RICOTTI MAGNANI, Cesare
RICOTTI MAGNANI, Cesare. – Nacque a Borgo Lavezzaro, nel Novarese, il 30 gennaio 1822 da Giuseppe e da Margherita Pisani.
La famiglia era facoltosa, anche grazie alla madre, e rispettata, ma non nobile: il padre era avvocato.
Piemontese ma di terre di recente acquisizione, agiato ma non aristocratico, Ricotti Magnani entrò precocemente nell’esercito. Nel luglio 1830 era già allievo cadetto nella Regia militare accademia: passò poi cadetto, anche se senza paga fino a diciott’anni. Come per buona parte dei più istruiti fra i militari non nobili del tempo, una volta avute le spalline, scelse di passare nell’artiglieria. Il giovane Ricotti Magnani alternò azione e studio, fra l’Accademia, dove insegnò, le campagne del 1848-49, la Crimea e il ministero della Guerra.
Il torno di anni fra il 1859 e il 1866, decisivo per l’Unità d’Italia, non fu avaro di soddisfazioni con Ricotti Magnani: durante la ‘guerra regia’ del 1859-61, egli fu successivamente capo di stato maggiore del primo gran comando militare, capo di stato maggiore dell’artiglieria, comandante della prestigiosa brigata Aosta. Nel primo quinquennio dell’Italia unita ebbe poi incarichi di rilievo nell’amministrazione centrale militare: direttore generale delle Armi speciali, membro del Consiglio superiore per gli istituti d’Istruzione e di educazione militare.
In tutti i suoi impegni, Ricotti Magnani seppe mettere a frutto gli studi e l’esperienza di comandante di uomini; soprattutto, però, seppe sviluppare una non comune capacità organizzativa e una eccezionale conoscenza del complesso meccanismo della macchina amministrativa militare. Maggior generale a trentotto anni, fu promosso tenente generale a quarantadue.
Come altri militari del suo tempo, Ricotti Magnani subì il trauma delle repentine riduzioni di bilancio del dopo 1866. Si trattava al tempo stesso di salvare l’esercito nazionale e di riformarlo. Il problema era soprattutto politico ma, per quanto atteneva l’esercito, anche generazionale, e consisteva nel sapere se sarebbe riuscita nell’intento la vecchia élite lamarmoriana, già animatrice dell’esercito del decennio preunitario.
Al culmine della carriera militare e apprezzato per le sue conoscenze dell’organizzazione militare, fu chiamato a far parte di un’importante commissione di generali incaricata di coadiuvare il ministro della Guerra in un primo abbozzo di riforma. In realtà, l’atmosfera politica e parlamentare, l’insufficienza di fondi, la stessa volontà del ministro di non farsi condizionare dalla commissione quando il dibattito iniziò a farsi più radicale frustrarono qualsiasi velleità di sviluppi concreti di quelle discussioni segrete. Esse furono però significative perché fu in quella sede che, fra difficoltà e opposizioni, cominciò a farsi spazio l’idea di passare dal ‘modello francese’ al ‘modello prussiano’. Fu proprio Ricotti Magnani, il più giovane dei presenti, a sostenere con forza e a più riprese un modello di organizzazione militare su più linee (esercito permanente e milizie) capace di sfruttare ‘le forze vive’ della nazione. Le implicazioni del dibattito tenutosi nella commissione erano molteplici. La sua posizione – ripresa dal dibattito di quegli anni e che lui fondava anche su una diretta conoscenza della macchina amministrativa militare – era contrastata sia da posizioni tradizionaliste, filofrancesi e lamarmoriane, sia da opposizioni riformiste e ‘ultraprussiane’ (le quali però, auspicando un esercito armato e agile, avevano, secondo Ricotti Magnani, il difetto di tornare a prospettare i vecchi schemi dell’esercito di qualità).
Fu così che solo dopo il 1870-71, anche a seguito dei risultati della guerra franco-prussiana, si realizzarono le condizioni e l’atmosfera politica opportuna per riprendere il discorso fino ad allora congelato della riforma militare. Nel settembre 1870, nei giorni concitati della presa di Roma, Ricotti fu chiamato al ministero della Guerra a succedere al generale Giuseppe Govone con il parere favorevole di La Marmora. Il favore di quest’ultimo, che dipinse Ricotti Magnani come un militare ‘calmo’, evidenziava come a quella data non ci fosse ancora una decisa volontà riformatrice nell’élite militare. Se da lì a sei anni l’organismo militare italiano fu radicalmente trasformato, evidente era il ruolo personale del ministro della Guerra. Fu così che con una serie successiva di interventi legislativi (piuttosto che con un unico progetto) effettuò una profonda ristrutturazione dell’esercito. Per avere l’Italia potente e – almeno in guerra – un grosso esercito, egli introdusse il sistema prussiano, la ferma breve generalizzata e il reclutamento nazionale. Pur comprimendo il corpo ufficiali, creò una vasta intelaiatura che sarebbe arrivata a dieci corpi d’armata: essa avrebbe accolto in tempo di guerra le masse dei cittadini mobilitati, già soldati (a seconda della categoria di reclutamento) e più volte richiamati, organizzati in milizie e finalmente incorporati attraverso i distretti.
