PASCOLETTI, Cesare
PASCOLETTI, Cesare. – Nacque a Povoletto, in provincia di Udine, il 1° dicembre 1898, da Francesco, veterinario, e da Ida Dreossi, maestra elementare.
Si trasferì giovanissimo nel capoluogo friulano, presso lo zio paterno Sigismondo, medico, autore di diverse pubblicazioni scientifiche, che fu il suo punto di riferimento negli anni della formazione. Nel 1917 conseguì la licenza fisico-matematica presso il regio istituto tecnico di Udine; si iscrisse quindi al corso di laurea in ingegneria meccanica del Politecnico di Torino, ma nello stesso anno venne chiamato alle armi con il grado di maggiore e dovette interrompere gli studi. Alla fine della Grande Guerra scelse di passare al corso di ingegneria civile ove conobbe Renato Raffaelli di Gemona del Friuli, con il quale strinse una solida amicizia e iniziò, nel secondo dopoguerra, una collaborazione per la realizzazione di numerosi interventi INA-Casa in Friuli. Discusse la tesi il 29 dicembre 1923 e la laurea gli fu conferita il 7 febbraio 1924. Nello stesso anno, al ritorno a Udine, fu assunto negli uffici delle Tramvie del Friuli, il cui direttore, l’ingegnere Domenico Calligaro, di Buja, anch’egli laureato al Politecnico di Torino, gli presentò il suo primo committente privato, la facoltosa famiglia Della Giovanna, di Buja, per la quale Pascoletti progettò e costruì, tra il 1925 e il 1929, una villa-castello ricca di elementi architettonici neogotici reinterpretati in chiave moderna.
Contemporanea fu la villa che nel 1925 costruì a Udine per lo zio Sigismondo: composta da due volumi accostati, presenta un interessante contrasto tra il sistema di vuoti sovrapposti del portico di accesso e della loggia superiore e il severo corpo della casa che è definito da profonde aperture finestrate in un crescendo di vibrazione chiaroscurale.
In questi due primi interventi le scelte linguistiche non sono riconducibili alla tradizione locale friulana, ma alle ville e ai villini tipici della città di Torino del primo Novecento. In particolare, un riferimento diretto per Pascoletti furono le opere di Giovanni Vacchetta, suo insegnante di ornato al Politecnico, che aveva collaborato con il gemonese Raimondo D’Aronco, una delle figure più importanti del liberty italiano, autore a Udine del palazzo municipale e a Torino dei padiglioni per l’Esposizione internazionale d’arte decorativa moderna del 1902 e dell’elegante villa Javelli.
Il 4 agosto 1926 si iscrisse all’ordine degli ingegneri di Udine; pochi mesi dopo, nel 1927, si trasferì a Roma, con il preciso intento di collaborare con Marcello Piacentini, che egli considerava il più importante tra gli architetti italiani. Da questa collaborazione nacque un rapporto di stima e fiducia tanto che fino al 1934 Pascoletti risiedette in piazza Grazioli 5, presso l’abitazione di Piacentini, del quale divenne ‘capo-studio’ e per il quale nel 1930 coordinò e diresse i lavori per il Centro di Brescia e quelli per la realizzazione del Mausoleo Cadorna a Pallanza, sul lago Maggiore. Congiuntamente firmò i progetti per la piazza della Vittoria a Brescia (1928-35) e per via Roma a Torino (1934-38).
Contemporaneamente al lavoro di collaborazione nello studio di Piacentini si occupava, in proprio, della realizzazione di molte opere nella Capitale, e a Genova della rampa elicoidale ‘autocamionale’ di via Francia (1934-35) e del palazzo Fincosit in via Fieschi (1936-38), un grande edificio posto all’angolo dell’isolato che adotta il linguaggio razionalista nella sua declinazione romana.
Nel mese di agosto del 1932 sposò Marianna d’Este, modista, e nel 1933 nacque il figlio Luciano.
