ROSA, Cesare
– Nacque il 16 novembre 1785 a Modena da Paolo e da Domenica Sereni.
Il padre, cultore delle lettere, aveva all’attivo traduzioni di Voltaire e di Jean-Jacques Rousseau e abbracciò subito le dottrine rivoluzionarie giunte in Italia con le truppe di Napoleone Bonaparte. Ricoprì incarichi nella Repubblica Cispadana, quindi nella Cisalpina e poi ancora ai tempi del napoleonico Regno d’Italia. Per questo motivo favorì, dopo gli studi ginnasiali, l’ingresso del figlio nella Scuola militare di Modena, istituita nel 1798 per diretto interessamento di Bonaparte con il proposito di creare i quadri di un nuovo esercito nazionale.
Il giovane Rosa entrò nella scuola all’inizio del 1804, in qualità di allievo sottotenente, dopo aver superato un esame di ammissione nel corso del quale brillò in matematica e disegno. Ne uscì tre anni dopo, nell’ottobre 1807, con il grado di tenente d’artiglieria e venne destinato al poligono di Pavia. Qui si trattenne poco, perché fu inviato in Dalmazia, dove la pace di Tilsit aveva appena posto fine alle ostilità delle truppe franco-italiane contro i russi. Si trattenne non di meno a Zara, in qualità di istruttore degli ufficiali di artiglieria, sino al 1809, quando Napoleone ridisegnò la carta dell’alto Adriatico scorporando alcune province del Regno d’Italia per costituire le Province Illiriche: assieme all’intera truppa italiana, Rosa venne così rimpatriato.
Tornato a Pavia, prestò servizio alla fonderia di cannoni per passare poi all’artiglieria a cavallo della guardia reale: dettavano quella scelta le speranze di una più rapida carriera, che andarono però presto deluse per l’opposizione ostinata di alcuni superiori, che lo costrinsero a restituirsi, ormai nel 1811, all’artiglieria a piedi. Qui molto si impegnò nello studio delle tecniche di fusione, ma il tempo della guerra tornò presto all’orizzonte: nel febbraio del 1812 venne così destinato con il proprio reparto a raggiungere Verona, dove si ricongiunse alle truppe italiane chiamate a dare il loro contributo alla napoleonica avventura di Russia.
Nel corso della spedizione, alla quale partecipò nella divisione guidata dal generale Domenico Pino, prese parte a molti combattimenti e si distinse soprattutto nello scontro del mese di dicembre a Kowno, quando il generale francese Michel Ney, coadiuvato da pochi ufficiali, tra i quali lo stesso Rosa, tenne vittoriosamente testa al ritorno in forze delle truppe nemiche.
Nel maggio del 1813 fu promosso a capitano d’artiglieria: tuttavia la crisi del sistema di potere napoleonico seguita al disastro della spedizione di Russia mise in pericolo l’esistenza stessa del Regno d’Italia e Rosa – dopo una breve sosta a Pavia – venne nuovamente richiamato alla prima linea per sostenere sotto il comando del viceré Eugenio di Beauharnais l’offensiva delle truppe austriache. Per la circostanza venne destinato in qualità di commissario amministrativo alla difesa della fortezza di Palmanova, che resistette all’assedio delle truppe austriache sino all’ultimo, perché la resa ebbe luogo solo il 19 aprile 1814, ossia in parallelo al disfacimento del Regno d’Italia di quegli stessi giorni.
La vita militare di Rosa sembrò conclusa: l’esercito italiano venne sciolto e sin dal luglio 1814, a differenza di molti colleghi che invece vennero trattenuti in servizio, egli venne congedato.
Nella scelta delle autorità austriache fece riflesso una logica epurativa, che le portò a non chiedere la prosecuzione del servizio soltanto a quegli ufficiali la cui carriera fosse strettamente connessa alla stagione napoleonica.
