ROVIDA (Rovidius), Cesare
ROVIDA (Rovidius), Cesare. – Nacque a Milano nel 1549 dal nobile Galeazzo, notaio, e da Cecilia Grassi.
Forse la famiglia era di origini tortonesi, per un Matteo trasferitosi a Milano alla metà del Quattrocento, come dimostrerebbe l’arma identica a quella dei Roveda di Tortona.
Fu allievo del filosofo e storico Ottaviano Ferrari presso le Scuole canobiane di Milano e fin da giovanissimo manifestò i suoi interessi per la medicina antica; scrisse in proposito Giovan Battista Selvatico (1607): «adulescentis adhuc non laureati consiliis et doctrina utebantur multi difficiliorum in Hippocratis, Aristotelis et Galeni locorum explanationem ab eo quaerentes» (p. 64).
Dal 1568 frequentò i corsi di Ferrari all’Università di Pavia, dove il 21 gennaio 1575 si laureò in arti e medicina e nello stesso anno cominciò il suo impegno accademico quale lettore straordinario di filosofia. Nel luglio del 1575 fu cooptato nel Collegio dei medici di Milano: per esservi ammessi occorreva avere seguito per sette anni gli studi universitari fino al conseguimento del dottorato, superando poi un esame di ammissione da parte dei più autorevoli esponenti del sodalizio. Prima di tale data, comunque, aveva già compiuto un viaggio di studio per l’Europa, del quale però non si hanno molte notizie.
A partire dal 1582-83 diventò lettore ordinario di filosofia naturale, la cattedra che era stata del suo maestro Ferrari; durante quegli anni accademici ebbe però forti contrasti con alcuni colleghi, in particolare con Federico Ghislieri, per questioni di precedenza, e con Girolamo Casoni per presunte maldicenze. A proposito dei suoi impegni accademici, nonostante il titolo della sua cattedra e quanto ne dicono antichi biografi come Bartolomeo Corte e Filippo Argelati, risulta che di fatto abbia insegnato filosofia, pur coltivando studi di medicina, come documentano alcuni suoi manoscritti conservati alla Biblioteca Ambrosiana.
La crescente fama gli procurò vari inviti a trasferirsi presso altri atenei, ma il Senato di Milano ritenne opportuno rimanesse a Pavia, dove insegnò fino al 1592. Paolo Morigia nella sua Historia dell’antichità di Milano (1619) lo ricorda tra i più illustri docenti contemporanei. Oltre all’insegnamento universitario Rovida volle costituire una propria particolare Accademia, detta Rovidiana o Dialecticorum, «ad adolescentes exercendos [...] ut iam Athenae viderent rediisse» (Selvatico, 1607, p. 65); mentre Filippo Argelati (1745, col. 1248) precisa che la sede era nella sua casa di Pavia e che funzionò a partire dal 1580 e almeno fino al 1584.
L’Accademia aveva sue leges e anche un’impresa, che pero non è nota. Nel ms. S.50 inf. dell’Ambrosiana si conservano le «Quaestiones a Cesare Rovidio principe Academiae, quae ab ipso philosophiae caussa constituta est». I nomi noti dei partecipanti alle riunioni accademiche risultano oltre una trentina, e tra essi in particolare si segnala Iacopo Antonio Frigio, che nel suo commento ai Prognostica di Ippocrate, pubblicato a Pavia nel 1608, loda ampiamente la cultura classica del suo maestro e le tante opere che doveva pubblicare: «Caesar Rovidius amantissimus praeceptor meus, in literis graecis juxta ac latinis doctissimus eruditus, bonisque omnibus artibus ornatus, qui luculentissimis, lectissimisque operibus edendis immortale nomen erat adepturus, nisi posteritatis utilitati, ac illius crescenti gloriae mors invidisse» (p. 33). Tra gli altri allievi si segnalano Ercole Vincemala, Antonio Reina e in particolare Marco Maffeo Ciceri, figlio di Francesco, grande amico di Rovida. A quanto risulta, gli accademici si dedicavano alla composizione di carmi in latino, italiano e greco, che venivano recitati durante particolari certamina. Siro Comi nella sua opera sulle accademie pavesi ritiene di dover identificare la rinomatissima accademia rovidiana con quella dei Solinghi, ma l’ipotesi, non documentata, è smentita anche dalla cronologia.
A testimoniare il grande amore di Rovida per la cultura classica e le sue competenze filologiche ci sono i grossi manoscritti, con annotazioni in greco e in latino, in particolare su Le opere e i giorni di Esiodo, conservati nell’Ambrosiana. Studiava e annotava le edizioni dei classici latini: a parte le Commedie di Plauto, le Commedie di Terenzio, edite a Lione nel 1509, e le opere di Catullo, Properzio e Tibullo pubblicate da Sébastien Gryphe a Lione nel 1537, dove erano segnalate in margine varianti e proposte di correzioni. Dedicò grande cura alla revisione delle Commedie di Plauto, postillando tutto il volume edito a Venezia nel 1522 dagli eredi di Aldo, tra l’altro componendo in latino gli argumenta delle singole opere. E proprio l’esame delle note, quasi identiche, di mano di Rovida su due esemplari di questa edizione (posseduti dall’Ambrosiana e dalla Biblioteca civica di Tortona) e le glosse analoghe di altra mano su un’ulteriore copia dell’opera, fa pensare che nell’Accademia Rovidiana si svolgesse anche un lavoro di lettura e di commento filologico dei testi latini e greci. Possedette un rarissimo codice miscellaneo, della seconda metà del X secolo, con opere di Beda, scritto nell’abbazia benedettina di S. Marziano di Tortona.