La collaborazione nello studio di Piacentini lo portò in contatto con importanti figure di imprenditori che apprezzarono il suo lavoro e diedero slancio alla professione, in particolare Arturo Osio, direttore della Banca nazionale del lavoro (BNL), e gli ingegneri Eugenio Gualdi ed Emilio Pifferi, dirigenti della Società generale immobiliare (SGI) per la quale realizzò a Roma, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, diversi edifici e la sistemazione di piazza della Balduina. La collaborazione con la SGI era iniziata circa dieci anni prima, quando, tra il 1938 e il 1940, Pascoletti progettò a viale Eritrea 89-91 (Architettura, 1943) quello che è stato definito dalla critica uno degli intensivi più belli dell’architettura degli anni Trenta: un grande edificio che sulla strada presenta una lunga facciata unitaria leggermente curva, alta 35 metri, aperta alla base da un grande portale di ordine gigante, e alleggerita in sommità da tre piani di profonde logge che svelano, sul fronte, il modulo quadrato sul quale è costruito l’intero prospetto e ripropongono iterato sull’intera lunghezza e moltiplicato su più livelli il coronamento del volume d’angolo dell’edificio genovese. Pascoletti adottò questa soluzione per concludere la composizione volumetrica dell’edificio e anche per dare slancio verticale alla ristrutturazione della palazzina a via Corelli 4 sempre a Roma.
Anche se non prese parte in modo esplicito al dibattito sull’architettura moderna italiana, Pascoletti partecipò a numerosi concorsi nazionali nei quali questo tema s’impose mettendo in evidenza le personalità più interessanti di progettisti e intellettuali che offrirono una risposta architettonica alla domanda di cambiamento della società e della città, destinata quest’ultima a esserne il palinsesto.
Dai concorsi per i palazzi postali di Roma, per i quali ricevette una menzione onorevole, alla chiesa di Messina e alla stazione di Firenze (1932), a quelli per il ponte dell’Accademia e per la stazione di Venezia (1934), alla serrata sequenza di concorsi romani a partire dal concorso per il Palazzo Littorio, per il Ponte duca d’Aosta, per il ministero degli Affari Esteri, per la Pretura al Nomentano, che vinse in collaborazione con Dagoberto Ortensi, fino al concorso per il ponte d’Africa (ora Testaccio; Architettura, febbraio 1940) completato sotto la sua direzione tra il 1940 e il 1945, Pascoletti espresse una propria cifra linguistica che gli derivava da una rilettura dell’architettura moderna attraverso elementi adottati dall’espressionismo tedesco; è di questi anni un viaggio in Germania durante il quale vide le opere Josef Hoffmann, ma soprattutto quelle di Albert Speer, Erich Mendelshon e Paul Bonatz.
Nel tempo affinò un modo di progettare composto, severo, essenziale, che affidava la definizione dei volumi e un loro ruolo espressivo ai contrasti materici, agli stacchi netti di colore e alle ombre prodotte dall’alternarsi di profonde logge e finestre sul filo della facciata.
Su invito di Piacentini, all’inizio degli anni Quaranta iniziò l’impegno di Pascoletti nell’ambito dell’Esposizione universale di Roma del 1942, mai celebrata, partecipando ai concorsi (Architettura, 1939) per il palazzo della Civiltà Italiana e per l’Arco monumentale, simbolo dell’Esposizione universale.
Nell’ambito delle realizzazioni per l’E42, in collaborazione con Pietro Aschieri, Domenico Bernardini ed Enrico Peressutti, realizzò il palazzo della Mostra della Romanità, terminato nel dopoguerra, e gli alberghi di Massa su via Cristoforo Colombo e piazza dei Navigatori, costruiti con la storica impresa romana Federici tra il 1939 e il 1941.
Pascoletti fu anche l’autore dell’elegante sede della FIAT di viale Manzoni del 1943.
Ancora, sotto la guida di Aschieri, e con l’ingegnere Paolo Bertagnolio, partecipò alla stesura del piano regolatore di Udine (legge 5 genn. 1939, n. 105) che si rifà alla visione dell’accesso alla città dalla periferia che Raimondo D’Aronco proponeva all’inizio del secolo: un potente, imperioso, taglio diagonale diretto sulla cattedrale veniva riproposto e realizzato nella versione del 1939.