Per la radicalità della sua riforma, il ministro in carica subì attacchi violentissimi, anche da parte della maggioranza di Destra storica che sosteneva il governo e da parte dei militari più tradizionalisti. La Marmora gli scagliò contro una pubblicazione astiosa (Quattro discorsi del generale Alfonso La Marmora ai suoi colleghi della Camera sulle condizioni dell’esercito italiano, Firenze 1871). Altri, invece, da sinistra, rimproverarono al ministro di aver creato un esercito per il momento ‘scheletrico’, di non aver ottenuto maggiori stanziamenti di bilancio, di non aver sviluppato cavalleria o artiglieria preferendovi il ‘numero’ della fanteria, di aver appena abbozzato un sistema di fortificazioni (peraltro assai costoso).
La vita politica di Ricotti Magnani fu però assai più lunga, seppur a partire da allora meno fortunata, di questo suo primo incarico al ministero della Guerra del 1870-76. Dopo aver fatto opposizione ai ministri della Guerra della Sinistra, il suo momento tornò quando, nel 1883, Agostino Depretis ufficializzò l’accordo trasformista con Marco Minghetti e specialmente nell’autunno del 1884, quando Ricotti Magnani tornò al governo come uomo della Destra in un esecutivo presieduto dalla Sinistra, sia pur moderata. L’ispirazione contraddittoria del suo secondo ministero della Guerra lo espose a facili critiche. Con l’avvento di Francesco Crispi e delle ‘megalomanie’ del blocco protezionista, per Ricotti Magnani si chiusero oggettivamente molti spazi politici. Spazi che, benché ristretti, non si erano esauriti: lo squilibrio fra esercito e finanza, nell’Italia liberale, era un dato strutturale. D’altro canto, pur rimanendo un autorevole esponente della Destra, questa parte politica negli anni Novanta sembrava più sensibile al prestigio nazionale che all’equilibrio delle finanze ed era comunque divisa fra Antonio Starabba di Rudinì, Sidney Sonnino e Giulio Prinetti. E fra questi soltanto l’ultimo e il suo ‘Stato di Milano’ sembravano vedere con piacere un programma di raccoglimento militare. Così, dal vecchio pilastro che era, Ricotti Magnani divenne per la Destra solamente un ausilio (e talvolta imbarazzante). Soprattutto, sebbene qualcuno in diverse occasioni lo avesse additato come in predicato di cariche ministeriali, egli trovò sempre di fronte a sé la dura ostilità di Umberto I. Al punto che quando, nel marzo del 1896 dopo Adua, fu fatto per la Guerra il nome del generale novarese, il re minacciò perfino l’abdicazione.
Nonostante l’irritazione del re e degli ambienti crispini, dopo la catastrofe di Adua – la più pesante sconfitta di tutto lo scrambie for Africa europeo del tempo – l’indicazione di Ricotti fu quasi obbligata. Il generale venne incaricato di costituire il governo, ma tenne per sé la Guerra, e passò la guida del gabinetto a Rudinì. A Ricotti Magnani premeva risolvere la questione degli organici dell’esercito. Dopo aver prospettato a Umberto I i suoi programmi, tentò di metterli in pratica. Ma si trovò solo. Rudinì lo scaricò, la Destra non lo sostenne, l’opposizione parlamentare radicale e socialista continuò a vedere in lui il generale della potenza nazionale e della continuazione della guerra in Africa.
La parabola del suo terzo dicastero della Guerra fu quindi breve. Nominato ministro a marzo 1896, a giugno già dubitava pubblicamente del sostegno del suo stesso governo. A luglio Umberto I lo rimuoveva dall’incarico, preferendogli il suo eterno avversario, il savoiardo generale Luigi Gerolamo Pelloux.
Per Ricotti Magnani la carriera politica era ormai finita. Quella militare l’aveva interrotta nel gennaio del 1895, facendo domanda di collocazione nella riserva.
Il suo medagliere era ricco come pochi, annoverando, fra l’altro, la medaglia mauriziana al merito militare (per i cinquant’anni di servizio), l’esclusivo collare dell’Ordine supremo della Ss. Annunziata, il gran cordone dell’Ordine militare di Savoia.