Fu un discreto poeta in latino: compose Eclogae ed Elegiae, anche erotiche, trasmesse da manoscritti conservati all’Ambrosiana. La morte relativamente precoce impedì che l’attività poetica e i più impegnativi studi storico-filologici vedessero la luce, nonostante l’interessamento del fratello Alessandro, docente di diritto all’Università di Pavia e senatore, che avrebbe dovuto curare la stampa delle sue opere (secondo le indicazioni di Argelati, 1745, col. 1248). Di particolare importanza fu la sua biblioteca, dove era confluita quella di Ottaviano Ferrari, inizialmente lasciata in eredità all’amico Bartolomeo Capra; la collezione di Rovida venne poi acquistata nel 1606 dal cardinale Federico Borromeo per la Biblioteca Ambrosiana, dove così entrarono preziosi codici antichi, importanti edizioni a stampa del Quattro e del Cinquecento e molti manoscritti di Rovida e dei suoi amici.
In Ferrari - Rozzo, 1984, sono elencati 74 manoscritti ambrosiani contenenti testi di Rovida e sono segnalati alcuni incunaboli e cinquecentine con note manoscritte di Rovida.
Morì a Pavia nell’agosto del 1592 (forse il giorno 7) e venne sepolto nella cattedrale di S. Stefano. Nel febbraio del 1593 il Senato autorizzò la nomina di un nuovo docente al suo posto.
Nell’Ambrosiana si conserva un bel ritratto in cui è rappresentato a mezzo busto e con gorgiera; in alto reca la scritta: «Caesar Rovidius colleg.us Senatori Alex.ri frater in prima sede Ticinê Gimnasio professor. Obiit aňo 1591 7 augusti»: dunque si segnala la sua natura di ‘medico collegiato’ e poi la parentela con il fratello minore, Alessandro, probabilmente il committente del quadro; inoltre si ricorda la ‘prima sede’ da lui occupata nell’Ateneo pavese. La data di morte errata si può spiegare con un’aggiunta piuttosto tarda rispetto agli eventi (scritta in corsivo a differenza del resto della didascalia), ma altre fonti (Morigia, 1619; Corte, 1718; Argelati, 1745) parlano del 1594.
Fonti e Bibl.: Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., A.166 inf.; S.50 inf.; S.63 inf.; G.B. Selvatico, Collegii Mediolanensium medicorum origo, Milano 1607, pp. 64-66; I.A. Frigio, In magni Hippocratis Prognostica, Ticini 1608, p. 33; P. Morigia, Historia dell’antichità di Milano, Milano 1619, p. 241; F. Picinelli, Ateneo de’ i letterati milanesi, Milano 1670, pp. 143 s.; B. Corte, Notizie istoriche intorno a’ medici scrittori milanesi, Milano 1718, pp. 122-124; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, II, 1, Mediolani 1745, coll. 1247-1250; G. Parodi, Elenchus privilegiorum et actuum publici Ticinensi Studii a saeculo nono ad nostra tempora, Ticini 1753, pp. 88, 91; F. Ciceri, Epistolarum libri XII et Orationes quatuor. Marci Maphaei filli Epistolarum liber singularis, II, Mediolani 1782, pp. 273 s., 276 s., 279 s.; S. Comi, Ricerche storiche sull’Accademia degli Affidati e sugli altri analoghi stabilimenti di Pavia, Pavia 1792, pp. 32 s.; F. Calvi, Il Patriziato milanese, in Archivio storico lombardo, I (1874), pp. 414 s.; Memorie e documenti per la storia dell’Università di Pavia e deli uomini più illustri che vi insegnarono, Pavia 1878, p. 172; G. Caldana, Le inedite elegie erotiche di C. R., in Ateneo veneto, XXVIII (1905), 1, pp. 69-97; Catalogus codicum Graecorum Bibliothecae Ambrosianae, a cura di A. Martini - D. Basso, Milano 1906, ad ind.; P. Revelli, I Codici Ambrosiani di contenuto geografico, Milano 1929, ad ind.; P.O. Kristeller, Iter Italicum, I, London 1967, pp. 277, 280-285 e passim; R. Cipriani, Codici miniati dell’Ambrosiana, Milano 1968, ad ind.; E. Cau, Ricerche su scrittura e cultura a Tortona nel IX e X secolo, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, XXVI (1972), pp. 97 s.; O. Pasqualetti, Il poeta latino C. Rovidio umanista lombardo, in Studi sulla cultura lombarda in memoria di Mario Apollonio, I, Milano 1972, pp. 130-144; G. Roncoroni, La figura di Francesco Ciceri attraverso l’epistolario in volgare, in Archivio storico ticinese, LIX-LX (1974), pp. 333 s., 351; R. Ferrari - U. Rozzo, Un filosofo e bibliofilo milanese del ’500: C. R., in Stasimon, III (1984), pp. 81-115.