In questa prima stagione Pascoletti affiancò all’attività pubblica un’intensa attività privata, nella quale, alla sapienza del mestiere, si associava la continuità di rapporti con l’imprenditoria edile romana: villini e palazzine, tipologie caratteristiche tra le abitazioni per il ceto medio-alto, caratterizzate da qualità e dignità, innovazione e tradizione, disponibili ad adattarsi nel tessuto urbano non sempre regolare della capitale, divennero negli anni Trenta un mezzo per evidenziare uno status symbol, e poi nel dopoguerra, soprattutto negli anni Cinquanta, diedero luogo a una tipologia caratterizzante la città di Roma.
Nel 1936 Pascoletti realizzò la palazzina in via Bruxelles 20 (Architettura, 1936), nella quale echi del Movimento Moderno sono interpretati in una visione più tradizionale dell’architettura, contaminando il lessico razionalista delle geometrie semplificate e delle facciate bidimensionali scevre da decorazioni con apporti di matrice espressionista, in particolare riferibili alla lezione di Bonatz e Mendelshon. Sono di questo periodo anche una palazzina in via Panama e una in via Cavalier d’Arpino a Roma, e del 1940 il progetto di villa Baiocchi ad Antignano (Architettura, gennaio 1940), esempio di trasformazione di una villa neogotica sul lungomare labronico in una moderna villa moderna e di matrice razionalista con evidenti rimandi all’architettura mediterranea.
Progettista completo e versatile, nel 1943 si trasferì dall’ordine degli ingegneri di Udine a quello di Roma, e nel 1945 si iscrisse anche all’ordine degli architetti di Roma.
All’avvio della ricostruzione postbellica, nel 1945 aprì un suo studio professionale a Roma, e pur nella sua veste di professionista affermato, non si sottrasse dalla partecipazione ai nuovi concorsi di architettura che ebbero un forte significato di rinascita politica e sociale.
Vinse il terzo premio al concorso per l’edificio di testa della stazione Termini del 1947.
L’amicizia con Arturo Osio, per il quale aveva costruito nel 1936 la villa Osio sull’Ardeatina, nel dopoguerra gli garantì incarichi come progettista di fiducia della BNL in Italia, e a queste si aggiunsero ulteriori sedi bancarie per altri istituti, come la Banca provinciale lombarda, le Casse di risparmio, la Banca tiburtina. Pascoletti affrontò la progettazione delle banche come un tema architettonico a sé, non assimilabile alla tipologia degli edifici per uffici. Nel 1952 realizzò la filiale di Milano della BNL, che, con il suo grande ambiente circolare con rampe di distribuzione tangenti, si riferisce esplicitamente alla sede della Valley Nationl Bank di Tuxon (Arizona) che Frank Lloyd Wright progettò nel 1949.
La sede centrale della BNL a Roma di piazza Albania, del 1954-58, si presenta invece come un parallelepipedo compatto e sintetico, con corte interna che, nella ripetizione uguale delle aperture a contrasto con gli elementi murari chiusi riecheggia, pur nella diversa scelta cromatica per il materiale di rivestimento, l’icona del Moderno rappresentata dalla casa del fascio di Terragni.
Ancora in ambito di rapporti internazionali, Pascoletti fu chiamato a sovrintendere i lavori per la costruzione del Cimitero americano di Nettuno (1956), su progetto di Eric Gugler e Richard Kimball, e per la Fincosit fu incaricato della progettazione del centro Parlamentare e Giudiziario a Monrovia in Liberia (1952).
A Roma proseguì la sua attività di progettista di villini e palazzine per la committenza privata: per il noto costruttore Decio Costanzi, nel 1953-55 realizzò una particolarissima villa-palazzina in viale di villa Grazioli.
Qui espresse in pieno una sua inclinazione per l’architettura organica; qui utilizzò una composizione di balconi aggettanti, di lunghezza disuguale, variamente slittati gli uni sugli allo scopo di includere gli alberi preesistenti, che in questo modo diventano parte integrante della costruzione.
La sua personale predilezione per l’architettura organica si riconosce anche nel villino Albanella in via Brescia (1951-56), che egli costruì per sé e la famiglia, caratterizzato dagli aggetti dei balconi che si innestano su una parete curvata per fare spazio agli alberi posti di fronte all’accesso.