Ricotti Magnani era ormai isolato. Continuò a far sentire la sua critica quando fu interrogato dai vertici militari su singole questioni, in qualche intervista alla stampa e soprattutto dai banchi del Senato, dove fu nominato nel dicembre del 1890 dopo aver rappresentato alla Camera il collegio di Novara dalla XI legislatura (1870-1784) alla XVI (1886-1890). Fra il 1903 e il 1905 e poi nel 1908 tornò a prospettare la necessità di una riduzione degli organici per avere in tempo di pace compagnie forti, utili – a suo dire – in quegli anni di vigorosa crescita del movimento operaio e socialista, anche per scopi di ordine pubblico. E nel 1910 si disse dubbioso sull’introduzione della ferma biennale nell’esercito. I suoi moniti ancora vibranti suonavano però come eco sempre più debole di un programma politico e militare che non trovava più sostenitori. La classe dirigente e l’opinione pubblica borghese, dimentiche delle vecchie difficoltà risorgimentali e quasi incuranti dell’ancora grave peso dell’esercito sulla finanza, subivano le lusinghe della ‘più grande Italia’.
Morì quindi appartato, se non dimenticato, a Novara il 4 agosto 1917.
Sposato con Viginia Fumagalli, non ebbe figli.
Il Senato, commemorandone la scomparsa, si limitò a ricordare la figura del militare «freddo, preciso, acuto» e l’«uomo dal forte e rigido volere» (Senato del Regno, Atti parlamentari, Discussioni, 25 ottobre 1917, in Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, http://notes9.senato.it/web/ senregno.nsf/317f3 dc642f7f5e5c125711400599b3a/ d18e18391c 2abba24125646f005f01fc?OpenDocument, 10 novembre 2016), senza niente aggiungere di specifico. Del programma politico di Ricotti Magnani, pur non esente da contraddizioni, si era annullato il ricordo.
Fonti e Bibl.: Non si ha notizia di un archivio personale di Cesare Ricotti Magnani; la qual cosa ha privato la conoscenza della storia militare dell’Italia liberale di una fonte che certo sarebbe stata preziosa. Notizie e riferimenti su di lui possono quindi leggersi in opere generali sulla storia militare come: G. Rochat - G. Massobrio, Breve storia dell’esercito italiano dal 1861 al 1943, Torino 1978, ad ind.; P. Del Negro, Esercito, Stato, Società. Saggi di storia militare, Bologna 1979, ad ind.; L. Ceva, Le forze armate, Torino 1981, ad ind.; J. Gooch, Army, state and society in Italy, 1870-1915, London 1989, ad indicem. Altre indicazioni si possono trovare nelle grandi fonti memorialistiche: D. Farini, Diario di fine secolo, a cura di E. Morelli, I-II, Roma 1961, ad ind.; L.G. Pelloux, Quelques souvenirs de ma vie, a cura di G. Manacorda, Roma 1967, ad ind.; A. Guiccioli, Diario di un conservatore, Milano 1973, ad ind.; S. Sonnino, Diario, a cura di B.F. Brown, Roma-Bari 1981, ad indicem.
P. Pieri, Le forze armate nell’età della Destra, Milano 1962, ad ind.; V. Gallinari, Le riforme militari di Cesare Ricotti, in Memorie storiche militari, (II) 1978, pp. 11-34; F. Venturini, Militari e politici nell’Italia Umbertina, in Storia contemporanea, (XIII) 1982, 2, pp. 167-250; F. Minniti, Esercito e politica da Porta Pia alla Triplice alleanza, Roma 1984, ad ind.; N. Labanca, Il generale C. R. e la politica militare dal 1884 al 1887, Roma 1986; Id., C. R. M., in Storia militare d’Italia 1796-1975, a cura del Comitato tecnico della Società di storia militare, Roma 1990, pp. 217-227; G.C. Berger Waldenegg, Il ministro della guerra C. R. e la politica delle riforme militari (1870-1876), in Ricerche storiche, (XXI) 1991, 1, pp. 69-97; G.C. Berger Waldenegg, Die Neuordnung des italienischen Heeres zwischen 1866 und 1876. Preußen als Modell, Heidelberg 1992, ad ind.; N. Labanca, In marcia verso Adua, Torino 1993, ad ind.; M. Rovinello, Dalle Alpi al Lilibeo. Storia della leva in Italia dall’unità alla Grande guerra, in corso di stampa; Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, sub voce, http:// notes9.senato.it/web/senregno. nsf/R_l2?Open Page (10 novembre 2016).