testimonianza delle contemporanee - anche se interessate - Nouvelles ecclésiastiques, secondo cui il vescovo di Marsiglia, monsignor de Belsunce, aveva effettivamente inviato al B. un atto d'accettazione della bolla e di ritrattazione di tutto ciò che egli aveva compiuto circa questo soggetto, con ordine di privarlo dei sacramenti se egli avesse rifiutato di sottoscriverlo; ma quando era giunto l'emissario del vescovo con il documento, il B. aveva già ricevuto l'estrema unzione e perduto conoscenza.
Fonti e Bibl.: Nouvelles ecclésiastiques, 14 apr. 1732, pp. 73-74; R. Cerveau, Nécrologe des plus célèbres défenseurs et confesseurs de la vérité, II, s.l. 1761, pp. 179-180; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, p. 2448; C. Lucchesini, Della storia letteraria del ducato lucchese libri sette, in Mem. e doc. per servire all'istoria del ducato di Lucca, X, Lucca 1831, pp. 322-324; E. De Tipaldo, Biografia degli Italiani illustri..., I, Venezia 1834, pp. 319-320; F. Inghirami, Storia della Toscana..., XII, Firenze 1843, pp. 356-357; G. Melzi, Dizionario di opere anonime e pseudonime…, II, Milano 1852, p. 169; III, ibid. 1859, p. 222; A. C. Jernolo, Il giansenismo in Italia prima della Rivoluzione, Bari 1928, p. 125; Inv. del R. Arch. di Stato di Lucca, V, Arch. Gentilizi, Pescia 1946, p. 65; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., X, col. 1350.