La restituzione di Rosa alla vita civile nell’Italia della Restaurazione non fu certo indolore. Tuttavia egli non si perse d’animo e ritenne che le competenze tecniche nel frattempo acquisite gli potessero consentire di tentare la carriera di ingegnere e agrimensore. Restituitosi alla natia Modena, ottenne, dopo alcuni anni dove la famiglia intervenne a suo sostegno, l’abilitazione all’insegnamento dell’ingegneria e dell’architettura. Sulle prime la cosa non gli servì a molto, perché nel luglio del 1820 la rivoluzione costituzionale a Napoli suggerì al duca di Modena, Francesco IV d’Este, di farlo incarcerare come sospetto carbonaro. Presto liberato, ancora grazie all’intervento dei familiari, seppe però con il tempo riannodare i rapporti con il governo estense, tanto da ottenere, a far data dal 1824, alcuni incarichi per completare le operazioni catastali lungo i fiumi Panaro e Tiepido. Nel frattempo lavorò anche come ingegnere e nel 1829 realizzò il modello di una macchina a vapore a pressione costante la cui caldaia venne costruita da Giacomo Gavioli.
Tuttavia, il tempo del disinteresse verso la politica arrivò presto a conclusione, perché Rosa guardò con entusiasmo al 1830 in Francia e seguì con pari attenzione gli sviluppi della rivoluzione nell’Italia centrale. Nel 1831 abbracciò la rivoluzione modenese e in seguito all’insurrezione promossa da Ciro Menotti, che portò all’allontanamento di Francesco IV, accettò la nomina di aggiunto al colonnello Pietro Maranesi nel nuovo governo insurrezionale e assieme chiamarono all’arruolamento nella guardia nazionale cittadina gli ufficiali del disciolto esercito italiano.
Il ritorno al mestiere delle armi sotto le insegne della nazionalità venne coronato, di lì a breve, dalla nomina a capo battaglione di artiglieria e direttore di personale e materiale. In quelle vesti collaborò alle sfortunate operazioni militari dell’esercito delle Province Unite italiane guidato dal generale Carlo Zucchi, un veterano del suo pari delle campagne napoleoniche: Rosa fu agli scontri di Rimini e Cattolica, dove le truppe degli insorti tentarono inutilmente di opporre resistenza agli austriaci nel frattempo penetrati nel territorio delle Legazioni pontificie. A seguito della sconfitta, assieme ad altri, tra i quali lo stesso Maranesi, prese il mare nella speranza di raggiungere la Grecia, ma l’imbarcazione venne fermata da una flottiglia austriaca che trasportò i fuggitivi a Venezia, dove vennero incarcerati. Dopo un anno di detenzione, Rosa ottenne di essere liberato in cambio del volontario esilio: nel luglio del 1832 raggiunse Tolone per poi recarsi a Marsiglia e a Lione, ma si tenne distante dai circoli di emigrati italiani. Presto portatosi a Parigi, Rosa si chiuse invece nel silenzio politico, quasi considerasse definitivamente esaurita la sua partecipazione al movimento nazionale.
Nella capitale francese, condusse non di meno vita difficile, perché i suoi progetti di tornare alla professione di ingegnere risentirono della sua incapacità di farsi strada nel nuovo ambiente. Non gli restò allora che il mero diletto degli studi – sembra avesse alla mente un’opera di metafisica mai pubblicata –, ma una grave malattia intervenne a suggerirgli di venire a patti con il duca di Modena. Proprio a causa delle gravi condizioni di salute egli chiese il permesso per fare rientro in Italia, ma il governo estense, pur a conoscenza del comportamento ritirato tenuto a Parigi, giusto gli permise di trasferirsi in terra di Toscana.
Arrivò a Firenze ai primi del 1838, accompagnato dalla vedova e dal figlio di Ciro Menotti, con i quali aveva vissuto in terra di Francia. Tuttavia la salute non lo sorresse più e, a qualche giorno da un nuovo trasferimento, morì a Lucca il 24 novembre 1838.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano, Fondo Ministero della Guerra, bb. 89 e 117 (matricole di Rosa che consentono di ricostruire la sua carriera militare).
A.G. Spinelli, I due Gavioli, Modena 1901, p. 286; G. Canevazzi, La Scuola militare di Modena, 1756-1914, I-II, Modena 1914-1921, ad nomen; Id., Un modenese esule del ’31 (C. R.), Modena 1919; E. Pigni, La Guardia di Napoleone re d’Italia, Milano 2001, pp. 224-227; B. Giordano, Gli ufficiali della Scuola militare di Modena (1798-1820): una ricerca prosopografica, Soveria Mannelli 2008, pp. 341 s.