Negli anni che vanno dal 1960 al 1980, che corrispondono all’ultima fase di una lunga carriera ricca di incarichi di alto livello, Pascoletti fu impegnato a Roma nella progettazione di complessi per uffici, tra cui l’edificio della Società Monte Amiata (1965), a viale Regina Margherita, e la palazzina Astaldi a via Po (1968-71).
Nella sua regione natale a partire dagli anni Cinquanta si dedicò all’architettura scolastica e religiosa: a lui si devono il seminario arcivescovile e una ventina di interventi INA-Casa. Nella sua carriera si contano numerosi progetti di concorso e più di cento opere eseguite in un arco temporale che va dalla metà degli anni Venti fino al 1980, anno in cui si ritirò a vita privata cancellandosi dagli ordini professionali.
L’archivio di Cesare Pascoletti, dichiarato di notevole interesse storico dalla Soprintendenza archivistica per il Lazio il 25 gennaio 1999, consiste in 167 progetti, oltre 2000 elaborati grafici, altrettanti disegni e un repertorio fotografico ricchissimo.
Fu anche membro effettivo dell’INU (Istituto Nazionale di Urbanistica) e dell’Accademia Clementina di Bologna fin dal 1945; dal 1968 membro della commissione giudicatrice del concorso per progetti di nuovi centri parrocchiali della diocesi di Roma; il 9 febbraio 1964 papa Paolo VI gli conferì il titolo di commendatore dell’Ordine equestre di S. Gregorio Magno.
Morì a Roma il 25 giugno 1986.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio privato Cesare Pascoletti (in partic. C. Ciavarella, C. P. Vita e opere. 1898-1986, tesi di laurea, Università degli Studi di Roma “La Sapienza” a.a. 2002-2003 [relatore prof. Giorgio Muratore]; per l’archivio privato Pascoletti si consulti anche: http://siusa. archivi.beniculturali.it). E. T., Una casa d’abitazione dell’arch. Cesare Pascoletti, in Architettura, XV (nov. 1936), pp. 544-546; L’E42 in Roma: stato dei lavori e nuovi progetti, in Architettura, XVIII (dic. 1939), fascicolo speciale; Villa Baiocchi ad Attignano (Livorno). Arch. Pascoletti, in Architettura, XIX (genn. 1940), pp. 9-15; Tre ponti a servizio dell’E42 e dell’espansione di Roma verso il mare, in Architettura, XIX (febbr. 1940), pp. 61-94; Fabbricato intensivo in Roma. Architetto C. P., in Architettura, XXI (dic. 1943), pp. 301-307; G. Vaccaro, Panorama biografico degli italiani d’oggi, II, Roma 1956, p. 1151; C. Pascoletti, Alcune sedi della Banca nazionale del lavoro, Roma 1963; F. Tentori, Architettura e architetti in Friuli nel primo cinquantennio del ’900, Udine 1970, pp. 83-87, 92; I. De Guttry, Guida di Roma Moderna, architettura dal 1870 ad oggi, Roma 1978, p. 135; V. Sgarbi, Dizionario dei monumenti italiani e dei loro autori. Roma dal Rinascimento ai giorni nostri, Milano 1991, p. 188; G. Strappa - G. Mercurio, Architettura moderna a Roma e nel Lazio 1920-1945. Atlante, Roma 1996, p. 218; Il realismo costruttivo per una banca moderna, a cura di V. Castronovo et al., Roma 1996; P.O. Rossi, Roma. Guida all’architettura moderna 1909-2000, Roma-Bari, 2000, pp. 110-112, 134-147, 160-164; G. Remiddi et al., Il moderno attraverso Roma: 200 architetture scelte, Roma 2001, p. 216 nn. B28, P148; M. Guccione - D. Pesce - E. Reale, Guida agli archivi di architettura a Roma e nel Lazio. Da Roma Capitale al secondo dopoguerra, Roma 2007, p. 160; L. Pascoletti, Viaggio tra le architetture friulane a Roma, in Cinquant’anni di Friuli a Roma: una presenza dal 1945 (catal.), Tavagnacco 2002, pp. 138-154.